Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |      
Autore: Leinki    24/03/2016    17 recensioni
E' seriamente una stronzatina di 2.416 parole scritta in meno di un paio d'ore, in piena notte, ma avevo bisogno di un po' di fluff ed eccolo qua.
Dal punto di vista di Derek, ambientata circa 9 anni dopo la fine della quarta stagione, non tiene granché conto di ciò che è successo dopo nel canon.
C'è un piccolissimo personaggio tutto nuovo, spero apprezziate. Io, scrivendo, l'ho fatto.
Così è, se vi pare.
Buona lettura.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avvertimenti: nope, in realtà non ci sono avvertimenti. Solo: preparatevi al fluff! E' una stronzatina di 2.416 parole scritta in una notte, buttata giù di getto, dal mio cervellino direttamente su carta (o su schermo? mh). E, niente, spero che vi piaccia. Non ho mai cominciato e finito una OS in una sola notte, uoh, che cosa strafighissima. Amate Reese, ed il suo nome, come ho fatto io. Ricambierà.
Fatemi sapere se vi è piaciuta lasciandomi un commentino, pls. Anche solo per lanciarmi le arance. Sarebbe apprezzabilissimo, visto che sono a dieta ed un po' di frutta per riempirsi lo stomaco è sempre cosa buona e giusta.
E, nulla, vi lascio alla schifezzuola.
Così è, se vi pare. Come sempre: buona lettura.






Se c’è una cosa che Derek ha imparato, dopo essere partito alla ricerca della Lupa del Deserto con Breaden, è che non serve a niente scappare dal proprio passato, dai propri demoni, dai propri sentimenti, da se stessi in generale.
Gli sono serviti due anni per capirlo.
I mesi passati a caccia, a lavorare come mercenario, ad usare la sua nuova forma per imparare i segreti del mestiere; il resto del tempo passato in giro con i guadagni in tasca e la Camaro a sfrecciare lungo la costa in un viaggio coast to coast in tutta solitudine dove ha riassaggiato il sapore della libertà; l’Australia come ultima meta per andare a trovare Cora, la permanenza che doveva durare poco, prima che si lasciasse convincere dal suo branco a restare ancora qualche giorno, ancora per un po’, un po’ che sono diventati sei mesi, poi otto, e dopo un anno intero Derek li chiamava tutti ululando perché ormai si sentiva parte integrante di una famiglia dopo così tanto tempo.
Gli sono serviti due anni, però, per capire che il suo posto era quello che provava a lasciarsi alle spalle da tempo.
Due anni passati lontani da casa, dai ricordi, dal branco, lontani da Stiles.
Aveva parlato con Cora un giorno di fine estate, le aveva confessato di voler tornare indietro, di voler ripescare alcune persone dal suo passato, sperando di trovarle ancora lì dove le aveva lasciate. Lei aveva semplicemente annuito, con le braccia conserte ed un sorriso lieve a distenderle le labbra. Aveva capito, Derek lo sapeva, ed istintivamente l’aveva abbracciata per tenersi il suo odore addosso il più possibile, almeno fino a Beacon Hills, almeno fino a lì.
In macchina, durante il viaggio, l’aveva chiamato, perché stava tornando e lui doveva essere il primo a saperlo; Derek non si era chiesto il perché, l’aveva fatto e basta.
Non si sentivano dal giorno della partenza.
Non si erano mai scritti, mai cercati. Si erano limitati a pensare l’uno all’altro, a chiedersi dove fosse finito tutto ciò che avevano passato, se si fossero salvati la vita a vicenda solo per dirsi addio con uno sguardo turbato ed un sorriso di circostanza. Nessuno dei due si era deciso a cedere, però, ad abbandonare per primo le maschere di benessere che si erano creati su misura.
«Sto tornando a casa.»
Erano state le parole che Derek aveva pronunciato quando il respiro regolare di Stiles aveva risposto alla chiamata al posto della sua voce. Non gli aveva risposto in nessun altro modo.
Erano rimasti con la conversazione aperta per le ore a seguire.
Quella frase era bastata a tutti e due.
Quando all’alba aveva finalmente superato il cartello “Benvenuti a Beacon Hills” aveva abbassato il finestrino ed aveva respirato a fondo. L’odore della Riserva gli riempì i polmoni.
