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Autore: Everian Every    23/03/2016    5 recensioni
Estratto dal diario di guerra dell'Ens Relboww che narra del primo giorno ufficiale della guerra tra gli Entes (erroneamente [e finalmente sfato sto mito] chiamati Supremi), giorno in cui uno dei tre Entes più potenti in assoluto, Blaso, fu catturato da un ignoto e terrificante nemico conosciuto col nome di Elphrin.
Avvertenze: io ho messo il rating arancio, per farvela leggere. Ma penso che rosso sarebbe più adatto perché... diciamo che non mi sono sprecato, ma i particolari ci sono qui e lì. Pochi ma buoni.
Prego, leggete anche l'angolo di me, in cui do qualche spiegazione per capire meglio la storia. 'Azieeeee
Enjoy this :D
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Blaso. La Follia. Un tempo era uno dei più rispettati ed onorati tra gli Entes. Lui, insieme ad Unlegal e a me, Relboww, faceva parte del primissimo consiglio del Mondo di mai. Era saggio, buono e altruista. Puro di cuore e perennemente concentrato su un unico fine: mantenere la follia e la sanità in equilibrio tra di loro. Allora, durante la pace, Blaso non era ancora conosciuto come Omino di mai. Allora era tutto diverso. Prima che Elphrin arrivasse. Prima che la guerra avesse inizio...
 
Il canide emise un ululato di rassegnazione, sentendosi ormai con le spalle al muro. L'umano, un magrissimo ragazzo di diciassette anni vestito di jeans, maglietta blu oceano e scarpe da ginnastica sgualcite stava tra lui e il suo branco. Il maglione di lana verde chiaro che prima portava legato in vita era ora steso a terra, lacero e sporco. Il canide lo fissava terrorizzato, ansimando, reggendosi il braccio che gli era appena stato staccato. Rivoli di sangue gli colavano dal profondo taglio sulla fronte e lo accecavano, costringendolo a passarsi una zampa sugli occhi in continuazione.
Gli altri cani stana diamanti se ne stavano in attesa oltre l'invisibile barriera che aveva già polverizzato alcuni di loro che si erano azzardati ad avvicinarsi troppo al ragazzo. Tutti i loro occhietti luccicanti erano puntati sull'umano. Fremevano, impazienti di poter andare all'attacco e sbranare quel mostro. Ma la barriera li teneva in stallo e così non potevano fare altro che assistere impotenti al brutale assassinio del loro compagno più piccolo.
 
Il ragazzo era immobile.
Si guardò intorno, confuso. Si sentiva insicuro, freddo, recluso nella sua stessa mente.
Ricordava poco di quanto era accaduto qualche ora prima, nel Mondo di mai. L'avviso di uno dei generali Rovina di una guerra tra Entes, l'attacco. Esplosioni, uno stormo di corvi che divorava le Rovine, le distruggeva e avanzava verso di lui. Lui che cercava di fermarlo, ma veniva sopraffatto in poco tempo. Poi il verso.
KKIIIIIIII!
E poi nulla, solo il buio. Si era risvegliato su quel pianeta. Era in mezzo ad un cratere fumante e aveva assunto la sua forma umana. Era circondato da quei piccoli canidi antropomorfi che lo fissavano titubanti, sospettosi, ringhiando piano. Aveva cercato di mostrarsi cordiale. Era allora che aveva perso il controllo del suo corpo, dei suoi poteri. Aveva ucciso il re dei canidi. Poi aveva squartato a mani nude le guardie e aveva inseguito un fuggitivo, strappandogli un braccio...
Ora era lì. Fermo.
Un dolore pulsante, insistente, inesistente e pressante lo assillava ovunque spingesse il suo pensiero. Un turbinio, una tempesta, una bufera di grida gli fracassavano i timpani dall'interno e dall'esterno, un coro, una folla, una moltitudine di voci composte da una sola, semplice, singola, maledetta, schifosa voce gli crivellavano il cranio, rombavano roboanti come tuoni, stridevano come denti che stridono su vetro stridulo. Quella voce di mille voci e quelle mille voci di una sola voce gli gridavano, gli intimavano, gli imponevano di fare solo una e mille cosa: uccidi, maciulla, scarnifica, abbatti, dilania, sbrana, smembra, elimina.
