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Autore: GallavichTrash    22/03/2016    2 recensioni
Mickey vuole solo essere sicuro che lui si prenda cura di Ian nel modo giusto. E farà di tutto per scoprirlo.
||«Un solo incontro. Un solo cazzo di incontro.» //Gallavich //SPOILER! 6X10
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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You had a dream; are you still dreaming?
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-Un solo incontro. Un solo cazzo di incontro.-

-Per cosa? Picchiarlo non servirà a farmi magicamente cadere ai tuoi piedi, Mickey. Avrebbe l’effetto opposto. Sono cambiato.-

-Se sei così sicuro che sia il piccioncino perfetto e senza difetti che dici, non avresti paura.-

-Non ho paura di un bel niente.-

-Provalo.-

-Non esiste. Devi smetterla di comportati come la mia cazzo di balia, non devo avere il tuo permesso o la tua benedizione per stare con qualcuno! Sto bene, sono felice! Anche senza di te, cazzo, e se questa cosa non ti va giù, indovina? Non è un mio problema.-

-Scusami se mi preoccupo per te.-

-Non devi, cazzo! Se ti stessi chiedendo perché ci siamo lasciati, questo è il motivo. Sei oppressivo, sei ridicolo.-

-Non me ne frega un cazzo se ti sembro ridicolo, voglio solo incontrarlo.-

-Hai finito?-

-Ian, porca puttan—

Il telefono si fa silenzioso, prima che l’inconfondibile suono di una chiamata chiusa rimbombi nelle orecchie di Mickey. Non esita a buttare il telefono dall’altra parte della stanza, mormorando un “Cazzo” a denti stretti.

Preoccuparsi per lui finirà per farlo impazzire. Forse lo è già, pazzo, è per questo che decide di agire nell’ombra, senza l’approvazione dell’ex-fidanzato. Afferra un giaccone e chiude la porta alle sue spalle con un tonfo, un solo nome per la testa: Caleb il pompiere.
 
***
Lo sa che è appena uscito dalla gattabuia e che picchiare e minacciare pompieri e paramedici non giova alla propria fedina penale, ma non gli interessa; ha ottenuto quello che voleva, e adesso è lì che fissa la porta metallica, anonima e spoglia, e ci mette un po’ prima di decidersi a bussare –non ha paura, figuriamoci, ma le parole di Ian lo fermano per un secondo, il tono che ha usato era mortalmente serio e per un attimo si chiede se stia facendo la cosa giusta.

Bussa solo quando capisce che anche se non fosse la cosa giusta da fare per evitare di farsi odiare da Ian, è la cosa giusta da fare per proteggerlo, anche a costo di farsi detestare più del solito.

I rumori cessano solo per essere rimpiazzati da leggeri passi che si fanno sempre più vicini. Ad aprirgli la porta è uno spilungone di colore tutto muscoli, un visino rilassato e liscio come il culo di un bambino e l’espressione che un culo in generale un po’ lo ricorda.

-Ian, non ti aspettavo prima di pran—

Non è evidentemente chi si aspettava bussasse alla sua porta, gli rivolge infatti uno sguardo sorpreso e tremendamente fastidioso, fastidio che aumenta esponenzialmente quando l’altro fa il nome del rosso. Ma fa presto a mettere da parte quella rabbia, si concentra sul perché è lì.

L’altro parla ancora.

-Ci conosciamo?-

-Mickey. Ci conosciamo ora.-

Senza aspettare risposta né tantomeno il permesso, entra in quella stanza dandogli una spallata per poter passare, approfittando del fatto che il tipo è rimasto inebetito a guardarlo senza capire apparentemente nulla di quello appena successo.

Mickey ispeziona con gli occhi quel posto che assomiglia tanto ad una discarica di vecchia ferraglia a forma di… un fiore? Si gira verso di lui, le sopracciglia aggrottate.

-Davvero? Pensavo fossi un pompiere, non un meccanico hippie.-

Caleb non sembra fare caso alle sue parole, lo squadra da capo a piedi e poi fa un mezzo sorriso, tra lo spavaldo e quello che crede essere un brivido di paura.

-Aspetta un minuto… quel Mickey? Mickey Milkovich?-

-Ian ti ha parlato di me, uh? Che onore.-

-Cosa vuoi?-

Il moro fa spallucce, si guarda intorno, per poi posare lo sguardo su di lui e passare velocemente un dito a toccarsi il naso, com’è solito fare quand’è nervoso –ma un leggero ghigno si fa spazio sul suo viso.

