Sentieri a malapena visibili,
cespugli incolti e alberi
dalle chiome tanto intricate da impedire al sole di riscaldare il
terreno con i
suoi raggi.
Erano molti gli abitanti del villaggio di Ega che non si
sentivano tranquilli ad addentrarsi nel bosco, ma ciò non
valeva per Anine
Sørendatter, che a soli sette anni conosceva quel posto come
i palmi delle
proprie mani: ciò non era dovuto solo alla vicinanza tra
casa sua e la selva, ma
anche al fatto che le piante che crescevano al suo interno
rappresentassero da anni
l’unica fonte di guadagno della sua famiglia.
Søren Arnessen, suo padre, era
deceduto in mare quando lei aveva appena un anno, quindi sua madre e
sua nonna
materna erano state costrette ad adattarsi e, grazie alla conoscenza
che nonna
aveva delle piante, si erano messe a raccogliere erbe e piante per
produrre
infusi, decotti e polveri medicinali di vario genere.
Da quando Anine aveva raggiunto l’età per capire,
poi,
avevano iniziato a trasmetterle tutte le nozioni necessarie. Aveva
facoltà di
apprendimento piuttosto rapide, ed era una
fortuna…perché le lezioni che le
venivano impartite non erano soltanto quelle di erboristeria.
Continuando a camminare,
“aprì” la mente e iniziò a
scandagliare i pensieri di tutti gli esseri viventi presenti nella
foresta.
Voleva trovare una persona.
Avrebbero potuto darsi appuntamento sempre nello stesso
posto, ma non farlo le consentiva di esercitare ulteriormente il potere
della
sua mente, esattamente come sua nonna desiderava che facesse.
Ovviamente sua
madre non sapeva nulla di poteri ed esercizi, era un segreto custodito
gelosamente da loro due. Era stata la prima cosa che sua nonna le aveva
detto:
“non rivelare niente a nessuno, o le cose potrebbero finire
molto male”.
Anine non era una sciocca e, sebbene
nel villaggio di Ega
non fosse mai accaduto nulla, aveva presente il concetto di
“caccia alle
streghe”; lei, come sua nonna, era una senza dubbio una
piccola strega, anche
se non era affatto cattiva come le persone si ostinavano a dipingere
quel tipo
di donne, e non aveva mai avuto “commerci con
Satana”.
Non sapeva neppure cosa si intendesse con
“commerci”, a dire
il vero.
“dove sei, Titus?...oh,
eccolo”.
La bambina iniziò una
corsa sostenuta, seguendo la fonte dei
pensieri che aveva captato. La lunga gonna marrone le impicciava un
po’, ma nel
corso degli anni aveva imparato a non farci caso più di
tanto, e ben presto
giunse in una radura scaldata dal tiepido sole primaverile.
«iniziavo a credere che
oggi non saresti venuta, ma poi per
fortuna ho sentito la tua vocina nella mia testa».
«no, uffa…non
dovrebbe accadere!»
«affinerai le tue
abilità col tempo, non ti preoccupare».
Lei rispose con un debole sorriso.
«ne sei sicuro?»
«ma certo!»
Anine aveva conosciuto
quell’uomo un anno prima, proprio
durante una delle sue gite nel bosco.
Aveva percepito immediatamente che non era un essere
qualunque, ma una
creatura “speciale” esattamente come lei, e si era
stupita ancor di più nel
venire a conoscenza del fatto che, teoricamente, lei non avrebbe dovuto
essere
in grado di vederlo. Titus Quinctius Saturninus -o
“Saturnali”, come si faceva
chiamare- era in grado di rendersi invisibile agli occhi dei mortali,
ed era
quel che aveva fatto, solo che con lei non aveva funzionato.
Per Anine era stato bello incontrare
qualcun altro di “non
comune” oltre sua nonna, e lo stesso discorso era valso per
lui, tanto che da
quel giorno in poi si era fermato lì con la sua nave volante
e non era più
ripartito.
