Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Ai_no_Uta    31/03/2009    3 recensioni
Rose è una ragazza particolare... O meglio, con un lavoro particolare. Nonostante viva nel nostro stesso secolo, lavora in un bordello alle dipendenze del padre, volente o nolente. Riuscirà in qualche maniera a modificare questa sua condizione o sarà costretta a rimanerci a vita?
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rose Buonasera. Questa volta, per chi già ha letto qualcosa di mio, sono tornata con un lavoro (non a tempo pieno) e, soprattutto, ORIGINALE. Con questo voglio intendere che ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. Questi nomi non corrispondo a persone reali bensì sono frutto della mia fantasia. Non li uso neppure a scopo di lucro in quanto non mi producono nessun profitto, ma copiare questa storia e/o i personaggi ovviamente sarà, in qualche maniera, violazione della mia produzione scritta (questi personaggi e questa trama non ha altro copyright se non il mio). Perciò siete pregati/e di leggere, commentare (se ne avrete voglia) ma di non copiare in alcun modo quanto qui descritto.
Vi ringrazio immensamente della collaborazione.
Vi auguro buona lettura,

Ai no Uta


Rose, questo è il mio nome e più o meno rispecchia anche quella che mia madre definiva come la "bellezza" di una donna. Avevo dieci anni quando ho cominciato, non volontariamente, a lavorare nell'attività di mio padre. Vi chiederete di certo di che tipo di attività si trattasse dato che ho cominciato a lavorarci a soli dieci anni. Mio padre gestiva una lunga, oserei quasi dire infinita, catena di "negozi" in cui le donne svendevano il proprio corpo in cambio di misera carta straccia quale era il denaro. Sì, avete capito bene: mio padre aveva una catena di bordelli nei quali faceva lavorare a stipendio bassissimo un sacco di bambine, ragazze e donne ... comprese io e mia madre, la signora Juliette LeBlanc. Juliette era una donna bellissima e nonostante avesse passato ormai la quarantina sembrava essere tuttora nel fior fiore dei suoi anni. Biondissima, occhi azzurri come il ghiaccio, corpo magro e sinuoso... da lei non avevo ereditato praticamente nulla. I miei occhi erano verdi, quasi sempre spento, e i miei capelli lunghi e scuri, scuri come l'oscurità e l'impertubabilità che regnava nel mio cuore da quando mi ero accorta di quello che quel lavoro comportava per me. Le attenzioni degli uomini che dovevo servire non mi facevano più ne caldo ne freddo ne tanto meno mi cambiava offrire le mie prestazioni sessuali a pagamento. Nulla riusciva a offendermi, a farmi male, a farmi vergognare di me stessa ne tanto meno a farmi sentire inferiore agli altri... Tutto scorreva su di me come fosse acqua.
Quell'anno avvenne che, assieme a mia madre, fui spostata in un altro "negozio" gestito da mio padre, nel centro di Londra e mio padre ebbe persino la strana idea di iscrivermi a scuola. Io, a scuola, non c'ero praticamente mai andata e quello che sapevo lo avevo appreso da mia madre, dalle persone che chiedevano di me e da quelle poche cose che avevo imparato frequentando di tanto in tanto alcuni mesi di scuole elementari. Se fosse stata una circostanza diversa, se io fossi stata diversa, avrei anche potuto sentirmi umiliata o comunque provar vergogna per la cosa, ma, come sempre, non mi toccò affatto. Ne il mio essere ignorante, ne il fatto che mio padre avesse deciso tutto d'un tratto di farmi andare a scuola. Quel giorno perciò preparai la borsa e mi diressi all'indirizzo che il mio padre baldanzoso mi aveva indicato. Era stato deciso che sarei andata a scuola la mattina, mentre nel tardo pomeriggio e la sera sarei stata al negozio. E così avrei fatto.

