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Autore: _Cthylla_    25/03/2016    3 recensioni
[One-shot strettamente legata ad OCs di "La Luna Dorata". Consiglio la lettura soltanto a coloro che conoscono la long.]
Pitch | (Harlequin) Saturnali | Anine/April Saturnali | ...?...
Nell'anno 1336, la vita di una bambina non comune viene stravolta da uno sfortunato "scontro" con lo spirito sbagliato.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Luna Dorata'
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Sentieri a malapena visibili, cespugli incolti e alberi dalle chiome tanto intricate da impedire al sole di riscaldare il terreno con i suoi raggi.
Erano molti gli abitanti del villaggio di Ega che non si sentivano tranquilli ad addentrarsi nel bosco, ma ciò non valeva per Anine Sørendatter, che a soli sette anni conosceva quel posto come i palmi delle proprie mani: ciò non era dovuto solo alla vicinanza tra casa sua e la selva, ma anche al fatto che le piante che crescevano al suo interno rappresentassero da anni l’unica fonte di guadagno della sua famiglia. Søren Arnessen, suo padre, era deceduto in mare quando lei aveva appena un anno, quindi sua madre e sua nonna materna erano state costrette ad adattarsi e, grazie alla conoscenza che nonna aveva delle piante, si erano messe a raccogliere erbe e piante per produrre infusi, decotti e polveri medicinali di vario genere.
Da quando Anine aveva raggiunto l’età per capire, poi, avevano iniziato a trasmetterle tutte le nozioni necessarie. Aveva facoltà di apprendimento piuttosto rapide, ed era una fortuna…perché le lezioni che le venivano impartite non erano soltanto quelle di erboristeria.

Continuando a camminare, “aprì” la mente e iniziò a scandagliare i pensieri di tutti gli esseri viventi presenti nella foresta. Voleva trovare una persona.
Avrebbero potuto darsi appuntamento sempre nello stesso posto, ma non farlo le consentiva di esercitare ulteriormente il potere della sua mente, esattamente come sua nonna desiderava che facesse. Ovviamente sua madre non sapeva nulla di poteri ed esercizi, era un segreto custodito gelosamente da loro due. Era stata la prima cosa che sua nonna le aveva detto: “non rivelare niente a nessuno, o le cose potrebbero finire molto male”.

Anine non era una sciocca e, sebbene nel villaggio di Ega non fosse mai accaduto nulla, aveva presente il concetto di “caccia alle streghe”; lei, come sua nonna, era una senza dubbio una piccola strega, anche se non era affatto cattiva come le persone si ostinavano a dipingere quel tipo di donne, e non aveva mai avuto “commerci con Satana”.
Non sapeva neppure cosa si intendesse con “commerci”, a dire il vero.

“dove sei, Titus?...oh, eccolo”.

La bambina iniziò una corsa sostenuta, seguendo la fonte dei pensieri che aveva captato. La lunga gonna marrone le impicciava un po’, ma nel corso degli anni aveva imparato a non farci caso più di tanto, e ben presto giunse in una radura scaldata dal tiepido sole primaverile.

«iniziavo a credere che oggi non saresti venuta, ma poi per fortuna ho sentito la tua vocina nella mia testa».

«no, uffa…non dovrebbe accadere!»

«affinerai le tue abilità col tempo, non ti preoccupare».

Lei rispose con un debole sorriso. «ne sei sicuro?»

«ma certo!»

Anine aveva conosciuto quell’uomo un anno prima, proprio durante una delle sue gite nel bosco.  Aveva percepito immediatamente che non era un essere qualunque, ma una creatura “speciale” esattamente come lei, e si era stupita ancor di più nel venire a conoscenza del fatto che, teoricamente, lei non avrebbe dovuto essere in grado di vederlo. Titus Quinctius Saturninus -o “Saturnali”, come si faceva chiamare- era in grado di rendersi invisibile agli occhi dei mortali, ed era quel che aveva fatto, solo che con lei non aveva funzionato.

Per Anine era stato bello incontrare qualcun altro di “non comune” oltre sua nonna, e lo stesso discorso era valso per lui, tanto che da quel giorno in poi si era fermato lì con la sua nave volante e non era più ripartito.

In quell’anno di conoscenza le aveva raccontato tantissime storie pazzesche sui luoghi lontani che aveva visitato e sulle persone e le creature magiche che aveva conosciuto, aprendole gli occhi sul fatto che il mondo era ancor più grande e misterioso di quanto lei avesse mai pensato. In quanto donna ed erborista aveva dei doveri e degli obblighi che non le avrebbero mai consentito di fare la stessa cosa -per non parlare del fatto che, contrariamente a quella di Titus, la durata della sua vita era limitata- ma era riuscito a farla almeno sognare.

Peccato che non tutti gli esseri magici fossero altrettanto buoni e simpatici, pensò.

«Occhi Blu, va tutto bene?» le chiese Saturnali, preoccupato nel vederla adombrarsi.

