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Autore: hollien    22/03/2016    5 recensioni
Con la coda dell’occhio, Kaede scorse Hanamichi superarlo di qualche passo. Si era messo in ginocchio dopo aver recitato una breve preghiera, poi aveva appoggiato con meticolosità i crisantemi che aveva comprato sulla tomba di qualcuno.
Rukawa mise a fuoco i kanji in verticale sulla lapide, sapendo già quale nome avrebbe incontrato il suo sguardo.

[What if; Slam Dunk - Established relationship HanaRu]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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SCLERI PRE-CAPITOLO: Allora. Premettendo che non credo di essere in grado di scrivere storie fluff e malinconiche (è doveroso informarvi): QUESTA STORIA E' PARECCHIO FLUFF. E malinconica. PARECCHIO MALINCONICA. Dovevo mettermi alla prova, comunque; spero di non aver scritto proprio una schifezza, e in caso siete liberi di farmelo presente. Così mi ritirerò per sempre(???). Btw, era da tempo che volevo scrivere questa OS dopo aver ascoltato una canzone che mi ha mooolto ispirata alla tristezza, ma giustamente non trovavo mai il tempo. Qualche giorno fa mi sono messa d'impegno e alla fine questo è stato il risultato. Cioè, quello che state per andare a leggere. Pretty obvious. *si schiaffeggia da sola*
Vi ringrazio anticipatamente in caso decideste di lasciarmi una piccola recensione (fate di me una donna felice!) e spero che possiate apprezzare questa one-shot. 

NB: In questa storia Hanamichi e Rukawa stanno insieme da un anno e mezzo circa, ma questo verrà ribadito spesso nel testo. Volevo solo informarvi prima.   
DISCLAIMER: Slam Dunk © Takehiko Inoue


 





Flowers for a father




Il risveglio di quella mattina non era stato sicuramente uno dei migliori della sua esistenza. Le botte sulla testa e sulla schiena erano sue testimoni.
Riassumendo brevemente la situazione: Hanamichi era capitombolato a terra per colpa di un’elegante pedata sul fianco, e l’artefice di questa mossa involontaria altri non era che una volpe umana che non concepiva neanche lontanamente il concetto di spazio vitale.
Dopo qualche istante di stordimento, il rosso si era tirato su a sedere per potersi massaggiare le parti doloranti. Il pavimento era più duro di quanto pensasse.  
Non credeva gli sarebbe più capitato di rivivere l’esperienza traumatica di cadere dal letto. Ricordava ancora quando gli era successo per la prima volta verso i cinque o sei anni; per qualche strana ragione aveva cominciato ad urlare come un pazzo dalla paura.
Il distacco improvviso da superficie morbida a superficie dura doveva averlo traumatizzato parecchio.
Scacciò via dalla sua mente le memorie imbarazzanti da poppante piagnucolone quale era e si portò sulle ginocchia, raccattando i boxer da terra. Una volta infilati, andò a scuotere con calma sorprendente la figura dormiente ed appallottolata tra le coperte del suo letto.
Sospirò con amarezza: anche di quelle si era appropriato nella notte, lasciandolo in solitudine a combattere con il freddo di inizio primavera. Nella mente s’annotò che doveva ricordare a sua madre di chiamare il tecnico per far sistemare la caldaia. Non potevano continuare ad andare avanti a girare per casa con i cappotti: sarebbero morti ibernati.
«Ohi Kitsune» mormorò Hanamichi, picchiettando le dita sul braccio scoperto dell’altro. «È ora di uscire dal letargo».
Dover utilizzare quel tono così pacifico di prima mattina era diventato pressoché abitudine quando Rukawa si fermava a dormire, così come acchiappare una nuova sveglia scadente dal comodino ed attivare un allarme che sarebbe scattato nel giro di pochi secondi.
Non avendo ricevuto alcun segno di vita da parte del suo interlocutore, Hanamichi andò a posizionarsi all’angolo della sua stanza per difendersi, abbandonando l’aggeggio elettronico sul letto e aspettando lo scadere del tempo.
Passati trenta secondi, il suono assordante dell’allarme scattò come un orologio svizzero, inondando le orecchie del bell’addormentato.
Hanamichi attese l’imminente reazione dell’altro, già cosciente di quello che sarebbe successo da lì a poco. 
Risorto dalle ceneri, il numero undici dello Shohoku si liberò in fretta delle coperte, afferrò la sveglia e la scaraventò senza pietà contro la parete.
«Nessuno può disturbare il mio sonno» asserì con rancore, gli occhi che fissavano truci il lento morire dell’ennesima vittima innocente.
Hanamichi respirò profondamente, attendendo che Rukawa riprendesse lucidità prima di entrare nel suo radar e fargli un cenno di saluto con un sorriso tiratissimo ad increspargli le labbra
«Buongiorno, Rukawa-kun» fece, guadagnandosi una stilettata da parte del compagno. «Immagino che mi rimborserai per tutte le sveglie che mi hai rotto prima o poi, vero?» domandò con indubbia ironia, avvicinandosi cautamente al demone sul suo letto.  