Lacrime verdi come smeraldi, fredde come il fuoco dell'inferno a tratti e a tratti bollenti come i tizzoni di ghiaccio dell'inverno, gli colavano dagli occhi, mentre dalla bocca un flebile sussurro gli sfuggiva, invisibile di fronte al caos che imperversava nella sua mente.
"Ti prego... Basta... Non voglio..." diceva l'umano, fissando impotente il piccolo canide impaurito e morente davanti ai suoi occhi. Nella mano stringeva ancora l'arto che gli aveva strappato poco prima. Sentiva il caldo sangue della creatura bagnare le sue dita, colare a terra, amalgamarsi con la sua ombra, macchiarlo per l'eternità. Ogni goccia che scendeva dall'osso sporgente, dalla pelle straziata e rosseggiante, ogni singola goccia che, ticchettando, segnava ogni istante di quella tortura, lo bruciava nel profondo, nell'anima che non aveva.
"Uccidi il cagnolino.
Da bravo, piccolo bambino.
Afferragli la testa,
Alzala dal suolo,
Come fossimo ad una festa,
Così, fai un ottimo lavoro!"
La voce gracchiante, sfregiante, sprezzante del corvo gli cantilenò il nuovo ordine.
Lui non voleva. Lui non voleva, non voleva più fare quel gioco! Ma la voce era subdola. A tratti ordinava, a tratti supplicava. Ora chiedeva, ora imponeva. Prima era una carezza di velluto, dopo uno schiaffo di fuoco. Iniziava gentile, sorrideva amichevole e poi, senza preavviso, iniziava a strillargli nella mente, facendo esplodere un dolore atroce.
La sua mano tremò. La sua volontà tremò mentre cercava di impedire al demone che lo aveva soggiogato di usarlo come un burattino. Ma il mostro era troppo forte. Il braccio saettò senza che se ne accorgesse e afferrò, fulmineo, il volto del mastino. Con forza violenta lo sollevò da terra, così rapido che l'altro non si rese nemmeno conto dei suoi movimenti. Lo sollevò e lo strinse. Lo strinse sempre più forte.
Il suono di ossa che si incrinavano e il pianto del cane stana diamanti empì tutte le gallerie, i cunicoli, le caverne di quegli animali. E lui lo stringeva ancora, nonostante quello piangesse disperato, uggiolasse avvolto tra atroci sofferenze. Schizzi di sangue misto a grigiastre cervella zampillavano ogni qual volta la presa si stringeva.
Le voci si zittirono per esattamente un secondo, prima di lanciare, all'unisono, un unico, lancinante verso di piacere perverso. Il ragazzo aprì la bocca, emettendo lo stesso suono, che era così forte da uscire dai suoi pensieri e materializzarsi. I canidi caddero a terra, storditi e annientati dall'effetto mefitico di quel verso che privava di ogni gioia e felicità chi lo ascoltasse, sprofondandolo nel più assoluto e stagnante terrore.
Ma il demone che lo aveva posseduto non era soddisfatto.
Il verso si affievolì e la voce tornò a farsi sentire, simile stavolta al canto stonato di uno stormo di cornacchie.
"Ah, lavoro eccezionale, invero!
Ma non sarà tutto qui, spero...
Ora che dici di far vivere il moccioso?
Non sarebbe, dopo tanto dolore, un gesto misericordioso?
Dagli speranza, fallo sognare.
Sarà allora che sarà divertente poterlo sbranare!"
Il ragazzo strinse i denti e gli occhi, cercando ancora di opporsi con tutte le sue forze. Ma ogni tentativo fu vano. Allentò la presa sul muso contorto e devastato del canide, ma non lo lasciò andare. Il pelo grigio della povera creatura, così come l'umano, erano diventati rossi.
