Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Ricorda la storia  |      
Autore: B Rabbit    23/03/2016    4 recensioni
{ LadyNoir | Perché Cloud non poteva semplicemente annegare nei feels. No no }
Gli sorrise, e lui si lasciò soggiogare dal cielo terso delle sue iridi, gli stessi occhi che anelava di trovare su di un viso spoglio di segreti, ma che parevano divenire anonimi senza una maschera a contornarli.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










In una grotta scompariremo, gettando fuori nomi e identità




Serpeggiando fra intrecci ed archi di ferro, la brezza notturna spirò in quel luogo isolato, una goccia caduta dal vaso della realtà, del fuori, e s’avviluppò, come morbida seta, intorno alla figura immobile di un ragazzo, perduto nella calma di quegli istanti fugaci: era il fresco respiro della Senna che, giunto fin lì, in quell’isola immersa nel cielo, gli carezzava amorevolmente le ciocche preziose, baciandogli il viso madido, ferito nel cercar di strappare l’ennesimo cuore alla disperazione – il vento fugò la stanchezza dalle sue giovani spalle, lo sollevò dal grave del suo compito, donandogli una piccola e meritata libertà in segno di riconoscenza per il coraggio mostrato –. Dalla sommità dell’incantevole Dama di ferro, amata e oltraggiata dal suo stesso popolo, l’eroe mirò la città spogliarsi della sua abituale confusione, del brusio vivace della gente e dei colori delle piccole cose, trasformandosi in un’immensa pianura, ingemmata da innumerevoli fiori di luce aurea, i quali, specchiandosi nel fiume che cingeva Parigi, tremolavano silenziosi in un mondo acquerellato, pacifico e ideale. Scrutò il firmamento che, seppur vedovo di luna e povero di stelle, parve magico come ogni notte al di sopra del creato, vivacizzando i fuochi della terra.
E circondata come in un tenero abbraccio dal calore dorato di quei fulgori, scintillanti di gratitudine, un’esile fanciulla emergeva dinanzi a lui nella sua totale forza e gentilezza, sorridendo alle molteplici vite che, insieme, erano riusciti a proteggere, a salvare dall’ultima minaccia. La fissò, si smarrì nell’osservare la sua bella, un'altra gemma obbligata, come lui, a maturare precocemente, a fiorire solo per sacrificarsi in nome del bene, il medesimo precluso a loro; e nel contemplarla in muta riverenza, Chat Noir si chiese quanta afflizione potesse ancora trattenere quel corpo minuto, fragile ai suoi occhi, giù nel baratro della propria anima – perché ella, richiamata dai pianti, dalle grida delle persone, sarebbe giunta laddove il pericolo trovava origine, estirpandolo completamente. E avrebbe offerto il perdono al derelitto, cancellando ogni sua colpa dai registri del tempo –.
«È davvero bello, qui…» la sentì mormorare debolmente, rapita dal mondo inferiore, e la bocca del giovane si arcuò appena in un’ombra di sorriso. «Sono d’accordo, my lady» le rispose, accostandosi alla sua destra, e posò gli occhi smeraldini sul suo profilo, bagnato dalle luci della città; la guardò in silenzio, studiò i lineamenti dolci di quel viso caro, le gote teneramente imporporate dal gelo che fremeva dalla voglia di toccare, così da saggiarne la morbidezza tanto vagheggiata. «Parigi è miaovigliosa, questa notte» proseguì, senza mai abbandonarla con lo sguardo, ed ella, inebriata dalla serenità che li avvolgeva, non poté trattenere la propria ilarità a quell’improvviso gioco di parole, cadendone presto vittima – sorrise, il biondo, ammaliato da quella risata cristallina e soave, gioiosa, che frullò sulle labbra lietamente arricciate all’insù, e non piegate da una smorfia sofferente –.
La vide voltarsi, incatenare silenziosamente lo sguardo al suo. «Oh, mon minou…». Gli sorrise, e lui si lasciò soggiogare dal cielo terso delle sue iridi, gli stessi occhi che anelava di trovare su di un viso spoglio di segreti, ma che parevano divenire anonimi senza una maschera a contornarli.