Rukawa scrollò le spalle, lo sguardo ancora collerico per il pessimo risveglio e alcuni ciuffi sparati verso l’alto alla super-saiyan. «Nh, io non ti ho mai chiesto di comprarle».
Sakuragi s’astenne dal prenderlo a calci per grazia di qualche entità sovrannaturale, sorridendo innervosito. A conto che spendeva i pochi yen che ricavava dal suo lavoro part-time per acquistargli un dannato capro espiatorio!
Già: da qualche tempo Hanamichi si era fatto assumere in un konbini vicino a casa per non pesare troppo sull’economia famigliare che ultimamente non era delle migliori.
Aveva cominciato a lavorare lì all’insaputa di praticamente chiunque tranne che sua madre, Yohei e Rukawa. A loro che gli erano le persone più vicine non avrebbe potuto nasconderlo. Si sarebbero insospettiti non appena avesse provato a rifilargli una scusa; poi lui era una pippa sia ad inventarsi frottole, sia ad occultare l’espressione da bambino che aveva appena combinato un pasticcio.
«Sai com’è: vorrei evitare i tuoi assalti da volpe pazza furiosa che non riesce a svegliarsi come ogni cazzo di essere umano!» grugnì Hanamichi con il suo solito linguaggio forbito, sedendosi sul materasso vicino a Rukawa, il volto accigliato. «Sono sicuro di avere ancora dei segni sulla schiena per colpa delle tue azzannate».
Kaede alzò gli occhi al cielo ed incrociò le gambe a farfalla, incurante di essere completamente nudo. «I graffi te li faccio quando facciamo sesso, Do’aho».
Hanamichi sgranò appena le palpebre, non aspettandosi una risposta del genere. Si schiarì la gola in maniera repentina, le gote leggermente arrossate. «Diretto come sempre, eh Kitsune?»
Davanti al suo rossore, Rukawa ripensò per un breve attimo alle reazioni catastrofiste di Hanamichi quando ancora erano agli inizi della loro storia. Non c’era volta in cui non si accucciasse a terra per l’imbarazzo e si tappasse le orecchie perché, a detta della Scimmia, lui utilizzava un linguaggio osceno.
Aveva combattuto più di sei mesi per riuscire ad ottenere una reazione che non comportasse il suo sbraitare quanto fosse svergognato ad urlare – che poi non era vero che urlava, il tono di Rukawa era sempre contenuto al contrario del rosso – a destra e a manca parole così intime in luoghi pubblici.
A Kaede non gliene era mai fregato un bel niente del pensiero della gente, capace solo di giudicare chiunque respirasse su quella terra. Non si vergognava di ciò che era; ad Hanamichi era sembrato importare più di quello che nutriva nei suoi confronti. O almeno in principio era così.
Rukawa mentirebbe se non ammettesse che i primi tempi erano stati duri da sopportare e da gestire: c’erano stati giorni in cui avrebbe voluto buttare ogni cosa in malora, specialmente quando Sakuragi se ne usciva fuori con frasi di autocommiserazione come “non è normale quello che c’è tra noi” oppure “mi faccio schifo”, facendo sentire uno schifo pure lui.
Sporco.
E ce ne voleva per far sentire da meno Kaede Rukawa.
Nonostante certe affermazioni di Hanamichi li avessero portati a prendersi a pugni per sfogare la frustrazione di entrambi, Kaede aveva avuto abbastanza coraggio da digerirle tutte; e ogni volta era stato come ingoiare braci ardenti.
Guardare la Scimmia ora gli dava un enorme conforto che a parole non era in grado esprimere – era risaputo che nella comunicazione verbale fosse una schiappa. Glielo leggeva in volto quando Hanamichi lo osservava di sottecchi che pensieri del genere non gli sfioravano più la mente.
Malgrado si scannassero spesso e volentieri come cane e gatto, e questo dubitavano entrambi sarebbe mai cambiato per via dei loro caratteri opposti, i loro sentimenti erano consolidati. In un modo o nell’altro riuscivano a trovare un punto di incontro per mettersi buoni e, come diceva quel cretino di un Teppista che li supportava peggio di una fangirl, fare la pace.
«Tutto a posto, Kitsune?» sentì domandare da Hanamichi.
Aveva inclinato la testa per poter scorgere meglio il viso del compagno. Non era da Rukawa esitare nel replicare o mugugnare qualcosa di incomprensibile nel suo linguaggio da volpe.
«Hn, sì» mugugnò Rukawa, grattandosi la nuca a capo chino. Era cosciente di non esser un libro aperto grazie alla sua povera espansività a livello emotivo, tuttavia preferiva non farsi guardare da Hanamichi quando i pensieri erano rivolti al passato. Non era certo che la sua espressione non ne risentisse.
«Ne sei sicuro?»
Dopo un anno e mezzo insieme, Hanamichi era diventato in grado di stabilire quando Rukawa sembrava nascondere qualcosa di cui non voleva parlargli. Solo parzialmente, in realtà; però era sempre meglio di niente. Per Hanamichi era stato un passo da gigante di cui nessuno poteva vantarsi, tranne lui.