No, non andava tutto bene: la passeggiata nel bosco non poteva né doveva farle dimenticare il vero motivo per cui si trovava lì. «per ora sì, ma non so…Titus, due notti fa è successa una cosa…» esordì, sedendosi sull’erba.

«dimmi tutto».

Pur avendo già parlato dell’accaduto a sua nonna, Anine si sentiva ancora giustamente scossa, e sperava che raccontare tutto anche a Titus l’avrebbe aiutata a tranquillizzarsi. «tu sai chi è l’Uomo Nero?»

Ecco, ora Saturnali si sentiva molto peggio che preoccupato.

Certo che conosceva l’Uomo Nero, tutti quanti lo conoscevano: era spuntato fuori da chissà dove pochi anni dopo il 500, e il suo potere e la sua fama erano cresciuti con grande rapidità. Aveva sfruttato molto bene la fragile situazione in cui si trovava quella parte del mondo, utilizzando i propri poteri per portare ancor più terrore e superstizione di quanti ce ne fossero già. Lui alimentava la paura, e la paura alimentava lui, in un ciclo senza fine…almeno fino a pochi anni prima.

«purtroppo si sente parlare spesso di Pitch Black. Perché me lo chiedi?»

L’Uomo Nero era ancora piuttosto potente, ma ora c’erano quei nuovi spiriti su cui si vociferava tanto, un certo “Uomo nella Luna”, quattro cosiddetti “Guardiani” e un tal…come si chiamava quel ragazzo? Night-qualcosa? Vabbè. Quel che contava era che, finalmente, qualcuno combattesse contro quel tizio e ottenesse risultati concreti. La stragrande maggioranza degli spiriti, per vigliaccheria, debolezza o disinteresse, non aveva osato attaccare Pitch, ma c’era già stato qualche tentativo da parte di alcuni tal senso -pochi, pochissimi- ed erano finiti tutti quanti con la vittoria schiacciante dell’Uomo Nero.

Se solo i suoi poteri fossero stati un po’più forti lui stesso, da buon quirita, sarebbe sceso in battaglia, ma purtroppo non era così; si era detto, quindi, che era meglio lasciar fare a coloro che possedevano i mezzi necessari a contrastarlo, e continuare a farsi i fatti propri.

«l’ho incontrato» disse piano la bambina, allontanando dal collo le lunghe ciocche di capelli biondo miele «non è stato molto bello».

L’uomo si sentì gelare quando vide le ecchimosi sull’esile collo di Anine.

Perché? Perché Pitch aveva fatto del male personalmente a quella bambina, perché proprio a lei?!

«cosa…perché? Perché ti ha fatto…» farfugliò «cos’è successo?!»

«c’era il temporale, ho passato la notte in casa di due bambini miei amici, e a un certo punto è arrivato lui. Avevamo paura che fosse un demone e che volesse farci del male, e allora io ho pensato…lui è un demone, io una specie di strega…ho creduto di poterlo combattere».

ho creduto di poterlo combattere”. Anine Sørendatter, a soli sette anni, era più coraggiosa di tanti elfi pluricentenari che aveva conosciuto…ma in quel caso non poteva portare nulla di buono. «e cos’hai fatto?»

«ho guardato nella sua testa e ho visto, Titus…è stato orribile!» esclamò la bambina, con aria sinceramente affranta «non so dire se sia peggio quel che ha fatto lui, o quel che gli è stato fatto per farlo finire così! Pitch era un uomo buono, non si meritava quel che gli è successo, e sta tuttora molto male. Per questo che io ho fatto capire ai miei amici che l’Uomo Nero non va odiato né temuto, e li ho convinti. Non avevano più paura, e lui non riusciva più a toccarli. Io non ho fatto niente» mormorò «ho detto solo la verità. Starebbe meglio anche Pitch, se smettesse di comportarsi come un pazzo».

«scommetto che lui era di tutt’altra opinione» commentò Saturnali, con uno sguardo cupo negli occhi neri.

«mi ha afferrata per la gola e mi ha detto che pagherò caro per il mio affronto. Non so come ci sia riuscito, nemmeno io a quel punto avevo più paura».

«ci è riuscito perché tu non sei come gli altri due bambini, il solo fatto che tu riesca a vedermi nei momenti in cui mi rendo invisibile agli umani lo dimostra. E poi?» la incalzò l’uomo, sempre più allarmato.

«basta. È sparito. La mattina dopo sono tornata a casa e l’ho detto a mia nonna. Per adesso stiamo in guardia, ma lui non si è visto» si mordicchiò il labbro inferiore «magari le sue erano minacce a vuoto, mi voleva soltanto spaventare, in fondo io non gli ho fatto nien-»

«oh, andiamo! Sei entrata nella sua testa, hai visto di cos’è capace e tu speri che le sue siano minacce a vuoto?! Anine» Saturnali s’inginocchiò a terra e afferrò con fermezza le spalle della bambina «ascoltami. So che ti sembrerà assurdo, so che probabilmente mi darai del pazzo, ma è meglio per te se ora noi saliamo su quella nave» indicò l’imbarcazione, che fluttuava pigramente sopra gli alberi «e ce ne andiamo subito».