«My lady…» la chiamò, la voce bassa, intrisa del meraviglioso sentimento che talvolta, purtroppo, lo angustiava. «Questo eccezionale scenario mi esorta a parlare, ed io lo farò».
La fanciulla rise argentina, certa di una possibile burla celata dietro le sue parole, ma quando scrutò il viso dell’altro con più attenzione, appena notò lo scintillio di una supplica nei pozzi smeraldini, vuoti della solita malizia, la voce le tremò, si incrinò come vetro e avvizzì. Il possessore della sventura allungò la mano verso la sua, spinto dal forte desiderio di stringerla, ma le dita tremarono leggermente vicino alla sua pelle, timoroso di poterla ferire con i suoi artigli. Serrò le labbra, fino a ridurle ad una linea rosea e sottile; le sfiorò il dorso con le dita affusolate, piano, talmente concentrato a ogni suo movimento da non accorgersi dei respiri rubati alla sua donzella, impietrita dinanzi a simile, timido affetto. Le strinse le dita fra le proprie, assaporò il tepore di esse con il pollice e, lentamente, avvicinò la mano al viso, inarcando il corpo in un elegante inchino – tentennò nel compiere quel gesto che più volte aveva ripetuto con stolta frivolezza, ma alla fine posò la bocca sulla mano, regalandole un bacio delicato, così leggero da sembrar evanescente –. E affogando in quelle due ampolle celestiali, traboccanti di vivido stupore, la guardò in silenzio, legandola a sé in un abbraccio fatto d’aria. «Se non la vostra identità, concedetemi un ballo» sussurrò, carezzandole il dorso della mano con il proprio respiro. «Qui, sulla Tour Eiffel».
Notò l’imbarazzo sbocciare sulle sue gote da bambina, pallide a causa della fatica. Stette immobile, chino in quel gentile baciamano, in attesa di una sua qualsiasi parola. E la fanciulla rimase in silenzio, prigioniera dei suoi occhi gravidi di sogni, due gocce di giada ferite da gemme affilate d’ossidiana. Cercò di rispondergli, ma ciò che riuscì a proferire furono sillabe incoerenti, suoni fiochi e spezzati: l’incertezza le muoveva le labbra, la stessa che la frastornava quando scorgeva il viso luminoso di Adrien in quel mondo che sembrava perdere all’improvviso qualsiasi colore. E Ladybug si chiese perché, cercò la ragione di tale emozione nel petto, nel cuore che dolorosamente palpitava contro le ossa alla vista di Chat Noir, riempendole l’udito con i suoi folli battiti.
«Ti prego» lo sentì mormorare, e la giovine accusò il dolore di un impercettibile colpo. Schiuse la bocca, pronta a parlare, a lenire le pene del compagno, ma un acuto stridio la zittì bruscamente – era l’anello del biondo, il quale, con rumore acerrimo, rammentò loro l’inevitabilità dell’addio –. Egli sbarrò gli occhi, e con ribrezzo avvertì la mano di lei fuggire via dalla sua. L’osservò indietreggiare, la testa china, lo sguardo lontano dal suo. La chiamò, e in quelle semplice lettere vibrò la più pura tristezza.
«Non possiamo…» si giustificò lei, allontanandosi di un altro passo. «Non c’è tempo…» e il suo Miraculous gemette disperato, ferendo entrambi gli eroi.
«Sì, invece!» gridò quasi, ribellandosi a quella perenne condizione di fuga ed inseguimento che lo privava del respiro; si avvicinò a lei, bruciando la distanza tra loro con poche falcate. «Abbiamo del tempo, my lady…» sussurrò, guardandola, e le sopracciglia si arcuarono tristemente all’insù. «Pochi minuti, ma saranno per me come un eone…» e pose il suo inerme desiderio nel palmo che le offrì con un sorriso gentile, tenero, così fragile da poter degenerare in una smorfia di sofferenza. E sospinta da chissà quale misteriosa volontà, Ladybug acconsentì senza proferir alcunché, salvando la piccola speranza, celata nel cuore dell’altro, dall’oblio della disperazione.