Kaede fece cenno di sì con la testa. Appoggiò le mani sul materasso e si sporse in avanti per riuscire a catturare le labbra di Sakuragi in un bacio inaugurale. Era la strategia perfetta per evitare altri quesiti scomodi; poi era uno spreco lasciare senza compagnia delle labbra così appetibili.   
Hanamichi sorrise mentre ricambiava quel gesto. Allacciò le braccia all’ampia schiena dell’altro con dolcezza, spingendolo indietro fino a quando Rukawa non perse l’equilibrio e si trovò completamente sdraiato sul materasso, il rosso sopra di lui con i gomiti puntellati all’altezza del collo di Kaede.
Hanamichi gli spostò con le dita alcuni ciuffi ribelli dietro l’orecchio in modo tale da avere una visione integrale del suo viso marmoreo, bello a tal punto da far calare l’autostima fin sotto le scarpe. 
«Stai cercando di distrarmi con i tuoi sporchi metodi?»
Rukawa si levò appena per dargli un bacio voluttuoso sulla giugulare. «Secondo te?»
«Piccola volpe bastarda», che tanto piccola poi non era.
Se agli albori del suo primo anno allo Shohoku gli avessero predetto quello che sarebbe diventato insieme alla Volpe, Hanamichi avrebbe riso fino ad avere i crampi agli addominali, o peggio gli si sarebbe ribaltato lo stomaco dal disgusto.
Pur essendo rimasto turbato dal fascino della Kitsune sin dai tempi della loro prima rissa – era piuttosto sicuro di non essersi trattenuto dal mostrare una faccia da pesce lesso quando lo aveva adocchiato - Hanamichi non aveva mai messo in conto di iniziare a provare dei sentimenti per lui visti i loro continui screzi e il suo antico amore spassionato per Haruko.
La cosa che lo aveva frenato di più, però, era il fatto che Rukawa fosse un uomo. Come lui. Come i suoi amici più cari.
Inizialmente, ogni sentimento positivo che aveva provato per la Volpe era stato oscurato dalla paura di venir fissato con ostilità e repulsione dalle persone a cui voleva più bene. Non avrebbe potuto accettarlo, così come aveva fatto fatica ad accettare quella sensazione di percepirsi così poco virile a desiderare una persona del suo stesso sesso.
In maniera lenta ma progressiva, Hanamichi era riuscito a rompere il guscio in cui si ostinava a rifugiarsi quando i sensi di colpa si facevano più forti della sua volontà. In più, tra un balbettio e l’altro, aveva avuto il coraggio di rivelare a Yohei e a sua madre della sua relazione con Rukawa. 
Con suo grande sconcerto, entrambi gli si erano accaniti addosso perché non li aveva informati da principio. Non perché fosse coinvolto sentimentalmente con un altro ragazzo.
Hanamichi si era fatto tante di quelle risate liberatorie quel giorno per rigettare tutta l’ansia che aveva accumulato in mesi e mesi per niente.     
Ciò che ora poteva considerare il suo sconvolgimento più grande era che con la bellezza che il suo compagno poteva vantare, si fosse proprio invaghito di lui che, onestamente parlando, non poteva offrirgliene neanche la metà.
Era un Tensai, lui. Poteva avere una spiccata intelligenza al contrario della Volpe, ma non altrettanta…grazia.
Schiuse i lembi carnosi, chiedendo implicitamente a Kaede di permettere alle loro lingue d’incontrarsi e di deliziarsi a vicenda del loro sapore. Ormai sapevano riconoscersi semplicemente dal loro respiro, ma non sembrava mai essere abbastanza. C’era ancora così tanto da scoprire.
Rukawa non gli negò l’accesso. Aumentò la pressione del loro contatto infilando le dita nella capigliatura, mentre Sakuragi teneva tra le mani il suo volto e lo stringeva con possesso.
S’accarezzarono dal busto verso l’alto, senza andare oltre al bacio, fino a quando ad Hanamichi non balzò all’occhio il calendario appeso alla parete.
Interruppe di colpo il contatto con l’altro, divenendo un blocco di marmo quando realizzò che giorno fosse.
«Sakuragi?» lo chiamò Rukawa, accorgendosi subito del brutale cambiamento, ma Hanamichi non aveva orecchie per nessuno.
Un brulicare di ricordi e immagini gli si erano annidati nella mente, rendendolo sordo di ogni rumore circostante.
Si levò in piedi con lentezza, rimanendo a fissare per momenti interminabili la data.
Era il 25 marzo.
“Come ho potuto non pensarci…?”
Si coprì la bocca con il palmo della mano, troncando sul nascere un verso rauco che presto avrebbe potuto tramutarsi in un lamento.
Nonostante fossero passati tre anni, il dolore era ancora vivido. Gli bruciava nel petto come fuoco vivo.
Una parte di sé avrebbe voluto dimenticare di aver sofferto le pene dell’Inferno, ma dimenticare significava perdere delle memorie che Hanamichi non sarebbe mai stato disposto a lasciare andare.
Non si trattava di masochismo. Semplicemente non voleva obliare il tepore e l’amore di due grandi ali che l’avevano accompagnato nel suo cammino di vita fino all’ultimo e precoce respiro.