«cosa?! Ma no, non posso!» protestò la bambina «non posso lasciare la nonna, la mia mamma, non posso!»

«l’Uomo Nero ti ha minacciata. Se ha detto che vuol fartela pagare puoi star sicura che ci proverà. Forse non l’ha fatto ieri, non l’ha fatto oggi e non lo farà domani, ma un giorno tenterà, e io temo che possa riuscirci. Tua nonna non potrà proteggerti sempre».

«perché dici così? Perché mi vuoi spaventare?! Sei cattivo!»

Le parole di Anine ferirono leggermente Saturnali, nonostante sapesse che a parlare era soltanto la paura. Titus Quinctius Saturninus, da giovane, aveva avuto un padre, una madre e un fratellastro -oltre a vari cugini con cui aveva avuto solo una conoscenza superficiale- ma non aveva ricevuto particolare affetto da nessuno di essi, tanto per utilizzare un eufemismo; Anine invece aveva imparato in fretta a fidarsi di lui, e anche a volergli bene per davvero. Era l’incrocio tra una sorella minore e la figlia che, per un motivo o per l’altro, non aveva mai avuto: saperla minacciata da uno come Pitch Black era l’ultima cosa che desiderava.

«non sono cattivo, ma ho paura per te, e non voglio che ti accada altro di male. Staremmo sempre in viaggio, lui avrebbe meno probabilità di trovarti, e magari in questo lasso di tempo questi famosi “Guardiani” riusciranno a batterlo per davvero. Anine, te lo chiedo per favore: vieni via con me».

«no, non posso, davvero» ribatté lei, scuotendo testardamente il capo «non penso che succederà davvero qualcosa! Pensaci bene: perché l’Uomo Nero dovrebbe perdere tempo proprio con me? Io sono solo una bambina!»

«appunto, tu sei solo una bambina, eppure lo hai umiliato. A maggior ragione temo che non intenda passarci sopra, io…se vuoi posso portare via anche tua madre e tua nonna, non m’importa, ma vieni con me!»

«non lascerebbero mai il villaggio, e qui ci vogliono bene. Nessuna di noi verrà via, ma se tu non te la senti di rimanere puoi andare, io capirei».

«no» ribatté Saturnali, deciso «non mi muoverò di qui senza di te, o di voi».

«allora mi sa che resterai ancora per molto tempo».

 

 

 

***

 

 

 

Quello non era un bel periodo per Pitch Black.

Aveva passato secoli ad imperversare nel mondo, creando e rafforzando la sua egemonia. I popoli delle terre emerse, specialmente nella parte del mondo in cui sorgeva la città di Venezia -sotto la quale si trovava il suo regno- erano stretti in una morsa di tenebre, paura e ignoranza, che lui si curava di alimentare in ogni modo tutti i giorni, e gli spiriti residenti su quel pianeta erano troppo vigliacchi o troppo deboli per contrastarlo, tanto che aveva dato una lezione definitiva a quei poveri balordi che ci avevano provato. Tutto sembrava andare per il verso giusto, nulla gli aveva mai fatto credere che fosse possibile assistere a un’inversione di tendenza, specialmente perché lui stesso non avrebbe permesso che si verificasse. Si sentiva potente, anzi, era potente, imbattibile, invincibile. Quel mondo era il suo regno, il suo oscuro dominio, e non avrebbe permesso a nessuno di strapparglielo via: era tutto quel che possedeva.

Era consapevole che nella sua vita ci fosse stato “qualcosa” prima di finire in quel pianeta, ma non era riuscito a dare maggior consistenza a quei vaghi sprazzi di memorie nebulose. A volte erano dei volti, a volte dei nomi, a volte dei luoghi, ma si mescolavano tutti insieme in un caos senza senso, e aveva deciso di non darci troppo peso.

Poi erano arrivati Nightlight, l’Uomo nella Luna e i Guardiani, e alcuni suoi ricordi avevano ricominciato a prendere forma. Il cosacco e la fata piumata erano nuovi, del tutto autoctoni, ma gli altri no: l’Uomo nella Luna era il principe Lunanoff, colui che non aveva mai avuto incubi; Nightlight era il protettore del principe, ed era a causa sua e dell’ultimo scontro affrontato se erano finiti sulla Terra; il Pooka era l’ultimo di una razza che lui stesso aveva sterminato “perché sì”, e Sandman…non ne era molto sicuro, ma aveva l’impressione di aver già incontrato anche lui.

Nulla di grave, i nuovi ricordi gli avevano solamente offerto un quadro più chiaro di chi fossero i suoi nemici e di come fosse finito lì, il che era più che sufficiente. L’unica cosa che gli importava era sconfiggerli prima che iniziassero a dargli ulteriori grattacapi: quei piccoli balordi si stavano rivelando sin troppo fastidiosi, tanto che in pochi anni avevano già iniziato a corrodere quel che lui aveva costruito in secoli di lavoro.

