Multiforme
ingegno
(completamente
sprecato per futili scopi)
***
-È la mia missione, Saga! Il
Sacerdote l’ha affidata a me!-
Esclamò Kanon
risentito.
-Ho capito, Kanon,
ma perché devi andarci da solo?-
-Stai mettendo in dubbio le mie
capacità? Io non sono da meno di nessuno di voi-
Quando capì che lo stava
offendendo Saga decise di cambiare tattica.
In effetti tutta quell’eccessiva
apprensione poteva essere scambiata per scarsa fiducia, soprattutto da un tipo
orgoglioso come Kanon.
-Perdonami, non volevo insinuare
dubbi. Però sono preoccupato per te. Permettimi di accompagnarti. Resterò
nell’ombra, te lo prometto. Voglio solo… vegliare su di te-
Alle ultime parole lo sguardo di Kanon perse un po' di severità.
-Saga…- cominciò, poi scosse la
testa e guardò verso lo scrigno che conteneva la Cloth
di Gemini.
-Mi prometti che mi lascerai
combattere senza interferire?-
-Te lo prometto, fratello-
-E va bene… allora vai a metterti
qualche protezione per gomiti e ginocchia e poi partiamo-
Saga gli sorrise.
***
-Allora, dove andiamo? … Kanon? … KANON?!!-
Nessuna risposta, solo un pesante
silenzio tra le colonne della Terza Casa, lo scrigno vuoto e l’assenza di suo
fratello.
Saga serrò i pugni tremando di
rabbia.
Accidenti, si era fatto fregare
come un bambinetto! Kanon era sempre stato furbo,
figurarsi se non trovava il modo di toglierselo di torno senza faticare a
discutere con lui!
Avrebbe potuto farsi dire da
qualcuno dove sarebbe dovuto andare Kanon e
raggiungerlo comunque, ma a che pro visto che suo fratello gli aveva fatto
capire chiaramente che non gradiva la sua presenza?
Non gli rimase altro da fare che
restare a rimuginare i suoi cupi pensieri.
***
Otto ore dopo, al tramonto,
eccolo lì, il suo ostinato fratello: seduto sul letto in mutande, pesto, dolorante
e che lo ammoniva ad ogni sguardo a non dirgli “Te l’avevo detto che non dovevi
andare da solo”.
L’armatura lo aveva protetto
bene, ma la pelle tra il gomito e la spalla e tra il ginocchio e la coscia, per
non parlare di viso e collo, era decorata da una miriade di tagli, da graffi
superficiali a qualche brutta escoriazione.
E ovviamente era toccato a Saga,
scuro in faccia come le Simplegadi, armarsi di santa
pazienza, cotone e disinfettante e farlo smettere di sanguinare.
-Outch!
Saga! Ma c’è bisogno di versarmi addosso tutta la boccetta di tintura di iodio?-
-Taci. Se tu mi avessi dato retta
non ne avresti avuto bisogno-
Gli avvolse il braccio in
un’unica, larga benda, per coprire tutte le ferite.
Stessa cosa fece con l’altro e
sulle gambe.
-E c’è bisogno di mettere tutto
questo cerotto per fissare la benda? Mi dà fastidio-
-Stai zitto e sopporta-
-Ma è una seccatura!-
Fortunatamente Saga era a testa
bassa con i capelli che gli coprivano il volto, così Kanon
non vide il ghigno perfido che gli incurvò le labbra.
-Credi che io mi diverta a stare
qui a confezionarti come un pacchetto di Natale? Lo so che è seccante-
“In compenso, domani strappartelo
sarà un vero spasso”
Ed aggiunse un altro giro di
cerotto per essere ben sicuro che l’indomani, al momento di rifare la
medicazione, Kanon avrebbe provato l’ebbrezza di una
ceretta non programmata.
“Così impari a fregarmi,
fratellino”
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Secondo la mitologia le Simplegadi erano rocce che stavano ai due estremi dello
stretto del Bosforo e quando passava una nave si muovevano una
incontro all’altra per stritolarla nel mezzo. Giasone con gli Argonauti
fu il primo che riuscì a passare e da allora le Simplegadi
se ne stanno ferme e buone dove la natura le ha sistemate.
Vengono descritte sempre come “kyaneas” cioè “livide” “scure”.
Cantuccio
dell’Autore
Beh… hem…
ok, la smetto di cercare giustificazioni: mi passava per la testa questo tarlo
demenziale e l’ho scritto. Punto.
Chiedo venia e prometto un uovo
di Pasqua a chiunque è arrivato a leggere fino alla fine senza collassare.
Makoto