Hai ancora una promessa da mantenere, fece capolino nella sua testa una vocina solitaria, spingendolo a rammentare ciò che aveva insabbiato tempo prima per ovvie ragioni. Fu proprio quel pensiero a riportarlo con i piedi per terra.
Si voltò d’improvviso, individuando un Kaede in attesa di una spiegazione per quel comportamento tutt’altro che usuale. Dalla sua espressione non sembrava arrabbiato o altro, solo confuso. E ci mancherebbe.
Hanamichi si schiaffeggiò in faccia con entrambe le mani contemporaneamente, aumentando lo sconcerto di Rukawa.
«Tu non c'entri». Fu la prima cosa che gli disse, alludendo al suo allontanamento. Per nessuna ragione al mondo desiderava che pensasse di avere qualche colpa per il suo atteggiamento. Gliene aveva fatte passare già troppe. «Sul serio, Volpe».
Dopo qualche secondo Rukawa annuì, poi si drizzò in piedi e lo raggiunse, dandogli un pugnetto sul capo. Se non l’avesse visto così scosso il colpo sarebbe stato sicuramente più forte. «Che succede?»
Hanamichi venne pervaso da una carica positiva alla sua domanda. Era bello ogni tanto vedere che Kaede si preoccupava per lui. Un po’ a modo suo, ma era sempre apprezzabile lo sforzo.
«Vorrei che mi accompagnassi da una parte adesso. Lì ti spiegherò tutto».
Rukawa lo fissò in silenzio. Probabilmente stava rimuginando sul da farsi, o forse era in dubbio che gliela stesse raccontando giusta. Enigmatico com’era stato non si sarebbe stupito.
«Hn, va bene» assentì l’altro. «Andrò più tardi al campetto».
Il fatto che non sentisse la necessità di indagare oltre significava che si stava fidando, e Hanamichi si sentì un peso in meno sulla bocca dello stomaco.
Osservò Rukawa mentre si discostava da lui per poter recuperare i vestiti gettati sul suolo nella foga della notte precedente. «Ho tempo di farmi una doccia?»  
Sakuragi annuì, sul viso un sorrisetto furbo e le braccia incrociate al petto. «Vuoi che il Tensai ti aiuti a ripulirti nelle zone più…complicate
Kaede lo guardò come se fosse fuori di testa. «No» asserì lapidario, iniziando già ad incamminarsi verso il bagno. «Non te lo meriti, Do’aho».
Si chiuse la porta della stanza alle spalle senza troppe cerimonie, abbandonando dietro di sé un Hanamichi che da una parte gli fu grato.
Era cosciente che in altre circostanze non avrebbe mai respinto una proposta simile, ma come al solito era riuscito a leggere la situazione meglio di quanto avrebbe fatto lui al suo posto.
Fece un respiro profondo. 
“Forza e coraggio, Hanamichi” s’intimò per non cadere di nuovo nello sconforto, poi recuperò dai suoi pantaloni il portafoglio per controllare se avesse abbastanza soldi.
Arricciò il naso.
Avrebbe comprato forse il mazzo di fiori più economico, o forse poteva sbirciare nel cassetto del salotto dove sua madre gli lasciava qualche spicciolo in più in caso di emergenza.
E quella era decisamente un’emergenza.
Non poteva permettersi di andare a trovarlo a mani vuote.
Nell’attesa che Kaede finisse, Hanamichi si lasciò cadere nuovamente sul letto e serrò le palpebre, ripensando al giuramento lontano, fatto molti anni prima.
 


 
**


 
Rukawa aveva deciso di non pensare a quello che lo stava aspettando da lì a poco. Non voleva fasciarsi la testa con supposizioni infondate.
L’unica cosa di cui era stato certo fin dall’inizio era che non si trattasse di qualcosa di piacevole. Gli bastava ripensare allo sguardo perso nel vuoto di Hanamichi per non avere dubbi a tal proposito.  
Durante il tragitto, vegliati dalla pacatezza di un cielo grigio perla, avevano camminato fianco a fianco in religioso silenzio, sfiorandosi qualche volta le dita solo quando erano sicuri di percorrere strade isolate.
In Giappone era già estremamente raro vedere adolescenti di sesso opposto che si tenevano per mano, figurarsi le occhiatacce che avrebbero attirato loro che invece erano due uomini.   
Ad un certo punto del loro percorso, Sakuragi lo aveva avvisato che avrebbe dovuto fare una breve deviazione dal fioraio che stava dall’altra parte della strada.
Kaede non ebbe da obbiettare.
Si limitò ad annuire e ad aspettare che la Scimmia facesse le sue commissioni, la schiena appoggiata al muro retrostante e le braccia conserte al petto. Nell’attesa si era trovato ad essere fissato prepotentemente da qualche passante curioso, e se c’era una cosa che Kaede odiava oltre all’essere svegliato brutalmente era esser osservato da gente sconosciuta.