«Pochi minuti…» gli ricordò, il tono imperioso, ma in cui echeggiarono timide note di delicatezza. L’eroe sorrise e l’avvolse nelle sue braccia, unendo i loro corpi in una stretta molle, cortese – l’avrebbe di certo abbracciata con più forza, facendo collimare i petti, permettendo ai loro respiri di miscelarsi in un unico fiato, ma il biondo preferì contenere gli istinti per non rovinare quell’attimo prezioso –. Inaspettatamente, le vibranti note di un violoncello immaginario si insinuarono adagio tra i fruscii della città sottostante fino ad amalgamarsi completamente ad essi senza alcuna sgradevole dissonanza, acquistando maggior vigore al tragico perir del tempo, colmando il silenzio di quel frammento d’Olimpo in cui loro, la dolce Salvezza e l’agile Speranza di Parigi, stavano lentamente affogando – era un suono magico, seducente come le parole di un sapiente tentatore; era un pianto angoscioso, muto, pregno di solitudine ed amara accettazione –. Chat Noir si mosse, conducendola dolcemente in un ballo lento, e le lacrime di un irreale pianoforte cominciarono a cadere e ad infrangersi nella mente della fanciulla, scandendo i passi del compagno di battaglia divenuto cavaliere soltanto per una notte.
Ad ogni movenza o gentile piroetta, agli impercettibili struscii della mano calda di lui sul suo fianco scoperto, ella sentì nitidamente il cuore contrarsi con veemenza, spandendo in tutto il suo corpo un senso di fiacchezza tale da costringerla a ridurre il distacco fra loro in tacita richiesta di sostegno. Avvertì la colpevolezza artigliarle l’anima, castigandola per ogni singolo istante che osava gettare nel fuoco di quel sogno immorale – perché Ladybug scoprì benessere e piacevole serenità nella stretta di lui, e non negli abbracci immaginari di Adrien –. Il monito del Miraculous della distruzione frustò le loro coscienze, e per un attimo la danza parve arrestarsi. Il ragazzino accostò il viso a quello della giovine e rimase fermo ad osservarla, amareggiato dalla fugacità dell’istante. «Altri due minuti…» pregò, bevendo dalle sue labbra schiuse i respiri che si levavano bollenti; rizzò la schiena, e subito trascinò la madamigella nell’illusione, quasi avesse paura di un suo rifiuto. La donzella lo chiamò, inumidì il suo nome con la mestizia che l’avvelenava, ma egli rispose allontanandola gentilmente da sé, guidandola in varie, piccole giravolte, per poi accoglierla ancora una volta nelle sue braccia. La musica proseguì nella mente di lei, dando forma alle emozioni e ai reciproci segreti, inconfessati all’altra esistenza e a sé stessi; pareva comporre per loro un requiem in cui piangere la sconsideratezza della gioventù, lasciata per stringere il dovere, piuttosto che un valzer dove poter godere placidamente di una vita comune.
Il Miraculous della coccinella crepitò nefasto, e un ringhio vibrò nella gola del felino.
«Chat…» bisbigliò lei, amareggiata per lo sconforto che proseguiva ad infliggergli a causa della sua testardaggine, della paura, ma l’eroe sembrò non udirla, preferendo immergersi in quella danza infelice, leggermente più celere. Con melanconia, il violoncello si acquietò, adagio, e le note limpide del pianoforte svanirono, rapite dalla brezza. La melodia sfumò come i sogni e la realtà stette a fissare i due eroi.
Lo invocò, flebile; sciolse l’intreccio delle loro mani, piano, timorosa di poterlo ferire con tale gesto, ma appena gli sfiorò la guancia con i polpastrelli per donargli una carezza, egli l’allontanò bruscamente da sé e la imprigionò in un casquè irruento, cingendole la vita per salvarla dal vuoto raggelante della caduta.
