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Autore: AnAngelWithBrokenWings    24/03/2016    3 recensioni
[dalla FF] *** "Ma, soprattutto, ogni volta che rischiava di ricadere nel peccato, dimenticandosi il motivo del suo viaggio, veniva richiamato prontamente dal suo poeta, che lo rindirizzava di nuovo verso la giusta strada.
Era per questo che lo ammirava.
Era per questo che lo amava... Si sentì improvvisamente avviluppato da una dolce stretta, inconfondibile...Ricordava ancora i baci che Virgilio aveva impresso sul suo volto stanco."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dante Alighieri, Virgilio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fa che tu m’abbracce


La sua guida era sempre stata così.
Insormontabile, irraggiungibile, inavvicinabile.
Per un verso, il Toscano provava un briciolo d’invidia nei suoi confronti, ma per l’altro nutriva una smisurata ammirazione per quel savio gentile che lo stava scortando di cerchio in cerchio, e lo aveva protetto come avrebbe fatto un padre col figlio.
Questo gli bastò a scacciare via anche il più piccolo sentimento di invidia verso il suo maestro.
Certo, doveva ammetterlo, a volte il poeta latino lo inibiva a tal punto da metterlo a tacere un bel po’, con i suoi rimproveri, misurati ma categorici, o con le sue occhiate severe. Ma immergendosi ogni volta in quegli occhi azzurri carichi di vituperio, il fiorentino, dentro di sé, ringraziava Iddio per avergli affidato quella guida: grazie a lui, Dante stava crescendo.
Mano a mano, stava apprendendo a discernere il bene dal male, l’utile dal giusto; stava acquisendo consapevolezza dei mali che mandavano in cancrena il mondo – Invidia, superbia e avarizia son le tre faville c’hanno i cuori accesi, gli disse Ciacco poco tempo prima. Ma, soprattutto, ogni volta che rischiava di ricadere nel peccato, dimenticandosi il motivo del suo viaggio, veniva richiamato prontamente dal suo poeta, che lo rindirizzava di nuovo verso la giusta strada.
Era per questo che lo ammirava.
Era per questo che lo amava.
 
Virgilio era già salito sulle spallacce di Gerione, ibrido di un leone, un serpente, uno scorpione e… un uomo. Il suo volto umano, sposato a quell’accozzaglia animalesca, faceva enorme ribrezzo al poeta fiorentino, che si trattenne un poco quando il suo signore lo esortò a montare.
Ma Virgilio fino ad allora aveva fatto tutto il possibile per proteggerlo, questo Dante lo sapeva, e sarebbe stato un atto di vigliaccheria non obbedire al proprio duce.
Perciò montò su quegli omeri pelosi, ancora impaurito, ma fiducioso nella guida che si era sistemato dietro di lui per non renderlo bersaglio del pungiglione di Gerione: ancora una volta Virgilio aveva previsto ogni inconveniente, e lo stava proteggendo. Era fatto così da un po’ di tempo, ormai.
E il toscano, che nonostante questo, provava ancora angoscia mista a paura in quell’aura inchiostrata e fetida, avrebbe voluto pregare il suo duca di cingerlo con le braccia, solo per quella discesa. Voleva soltanto la sua decisa stretta in quel momento, null’altro lo avrebbe confortato…
 

“Fa che tu m’abbracce”