Era anche questo il motivo per cui aveva iniziato ad agire anche nei villaggi piccoli come quello in cui si era recato ormai cinque notti prima, come si chiamava?... Ega. Ogni stilla di terrore era preziosa, si era detto.
Ma aveva fatto male i conti.

Emise un gemito soffocato, portandosi le mani alle tempie. Stava succedendo ancora. Quello era soltanto l’ultimo attacco di una lunghissima serie.
Sforzandosi senza successo di riacquisire un minimo di dignità nel portamento, raggiunse a fatica il suo trono e vi si accasciò, con le palpebre serrate e i denti digrignati.
Quando la piccola strega l’aveva affrontato, Pitch aveva avvertito distintamente una presenza estranea nella sua testa, e dopo…dopo era successo tutto in un attimo.
Aveva avvertito un’intensissima fitta di dolore in tutto il cranio, poi erano arrivati i ricordi. Una quantità immensa d’immagini, di voci e, soprattutto, le sensazioni. Era riuscito a sopportarlo solo il tempo di vederla convincere gli altri bambini a non temerlo, poi non aveva potuto fare altro che giurarle vendetta e ritirarsi, andando a languire in un posto isolato.

Quella maledetta bambina non aveva la minima idea di quel che gli aveva fatto. Aveva letteralmente scoperchiato il vaso di Pandora, e non c’era né modo di rimettere al suo interno tutto quel che ne era uscito, né di arrestare il processo.
In quei giorni era stato costretto a sopportare fitte alla testa quasi continue, dolorose come la prima, e ognuna di esse gli aveva fatto rivivere in poco tempo lunghi periodi della sua vita passata. Ad ogni atroce stilettata di dolore si rendeva sempre più conto di essere nient’altro che l’ombra di un uomo che aveva perso tutto quel che aveva di più caro, e per cosa?! Per essere stato un High General of the Galaxies fin troppo bravo nel suo lavoro di difendere un regno!

Non era solo una tortura, era qualcosa di peggio. Era come perdere tutto quanto una seconda volta. Avvertire una sofferenza antica come se fosse stata nuova, concentrata tutta in pochi minuti, era più di quanto si potesse umanamente sopportare…e nella sua vita precedente come Kozmotis Pitchiner ne aveva provata fin troppa, di sofferenza. Ne aveva avuta abbastanza per due o tre vite intere.

«c-che tu sia dannata, p-piccola…lurida…strega!!!» gridò, con voce rauca e respiro affannato. Si rannicchiò su se stesso, inconsapevole delle lacrime scivolavano lungo le sue guance scarne, dovute a un dolore non soltanto fisico «te la farò pagare, te la farò pagare cara, fosse l’ultima cosa che faccio!!!»

Avrebbe atteso che le fitte e le ondate di ricordi si diradassero un po’, poi si sarebbe mosso. Non sarebbe stato troppo difficile, e quella piccola bastarda avrebbe passato esattamente quel che stava passando -di nuovo!- lui: non le sarebbe rimasto più niente.

 

 

 

***

 

 

 

«hai visto qualcosa di strano, Anine?»

«no, nonna. Voi l’avete visto?»

Una donna sulla cinquantina, alta e vestita di nero, scosse la testa. «assolutamente. Comincio a pensare che le sue fossero parole vuote: le creature come quella tendono a sorprendersi e spaventarsi molto, quando un mortale riesce a usare contro di loro alcune capacità particolari, e penso che nel tuo caso se l’aspettasse ancor meno. I miei poteri sono arrivati quando sono diventata donna» disse, riferendosi al momento dello sviluppo «tu invece…»

Quelle che lei condivideva con Anine erano capacità che si tramandavano da tempo immemorabile nella linea di sangue della sua famiglia. Capitava che saltassero qualche generazione, e da che ricordasse non c’erano mai stati uomini che le avessero manifestate, ma prima o poi finivano sempre col rispuntare fuori, e Anine prometteva molto più che bene. Doveva soltanto evitare di parlare a chicchessia del suo dono, e imparare a controllarlo come a suo tempo aveva fatto lei.
Nessuna donna della sua famiglia era mai finita bruciata viva o simili: i poteri che possedevano l’avevano sempre impedito, dal momento che agivano più che altro sulle menti altrui. Lei, per esempio, al momento influenzava l’intero villaggio di Ega, istigando tutti a voler loro bene. Se non l’avesse fatto, probabilmente sarebbero finite male da un pezzo: tre donne che vivevano sole e s’intendevano di erbe che curavano i malati? Opera del demonio!

«quindi voi pensate che possiamo stare tranquille?»

«non vedo perché no e, se mai tornasse a seccarti, lo caccerò via. Non preoccuparti, e cerca di rassicurare anche il tuo amico: non c’è bisogno di scappare da alcuna parte. Andarcene chissà dove su una nave volante…che follia».

«lo ha detto perché teme per me, non perché è matto» disse Anine «e voi non conoscete  l’Uomo Nero, nonna, mentre lui sapeva chi è».

«quel che conta è che tu, da sola, lo hai costretto a ritirarsi. Non può essere tanto difficile da battere» minimizzò «vai a dormire tranquilla, piccola».