La strada era stata asfaltata da poco; il pub dove il branco si riuniva dopo le partite di lacrosse era ancora lì, con la saracinesca abbassata e la scritta “METS” in blu disegnata da Stiles anni prima a causa di una sbronza a troneggiare su di essa; avevano finalmente strappato gli alberi rinsecchiti che costeggiavano l’entrata del parco per bambini; le sfumature del cielo che cominciava a colorarsi per il nuovo giorno davano alla città un sentore di speranza. Derek si sentiva di nuovo al posto giusto, dopo così tanto tempo passato ad ambientarsi in posti che erano stati belli ma non erano stati giusti.
«Ci sei ancora?» chiese, in un mormorio.
Sperava che stesse dormendo, anche se il respiro leggero ed irregolare che riusciva a sentire dalle cuffie che aveva indossato per tenerselo al cellulare per tutto il viaggio gli confermava che fosse ancora sveglio.
«Sono qui.»
Erano le prime parole che gli sentiva pronunciare dopo anni ed avevano il sapore delle promesse.
Si erano incontrati dieci minuti dopo fuori casa Stilinski, con lo sceriffo che dormiva al piano di sopra e Stiles che si era calato dalla finestra con un’agilità tutta nuova conquistata nel tempo per non far svegliare il genitore. Derek l’aveva guardato per attimi lunghi quanto decenni, quando se l’era ritrovato davanti con una tuta grigia decisamente troppo larga per lui ed una semplice maglietta scura. Era rimasto immobile a fissarlo, con le chiavi della Camaro strette nel pugno sinistro e le labbra dischiuse in cerca di qualcosa da dire.
Stiles aveva riso e, nonostante i capelli più lunghi e le spalle più larghe ed il ghigno più sexy di quello che era stato anni prima, la sua risata era ancora la sua risata. Sempre la stessa, sempre uguale, vivace e meravigliosa come Derek se la ricordava.
«Sono diventato abbastanza consapevole di me stesso al college da capire quanto posso essere desiderabile ma, Derek, quella faccia non lascia sul serio spazio all’immaginazione.»
Quelle parole, che sapevano di confessioni mai esposte, erano rimaste in sospeso tra di loro, avevano stirato il silenzio fino a renderlo teso, fino a renderlo distruttibile. Stiles, però, aveva ammorbidito la risata ma non aveva dato segno di cedimento. Profumava di pace ritrovata.
Derek aveva scosso la testa e gli aveva dato ragione rispondendogli solamente con un sorriso, poi gli si era avvicinato e se l’era attirato tra le braccia.
L’odore di Cora era durato abbastanza, quello che in quel momento voleva addosso era l’odore di benessere dell’altro. L’avrebbe desiderato sulla pelle per tutta la vita.
C’erano voluti due anni per capirlo. Due anni di silenzi, di distanze mai colmate; si erano dovuti ritrovare tra altre braccia per capire di volere solamente quelle dell’altro per il resto del tempo a venire. C’erano volute ere, e dolore, ma dopo sette anni da quel giorno Derek può considerarsi un trentatreenne con il passato in fiamme ed il futuro ancora da disegnare, magari con i pastelli che sono abbandonati sul tavolino del salotto dal giorno prima.
Sono le quattro del mattino e non sa perché sta ripensando a tutto quanto, sa solo che sono ore che prova ad addormentarsi ma nemmeno il respiro appena sbuffato di Stiles riesce a tranquillizzarlo abbastanza da permettergli di abbassare le palpebre e lasciarsi andare al sonno.
Si rigira un paio di volte tra le coperte, si volta ad osservare l’altro ragazzo dormire; resta a guardarlo per un po’. Ha le palpebre che tremano, le labbra screpolate, che ogni tanto si bagna istintivamente con la lingua, dischiuse. Derek sorride perché riesce ancora a vederlo bello dopo tutto questo tempo.
Non capirà mai le persone che si annoiano delle abitudini, che non trovano stimolante conoscere ogni singolo dettaglio della persona che hanno accanto.