"No... Nno... NNOOOO!" gridò il ragazzo, piangendo disperato, mentre il suo braccio, contro ogni suo ordine iniziava a calare sulla roccia più vicina. Chiuse gli occhi verde acqua quando il rumore secco del cranio del cane che si schiantava sul sasso giunse alle sue orecchie.
Di nuovo il verso di piacere del demone lo invase, facendolo urlare di rancore e disperazione.
"Non fermarti! Non farlo proprio ora!
Colpiscilo ancora e ancora e ANCORA!
Fallo soffrire, fallo, ORSÙ!
Fallo soffrire, Omin di Mai Più!"
Il braccio del ragazzo, come mosso da fili eterei, si alzò tremante. Il suono viscido di carne, ossa e cervella che si staccano e rimangono appiccicati alla dura pietra lo avvolse come una coperta di spine. L'odore acre del corpo brutalizzato tenuto in vita dai suoi stessi poteri lo investì al punto da fargli venire il desiderio, non l'impulso, il desiderio di vomitare!
Calò il braccio, come una mannaia, preciso, terribile, implacabile, guidato da un mostro irrefrenabile che si nascondeva dietro di lui per macellare quella povera creatura.
Colpì la roccia con la testa del canide, venendo ogni volta lordato da pezzi del suo cranio e del suo contenuto, e lo fece così tante volte che alla fine tra le sue mani rimase una disgustosa poltiglia mista di ossa, materia cerebrale e midollo molliccio.
"B-basta..." disse con la gola secca.
"Basta..."
"Basta?"
"Che vuoi raggiungere? Perché mi fai uccidere queste creature? Perché?!" gridò il ragazzo, lasciando andare il corpo e l'anima del canide, permettendogli finalmente di morire. Cadde in ginocchio in mezzo alla pozza di sangue.
Il demone rimase per un istante in silenzio. Poi emise un altro tipo di verso. Un suono gutturale, misto al fracasso di ceramica che si frantuma al suolo e poi viene calpestata ripetutamente e con gusto. Una risata.
"Un perché, tu dici?
Pretendi un motivo a tutto questo?

Perché, mio caro, tu sei del male le radici,
Perché sei cattivo, in ogni contesto.
Io sto solo sfruttando il tuo potenziale.
Io sfrutto il tuo vero io, il male."
L'umano gridò di nuovo, stringendosi la testa tra le mani.
La risata proseguiva, schernendolo. Lui era cattivo. Cattivo. Cattivo. Doveva fare il male. Solo il male. Uccidere, senza motivo. Sbranare anime e corpi, portare alla distruzione ogni cosa, deperire il mondo intero. Lui era la follia che seguiva tutto e tutti, come un'ombra, silenziosa, invisibile, e che alla fine ti trascinava in un baratro, ti distruggeva ricreandoti come un mostro. Lui era ammaliato dal male. A lui piaceva il male. Lui DOVEVA essere il male.
Ma allora perché non voleva tutto quello? Scosse la testa, confuso. Doveva mantenere la calma, o sarebbe finito nel baratro della follia.
La voce riprese a parlare.
"Guarda dietro di te.
Molte vittime, di cui potresti essere re.
Insorgi nel fuoco!
Uccidili per giuoco!
Divorali in poco!
Falli cadere nel baratro, falli cadere laggiù!
Falli morire nell'agonia, fallo, Omin di mai più!"
Il ragazzo strinse i pugni. A scatti, si rimise in piedi. Ogni movimento era uno sforzo incredibile. Lui lottava per restare fermo, a terra, ma qualcosa di più potente di lui lo costringeva a combattere!
Si voltò a fissare i canidi, che gli ululavano contro inferociti. I loro sguardi, carichi di tanto odio da annichilire ogni timore che prima li avrebbe trattenuti dallo scatenare tutta la loro furia animalesca sullo strano umano.
