Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Korin no Ronin    24/03/2016    2 recensioni
Questa volta mi sono dedicata un po' a Naaza e al suo rimuginare su quello che gli accade intorno; a suo modo è geniale, anche se spaventoso, quindi, alla fine, ho ceduto alla tentazione di curiosare un po' nei suoi pensieri.
Ho problemi con la formattazione, scusatemi (_ _)
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Anubis, Dais, Sekhmet
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella stanza, sempre immersa nella semioscurità, il rumore del vento giungeva difficilmente, ma i suoi effetti non avevano alcuna difficoltà a raggiungerla. Chi la abitava, con la sua natura schiva, detestava quei momenti persino più degli altri, e ormai, a volte, anche il semplice oscillare della fiamme nelle lucerne riusciva a metterlo in allarme.
Naaza si concentrò, per qualche istante, sui suoni che provenivano dall’esterno: gli spettri non facevano più alcun rumore, finalmente, e questo poteva lasciargli sperare che avrebbe trascorso una nottata tranquilla, in solitudine, e, soprattutto, in silenzio. Il generale era infastidito dal suono dei loro strumenti, ma nessuno, tranne il loro padrone, sembrava mai fare caso, o preoccuparsi, del fatto che il suo udito, e tutti i suoi sensi, fossero più sensibili del normale; Arago, invece, gli aveva concesso una delle stanze più ritirate, senza che ci fosse stato bisogno di informarlo di alcunché. Non era nemmeno l'unico privilegio di cui aveva potuto godere fin da subito: oltre al silenzio, il demone aveva avuto anche la possibilità di andarsene dal palazzo nei modi e nei tempi che più desiderava; per fortuna, il signore del castello apprezzava enormemente il suo talento.
Immerso nella luce fioca, Naaza rigirò tra le dita uno stelo sottile, con delle minuscole foglie fresche all'estremità, e, infine, aggrottò le sopracciglia.
Ogni volta che ne maneggiava uno, aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa che non funzionava come avrebbe dovuto; non sapeva da dove gli venisse quell’idea bizzarra, però continuava a sorprendersi del fatto che nello Youjakai le piante crescessero con la poca luce che rischiarava il cielo; nel mondo degli umani aveva visto le piante tendere i loro rami verso l’alto, e lo aveva trovato logico, ma, forse, il luogo in cui viveva, semplicemente, soggiaceva a leggi diverse, per quanto a lui potessero sembrare strane.
Staccò una foglia e la morse con delicatezza. Anche il sapore della linfa, per quanto familiare, aveva qualcosa di diverso da quello che ogni volta si aspettava di avvertire. L’unica cosa che gli dava davvero sicurezza era il fatto che nulla, nei suoi esperimenti, mancava di seguire le previsioni accurate che li precedevano. La materia non tradiva mai, le sue leggi erano così perfette, e immutabili, da non lasciare alcun margine di libertà agli eventi.
La vita al castello era tutt’altra cosa, purtroppo.
Spezzò le foglie e le lasciò cadere nell’acqua bollente; non sempre preparava veleni, non di rado si concedeva il piacere di creare qualcosa per sé; specialmente da che era coinvolto nelle situazioni insane in cui il vento trascinava tutti loro. Prima che il loro padrone decidesse di tornare nel modo degli umani non era mai accaduto niente del genere.
Mescolò l’infuso con uno stelo aromatico e poi rimase a guardarlo mente cambiava colore.
A quel punto, non sapeva se avrebbe avuto più senso impegnarsi a maledire Kaosu o cercare un motivo per cui loro quattro dovessero trovarsi, a causa sua, in situazioni tanto disdicevoli. Per sua fortuna, i suoi compagni occasionali ben si guardavano dal rinvangare qualsiasi cosa a riguardo; nessuno di loro ne serbava mai un ricordo piacevole.
O, forse, “nessuno” non era il termine più adeguato.
Naaza era assolutamente certo che Shuten e Rajura non fossero minimamente consapevoli di quello che lui invece riusciva a percepire con tanta chiarezza. Quando si scontravano, in qualunque modo questo accadesse, i loro corpi erano molto più sinceri delle loro lingue. Rabbia, eccitazione e paura avevano più o meno lo stesso odore, e con un semplice ragionamento, per quanto li riguardava, era possibile escludere la terza, e anche la prima, almeno nei momenti in cui si trovavano a condividere tempo e spazio lontano dai campi di battaglia, o finché nessuno cominciava a lanciare parole pungenti ben sapendo dove colpire.
Con un gesto lento strinse tra i denti il bastoncino.