In quell’anno di conoscenza
le aveva raccontato tantissime
storie pazzesche sui luoghi lontani che aveva visitato e sulle persone
e le
creature magiche che aveva conosciuto, aprendole gli occhi sul fatto
che il
mondo era ancor più grande e misterioso di quanto lei avesse
mai pensato. In
quanto donna ed erborista aveva dei doveri e degli obblighi che non le
avrebbero mai consentito di fare la stessa cosa -per non parlare del
fatto che,
contrariamente a quella di Titus, la durata della sua vita era
limitata- ma era
riuscito a farla almeno sognare.
Peccato che non tutti gli esseri
magici fossero altrettanto
buoni e simpatici, pensò.
«Occhi Blu, va tutto
bene?» le chiese Saturnali, preoccupato
nel vederla adombrarsi.
No, non andava tutto bene: la
passeggiata nel bosco non
poteva né doveva farle dimenticare il vero motivo per cui si
trovava lì. «per
ora sì, ma non so…Titus, due notti fa
è successa una cosa…»
esordì, sedendosi
sull’erba.
«dimmi tutto».
Pur avendo già parlato
dell’accaduto a sua nonna, Anine si
sentiva ancora giustamente scossa, e sperava che raccontare tutto anche
a Titus
l’avrebbe aiutata a tranquillizzarsi. «tu sai chi
è l’Uomo Nero?»
Ecco, ora Saturnali si sentiva molto
peggio che preoccupato.
Certo che conosceva l’Uomo
Nero, tutti quanti lo
conoscevano: era spuntato fuori da chissà dove pochi anni
dopo il 500, e il suo
potere e la sua fama erano cresciuti con grande rapidità.
Aveva sfruttato molto
bene la fragile situazione in cui si trovava quella parte del mondo,
utilizzando i propri poteri per portare ancor più terrore e
superstizione di
quanti ce ne fossero già. Lui alimentava la paura, e la
paura alimentava lui,
in un ciclo senza fine…almeno fino a pochi anni prima.
«purtroppo si sente parlare
spesso di Pitch Black. Perché me lo
chiedi?»
L’Uomo Nero era ancora
piuttosto potente, ma ora c’erano
quei nuovi spiriti su cui si vociferava tanto, un certo “Uomo
nella Luna”,
quattro cosiddetti “Guardiani” e un
tal…come si chiamava quel ragazzo?
Night-qualcosa? Vabbè. Quel che contava era che, finalmente,
qualcuno
combattesse contro quel tizio e ottenesse risultati concreti.
La stragrande maggioranza degli spiriti, per
vigliaccheria, debolezza o disinteresse, non aveva osato attaccare
Pitch, ma c’era
già stato qualche tentativo da parte di alcuni tal senso
-pochi, pochissimi- ed
erano finiti tutti quanti con la vittoria schiacciante
dell’Uomo Nero.
Se solo i suoi poteri fossero stati
un po’più forti lui
stesso, da buon quirita, sarebbe sceso in battaglia, ma purtroppo non
era così;
si era detto, quindi, che era meglio lasciar fare a coloro che
possedevano i
mezzi necessari a contrastarlo, e continuare a farsi i fatti propri.
«l’ho
incontrato» disse piano la bambina, allontanando dal
collo le lunghe ciocche di capelli biondo miele «non
è stato molto bello».
L’uomo si sentì
gelare quando vide le ecchimosi sull’esile
collo di Anine.
Perché? Perché
Pitch aveva fatto del male personalmente a
quella bambina, perché proprio a lei?!
«cosa…perché?
Perché ti ha fatto…»
farfugliò «cos’è
successo?!»
«c’era il
temporale, ho passato la notte in casa di due
bambini miei amici, e a un certo punto è arrivato lui.
Avevamo paura che fosse
un demone e che volesse farci del male, e allora io ho
pensato…lui è un demone,
io una specie di strega…ho creduto di poterlo
combattere».