Sebbene accadesse sin da quando era molto piccolo per via del suo aspetto, non aveva mai potuto soffrire le occhiate che riceveva da parte di individui per i quali non nutriva nessun tipo di interesse; così come non poteva tollerare i gridolini strazianti delle ragazze del suo “fan club”, o di quelle che lo perseguitavano nei corridoi, nel cortile, in palestra etc.
Se tutte le ragazze di quel pianeta fossero state come Ayako, sicuramente quello sarebbe stato un mondo migliore per i suoi nervi e per i suoi timpani.  
Quando vide Hanamichi uscire dal negozio con un bellissimo mazzo di rigogliosi crisantemi bianchi, Kaede cominciò a credere di non aver capito proprio niente. Se davvero non era qualcosa di felice come pensava, allora come mai Sakuragi aveva acquistato dei fiori che rappresentavano gioia e vitalità?
Avrebbe voluto chiedere il perché, ma appena aveva provato ad aprire bocca Hanamichi gli aveva chiesto gentilmente di chiudere gli occhi da quel momento in poi.
«Ti guiderò io» gli aveva garantito il rosso.
Rukawa aveva mugugnato qualcosa che assomigliava vagamente ad un “va bene”, decidendo di credere al suo compagno. Se avesse deciso di fidarsi di lui ai tempi del loro primo anno di liceo, quando ancora Hanamichi non riusciva a sopportare di respirare il suo stesso ossigeno, lo avrebbe gettato sotto un camion di sicuro.   
In teoria non doveva più temere un’eventualità simile, perciò aveva serrato completamente le palpebre mentre Hanamichi circondava la sua vita con il braccio disoccupato per poterlo condurre verso la meta.
«Gli altri ci possono vedere» lo avvisò.
«Chissene fotte» sbottò Hanamichi, sorprendendolo. «Che guardino se non hanno altro da fare» proferì poi, e Kaede godette interiormente di quella presa di posizione.
Alla fine aveva dovuto attendere quasi una decina di minuti prima che potesse tornare a vedere ciò che gli stava innanzi. L’unico cambiamento che aveva percepito nel tragitto era la strada non più asfaltata ma irregolare e ricca di ghiaia; aveva anche rischiato di inciampare perché la sua guida non si era preoccupata granché di dove mettesse i piedi.
«Ora puoi guardare, Volpe» si era sentito dire all’orecchio.
Kaede non ci aveva riflettuto due volte a farlo.
Sgranò quasi immediatamente le iridi azzurre quando si accorse del posto in cui si trovavano. Un posto che, purtroppo, conosceva più di quanto avrebbe voluto.
Era il cimitero di Kanagawa.
Con la coda dell’occhio, Kaede scorse Hanamichi superarlo di qualche passo. Si era messo in ginocchio dopo aver recitato una breve preghiera, poi aveva appoggiato con meticolosità i crisantemi che aveva comprato sulla tomba di qualcuno.
Rukawa spostò lo sguardo, mettendo a fuoco il nome scritto in verticale sulla lapide, sapendo già chi avrebbe incontrato. 
Sakuragi Soichiro.
«Ciao, papà…» sussurrò il numero dieci dello Shohoku, sforzando un sorriso. «È già passato un altro anno…eh? A me sembra solo ieri invece…»
Kaede percepì una forte stretta al cuore, come se qualcuno glielo stesse comprimendo tra le mani.
Quel giorno era l’anniversario della morte del padre di Hanamichi; ora riusciva a capire il perché del comportamento anomalo di quella mattina.
Dire che non sapeva che cosa fare o proferire sarebbe stato un eufemismo.
«Immagino ti aspettassi di tutto ma non questo, specialmente dopo aver visto i crisantemi*». Hanamichi stava chiaramente parlando a lui mentre accarezzava la foto che ritraeva suo padre sulla lapide. Era pressoché incredibile la somiglianza: stesso colorito della pelle, stessi tratti decisi del viso, stessa increspatura naturale della fronte, stesso taglio degli occhi così come il colore cioccolato, stesso identico sorriso. L’unica differenza erano i capelli che Hanamichi aveva ereditato da Mariko-san, sua madre.
«Se lo avessi conosciuto ti sarebbe piaciuto, sai? Al contrario mio era un uomo molto pacato, che sapeva darti i consigli giusti nel momento del bisogno; però sapeva essere anche estremamente cocciuto. Pretendeva di saperne una in più del diavolo quel dannato vecchiaccio». Hanamichi ridacchiò nel dirlo, ma non c’era gioia in quella risata. Solo una forte malinconia.
Senza che se ne fossero resi conto aveva cominciato a piovere. Si trattava di una pioggia leggera, mesta, che si perdeva tra le loro capigliature, sul tessuto dei loro giacconi. Inumidiva i loro volti scuri con la stessa lievità di una carezza.
Rukawa si slegò dalla sua postazione e si accucciò di fianco ad Hanamichi, le braccia conserte all’altezza del diaframma per non sbilanciarsi.
«La testardaggine deve essere di famiglia».
Era un dato di fatto innegabile al quale Hanamichi ridacchiò ancora una volta. «Parli tu Volpe che non ammetteresti di aver sbagliato neanche se ti minacciassero con un fucile».