Mi trovai davanti ad un complesso edile piuttosto "triste"... Era grigio, con delle finestre non troppo grandi e, in quello che avrebbe dovuto essere il giardino, non c'era un minimo di verde. Mi presentai in segreteria con il foglio che Juliette mi aveva consegnato quella mattina e mi dissero di andare nella sezione B del quarto anno. Forse rimasi un po' sorpresa. Certo, l'età era quella giusta per essere ammessi al quarto anno, ma la preparazione scolastica mancava sicuramente. Juliette e mio padre mi avevano certamente sopravvalutato.
Mi feci spiegare la strada per arrivare e quando entrai notai che il caos regnava assoluto. Il docente se ne stava tranquillamente seduto sulla cattedra a leggere il giornale, mentre i ragazzi parlavano e facevano un sacco di rumore. Io guardai l'uomo come domandargli che dovevo fare e lui mi rivolse lo stesso sguardo. Sbuffai lievemente e entrai in classe sbattendo la porta. Tutti i presenti sobbalzarono. "LeBlanc Rose, sono nuova. Piacere di fare la vostra conoscenza" mormorai per poi buttare la borsa su uno dei pochi banchi vuoti, fra le prime file, e sedendomi compostamente sulla sedia. Il mormorio tornò, anche se più sommesso di prima, e solo una ragazzina ebbe il coraggio, dopo una decina di minuti, di avvicinarmisi. "Ciao, io sono Lynn" mi disse sorridendo e porgendomi la mano. Ignorai la mano e risposi con sufficienza "Rose, piacere". La ragazza mi guardò sconvolta e solo in quel momento il docente parlò. "Bene, ora che avete avuto il vostro quarto d'ora d'aria, vogliamo cominciare?" chiese ripiegando il giornale e guardando i presenti. Tra sbuffi e mormorii tutti si misero a sedere in posti diversi e Lynn si allontanò da me per andare a sedersi. Probabilmente il docente aspettava qualcuno, che non era arrivato, prima di cominciare la lezione. "Notizie di Michael?" chiese a Lynn, come se lei dovesse saperlo per forza. "No, nessuna. Forse avrà passato un cattivo week-end e per questo ha deciso di restarsene a casa" rispose lei facendo spallucce. "Allora cominciamo ugualmente" decretò prima di cominciare a spiegare. Spiegò chimica. Una materia tanto strana quanto astrusa per il mio povero cervello che, da ignorante che forse arrivava alla prima media, non riuscì a capire quasi un'acca. Però non sembrava così difficile, leggendola dal libro. Decisi che nel pomeriggio c'avrei dato un'occhiata. Le ore passarono abbastanza velocemente e seguii le lezioni di matematica, lettere, arte e filosofia. Tutte materie che mi sembravano relativamente semplici. Avrei avuto del lavoro da fare, certo, per riportarmi al passo con tutto però sicuramente ce l'avrei fatta. La scuola cominciò, da quel giorno, ad essere il mio unico appiglio al mondo del "reale". L'unica cosa della quale sembrava importarmi in quel mondo fittizio. Ovviamente in quel giorno Juliette mi riempì di domande sulla scuola. Solo in quell'occasione mi sembrò davvero una madre anziché la mia datrice di lavoro. Inoltre quel giorno ricevetti anche una visita dall'unico che veniva per me e per parlare con me e non per avere la mia prestazione sessuale. Si chiamava Andrew, aveva la mia stessa età ed era sicuramente un bel giovane come pochi se ne vedevano ancora. Soprattutto fine e simpatico. Juliette pensava che venisse anche lui per il sesso, ma mai avevo avuto il coraggio di dirle che non era così.
Ugualmente lo feci arrabbiare anche quella sera. Lui era sempre stato dell'idea che avrei dovuto provare a fuggire dal quel posto per andarmene lontano e rifarmi totalmente una vita. Io più e più volte gli avevo ripetuto, con la mia solita indifferenza, che non m'importava assolutamente nulla di quello che mi facevano fare lì perché ormai quella era la mia vita e nulla sarebbe cambiato, neanche se avessi provato a fuggire. Inoltre, sicuramente, mio padre, grazie alle sue conoscenze, mi avrebbe trovato. Quella sera si arrabbio ancora, come poche volte aveva fatto. Ma non ci rimasi male. Anche quello faceva parte di quanto era stato deciso e io dovevo accettarlo così come veniva.