 

 

 

[…]

 

 

 

Un grido strappò bruscamente Anine dal suo tranquillo sonno, inducendola ad abbandonare immediatamente il giaciglio e correre nella stanza accanto con gli occhi sgranati dalla paura. «mamma!» strillò «mamma, che cosa-»

Ammutolì bruscamente, trovandosi davanti a una scena che nel corso della vita nessuno, tantomeno una bambina di sette anni, dovrebbe mai vedere.
La stanza era piena di sangue, e Anine si trovò così vicina al cadavere di sua nonna da potersi vedere riflessa nei suoi occhi vitrei. Quelli erano l’aspetto più spaventoso, assieme all’espressione: i tratti del suo volto erano deformati dall’odio allo stato puro, tanto da conferirle qualcosa di selvaggio, di bestiale. Mosse un ulteriore passo in direzione di quel che restava di sua nonna, incapace di distogliere lo sguardo da lei, dallo squarcio che le aveva aperto in due il ventre.

Com’era potuto succedere? Pensava che nessuno potesse farle del male, nessuno…

«pagherai» le sussurrò all’orecchio una voce maschile melliflua quanto maligna, mentre delle dita lunghe e forti le stringevano le spalle «e non illuderti, piccola: questo è solo l’inizio».

Dopo essersi irrigidita, la bambina iniziò a tremare e si accasciò a terra, scoppiando in un pianto dirotto.

Era l’Uomo Nero. Alla fine si era vendicato, proprio come aveva detto.

“se mai tornasse a cercarti lo caccerò via”.

“tranquilla, piccola”.

“non c’è bisogno di scappare da alcuna parte”.

“non può essere così difficile da battere”.

Si erano sbagliate entrambe, e se ciò era costato la vita a sua nonna non osava pensare a cosa stessero per andare incontro lei e sua madre.

Ciò che successe dopo fu molto confuso. Sentì sua madre dirle qualcosa, forse farla alzare da terra, e poi altre parole, parole…suoni senza significato, per lei, che era in condizioni tali da capire ben poco di quel che stava accadendo.
Forse sua madre la fece sedere accanto al focolare, o forse no.
Forse la lasciò sola in casa col cadavere per andare a chiedere aiuto agli abitanti del villaggio, o forse no.
La mente di Anine era uno dei suoi punti di forza, ma aveva già ceduto. Non riusciva a sentire e comprendere i propri pensieri -non ne aveva neppure di concreti- figurarsi quelli altrui. Sapeva solo che sua nonna era morta, e per cosa? Perché lei aveva voluto fare la temeraria e affrontare la persona sbagliata. Era colpa sua, sua, sua soltanto.

Il ritrovamento era avvenuto di mattina, ma quando si riscosse era calata la sera. Fu il suono della porta che sbatteva a risvegliarla dal torpore.

«…assurdo, proprio assurdo, perché? Solo perché l’espressione sul suo viso era…streghe…non ha senso!»

«m-mamma, cosa succede?»

Fino al giorno prima erano state molto amate tutte e tre nel villaggio, ma le cose erano cambiate da quando i compaesani erano arrivati ad aiutarla a portare via il corpo di sua suocera. L’espressione sul volto del cadavere li aveva spaventati, e avevano iniziato a guardarla con occhi diversi, oltre che a mormorare. Sembrava che qualcuno, durante la notte e nell’arco della giornata, non avesse fatto altro che suggerire agli abitanti di Ega che la donna morta era una strega, e che le altre due erano esattamente come lei. Avevano persino tirato in ballo la morte di suo marito Søren, che secondo la nuova versione era “morto in mare perché viveva con delle streghe”.
Assurdo. Avevano sempre fatto così tanto per i loro compaesani, e adesso…

La madre di Anine si morse nervosamente il labbro inferiore, senza avere il coraggio di risponderle. «no, niente…niente. Stai tranquilla».

«non dire bugie!» gridò la bambina «non ci sto tranquilla, anche la nonna mi aveva detto di stare tranquilla, e lui l’ha uccisa!»

«“lui”? Lui chi? Anine, sai qualcosa e non me l’hai detto?!»

«è stato l’Uomo Nero» affermò lei con un sussurro «me lo aveva detto, che si sarebbe vendicato».

I capelli scompigliati e i grandi occhi blu dalle pupille dilatate a causa della penombra rendevano Anine veramente inquietante, almeno agli occhi della madre, che sentendola parlare così temette che avesse perso il senno. «tu sei solo sconvolta, non sai quello che dici, non-Anine!!!»

La bambina saltò giù dallo sgabello e corse fuori addentrandosi nel bosco, incurante dei richiami della madre. Perché perdere tempo a parlare con qualcuno che non le credeva? Doveva andare da chi sapeva, da chi aveva sempre saputo...perché era stata così stupida da non dargli retta?! Come aveva potuto avere tanta fiducia nel fatto che Pitch avrebbe lasciato correre, dopo quel che aveva visto nella sua testa?!