Il numero undici grugnì. «Nh, non sarebbe neanche un’intimidazione».
«Se ti togliessero la palla da basket forse sì» ribatté Sakuragi con ovvietà, centrando in pieno il tallone d’Achille del suo compagno. «Ma se qualcuno ci provasse lo faresti fuori senza riguardi».
Kaede assunse un’espressione che sembrava voler urlare “logico”, dopodiché incatenò i suoi occhi azzurri e limpidi alle iridi profonde di Hanamichi, asciugandogli con il pollice una goccia d’acqua incastrata tra le ciglia.
«Che cosa desideri adesso?»
Il rosso inarcò un sopracciglio. «Ho un certo languorino in effetti…»
Kaede alzò gli occhi al cielo. Con quale coraggio dava del cocciuto a suo padre? «Sei proprio un Do’aho, non c’è niente da fare».
Sakuragi non riusciva a capire dove stesse puntando, per questo Kaede decise di non usare più mezzi termini.
«Se vuoi piangere, piangi».
Le pupille di Hanamichi si dilatarono, e in concomitanza alle sue parole le prime lacrime cominciarono a solcargli il viso, come se Rukawa avesse premuto l’unico pulsante d’accensione in mezzo a tante copie identiche.
Da quanto tempo era in grado di leggergli dentro come se non potesse nascondergli alcun segreto? E lui che era pure convinto di aver nascosto con maestria la sua voglia di scoppiare in un pianto.
Sotterrò il volto tra le ginocchia.
Aveva quasi diciotto anni e ancora piangeva come un bambino capriccioso quando, tempo prima, si era promesso che non avrebbe più permesso a nessuno di vederlo in quelle condizioni pietose.
Tuttavia era più forte di lui.
Rivivere ogni anno la scena di suo padre riverso a terra, le dita che brandivano la maglia all’altezza del cuore, il respiro affannato, la corsa, lo scontro con quei teppisti, la consapevolezza che non sarebbe mai giunto in tempo per salvarlo…
Per quanto avesse cercato di smettere di incolparsi della sua morte, c’era sempre quel qualcosa dentro di sé che, maligno, cercava di impossessarsi della sua razionalità per farlo ricadere nel baratro del senso di colpa.
Due braccia forti lo strinsero forte al petto quando dalla sua gola cominciarono a traboccare singhiozzi e lamenti, il corpo che tremava come foglie deboli mosse dal vento in autunno.
«Non c’è nulla di cui tu ti debba vergognare» sussurrò Kaede mentre affondava il viso nella capigliatura bagnata di Hanamichi.
«È…schifosamente difficile» bisbigliò l’altro a denti stretti, stringendo la presa al suo cappotto. Ogni volta è una sconfitta per me.
«Tutti piangono».  
Hanamichi sollevò il capo per poter appoggiare il mento sull’incavo del collo di Rukawa. Non era ancora pronto a guardarlo nello stato attuale. «Anche tu?»
Kaede annuì. «Non ne sono immune».
Sakuragi fece fatica ad immaginarsi Rukawa in un momento simile talmente abituato com’era alla sua quasi inesistente espressività, ma per quanto potesse essere una volpe algida era umano anche lui.
«Quando…?» cercò di domandare.
Rukawa lo zittì afferrandogli a tradimento il viso tra le mani per poterlo osservare da vicino, e stranamente Hanamichi non si lasciò prendere dal panico, né tantomeno tentò di divincolarsi.
Era stato lui a chiedere fiducia a Kaede prima che giungessero al cimitero. Stavolta sarebbe stato lui a concedergliene.
«Te ne parlerò» gli assicurò Rukawa, baciandogli entrambi gli occhi rossi e gonfi con una tenerezza che Hanamichi non pensava potesse appartenergli. «Siamo qui per tuo padre adesso».
Hanamichi tirò su con il naso come un bambino, asciugandosi le ultime lacrime con la manica del suo giaccone. Si sentiva meglio ora che aveva dato libero accesso al pianto e anche perché, per la prima volta dopo Yohei, era riuscito a portare un’altra persona con sé a dare il suo saluto al grande uomo che era stato suo padre, e che sarebbe continuato ad essere anche da lassù.
Buddha solo poteva sapere quanto gli mancava. Quanto avrebbe voluto averlo al suo fianco perché lo guidasse nella sua vita da giovane uomo ancora inesperto.
C’era qualcosa, però, che suo padre non avrebbe più potuto insegnargli perché già lo aveva imparato grazie al ragazzo che stava al suo fianco.
Hanamichi si fece ritto sulle sue gambe, ed inevitabilmente Rukawa seguì il suo movimento con lo sguardo, attento alla sua prossima mossa.  
Il Rosso aveva cercato di prepararsi un po’ il discorso mentre aspettava che la Volpe si facesse la doccia, ma alla fine aveva rinunciato, optando per la spontaneità. Non era in grado di fare discorsi filosofici alla Arai Hakuseki*. 
Si schiarì la gola prima di iniziare a parlare.