La barriera invisibile svanì e il ragazzo si lanciò all'attacco. Aveva gli occhi sbarrati e vitrei, la bocca storta in una smorfia ebete. Mantenne quell'espressione anche quando conficcò il braccio nel primo cane stana diamanti, estraendo il cuore ancora palpitante e facendolo esplodere in faccia ai suoi compagni. Mantenne quell'espressione anche quando, con un gesto dell'altro braccio, piegato ad angolo retto aprì letteralmente l'addome di un altra bestia, lasciando che le budella si riversassero fuori, sul terreno, con un tonfo molliccio e schifoso. Mantenne quella stessa, fissa maschera impassibile per tutto il massacro. Era così concentrato nel tentativo di combattere gli ordini del demone che si stava dimenticando di combattere sé stesso, di trattenere la sua natura malata e insana come invece avrebbe dovuto fare.
Affondò il pugno chiuso nella testa di una creatura e lo aprì, facendo volare in tutte le direzioni le frattaglie. Prese con entrambe le mani le scapole di un altro che aveva cercato di azzannarlo e si mise a tirare. E tirò. Ed ogni volta che tirava, il demone emetteva un singulto di delirante ed ebbra estasi.  E tirò, tirò, tirò con tutte le sue forze finché il corpo intero non si aprì in due, lasciando che solo l'intestino e qualche altro organo congiungessero le due metà.
Tranciò di netto una gola e, inondato dal sangue rosso e dolciastro, non si trattenne più. Una tetra oscurità gli offuscò la mente. Scattò in avanti col collo e affondò i denti nella carne, strappando un grosso pezzo di gola, lasciando mezza trachea a penzolare nel vuoto mentre il canide moriva tra gorgoglii disperati.
Le voci nella sua testa cantilenavano una nenia lugubre e antica in una lingua che gli era ignota. Decise di non prestarvi più attenzione. Non gli importava più cosa facesse il demone dentro di lui. Gli importava soltanto una cosa: distruggere la vita stessa. Volevano che lui fosse cattivo? Sarebbe stato il cattivo più spietato e sanguinario di sempre. Avrebbe distrutto regni, divorato interi universi! La pazzia che lui era lo aveva ormai consumato irrimediabilmente.
La sua pelle iniziò a sudare copiosamente. Il sudore assunse una colorazione verde, diventando ben presto melma che si staccava dal suo corpo e che cadeva a terra. Poi la melma mutò di nuovo. Divenne nera, semi trasparente e si unì sul terreno con la sua ombra. L'ombra crebbe e lo avvolse, rendendolo completamente nero come la pece. Un ombra vivente.
L'occhio sinistro si spalancò, rivelando l'iride e la pupilla trasformate nel simbolo viola della sua specie. Il destro esplose in una fiammata verde chiaro, né calda né fredda.
I cani stana - diamanti si ritrassero, ringhiando piano di fronte a quell'orrore.
L'umano si era trasformato. Ora appariva come un grosso blob nero con decine di bocche che eruttavano fiamme verdi e da cui dondolavano lunghe lingue appuntite come lance. Lunghe braccia poli-articolate crebbero su tutto il corpo. Terminavano con tre dita lunghe e sottili, più simili a fili d'ottone, luccicanti. I bagliori delle fiamme si rifletterono sul sangue sparso intorno.
Un corpo umanoide senza braccia o lineamenti, scheletrico, nero come il resto della massa d'ombra, emerse dal tumulto di braccia e fauci. I due occhi scintillavano regali come due stelle in un cielo totalmente oscuro.
Le creature canine ersero i peli e abbaiarono atterriti. I più cercarono la fuga, ma molti rimasero fermi, immobilizzati dal panico.