Corse e corse, indifferente agli arbusti che la graffiavano, alla durezza del terreno sotto i suoi piedi scalzi. Provò ad aprire la mente per trovare Saturnali, ma non ci riuscì, e non c’era da stupirsene.

«Titus!!!» gridò, sperando che potesse sentirla. Ripeté più volte il suo richiamo, ma solo la quinta volta ricevette risposta, e l’uomo spuntò tra gli alberi.

«cos’hai?! Cos’è successo?!»

«l’ha uccisa, ha ucciso la nonna, tu avevi ragione e io non ti ho ascoltato» farfugliò, scossa da violenti singhiozzi «avevi ragione, e adesso anche la mamma ha qualcosa, io non so cos’è successo, ti prego, aiutami…»

Per il momento Saturnali non poteva far altro che abbracciarla, cercando di trasmetterle una sicurezza che lui stesso non sentiva di avere. Era un grumo di preoccupazione e rabbia. Preoccupazione per Anine e quel che era accaduto alla sua famiglia; rabbia perché aveva passato undici notti più vicino a casa della bambina proprio per proteggerla -dormendo qualche ora dall’alba al primo pomeriggio- e l’Uomo Nero si era deciso ad agire proprio durante la dodicesima, in cui invece non era stato di guardia. Non che avrebbe potuto fare molto contro di lui, ma avrebbe quantomeno tentato.

«per tua nonna è tardi, ma tu e tua madre siete ancora in tempo. Andremo via tutti e tre» sentendo la bambina poggiare la testa sulla sua spalla chiuse gli occhi, e la strinse ancor più forte «tutti e tre».

Già un minuto dopo, tuttavia, qualcosa gli fece iniziare a temere che non sarebbero riusciti a tener fede ai loro programmi.
L’odore del fumo, per la precisione, accompagnato dalle urla di svariate voci maschili, e rumori lontani.

Anche Anine avvertì tutto ciò, e si staccò bruscamente da lui, voltandosi indietro. «mamma».

«no, Anine, non è detto-»

«mamma!!!»

Saturnali non riuscì a trattenerla e, per la seconda volta in quel breve arco di tempo, Anine si lanciò in una corsa forsennata, di nuovo sorda ai richiami di chiunque.
Era colpevole della morte di sua nonna, ma se fosse successo qualcosa anche a sua madre non avrebbe potuto perdonarselo. Se lei non fosse scappata, se fosse stata presente!…

Dopo un tragitto che le parve interminabile, risbucò poco lontana da casa sua, e quel che vide la bloccò .
Il posto in cui era nata e cresciuta, dove aveva passato tutta la propria vita ed erano custoditi i suoi pochi averi, era stato dato in pasto a fiamme già alte, che stavano divorando il tetto; oltre a ciò, un folto drappello di uomini armati stava trascinando via sua madre, la quale cercava di divincolarsi in ogni modo, tra pianti e strepiti.

«mamma…mam-MMMPH!!!»

Una grossa mano le chiuse la bocca, e un braccio le cinse con forza la vita. In pochi istanti Anine fu portata in un luogo più nascosto rispetto a quello dove si trovava prima, ma che allo stesso tempo le consentiva una perfetta visuale.

«è uno spettacolo molto gradevole, non trovi?»

Sebbene non potesse vederlo, neppure in quel caso Anine ebbe dubbi sull’identità di chi la stava trattenendo. Avrebbero voluto andarsene per sfuggirgli, ma ancora una volta l’Uomo Nero era arrivato prima.

«un falò è proprio quel che serve, in questo periodo qui le notti sono ancora piuttosto fredde…oh, è inutile che ti agiti!» le disse, con una breve risata «non potresti salvare tua madre neppure se decidessi di lasciarti provare, tentativo che naturalmente non ti concederò. Mi hai arrecato un torto estremamente grave, Anine. Non hai idea quanto…ed è giusto che tu abbia quel che ti meriti».

La bambina assistette impotente alla vista di sua madre che veniva trascinata via, che cadeva a terra, che veniva presa a calci dagli stessi uomini che aveva curato.

«non è ancora il tuo momento» proseguì Pitch «prima assisteremo insieme al processo e alla condanna di tua madre. La vedremo ardere, annegare, o forse squartare, chi lo sa: voi umani siete così fantasiosi nel mutilare e uccidere i vostri simili! Ci divertiremo un mondo te l’assicuro. E poi…solo poi…mi occuperò di te».

Appena terminata la sua minaccia però Pitch colse un movimento di fianco a lui…

«argh!!!»

E riuscì a spostarsi appena in tempo perché l’affondo destinato alla sua schiena finisse col trafiggergli solo una spalla, lasciandolo dolorante e facendogli perdere la presa su Anine.
Venne spinto di lato con forza da qualcuno, cadde a terra, e solo allora riuscì a vedere in faccia il colpevole di quell’affronto, un uomo basso a lui del tutto sconosciuto che aveva preso in braccio la bambina. «chi osa?!...»

«sono Saturnali, bastardo! Ricordatelo!»