«Durante il mio secondo anno alle scuole medie feci una promessa al mio vecchio, sai?» Era domanda retorica. Era ovvio che Rukawa non potesse sapere niente. Si era sempre astenuto dal raccontarlo a qualcuno, perfino a Yohei. «Ero tornato a casa abbattuto, reduce dal mio primo due di picche». Kaede si accigliò appena, ma Hanamichi non se ne preoccupò. Non si ricordava nemmeno il nome di quella famosa ragazza che gli aveva rubato il cuore. Era stata la foga di voler avere una fidanzata al suo fianco a farlo dichiarare continuamente alla prima che gli rivolgeva un sorriso o una parola carina. Non era mai stato abituato a ricevere degli apprezzamenti. «Mio padre mi aveva visto a terra e io gli raccontai di quello che mi era successo. Se la rise di gusto quel giorno». Hanamichi si era incazzato di brutto a causa di quella risata. Solo ora riusciva a capire quanto fosse stato un imbecille a demoralizzarsi per così poco. «Ebbe la decenza di scusarsi con me per la sua reazione e dopo quello screzio chiacchierammo a lungo. Mi fece una pappardella su quanto le donne fossero difficili, che per conquistare mia madre gli ci erano voluti quasi tre anni perché era una tosta - da qualcuno doveva aver pur preso, no? - che prima di incontrare la persona di cui sarei stato veramente innamorato ci sarebbe voluto molto tempo». Hanamichi, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi fissi verso un punto imprecisato dell’orizzonte per l’imbarazzo, tornò a guardare Rukawa, le gote che toccavano pericolosamente le sfumature porpora. «M-mi fece promettere di presentargli quella persona non appena avessi capito chi fosse». Un sorriso grande e sincero gli increspò le labbra quando finalmente disse: «Otou-san, questo è Kaede Rukawa».
Il soffio del vento si fece potente in quel momento, ma non sarebbe mai stato travolgente quanto le labbra che ora avevano catturato prepotentemente le sue in un bacio che conteneva ogni briciolo dell’essenza di Kaede. Tutto quello che provava nei suoi confronti glielo stava trasmettendo grazie a quel contatto pregno di genuinità; ed Hanamichi ebbe quasi paura di non tenere testa a tutta quella veemenza.
Ricambiò il suo bacio mentre stringeva vigorosamente tra le braccia il suo compagno.
Non c’era bisogno della presenza del Sole per avvertire il caldo sulla pelle: Kaede poteva essere un freezer ambulante, una volpe algida, un ghiacciolo che non si scioglieva neppure in estate, eppure gli stava regalando tutto il calore di cui aveva bisogno.
Si separarono solo quando entrambi finirono le riserve di ossigeno nei polmoni, ma i loro occhi rimasero comunque incatenati a guardarsi, come se a quel mondo non esistessero altro che loro.
«Merda…» sentì mormorare flebilmente da Kaede, mentre si portava il palmo della mano al viso per coprirsi le guance che avevano assunto un colorito roseo. Una tonalità che si sposava perfettamente sulle sue gote marmoree. «Sei proprio un Do’aho…Hanamichi».
Sakuragi si godette a pieno la sua espressione. Era un evento epocale quello che stava avendo luogo: era riuscito a far imbarazzare la Volpe.
Non che la considerasse una vittoria. Non si trattava di vincere o perdere. Sarebbe stato uno sminuimento nei confronti dei suoi sentimenti; però lo rendeva abbastanza orgoglioso di sé.
«Se mi fa ottenere queste reazioni da parte tua, allora mi va bene esserlo, Kitsune». Lottò contro la voglia di afferrarlo nuovamente per il volto e riempirlo di baci perché, fino a prova contraria, erano pur sempre in un luogo pubblico, e poi erano davanti alla tomba del suo vecchio. Riusciva ad immaginarselo lì con le braccia conserte mentre li invitava caldamente ad appartarsi se volevano comportarsi come una coppietta tutta coccole e smancerie.
«Io non sto prendendo la nostra relazione come uno scherzo, o un qualcosa di passeggero» proferì Hanamichi, prendendo la mano di Rukawa ed incastrando le dita con le sue. «Volevo che tu lo sapessi perché alle volte penso che tu non sia convinto…cioè, non convinto nel senso che non sei convinto di me…spero». Prima se l’era cavata così bene. Com’era che adesso stava inciampando sulle sue stesse parole? «Sì, ho paura che tu pensi che io prima o poi ti possa lasciare per coronare qualche sogno di amore con un’altra ragazza perché sono etero e tante altre cazzate…ma non è così, non più da un bel pezzo. Ecco». Si morse la lingua, ripensando all’ultima cosa che aveva detto. «Non che io abbia mai pensato di piantarti per un’altra! Cioè, se io mi dovessi immaginare una vita con qualcuno, togliendo il fatto che ci urliamo addosso, che ci facciamo incazzare a vicenda e che ci picchiamo, la immaginerei con t—»
Kaede gli tappò la bocca con forza con la mano disoccupata, rifilandogli un’occhiata alquanto raccapricciante. «Finiscila. Di. Sproloquiare» imperò, senza che l’avvampare delle sue guance fosse sparito. «Ho capito cosa vuoi dirmi» soffiò quando fu in grado di darsi una calmata, facendo scivolare gradualmente il palmo verso il basso per poter agguantare il mento tra il pollice e l’indice. «Mi hai portato qui, da tuo padre. Solo quello era sufficiente per non avere dubbi, Hanamichi».    