Derek sa che a Stiles il caffè non piace perché secondo lui resta amaro anche dopo aver aggiunto sei zollette di zucchero alla tazza, sa che al mattino ancora prima di svegliarsi la prima cosa che fa è poggiare un piede contro la sua gamba come se avesse paura di vederlo scomparire e avesse bisogno di sentire che c’è, sa che gira le pagine dei libri pizzicandole dal centro, che mette due punti esclamativi dopo un qualsiasi termine quando vuole sottolinearne l’importanza anche se è a metà frase, che inciampa sempre sull’ultimo gradino, che l’odore di vaniglia gli dà fastidio e che adora la redbull nel thè. Conosce ogni suo punto debole, ogni lembo di pelle da baciare per farlo mormorare o mugolare, le posizioni che preferisce, la sua passione per gli artigli che gli graffiano i fianchi durante l’amplesso. Sarà pure stato divertente ed emozionante, scoprirsi, in passato, e Derek sa che è un tipo d’emozione che non tornerà più. Ma, davvero, non riesce a vedersi annoiato da tutti quei piccoli dettagli che fanno Stiles. Li conosce e adora osservarli tutti quanti, giusto per vantarsi con se stesso per quante cose non sapeva e quante invece ha imparato a scoprire e notare con il passare del tempo.
Non è vero che la persona giusta continua a sorprenderti.
La persona giusta, secondo Derek, ti fa semplicemente apprezzare le cose che prima ti sorprendevano ed ora ti fanno solamente sorridere rassegnato. Come quando anticipi le parole di qualcuno e ti senti scaldare le viscere, così si sente lui ogni volta che Stiles non lo sorprende per niente, essendo semplicemente se stesso.
Solleva lo sguardo al cielo quando si accorge di che strada hanno preso i suoi pensieri e sospira piano, silenziosamente, prima di sollevarsi dal materasso per poter uscire da quella stanza che sembra star diventando troppo piena di ricordi.
Poggia i piedi nudi sul pavimento gelido a causa del freddo di metà novembre e si stiracchia, i muscoli delle spalle in evidenza dall’assenza di una maglia si contraggono prima di rilassarsi.
Spegne il Baby Control -di cui non avevano assolutamente bisogno visti i sensi sviluppati di Derek- che tiene sul comodino, e che Stiles, da paranoico qual è sempre stato, ha insistito per comprare. Poi esce dalla camera in punta di piedi.
Attraversa i cinque passi di corridoio che la stanza della sua bambina dista dalla loro ed apre piano la porta per non rischiare di svegliarla, lei e quei suoi maledetti sensi ipersviluppati a causa della tenera età che stanno rendendo la loro vita impossibile.
Appena attraversa l’uscio l’odore di chicco gli colpisce il naso, pizzicandoglielo, ma si avvicina comunque alla culla per potersi sedere a gambe incrociate sul pavimento a guardare il suo visino dallo spazio tra le sbarre.
Mancano pochi giorni al suo primo compleanno e Derek ancora non ci crede. A volte guarda Stiles che le prepara il biberon di primo mattino, con i capelli scompigliati e l’aria stanca, e si spinge gli artigli contro il palmo della mano fino a sanguinare per accertarsi che sia reale.
Era cominciato tutto quanto con l’ironia, come ogni cosa cominciata tra di loro.
Stiles si era seduto sul divano accanto a lui mentre davano le repliche di Ghost Whisperer in televisione ed aveva esclamato dal nulla «voglio anch’io un bambino.»
Stava scherzando, ma Derek aveva comunque recuperato il cellulare ed aveva chiamato Cora per chiederle di fare da mamma surrogata al loro primo figlio.
Stiles stava scherzando. Derek, invece, no.
Si era sentito fissato dal suo ragazzo per tutto il tempo della telefonata, quando poi la risposta era stato un commosso entrambi avevano trattenuto il respiro ed avevano già fatto di uno scherzo un’idea, e di un’idea un progetto.
Progetto che è diventato realtà poco tempo dopo, quando il test era risultato positivo e Stiles gli aveva bisbigliato sconvolto che ce l’avevano fatta prima di abbracciarlo per evitare di crollare.
Derek se l’era stretto al petto e l’aveva pensato: ce l’abbiamo fatta sul serio.