Non aveva mai sentito tanta rabbia pulsargli nelle vene, neppure quando il suo fratellastro aveva tentato di ucciderlo, e forse fu proprio quella a consentirgli di sfruttare la sua telecinesi a livelli cui non era mai arrivato prima: con un solo cenno della mano, infatti, tutte le armi in possesso di quel gruppo di uomini lasciarono i loro proprietari per volare contro l’Uomo Nero!

Purtroppo Saturnali non aveva tempo di rimanere a vedere quante di queste avrebbero colpito Pitch, e si limitò a sfruttare il diversivo creato per addentrarsi nella boscaglia tenendo stretta Anine. L’obiettivo era raggiungere la nave e scappare via, issandosi sopra le fitte nuvole che quella sera coprivano il cielo come un manto di lana.
Avrebbe voluto salvare anche la madre, ma non aveva visto alcuna possibilità. Non era certo neppure di riuscire a salvare se stesso e la bambina, figurarsi una terza persona.
L’uomo si voltò indietro solo un attimo, abbastanza da vedere gruppi di ombre di forma indistinta intenti a inseguirli. A guidarle era Pitch, poco distante dal suo piccolo esercito, impegnato ad estrarre un pugnale che gli si era conficcato in un fianco.

«Saturnali! Non pensare di sfuggirmi!»

«non soltanto ci penso, ma ci provo pure!» ribatté lui, saltando un cespuglio con agilità nonostante il peso di Anine.

“ci provo pure”…ma ci sarebbe riuscito?

Un’ombra con gli occhi gialli e fattezze simil umane gli arrivò quasi addosso, e riuscì a scamparla soltanto sguainando la spada. Non era sicuro di averla veramente uccisa, ma almeno l’aveva bloccata temporaneamente, e subito dopo decise di cambiare bruscamente la direzione della sua corsa: era vitale riuscire a seminare Pitch, o non sapeva quanto sarebbe stato utile raggiungere la nave.

«puoi provarci quanto vuoi, ma non ci riuscirai, povero sciocco».

Aveva imboccato la strada sbagliata. Si trovò improvvisamente circondato dalle ombre, alcune come quella che aveva colpito, altre simil equine, ma sembravano tutte pronte ad uccidere sia lui che Anine. Quando si voltò verso destra, vide Pitch osservarli con un sorrisetto soddisfatto.

«sarebbe stato meglio se non ti fossi immischiato, se non l’avessi fatto ti avrei risparmiato: la fase in cui uccidevo per il solo gusto di farlo è finita da qualche tempo».

Era finita, ma Titus Quinctius Saturninus non avrebbe ceduto senza combattere e dire la sua, poco importava che avesse una bambina piangente in braccio. «ora che fase è, quella in cui distruggi la vita dei bambini che hanno il coraggio di sbatterti in faccia che essere patetico e schifoso sei?!»

L’Uomo Nero socchiuse leggermente le palpebre, col volto deformato dalla rabbia. «la tua sarà una morte estremamente dolorosa».
Stava per ordinare ai suoi Incubi di attaccare, quando qualcosa di indistinto gli volò in faccia con uno stridio. Qualunque cosa fosse lo stava attaccando con ferocia, lasciandogli profondi graffi sulle guance, strappandogli grossi lembi di pelle e tentando di cavargli gli occhi dalle orbite.

Saturnali non poteva credere a quel che stava vedendo: una civetta che dava l’assalto all’Uomo Nero! Ma non aveva tempo neppure per assistere a questo. Le ombre di Pitch sembravano confuse, ed era il momento di svignarsela.

gratias ago vos esse, civetta!”

Uccise tre o quattro di quei mostri neri e riprese a correre, spingendosi alla massima velocità possibile, e finalmente riuscì a raggiungere la nave.

«continua a tenerti forte, Anine! Brava, così!» esclamò, risalendo con rapidità la scala di corda mentre il veliero si alzava velocemente di quota «ecco…ecco. Ci siamo» mormorò, e una volta giunto in coperta posò Anine sul pavimento di legno.

Ormai erano già sopra le nuvole, e tutto quel che doveva fare era scegliere la destinazione. Non aveva idee chiare su dove andare, tutto quel che importava era che fosse lontano da lì. L’oceano vicino a quel continente dove i popoli avevano costruito le piramidi a gradoni, ancora inesplorato dalle civiltà attorno al mar Mediterraneo, per un po’poteva andare bene.
Fece dunque virare il galeone a sud-ovest, mentre continuava ad occuparsi di quella povera bambina, che sollevò gli occhi su di lui. «i-io ho solo te adesso, non so…n-non…cosa faremo?»

«ce ne andremo. Ti prometto che mi prenderò cura di te, e non ti lascerò mai sola. Mai. Lo giuro».

La bambina annuì. Quel che era accaduto le aveva causato un trauma che probabilmente non avrebbe mai superato del tutto, ma non doveva affrontare tutto quanto senza aiuti, ed era già qualcosa. Non sarebbe mai riuscita ad esprimere a Saturnali tutta la sua gratitudine, né a ripagarlo come avrebbe dovuto: nulla sarebbe stato sufficiente. «grazie».