Più il tempo passava, più io iniziavo ad affezionarmi costantemente al mondo che la scuola mi offriva. Mi piaceva l'ambiente sociale, le lezioni e anche quegli strani compagni che con il passare del tempo cominciai a conoscere. Quelli con cui legai di più, per quanto potessi legare con il mio carattere, furono Lynn, Louis (il capo-classe) e un ragazzino silenzioso nonché quasi inesistente di nome Harry. Inoltre feci amicizia con l'ombra del famoso studente Michael, quello che tutti conoscevano e che avrebbe dovuto essere a scuola ma che non c'era mai. O meglio, io non avevo mai notato la sua presenza.
Avvenne un giorno, dopo quattro o cinque mesi dall'inizio della scuola, che al negozio Juliette mi chiamò e mi disse che c'era bisogno di me. Il ragazzo che mi attendeva aveva più o meno la mia età, capelli lunghi, rosso brillante e gli occhi castano-verdi. "Benvenuto" gli dissi, fingendo quella mia solita aria che doveva attrarre i clienti. Lui mi guardò stupito per poi stupirmi con un "Ma tu sei Rose". Ricambiai lo stesso sguardo piuttosto stupita e inclinai leggermente la testa di lato chiedendomi chi era quel ragazzo e dove l'avevo incontrato per far si che lui si ricordasse di me. "Sono Michael, sono in classe con te. Non ti ricordi di me?" mi chiese. Io scossi la testa e i capelli si mossero lungo le spalle. "Sono venuto a scuola solo questi ultimi due o tre giorni perché sono da poco rientrato con i miei dal viaggio che abbiamo fatto in Giappone. Non te ne eri accorta? E Lynn non ti aveva detto nulla?" continuò ancora e io scossi nuovamente la testa. "Piuttosto... tu davvero lavori qui?" mi chiese alzando un sopracciglio. Ecco la domanda fatidica. Non sapendo come e cosa rispondere, lui interpretò il mio silenzio come un sì. "Direi che è parecchio strano che una ragazza che sembra sempre tanto per bene e sulle sue faccia questo genere di ... lavoro" osservò sorridendo. "Con questo cosa dovrei intendere?" domandai piano. Non sapevo bene perché ma il suo tono non mi piacque affatto. "Perché non facciamo così, Rose. Tu mi servirai per un po' e io non dirò nulla di questo tuo ... lavoro. Sarà come il nostro segreto. Che ne dici?" mi propose poi, lasciandomi un po' di stucco. Riflettei un po' prima di rispondere. Se la gente fosse venuta a sapere che facevo la prostituta nel negozio di mio padre, avrei dovuto cambiare posto di lavoro e perdere così quella scuola che tanto mi piaceva e gli amici che avevo cominciato ad avere e che sembravano essere l'unica cosa che mi faceva sentire ... normale.
"Mi tocca dirti che accetto" risposi e neppure troppo a malincuore. Qualsiasi cosa quel ragazzo avrebbe voluto da me, gliel'avrei data. Senza esclusioni. Cos'altro poteva esserci peggio del lavoro che da così tanto tempo facevo? Nulla. Perciò non avevo nulla da perdere nell'accordo con lui. "Perfetto. Allora ... A domani, Rose" mi disse sorridendo e andandosene. Non ne parlai con nessuno ovviamente. Neppure Juliette doveva sapere di questo... altrimenti non sarei più potuta andare a scuola.
Ancora non sapevo a cosa, questo accordo con Michael, mi avrebbe portato... E forse neppure desideravo saperlo, in fin dei conti...

*Continua*
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Ai_no_Uta