Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nottetempo    23/03/2016    2 recensioni
Cosa succederebbe, se morissi domani?
Capita che te lo chiedi. E poi, capita che puoi ottenere una risposta, quando dal nulla
lei muore.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lifetime
 
 
 
        Cosa succederebbe, se morissi domani?
        Capita che te lo chiedi. E poi, capita che puoi ottenere una risposta, quando dal nulla lei muore.
 
 

        Dacché hai memoria, voi due siete sempre state come una cosa sola. E ti sembra quindi profondamente ingiusto il fatto che, d’improvviso, il vento se la sia portata via, lasciandoti lì, sola, a vivere un qualcosa che da un momento all’altro ha smesso d’essere vita.
        Il dolore è affilato come coltelli, la mancanza brucia come fuoco; in un solo istante t’han rubato tutto e non puoi nemmeno disperarti come vorresti, perché il peso è troppo. Ti comprime il petto, stritola il cuore, lacera lo spirito, strozza il respiro – un respiro che, in realtà, non c’è più.
        Le ombre minacciano d’inghiottirti. Fa paura, certo, ma non le combatti; quasi speri che t’assorbano davvero, una volta per tutte. Così, pensi, potrai raggiungere quella metà che ti hanno strappato, e trovare pace – ma sai che è solo un illusione: neanche l’oscurità può salvarti, e la disperazione raddoppia.
 
 

        Che per te non hanno pietà, te ne rendi conto quando sei al funerale.
        Ci sono la bara, l’officiante, le parole vuote di circostanza. Tutto pesa sempre più, schiacciato dal ricordo di ciò che hai perso per sempre.
        Se solo potessi dipingere il mondo, lo disegneresti in balìa dell’apocalisse. Ma non puoi; il mondo è già stampato e ti tocca prenderlo così com’è. Ed è terribile, beninteso, ma nel modo più sbagliato, perché tu vaghi esanime e il giorno è grigio. Blando. Insapore. Patetico.
        Non piove, non c’è il sole. Non ci sono stormi di persone a disperarsi, e quelle poche che son presenti sono in tinta col colore del cielo. Tra le lacrime monta la rabbia, perché nessuno di loro capisce e ti guardano: non smettono mai e, immersi in un silenzio che assorda, giudicano. Vorresti aver la forza d’accettar la loro muta sfida, di cacciare la debolezza e di farti avanti, finalmente. Vorresti poter parlare, ché di cose da dire ne hai tante – anche a lei. Soprattutto a lei.
        A te. A me.
        Ma sai che non puoi. Non davvero. Le parole ormai possono solo stagnarti dentro.
 
 

        “«Non hai mai capito un cazzo della vita. E io non ho fatto in tempo a spiegarti».
        In effetti, non ti avevano mai spiegato niente. T’hanno solo indottrinata, inculcandoti in testa timori e pregiudizi e precisi traguardi da raggiungere, e tu gliel’hai lasciato fare.
        Ti sei accorta di quello che t’avevano fatto solo quand’era troppo tardi. Nel frattempo eri diventata adulta, ed è stato senza preavviso che ti sei resa conto che non avevi idea di come recitare la parte che ti avevano assegnato. Una parte i cui panni, comunque, ti calzavano sin troppo stretti.
        E c’è chi ha provato a salvarti, chi t’ha indicato la strada e ti ha accolta per quella che eri offrendoti un’alternativa. Ma non bastava, vero? No. Evidentemente no, perché a quel qualcuno tu hai voltato le spalle, anche se ti aveva donato il cuore.
        Non che, poi, non t’abbia perdonata ed aspettata. Ma dicevi sempre «C’è tempo», e rimandavi, pur sapendo di mentire; di tempo non ce ne sarebbe mai stato, perché avevi paura. Così tanta, che alla fine ti sei sposata. Per giunta con quell’uomo così banale – a chi importa come si chiama? Agli idioti che guardano, forse. Ma loro non contano, perché non sanno. Sospettano, forse, ma di fatto non sanno che è un altro il nome che hai amato.
        Arianna. Ti è sempre piaciuto pronunciarlo – sentivi le lettere vibrare sul palato e scivolare sulle labbra, e dicevi che era come una parola in codice d’una lingua sconosciuta. Un enigma, quasi, che ad ogni sillaba per miracolo solo tu sapevi risolvere.
        «Dillo ancora. Chiamami, chiamami sempre».
        Ma ora non puoi più farlo, vero?
        Non ci saranno più morbidi Arianna; il filo che ti guidava è ormai troppo lontano, e Dio solo sa quanto fa male”.
 
 

        Quando gli spettri grigi sono a tanto così dal gettare tutto ciò che rimane sotto terra, viene a galla l’ennesimo singhiozzo. Ed è sulle note di quel lamento che la tua anima definitivamente si rompe.






 
Note
L'intento era quello di restare il più possibile ambigua, con la narrazione in seconda persona che si fonde ad un monologo interiore. Ho voluto giocare sul fatto che il racconto può essere interpretato in due diverse maniere - il tutto funziona (almeno se non m'è sfuggito qualcosa) sia che si decida di identificare la protagonista con Arianna, sia che si preferisca vederla come il "fantasma" della donna morta. Uno spirito, in questo caso, che parla con distacco a se stessa sottoponendosi ad una sorta d'esame di coscienza, e che con quel lei si riferisce al proprio corpo. Spero la "duplicità" emerga.

Un biscotto virtuale
 (?) a chi coglie il riferimento mitologico. ;)
N.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Nottetempo