«non ringraziarmi, mi dispiace soltanto di non aver potuto fare di più. Piuttosto dobbiamo ringraziare entrambi una civetta, Anine, perché senza di lei ce la saremmo vista ancor più brutta…cosa c’è?»

Anine sollevò lentamente una mano, indicando qualcosa dietro di lui; Saturnali quindi si volse, spada alla mano e pronto a fronteggiare qualunque cosa…

la civetta!

Era proprio lì, appollaiata in cima al rostro. Già prima Saturnali aveva ritenuto strana la sua azione, e la sua presenza lì non faceva altro che confermare che quella non era civetta normale.
Accorgendosi di essere osservata, la creatura volò in alto con un fischio e, pochi istanti dopo, atterrò alla base del rostro con tutt’altra forma: quella di una donna alta e slanciata, con lunghissimi capelli rossi e ricci lasciati al vento.

«ehilà!»

Si presumeva fosse un saluto, ma né Saturnali né Anine l’avevano mai sentito, e comunque non era la cosa più strana. Erano entrambi troppo provati per stare a farsi domande, ma in un altro momento si sarebbero chiesti da dove quella donna avesse tirato fuori ciò che indossava: sembravano abiti da uomo, ma in realtà…nemmeno.

«state bene, ragazzi? Fisicamente, intendo».

«sì. Fisicamente» confermò Saturnali, ancora guardingo «grazie per l’aiuto, non so come sarebbe finita se voi non foste intervenuta».

«non c’è di che» rispose, facendo spallucce «dite un po’, non è che già che ci siete mi dareste un passaggio per, boh, ovunque stiate andando? Avevo pensato di volare da un amico nel regno di Mide*, ma ci andrò un’altra volta!»

Quella donna dalle iridi arancio era un po’stravagante, ma li aveva aiutati, e “a pelle” gli piaceva abbastanza, nonostante il modo in cui gli aveva chiesto un passaggio non fosse dei più consueti. Si girò verso Anine, come chiedendole il permesso, e questa annuì dopo una brevissima esitazione.

«se volete venire con noi dovete almeno dirci il vostro nome, signora» disse dunque Saturnali.

«ihihih!!! “Signora”! Mi chiamo Sam Hain, Sam per voi due, e datemi del “tu”…tanto a me delle formalità non potrebbe importare di meno» dichiarò la donna, sedendosi scompostamente a cavallo del rostro. Aveva un modo di fare che lasciava di stucco, ma passi: quel che contava era che non fosse alleata dell’Uomo Nero, e decisamente non lo era.

«va bene…Sam. Immagino che anche tu ora sia in fuga Pitch Black, giusto?» le chiese l’uomo.

«fosse per questo avrei potuto tranquillamente restare dov’ero, mi sono sempre fregata altamente di Pitch Black sin da quando è arrivato. Stasera l’ho attaccato perché…mah! Passavo di là, ho visto voi due, ho visto lui che si sentiva tanto forte e furbo a prendersela con gente che non poteva difendersi e ho detto “perché no”?»

«quindi ci hai aiutati così a caso?» allibì Saturnali, incredulo.

«eggià. Dai un’occhiata alla bambina, mi sa che ha freddo».

 

 

 

***

 

 

 
«non bastavano quei poveri mentecatti dei Guardiani e la loro compagnia, non bastavano la bambina e quel piccolo idiota sfacciato, ci si sono messe anche le civette!»

C’era mancato poco che Pitch Black si trovasse costretto a dover cercare i suoi bulbi oculari sul terreno: quel rapace maledetto, nonostante tutti i suoi tentativi, non si era tolto di torno fino a quando Saturnali e Anine Sørendatter erano scomparsi, e nonostante le ricerche non riusciva a trovarli. Erano fuggiti chissà dove e chissà come, lasciandolo a bocca asciutta. Ora chissà quanto avrebbe dovuto aspettare per ottenere la giusta vendetta!

Un solo pensiero riusciva a lenire leggermente la sua ira.

«o beh…assisterò comunque alla condanna a morte di sua madre».

 

 

 


 

 

 

*Mide: antico regno nell’Irlanda centrale. L’amico cui si riferisce Sam Hain è il Leprecauno.

 

Da tempo avevo in mente di scrivere questa one shot, e niente, eccola qui.

Ero indecisa se farlo, perché intendevo parlare di questi fatti nella long, ma mi sono resa conto che c’è già diversa carne al fuoco, e che quindi sarei finita a parlarne solo “quanto bastava” senza approfondire.

…e ho comunque omesso un paio di dettagli che verranno svelati più avanti ne “La Luna Dorata II”. Avete ragione, sono una disgraziata.

Ah, per chi se lo fosse domandato, qui Pitch non ha ancora rincontrato sua figlia. Lo specifico, dato che Madre Natura non c’era nell’elenco da lui menzionato.

Grazie a chi  ha avuto la pazienza di leggere fino in fondo. Alla prossima,

 

_Dracarys_

 

   
 
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