L'essere, l'abominio ebbe un fremito, poi si mosse. Le braccia fecero brandelli dei canidi più vicini, roteando come in una giostra matta, infilzando e tranciando come un tritatutto inarrestabile, facendo a pezzi perfino il terreno e le pareti rocciose. Alcune mani artigliate si chiusero intorno a piccoli esseruncoli fuggitivi e li lanciarono nelle bocche da cui una giungla di tentacoli neri uncinati saettava e li afferrava, facendoli a pezzi, spargendo interiora, sangue e ossa in ogni dove.
Un canide, impantanato nell'ombra gigante fino al bacino, cercò di fuggire, finendo per staccare il busto dalle gambe. Rantolò e cercò di trascinarsi con la forza delle sole braccia lontano, verso una salvezza che non esisteva, lasciandosi dietro una scia di frattaglie e sangue.
Il mostro lo vide e un tentacolo saettò, scavando sotto terra e riemergendo sotto di lui, scagliandolo verso il soffitto. A mezz'aria, un braccio e un altro tentacolo lo intercettarono. Il braccio gli afferrò la testa, mentre il tentacolo, su cui si era aperta un'altra bocca irta di denti di fuoco verde, serrò le mandibole intorno ad un braccio. I due ammassi lunghi e neri tirarono e lo spezzarono in due, facendo cadere a terra cuore e buona parte dello scheletro. Il resto fu divorato.
Il mostro di ombra si erse, pacificamente seduto su una pila di cadaveri. La cantilena del demone che lo aveva corrotto si era spenta. Ogni traccia di quella presenza era svanita dalla sua mente. Ma che importava? Non gli serviva più nessuno che gli dicesse di uccidere e mangiare. Ormai sentiva un desiderio bruciante pervaderlo. Fiutò l'aria, in cerca di altra vita. Sotto terra c'erano ancora tanti esseri viventi da far soffrire. L'entità si fissò. Scrutò tutto il suo corpo. In alcuni punti spuntavano, semi immersi nella sua melma, alcuni di quei canidi che cercavano invano di fuggire, tendendo le braccia. Ma facevano solo questo. Tendevano le braccia con lentezza, senza energia, gli occhi dilatati, rossi come tizzoni, colmi di un pianto che non avrebbero potuto più emettere. Solo lui, il mostro, sapeva cosa accadeva ai corpi immersi nel suo organismo. Venivano digeriti lentamente, stuprati violentemente, sventrati e ricomposti senza sosta. Il dolore era un increscendo di agonia, un'esplosione di pura sofferenza che non cessava mai. Per questo non emettevano suoni o non piangevano. Non ne avevano nemmeno più la forza. E se ancora non erano morti era perché lui, il mostro che li stava torturando senza motivo, aveva deciso di usare un pizzico dei suoi infiniti poteri per incatenare le anime a quei corpi disgraziati. Li aveva resi immortali solo per farli soffrire di più. Poi, quando si stancava, li faceva sparire del tutto tra i flutti bigi del suo corpo, li avvolgeva e li faceva scomparire per sempre, distruggendo il loro corpo, la loro mente e la loro anima.
Avanzò per ore nelle gallerie buie, sterminando chiunque gli si parasse davanti. Ovunque passasse, era un tripudio di ossa rotte, carni lacerate e sanguinolente, e grida di delizioso panico. Incontrò perfino un cerbero. Venne attaccato dalla creatura infernale. Senza nemmeno spostarsi, alzò un braccio e lo fece schiantare a terra. Lo avvolse con la sua ombra, penetrando in tutte le cavità del suo corpo con la stessa furia che la cascata impiega per frangere il perfetto bacino di un lago. Era una femmina. Le riempì le cavità interne e le fece esplodere. Non provò nulla. Né gioia, né dispiacere. Solo un vuoto immenso. Anche mentre le strappava i tendini, tirando e facendo schizzare le viscere sui suoi grandi occhi dilatati dalla paura e dal dolore, non provò altro che quel nulla totale.
Era cattivo. Doveva piacergli tutto quello. Perché allora non era così?
 
Andò avanti così per altre due ore. Il mostro che il mio migliore amico era stato costretto a diventare si spostò di caverna in caverna e divorò tutto ciò che incontrò.