Era difficile che passasse un giorno senza che quei due si scontrassero, anche prima che le ire di Arago sconvolgessero così tanto le loro vite; l’arrivo di Shuten aveva già scatenato di per sè un putiferio, non era riuscito ad immaginare una situazione più fastidiosa di quella, prima che quella misteriosa maledizione legata la vento oltrepassasse gli shoji della sua stanza. Al di là di tutto, comunque, restava il fatto che la natura degli scontri tra i due demoni era mutata, e questo avrebbe potuto dare problemi in un futuro molto prossimo.
Sbuffò, infastidito.
Il quarto generale sembrava non dargli che noie, benché parlasse con lui solo lo stretto indispensabile. In verità lo divertiva anche: il modo in cui si infiammava alle provocazioni era davvero uno spasso nella monotonia della vita di palazzo, e non faceva altro che confermare quanto ancora fosse giovane. Eppure Arago lo aveva elevato ad un rango ben diverso dal loro, e non aveva mai compreso se fosse accaduto perché giudicava gli altri generali fin troppo fidati, o se avesse voluto, in qualche modo, mettere alla prova la loro fedeltà.
Portò l’infuso alle labbra e lo assaporò con piacere, grato della tranquillità notturna che lo circondava, quindi appoggiò con attenzione la tazza sul tavolino laccato e si alzò. Le notti non erano fredde in quel regno, come non lo erano nemmeno le giornate che si susseguivano senza che il cielo mutasse mai, se non per spegnersi del tutto al calare della notte. Continuava a trovare bizzarra la staticità del suo mondo, però era una considerazione che aveva tenuto solo per sé. Le piante crescevano e fruttificavano, quindi era chiaro che gli interrogativi che si poneva non appartenevano che a lui.
Accompagnato da una lanterna, abbandonò la stanza, per dirigersi verso la porta secondaria che utilizzava solo per le sue sortite notturne, dedicate alla ricerca dei fiori e dei frutti più letali che il regno potesse offrirgli. Non era difficile trovarli nei territori attorno alla città, così spogli che non sembravano essere in grado di generare altro che agonia e morte; era incredibile come, invece, nel castello, e nei cortili appartati dei quartieri cittadini, fosse possibile trovare la bellezza di una vegetazione rigogliosa. Anche lui, come gli altri, non aveva mai disdegnato i quartieri del piacere, anche se la sua natura sospettosa lo aveva fatto sempre muovere con estrema prudenza, e sempre da solo. Non gli interessava un granché che agli occhi dei suoi compagni apparisse come una specie di eremita folle; suo malgrado si era trovato a dimostrare il contrario e, in qualche modo, nel disagio delle notti ventose, aveva trovato divertente la perplessità che aveva visto sul viso degli altri.
Il generale si fermò e sbuffò appena. Rivangare certe cose non era nella sua natura, probabilmente era troppo tempo che non si impegnava in un esperimento degno di questo nome. Con un soffio deciso spense la fiamma: non c’era soldato che a quel punto non l’avesse visto. Tutti avevano l’ordine di non intralciarlo, a patto che lo avessero riconosciuto, e con il tempo, il demone aveva scoperto che quella era la soluzione migliore per non perdere tempo inutilmente. Appoggiò la lanterna e si avviò senza indecisioni nel buio.
L'oscurità, però, non era sempre sufficiente a nascondere tracce ed intenzioni.
Naaza avvertì chiaramente il profumo del sakè portato dalla brezza molto prima di decidere di chiedersi da che parte provenisse. Socchiudendo gli occhi spinse lo sguardo sull’acqua scura, e, poi, sulle struttura del castello. In quella zona l’edificio perdeva in parte la sua connotazione marziale: nelle parti interne Arago aveva voluto costruzioni che addolcissero la natura difensiva del suo palazzo. Con circospezione, il demone tornò sui suoi passi. Qualcuno stava passando quella notte tranquilla bevendo liquore in una delle stanze in disuso che davano sul lago del cortile interno. Definirlo come uno stagno ornamentale sarebbe stato riduttivo, ogni cosa nel palazzo era colossale, e per uno strano gioco dei voleri di Arago, sulle sue acque si riflettevano le luci della città, benché essa si trovasse al di là delle mura difensive. Il generale aveva immaginato che quella scelta fosse stata dettata dal desiderio di godere dalla bellezza dei giochi di luce sull’acqua, tanto più che quei riflessi luminosi erano visibili solo osservando il lago dal castello: ai suoi occhi, infatti, la superficie dell’acqua era buia come la notte che lo circondava.
Ciò che gli interessava in quel momento, tuttavia, era capire chi si stesse prendendo quella libertà durante un turno di guardia: gli ufficiali non erano tutti ligi al proprio dovere. Le punizioni, che venivano elargite largamente, avevano sempre garantito il funzionamento perfetto delle guarnigioni, ma chi occupava un grado più elevato, a volte, dimenticava di restare al proprio posto.