Rimasero immobili, congelati nell’attimo precedente l’addio, e Chat Noir si concesse la trasgressione di studiare la compagna nel suo stato di vulnerabilità – la trovò splendida, stesa mollemente nelle proprie braccia, con il viso tinto di un delizioso cremisi e le labbra socchiuse, tremanti di meraviglia –. Scrutò i suoi grandi occhi azzurri, permettendo loro di sondare i propri, incurante dell’angoscia, della rassegnazione e dell’affetto che avrebbero potuto scovare in essi. Ella sollevò il braccio verso di lui, gli sfiorò la tempia con i polpastrelli per poi scendere piano, posando finalmente il palmo sulla sua guancia vellutata – il biondo chiuse le palpebre e godette di quella tenera carezza, abbandonando il viso nella sua mano –.
«Non possiamo tornare normali. Qui, sulla Tour Eiffel» gli disse affettuosa, e il ragazzino aprì leggermente gli occhi, richiamato dalla sua voce. «Non avrei miracolosi poteri per scendere» scherzò, piegando la bocca in un amabile sorriso, lo stesso di una madre, rivolto teneramente alla propria creatura – una sensazione bislacca artigliò il cuore del giovane e i suoi arti tremarono impercettibilmente –. Attirò Ladybug nel rifugio sicuro delle sue braccia e la strinse a sé. «No, my lady. Lo hai, un potere…» sussurrò, fendendo le onde scure dei suoi capelli con le dita, attento a non ferirla. «La gentilezza».
La sentì reprimere una piccola risata, tremando leggermente a causa di essa. La donzella ricambiò la stretta, accennando qualcosa sulla stupidità e l’incoscienza di un certo gattino, e il biondo la ringraziò, ridendo a sua volta. Purtroppo, egli sciolse l’abbraccio; indietreggiò di un passo e, chinandosi in avanti, le baciò teneramente la mano in segno di commiato. «Al nostro prossimo incontro…» mormorò contro le dita sottili, che presto sfuggirono alla sua presa delicata.
«S-sì…» balbettò, confusa; indugiò qualche attimo, scrutando i suoi occhi verdi alla ricerca di tristezza, ma nello stesso modo in cui la maschera gli celava il volto, un velo rendeva il suo sguardo impenetrabile.
«Arrivederci…» lo salutò, sugellando così la promessa. «Buonanotte» aggiunse, e correndo leggiadra verso la balaustra, Ladybug saltò nel vuoto, quasi potesse realmente volare come un’elegante coccinella.
Sospirò, Chat Noir, e sollevò lo sguardo in direzione della volta torreggiante, la quale smarrì la sua peculiare infinità nei confini delle iridi smeraldine, macchiandosi tragicamente delle emozioni umane.
E l’eroe, Adrien, si ritrovò nuovamente ad attendere l’apparizione di un nemico, auspicando, seppur inconsciamente, delusione e sofferenza a dei miserabili innocenti pur di rivederla. Indietreggiò fino a cozzare contro la struttura della torre e, utilizzando la fedele arma, abbandonò quel luogo lieto: balzò in aria, e la sua figura si dissolse nella notte, sciogliendosi come ombra in un’oscurità viscosa.
Perché lei, ne era certo, sarebbe giunta, avvolta da un pulviscolo di terrore e devastazione, a rischiarare l’animo del popolo.

















E o mio Dio, sono naufragata anche qui. Poveri voi.
Prima di tutto, vi ringrazio infinitamente per aver letto questa OS senza senso, gettando così il vostro tempo nel cestino dei rifiuti.
E… non so cosa dire, davvero! Spero la storia sia chiara xD
A dir la verità, la prima fic su questo fandom doveva avere come protagonista Il pomodorino, ma, ahimè, ho finito per scrivere questa LadyNoir… c’est la vie. Scriverò anche su di te, piccoletto!
E se proprio devo dirla tutta, la verità, la stesura di questa storia doveva cominciare alla fine di un altro progetto… colpa dei feels e dell’ultimo episodio? Propabilmente.
Bene, smammo che è tardi – ugh, e chi si sveglia domani? –.
Grazie ancora.


Alla prossima,
Cloud~


  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: B Rabbit