-Sono passato di qui convinto che avrei visto la dimora di un eroe nazionale, e invece sembra di essere nell’appartamento di uno con la fissa per della merda arrugginita che puzza anche di merda. Sei una specie di artista?-

L’altro ride, senza divertimento, scuote la testa e incrocia le braccia, sfidandolo con un sorriso che Mickey vorrebbe togliergli dalla faccia a furia di cazzotti.

-Non credo proprio che tu sia nella posizione di potermi giudicare.-

-Io ho una collezione di pistole come ogni americano medio, sei tu quello che rovista nell’immondizia per creare qualsiasi cazzo di cosa siano queste cose.-

Caleb non cambia espressione, lo studia in silenzio come se si sentisse superiore, come se quello a rovistare nell’immondizia fosse Mickey.

-Ian mi ha detto di quello che gli hai fatto.-

-Non me ne frega un cazzo di quello che ti ha detto. Non sono qui per questo.-

-Lo picchiavi.-

Questo commento lo lascia momentaneamente senza parole. Alza entrambe le sopracciglia, guardandolo, intimandogli con gli occhi di continuare a parlare. Il ragazzo non esita, con la stessa spavalderia gli si avvicina.

-Come?-

-Lo picchiavi. Non l’hai mai trattato con rispetto, e pretendi di venire a controllare che io sia adatto a lui?-

Questo sarebbe solitamente il momento in cui il buon senso va a farsi fottere e Mickey comincia ad esprimersi a pugni, perché lo stronzo non sa niente di lui, di com’è cambiato per Ian e grazie ad Ian, cos’hanno fatto l’uno per l’altro. Di certo non gli darà la soddisfazione di saperlo, anche se probabilmente renderebbe tutto più facile.

Invece sospira, fronteggiandolo, e continuando a ghignare amaramente.

-È fermo di parecchi anni con la fiaba che ti ha raccontato, cazzo.-

-Mai portato ad un appuntamento, abusivo e violento. Devo continuare?-

Vorrebbe che continuasse, vorrebbe sapere cos’altro Ian ha detto di lui mentre Mickey era in prigione con il suo nome tatuato sul petto. Ma si ripete che non è qui per questo, quindi scuote la testa e incrocia anche lui le braccia, guardandolo.

-Basta parlare di me. Parliamo di te.-

-Lo amo. Lo rispetto, e non credo proprio di doverti dire queste cose. Non sono affari tuoi, non più. Ian sta con me ora.-

Mickey stringe le mani in pugni stretti, la voglia di sbattergli quella brutta faccia di cazzo contro una di quelle composizioni d’immondizia che cresce di minuto in minuto. Parla ancora, evitando di commentare il resto.

-Lo rispetti, uh? Quindi sai se sta prendendo le medicine, sai se non sta bevendo, sai tutto di lui, no?-

Il ragazzo ride, scuote la testa, gli parla con un tono lento e calmo, come se Mickey fosse un idiota che non capisce ciò che gli dici a meno che tu non gli scandisca bene le parole.

-Lo vedi? È questo il tuo problema. Eri una gabbia, per lui. Mi fido di Ian, ha tutto sotto controllo. Beve quanto gli pare perché sa quello che fa.-

Questa volta è Mickey a ridere, a metà tra l’incredulo e l’infuriato. Si passa una mano tra i capelli, nervosamente.

-Hai un diploma appeso ad una parete e fai bere una persona sotto psicofarmaci? Sei lontano dall’essere rispettoso, amico, lo stai fottutamente uccidendo.-

-È per questo che ti ha lasciato.-

-Perché mi preoccupavo che non cadesse in depressione per bere qualche birra del cazzo? Quello lo avevo capito.-

-No, stronzo. Perché non lo lasciavi libero di vivere la sua vita, i suoi sogni. Lo sai che è diventato un paramedico? E non di certo grazie a te.-

Mickey aggrotta le sopracciglia, lo guarda incredulo e sempre più incazzato.