Si appiatti sul terreno e strisciò, fino a raggiunger la posizione ideale a studiare agevolmente quel lato del palazzo. Ricordava con orgoglio quando Arago gli aveva detto, in più di un’occasione, che se non fosse stato per la sua genialità nel manipolare veleni, gli avrebbe affidato sicuramente incarichi di spionaggio.
Non trovò ciò che si aspettava, ma qualcosa di sorprendente.
Nel buio che i suoi occhi sapevano penetrare, scorse Shuten e Rajura. Il demone delle Illusioni se ne stava scomposto, con un ochoko alle labbra, dicendo forse qualcosa serio, visto l’immobilità dell’altro, o forse qualcosa di così stupido da avere raggelato il suo interlocutore. Non era facile cogliere dei suoni comprensibili con il rumore delle onde.
Il demone provò un certo compiacimento nel trovare conferma alle proprie impressioni, però, ciò che vide un attimo dopo, fu così imprevedibile da sorprenderlo per davvero, come non gli accadeva da parecchio tempo.
Nella penombra vide Rajura sedersi e poi, con un gesto lento, cingere Shuten per attiralo a sé, così vicino da costringerlo a cavalcioni sulle sue gambe.
Naaza aggrottò le sopracciglia, indeciso se considerare quell’evento solo una conferma alle sue ipotesi, o il segnale di qualcosa di pericoloso. Se c’era un cosa che aveva imparato nelle notti di vento, era che tra loro era accaduto raramente che qualcuno si concedesse a quel modo, se non nella confusione delle prime volte che avevano dovuto affrontare quella situazione. Ora, davanti ai suoi occhi, i due demoni, che non perdevano occasione per accapigliarsi fra loro, si stavano carezzando le labbra a vicenda, e con un certo impegno, senza nessuna delle passioni che li avevano sempre animati.
Il generale analizzò di nuovo la situazione, cercando di mantenere la lucidità. Non era particolarmente interessato a quanto stava accadendo: ai suoi occhi era un fatto assodato che la tensione tra quei due andasse oltre la rivalità e il desiderio di ingraziarsi il loro signore. Ciò che lo aveva messo davvero in allarme era il sospetto di un tradimento. Dopo qualche istante, però, sollevò un angolo della bocca; avrebbe riso, se non avesse avuto il timore di essere udito. Se c'era una cosa di cui non avrebbe mai potuto dubitare era la fedeltà di Shutendoji verso il loro padrone; per quanto gli pesasse ammetterlo, non c'era tra loro persona più degna di fiducia a riguardo: il fatto che la yoroi lo servisse fedelmente ne era una dimostrazione più che palese. Pensare che avrebbe tradito in favore di Rajura, o con il suo aiuto, era un'ipotesi folle. Il modo in cui i due generali si stavano concedendo l'uno all'altro, però, era così intimo da confonderlo, ed esulava da tutto quello che lui aveva sempre creduto di sapere riguardo al desiderio.
Si morse leggermente il labbro inferiore, cerando di trovare una risposta che lo soddisfacesse, e, infine, crollò appena le spalle. A volte dimenticava che il mondo in cui si trovavano viveva in funzione di Arago; per lui, che aveva percorso il mondo degli umani, forse era stato impossibile evitare di trasmettere ai suoi soldati l’influsso delle esperienze che aveva vissuto in quel mondo: nessun demone, altrimenti, avrebbe avuto bisogno del cibo, del sonno, dei piaceri della città o del modo in cui i suoi pari stavano trascorrendo il tempo.
D'un tratto sollevò un angolo della bocca, piegando le labbra in un sorrisetto cattivo.
Aveva la possibilità di vedere quanto stava accadendo, ma non poteva essere certo che il suo compagno d'armi non stesse sfruttando le proprie arti per ottenere quello che voleva: non avrebbe potuto domare tanto facilmente quel ragazzino impudente, altrimenti. Certo, poteva essere considerato un comportamento disdicevole, tuttavia, nell’economia della guerra, non gli parve che un simile passatempo avrebbe potuto arrecare qualche danno, se non una scaramuccia in più che si sarebbe consumata tra le mura del castello.
Strisciando, Naaza si allontanò e si diresse velocemente verso la minuscola porta che dava all’esterno. Immerso nel buio, lontano da orecchie indiscrete, si concesse una risatina maligna.
L’indomani Shuten avrebbe smesso di essere tanto accondiscendente, soprattutto conservando memoria degli avvenimenti della notte; non vedeva l’ora di scoprire in che modo avrebbe attaccato briga con Rajura , e la cosa migliore, e ancor più divertente, sarebbe stato essere il solo a conoscerne il motivo.

  
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