Hanamichi si fece taciturno qualche secondo prima di annuire in estremo disagio. Rukawa parlava sporadicamente e spesso erano mugugni insensati, annoiati o stanchi, ma quando era serio sapeva davvero sorprendere e metterlo in soggezione.
«E comunque» continuò Rukawa con voce debole e stentata – non sembrava nemmeno lui - deglutendo una grande dose di saliva. «Anche tu, per me…sei quella persona».  
La reazione di Hanamichi non si fece attendere quando collegò a cosa si stesse riferendo. Gli stava dicendo che anche lui…? Insomma intendeva… «Sei innamorato di me??» Gli chiese con la bocca spalancata e le palpebre strabuzzate, come se fosse così sconvolgente che dopo un anno e mezzo insieme potesse provare un sentimento simile. E che tra l’altro, tra i due il primo ad accorgersi dell’altro era stato proprio Rukawa. Aveva più diritto di Hanamichi di provare quel tipo di affetto.
Kaede non divenne paonazzo in volto ma non ci andò lontano con il colorito. Doveva starlo riempendo di epiteti nella sua testa. «Uso i tuoi criteri per dirlo, Do’aho!»
Utilizzò un tono particolarmente acuto nel dirlo.   
«Da parte mia si è capito, Kitsune!»
Ma quello di Hanamichi rimaneva sempre il più rintronante.
«Nh, anche da parte mia!»
Si zittirono entrambi, increduli di star davvero litigando per una cosa simile. Quale persona sana di mente poteva iniziare a discutere sul chi era stato il più esplicito nell’ammettere di essere innamorato dell’altro? Solo loro, ed era sufficiente così.
«Beh, l’importante è che adesso lo sappiamo» sostenne Hanamichi, grattandosi la nuca mentre teneva le labbra arricciate. «Con calma ce lo diremo…quando saremo più pronti».
Rukawa era indignato dal suo stesso comportamento, ma non poté fare altro che scrollare le spalle e sospirare. Solo quella Scimmia era in grado di renderlo così patetico, e questo accadeva perché era irrimediabilmente e stupidamente… «Hn, sono d’accordo» esalò, prima che la sua mente potesse concludere il pensiero materializzatosi nella sua testa. 
La forza del vento li calamitò nuovamente in direzione della tomba del padre di Hanamichi, ridestandoli. Entrambi chiesero mentalmente perdono per le scenette patetiche che gli stavano propinando.
Dopo una lunga occhiata ai rimasugli d’incenso, Hanamichi mormorò: «Credo sia ora di andare».
Rukawa fece guizzare lo sguardo su di lui, chiedendo implicitamente se ne fosse sicuro. «Vuoi stare un momento da solo con lui?»  
Hanamichi scosse il capo senza esitazione.
L’altro non contestò la sua scelta.
«Ha già visto e sentito tutto ciò che doveva vedere e sentire». Il figlio di Soichiro Sakuragi si piegò leggermente, accarezzando teneramente la foto sulla pietra sepolcrale e sussurrando un ultimo “alla prossima, vecchio”; dopodiché si voltò verso il suo compagno per domandargli: «Andiamo?»  
Kaede fece cenno di sì con la testa, tuttavia aveva un’altra richiesta da fare prima di abbandonare il posto.
«Lasciami recitare una preghiera per lui».
Hanamichi lo fissò allibito. Da quello che sapeva, Rukawa non era mai stato un credente. Per lui non esisteva altro che il prezioso e meritato eterno silenzio dopo la morte. Glielo aveva confidato il giorno del suo compleanno – che cadeva il primo gennaio – quando si erano diretti al santuario per partecipare alla cerimonia dei 108 rintocchi*.
Scrollò le spalle, scegliendo di non fare il puntiglioso e, piuttosto, di fare un passo indietro: se Kaede voleva pregare per suo padre non poteva che esserne felice.
«Ti aspetto all’inizio del vialetto allora» gli fece presente con un sorriso gongolante, infilandosi le mani nelle tasche del giaccone, «se proprio ci tieni ad entrare nelle sue grazie come hai fatto con mia madre».
Kaede alzò gli occhi al cielo come d’abitudine, poi annuì.
Solo quando fu sicuro che Hanamichi si fosse fatto abbastanza lontano, guardò in direzione della lapide, lasciando che un breve sorriso emergesse fieramente sulle sue labbra.
«Il piacere di averla conosciuta è mio, Sakuragi-san».



 
 


Noticine-ine-ine:
*Crisantemi: diversamente dai paesi occidentali, in Giappone sono simbolo di vita
*Arai Hakuseki: Filosofo della metà del periodo Edo.
*108 rintocchi: Secondo la tradizione buddista, la nostra anima è afflitta da 108 peccati e, con altrettanti rintocchi di campana, può essere purificata e iniziare, quindi, a dovere il nuovo anno

 

 

  
  

   
 
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