-Non è possibile che sia un cazzo di paramedico, i bipolari non possono fare quel tipo di lavoro. Che cazzo stai farneticando?-

-Come fai a non vederlo?! Sei come tutti gli altri, chiuso di mente e spaventato! Ian è una persona normale, l’ho dovuto convincere a mentire per inseguire il suo sogno!-

Lo sguardo che gli rivolge è completamente scioccato, si ferma dal parlare perché la rabbia lo sta accecando e quello stronzo si rinsavirebbe solo con una scarica di pugni che evidentemente non ha mai avuto in vita sua. Gli si avvicina ulteriormente, incapace di trattenersi oltre, le mani prudono e lo spintone che l’altro riceve è davvero il minimo.

-Stai scherzando, cazzo! Ti rendi conto delle cazzate che stai dicendo?! Dici di amarlo e rispettarlo e poi metti a rischio la sua cazzo di vita e quella di altre persone?!- lo spintona ancora, continuando ad urlargli contro. –C’è un motivo se sulla domanda per diventare paramedico viene chiesto se si hanno certe malattie, brutto coglione!-

E come se il ragazzo pacifico di prima avesse lasciato il posto ad un’altra persona, non riceve risposta da Caleb se non un pugno ben sferrato alla mascella. Indietreggia disordinatamente, non si aspettava di venire colpito, e se avesse saputo che era un tipo che fa a botte senza mezzi termini avrebbe sicuramente scagliato lui il primo colpo. Non se lo lascia ripetere due volte, il ragazzone sarà anche grande e grosso ma Mickey non si fa di certo intimidire.

Ricambia il colpo, colpendolo con un gancio prima sul viso, poi nello stomaco, quando l’altro si piega per trattenere con un gemito di dolore la parte lesa ne approfitta per sferrargli un calcio a livello delle gambe facendolo di conseguenza inginocchiare. Quando pensa che sia finita, però, Caleb sembra riprendersi, lo atterra con un colpo alle caviglie e d’improvviso se lo ritrova addosso, che lo riempie di pugni ovunque capiti.

-Fattene una ragione Milkovich, adesso sta con me!-

Il fatto che quell’idiota non capisca la gravità di quello che sta facendo ad Ian e sia ancora convinto che Mickey sia lì solo per gelosia o chissà che altro lo manda ancora di più in bestia. Riesce a liberarsi dalla raffica di pugni, ribalta le posizioni e quando l’altro fa per tornare a mettergli le mani addosso, gli afferra la testa e la sbatte senza riguardo contro il pavimento.

Questo colpo sembra stordirlo, abbastanza da permettergli di afferrarlo per il colletto della maglia, strattonandolo prima di portarselo vicino, sussurrando minaccioso.

-Non hai una fottuta idea di quello che gli stai facendo, maledetto coglione.-

Come se non lo ascoltasse, Caleb ride e gli si avvicina ancora, sussurrando a sua volta.

-Sei geloso perché Ian non è più sotto il tuo controllo, eh? Perché qualcuno lo tocca e lo bacia con rispetto e quel qualcuno non sei tu, non è vero?!-

Il pugno che colpisce Caleb subito dopo riesce finalmente a zittirlo, a stordirlo abbastanza da chiudere quella boccaccia inutile. Mickey non può negare di essere geloso, ma non è la gelosia ad averlo spinto lì, ad averlo spinto a colpirlo in primis. E questo cretino sembra sordo, oltre che stronzo, e Mickey non è uno che ama ripetersi.

Caleb non demorde, lo colpisce ancora ma la risposta di Mickey arriva prontamente, e poi un'altra, e un’altra ancora, mentre un rumore metallico rimbomba nella stanza e una voce famigliare appena dopo.

-Ho portato il pranzo. Pensavo di passare prima ma- Che cazzo succede?!-

Non ha il tempo di levarsi da lui che Ian lo precede, afferrandolo con rabbia e scostandolo malamente dall’uomo. Inizia a gridargli contro, spintonandolo verso l’uscita.

-Porca puttana, Mickey! Che cazzo di problemi hai?!-

Il moro non lo guarda, non subito, lancia delle occhiate nervose in giro, passandosi ripetutamente l’indice sul naso, mentre la rabbia ancora circola in corpo, è teso e dopo aver dato un ultimo sguardo a Caleb che si rialza lentamente, massaggiandosi la testa, porta lo sguardo finalmente su quello del rosso.

Sta per parlare, spiegarsi, dirgli che quello è un brutto coglione e che sta facendo un mucchio di cazzate, ma Ian lo precede.