Ce l’avevano fatta a riaccorciare le distanze che si erano creati facendo a pugni con se stessi per tutto quel tempo, ce l’avevano fatta a reggere, ad accettarsi, ad amarsi. Ce l’avevano fatta, insieme.
«Ce l’abbiamo fatta» gli sussurrò Derek all’orecchio.
Stiles pianse un po’ di più.
Non piange più da allora, l’ha fatto solo quando Reese è nata e l’ha tenuta in braccio per la prima volta.
Diventare genitore l’ha cambiato, ha cambiato tutti e due, e sfiorandole un pugnetto chiuso Derek si chiede come sia possibile essere così piccoli ed avere un potere così immenso.
L’ha amata dal primo momento nonostante non fosse figlia sua.
L’ha amata perché sangue del sangue di Stiles, e non riesce ad immaginare di poter fare diversamente. Non può non sentirla sua, mentre lei gli stringe l’indice tra le dita ed apre lentamente gli occhi, senza piagnucolare.
«Ciao, angelo mio» mormora, e mentre osserva quegli occhi ghiacciati che sono da sempre il simbolo degli Hale non può far altro che pensare guarda che miracolo.
Reese gli risponde con un mugolio, e lui porta la mano alla sua guancia per potergliela sfiorare con il pollice, trascinandosi il braccino della bambina con sé.
Uno sbuffo morbido ed affettuoso lo raggiunge alle spalle e, prima di voltarsi, Derek si chiede come sia possibile che un fagotto così piccolo di carne e mugugni riesca ad abbattere così tanto le sue difese da non fargli sentire più nemmeno il mondo che lo circonda, che continua a girare anche mentre lui continua ad accarezzarla senza sentire nient’altro che lei.
Stiles è poggiato contro lo stipite della porta e li osserva con lo sguardo di un padre fiero, di un compagno devoto. Ha il maglione pesante infilato al contrario, le mani completamente ricoperte dalla stoffa con cui giocherella nervosamente con le dita.
«E’ l’ora del latte, è sveglia per questo» mormora, e dal tono di voce si sente che è stanco.
«Dovremmo trovare il modo di-»
«So che è ora che smetta» lo interrompe, prima di farlo finire «ma Cora mi ha detto che Cal, il figlio di Taissa, ha smesso a due anni. Sarà una cosa mannara delle vostre.»
Il borbottio di Stiles fa ridere Derek e ridacchiare Reese, che si porta alle labbra il dito di suo padre che tiene ancora in pugno per mordicchiarglielo con le zanne.
«Tale padre, tale figlia!»
Stiles abbandona la stanza per dirigersi in cucina, offeso dai loro sghignazzi, e Derek continua a ridere mentre osserva la sua schiena allontanarsi in corridoio ed il suo cuore si riscalda come ogni volta che Stiles dà così facilmente per scontato che la figlia sia anche sua.
Non ha mai toccato l’argomento, non gliel’ha mai nemmeno indirettamente ricordato, nemmeno quando i litigi diventavano violenti e si sputavano addosso le cose peggiori che nemmeno pensavano ma che dicevano solo per farsi male.
Derek gli sarà sempre grato per questo.
«Derek!»
E’ stata solamente un’esclamazione, ma i due licantropi l’hanno sentito come un urlo. Entrambi sussultano, presi alla sprovvista, e le zanne di Reese affondano completamente nel suo dito per lo spavento.
«Okay, ci conviene andare prima che tuo padre decida di avvelenare il pranzo di domani con lo strozzalupo.»
Reese si lascia prendere in braccio e si lamenta un po’, poi gli schiaffeggia il volto con entrambe le mani ripetendo pà pà pà.
Derek e Stiles non hanno mai capito se voglia chiamarli papà o li veda solo come un distributore di pappa no-stop.
Stiles punta sulla seconda opzione. Lo fa anche Derek, ma per il bene della coppia finge sempre di scommettere sulla bontà di sua figlia. Ed anche perché l’idea gli scalda il cuore, ma questa è un’altra storia.
La storia di adesso è Stiles che prepara il biberon mentre Reese continua ad esclamare pà pà pà, e non importa se è il suo modo per chiamarli o è semplicemente il suo stomaco a parlare per lei, a Derek va bene così.
A Derek andrà sempre bene così.




   
 
Leggi le 17 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Leinki