E nel farlo intonava una poesia:
"Enne
Elphrin
Erre
O
Di paura non ne ho!
Enne
Elphrin
Enne
O
Dalla mia mente la caccerò!"
Una scia di lacrime nere accompagnò la sua marcia verso il mondo esterno.
Quel giorno, nel mezzo delle Good Lands la terra esplose, come un vulcano di catrame. Ne fuoriuscì un'ombra immensa. Pezzi di carne risaltavano in mezzo alle nere volute di inconsistente nebbia. Decine e decine di bocche giganti, con tessere del domino altrettanto grandi come denti e lunghe lingue corrosive, inghiottirono la terra. L'ombra si propagò sul terreno, più veloce della luce stessa. Raggiunse ogni zona in cui vi fosse vita, quand'anche fosse un arbusto, per poterla sradicare. Il regno dei centauri venne inghiottito nell'ombra per primo. A seguire caddero il regno dei fauni e delle sirene. L'ombra della Follia stava divorando l'intero pianeta.
Fu allora che il nuovo consiglio degli Entes, capeggiato dal signor Nero, intervenne. Pochissimi sono i superstiti che possono offrire testimonianza di quanto accadde quel giorno. Tra di loro, solo in pochi non hanno perso del tutto la sanità mentale. Questi descrivono la battaglia tra Nero e Blaso come l'apocalisse mancata.
"Il mondo si piegò su sé stesso e supplicò di morire, per non dover essere costretto a sopportare ancora la vista di un orrore simile." disse l'ultimo dei fauni, di nome Scorpan.
Non è accertato, ma pare che quella data sia indicata come l'inizio della grande guerra degli Entes, tutt'ora in corso. Quello fu il giorno in cui Blaso divenne l'Omino di mai. Quello fu il giorno in cui uno dei tre Entes più potenti in assoluto ebbe paura di Nero.
 
Relboww
 
 
Angolo di ME!
 
Euuuss.... Beh, diciamo che questo è un piccolo scorcio sul passato del nostro comune amico, O.d.M., su come abbia fatto a diventare un mostro così pericoloso da essere rinchiuso nel Mondo di mai per legge.
Piccola nota tecnica, si, i Supremi, come si dice di solito, non sono Supremi. Supremi è il "titolo", diciamo, che un altro autore, Katonoffirecrow, che aveva scritto una serie di bellissime storie (che non mi stancherò mai di citare) usando Nero come personaggio, aveva dato a queste creature. Nero, Blaso, Lyram, Adreus, tutti loro sono Entes. Letteralmente: entità. Singolare: Ens. Per chiarire.
Lo so, è una storia banale ecc. ecc., ma un bravo osservatore, che conosca la mia storia principale e abbia un paio di nozioni sugli Entes, dovrebbe aver notato due dettagliucci di una certa rilevanza: la presenza di un'entità chiamata Elphrin e la filastrocca Enne Elphrin Erre O blablabla. Così, tanto per sottolineare che la suddetta one shot ha dei dettagli che torneranno utili in altre storie.
Punto due, la shot qui sopra è un testo del diario di guerra di un Ens di nome Relboww (pronuncia: rilbov). Molto isi. Ma credo lo scriverò pure nella "trama", quindi... isi al quadrato.
Punto tre: la shot prende atto prima della precedente "il re del male" ed è collegata. Perché? Molto semplice: odio l'idea di scrivere cose, per così dire, "inutili", passatemi il termine, e così mi sono detto: sto parlando dell'universo MLP, tra l'altro del MIO di ME universo di MLP. Perché non far si che le storie siano comunque collegate in qualche modo? E così eccoci qua. Il collegamento non è immediato, anzi, non lo si può immaginare. Centrano Tyrek e Elphrin.
Perché vi sto sciorinando tutta sta manfrina? Ma io che ne so!
Beh, buona notte a tutti, raggi a tubi catodici!
Ev. 
   
 
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