-Vattene.-

Il tono è freddo e duro, il classico tono di qualcuno che non accetta un no come risposta, che non vuole sentire ragioni. Ma dopo quell’incontro del terzo tipo con il Re degli stronzi, a Mickey non interessa di essere odiato o mandato a quel paese: vuole solo che Ian lo ascolti.

Non risponde, lo afferra per un braccio e lo trascina fuori dallo studio, mentre l’altro si dimena e gli intima di lasciarlo andare. Quando finalmente l’aria fredda colpisce il suo viso, si ritrova a parlare ad alta voce così da sovrastare il tono quasi isterico del rosso.

-Vuoi ascoltarmi per una buona volta, cazzo?! Ti rendi conto di quello che stai facendo?!-

-Devi smetterla di pretendere di orchestrare la mia vita! Non ne hai il diritto, non l’hai mai avuto!-

Mickey lo spintona, senza l’intenzione di picchiarlo ma con la necessità che l’altro lo stia a sentire. Non vorrebbe giocare la carta che sta per menzionare, ma è l’unico modo che ha per sperare che Ian rinsavisca e capisca cosa sta facendo.

-Il tuo sogno è sempre stato quello di difendere e proteggere le persone, e porca puttana se non ti fa onore. Ma non hai pensato che mentendo tu stia mettendo a rischio la loro vita anziché salvarla? E la tua, cazzo, Ian. Quelle domande non sono lì per distruggere i tuoi sogni per fottuto divertimento, sono lì per proteggere te e gli altri. Non sei pericoloso, io lo so, ma sei imprevedibile e cazzo se lo sai anche tu. In più bevi, Ian, alcol e psicofarmaci reagiscono chimicamente o quello che cazzo è e ti fottono il cervello. Ti potrebbero mandare in depressione, potresti scappare con la cazzo di ambulanza e uccidere delle persone se arrivasse un cazzo di episodio maniacale.-

Ian non parla, lo guarda solo, è teso e gli occhi smeraldini sono lucidi. Mickey ne approfitta per continuare, questa volta il tono è più calmo e gentile.

-Ho capito che pensi di stare insieme all’uomo perfetto perché ti lascia fare il cazzo che ti pare, ma se lo fa vuol dire che non ti ama per davvero. Sta lasciando che tu ti distrugga il cervello senza fare nulla.-

Un silenzio pesante cala su di loro quando Mickey finisce definitivamente di parlare. Ian trattiene a stento le lacrime, gli occhi sono ormai arrossati e lucidi, disperati e ricolmi di rabbia, proprio come lo erano stati quel giorno in cui si erano lasciati, mesi e mesi prima. Il suo sguardo è consapevole, come a quel tempo, del fatto che Mickey ha ragione, ma nonostante sappia che Mickey ha ragione semplicemente non gli piace e non accetta quello che dice. Dopo quelle che sembrano ore ma non sono che pochi minuti, il rosso si asciuga con il palmo della mano gli occhi e parla, tagliente come lo era stato mesi e mesi prima.

-Sparisci. Non avvicinarti più qui. Non voglio vederti mai più.-

Senza aspettare risposta, perché Ian non è mai stato bravo a confrontarsi in maniera sana o rispettoso abbastanza da guardarlo negli occhi, lo supera, non prima di avergli dato una spallata e ritorna all’interno dello studio, sbattendo vistosamente la porta metallica.

Mickey resta a fissare il punto dove fino a pochi istanti prima c’era Ian, respira pesantemente dal naso e si passa le mani sul viso e tra i capelli.
Delle volte pensa che Ian sia solo un ingrato del cazzo, che non abbia mai apprezzato il suo aiuto e che per questo dovrebbe odiarlo. Delle volte ci prova, ad odiarlo, come adesso, che inizia a camminare per le strade ghiacciate, senza una vera destinazione.

La verità è che lui non ha mai chiesto il suo aiuto, che proprio perché è spontaneamente Mickey ad averglielo sempre offerto è impossibile che smetta di preoccuparsi per Ian Gallagher.
 
 
***
Credo si sia ormai capito come io prediliga l’angst nelle mie storie, ma dopo gli avvenimenti della puntata scorsa non potevo non scriverci qualcosa; (peccato non si possa pubblicare semplicemente otto pagine di Word con su scritto “Io odio Caleb” ripetutamente…)
Spero vi sia piaciuta, le critiche costruttive sono sempre ben accette!
Alla prossima!
Polly
   
 
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