 
Dante credeva di averlo detto, ma non fu così. Dalle sue labbra, secche e sottili come spilli, non uscì neanche una sillaba. Gli restò tutto in gola e decise di ricacciare la richiesta giù fino allo stomaco.
In fondo andava bene anche così. Forse, se avesse chiesto a Virgilio di abbracciarlo, lui lo avrebbe considerato un senza-spina-dorsale, un essere con lo stesso nervo di un lombrico.
Ma non fu così.
Il poeta fiorentino si sentì improvvisamente avviluppato da una dolce stretta, inconfondibile. Due mani fredde e affusolate lo avevano cinto all’altezza dello stomaco, le stesse mani che gli coprirono gli occhi davanti alle mura infuocate della città di Dite, per evitare che Medusa lo trasformasse in pietra; le stesse mani che gli avevano preso dolcemente il viso sulla barca di Flegìas, dopo che Filippo Argenti aveva cercato di trascinare il fiorentino dentro la melma fangosa dello Stigie.
Ricordava ancora i baci che Virgilio aveva impresso sul suo volto stanco.
Dapprima Dante, oramai più sbalordito che impaurito, sembrò non sentire per un attimo le grida disperate dei violenti contro Dio, la natura e l’arte, sferzati da una pioggia di fuoco e costretti a giacere su un sabbione bollente. I suoi occhi si erano concentrati sulle mani di Virgilio, la sua guida, il suo maestro, incrociate sul suo stomaco, dove ora battevano le ali decine di farfalle.
Così facendo, Virgilio lo tirò un po’ più appresso a sé, posizionò il suo volto sopra la spalla destra dell’allievo e gli sussurrò: “Non temere, io ci sarò sempre per te. Anche se tu non me o dici, il tuo cuore e i tuoi pensieri mi raggiungono ogni volta. E lo faranno ancora, anche dopo la fine di tutto questo” e alzò le ciglia verso i violenti ustionati dai fiocchi infuocati.
Mentre diceva questo, Dante girò leggermente gli occhi, il battito affannoso del suo cuore che tradiva il respiro apparentemente controllato. Sentì i bei riccioli neri del suo amatissimo poeta sfiorargli la guancia, contemplò il suo bel profilo caratterizzato da un naso dritto e liscio, ascoltò ogni parola di rassicurazione che usciva dalle sue labbra rosee. Profumava di vita. Gli pareva un angelo, fuori luogo all’Inferno.
Ah, il Caso! Perché aveva deciso di collocare la vita del mantovano prima della venuta di Cristo? Avrebbero potuto salvarsi insieme, per sempre. Due poeti destinati a vivere nella luce di Dio e bearsi del suono dei cori angelici per l’eternità.
 Sarebbe stata la più grande delle gioie.
Ma Dante sapeva che gli schemi di Dio non erano i suoi schemi. Sapeva che prima o poi Virgilio lo avrebbe lasciato. Se ne sarebbe andato presto, senza lasciare traccia di sé, come un’ombra.
Decise quindi di approfittare di tutto il tempo che avrebbe passato col suo maestro e, accennando a un debole sorriso nella sua direzione, fu ricambiato con un altro sorriso.
Era come guardarsi allo specchio.
Due metà che non avrebbero potuto mai unirsi.
Era ingiusto, frustrante per il fiorentino.
Voleva piangere.
Ma poi pensò agli insegnamenti del suo duce, che, pur essendo condannato nel Limbo, si era piegato al volere divino, senza mai ribellarsi.
‘In fondo, è questa la cosa giusta da fare’ pensò Dante.
Si fece coraggio e non permise ai suoi occhi, lucidi e tremanti, di straripare in lacrime pesanti.
Virgilio, guardandosi negli occhi scuri di quello che ora considerava un figlio, fece cenno di sì con la testa, come se, ancora una volta, avesse letto nei suoi pensieri. Quindi ritirò il capo indietro e strinse ancora più forte il pellegrino che gli stava davanti, mettendo a contatto il suo petto con la schiena esile di Dante.
 
Il latino ordinò dunque alla fiera di scendere nel cerchio successivo, dove li aspettavano i ruffiani e i seduttori.
 
 
 
*Angolo autrice*
Bene, ecco l’ennesima One Shot su Dante. Ultimamente in italiano andiamo un po’ a rilento, quindi ho deciso di armarmi di cuffie e ascoltare dal cellulare i canti dell’Inferno, secondo me la cantica più coinvolgente di tutta la Commedia. Ho ascoltato molti canti che nel mio libro di testo non sono trattati in versi, ma col riassunto, e, ascoltando il diciassettesimo, non ho potuto fare a meno di scrivere questa breve FF. La scena dell’abbraccio di Dante da parte di Virgilio mi ha fatto sciogliere come burro.
Spero che questa cosina vi piaccia. E se avete degli accorgimenti da darmi, sarò ben felice di accoglierli per migliorarmi nella scrittura.
Bye! :*
 
   
 
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