“ho
creduto di poterlo
combattere”. Anine Sørendatter, a soli
sette anni, era più coraggiosa di
tanti elfi pluricentenari che aveva conosciuto…ma in quel
caso non poteva
portare nulla di buono. «e cos’hai fatto?»
«ho guardato nella sua
testa e ho visto, Titus…è
stato orribile!» esclamò la bambina, con aria
sinceramente affranta «non so dire se sia peggio quel che ha
fatto lui, o quel
che gli è stato fatto per farlo finire così!
Pitch era un uomo buono, non si
meritava quel che gli è successo, e sta tuttora molto male.
Per questo che io
ho fatto capire ai miei amici che l’Uomo Nero non va odiato
né temuto, e li ho
convinti. Non avevano più paura, e lui non riusciva
più a toccarli. Io non ho
fatto niente» mormorò «ho detto solo la
verità. Starebbe meglio anche Pitch, se
smettesse di comportarsi come un pazzo».
«scommetto che lui era di
tutt’altra opinione» commentò
Saturnali, con uno sguardo cupo negli occhi neri.
«mi ha afferrata per la
gola e mi ha detto che pagherò caro
per il mio affronto. Non so come ci sia riuscito, nemmeno io a quel
punto avevo
più paura».
«ci è riuscito
perché tu non sei come gli altri due bambini,
il solo fatto che tu riesca a vedermi nei momenti in cui mi rendo
invisibile
agli umani lo dimostra. E poi?» la incalzò
l’uomo, sempre più allarmato.
«basta. È
sparito. La mattina dopo sono tornata a casa e
l’ho detto a mia nonna. Per adesso stiamo in guardia, ma lui
non si è visto» si
mordicchiò il labbro inferiore «magari le sue
erano minacce a vuoto, mi voleva
soltanto spaventare, in fondo io non gli ho fatto nien-»
«oh, andiamo! Sei entrata
nella sua testa, hai visto di
cos’è capace e tu speri che le sue siano minacce a
vuoto?! Anine» Saturnali
s’inginocchiò a terra e afferrò con
fermezza le spalle della bambina
«ascoltami. So che ti sembrerà assurdo, so che
probabilmente mi darai del
pazzo, ma è meglio per te se ora noi saliamo su quella
nave» indicò
l’imbarcazione, che fluttuava pigramente sopra gli alberi
«e ce ne andiamo
subito».
«cosa?!
Ma no, non
posso!» protestò la bambina «non posso
lasciare la nonna, la mia mamma, non
posso!»
«l’Uomo Nero ti
ha minacciata. Se ha detto che vuol fartela
pagare puoi star sicura che ci proverà. Forse non
l’ha fatto ieri, non l’ha
fatto oggi e non lo farà domani, ma un giorno
tenterà, e io temo che possa
riuscirci. Tua nonna non potrà proteggerti sempre».
«perché dici
così? Perché mi vuoi spaventare?! Sei
cattivo!»
Le parole di Anine ferirono
leggermente Saturnali,
nonostante sapesse che a parlare era soltanto la paura. Titus Quinctius
Saturninus, da giovane, aveva avuto un padre, una madre e un
fratellastro
-oltre a vari cugini con cui aveva avuto solo una conoscenza
superficiale- ma
non aveva ricevuto particolare affetto da nessuno di essi, tanto per
utilizzare
un eufemismo; Anine invece aveva imparato in fretta a fidarsi di lui, e
anche a
volergli bene per davvero. Era l’incrocio tra una sorella
minore e la figlia
che, per un motivo o per l’altro, non aveva mai avuto:
saperla minacciata da
uno come Pitch Black era l’ultima cosa che desiderava.
«non sono cattivo, ma ho
paura per te, e non voglio che ti
accada altro di male. Staremmo sempre in viaggio, lui avrebbe meno
probabilità
di trovarti, e magari in questo lasso di tempo questi famosi
“Guardiani”
riusciranno a batterlo per davvero. Anine, te lo chiedo per favore:
vieni via
con me».
«no, non posso,
davvero» ribatté lei, scuotendo testardamente
il capo «non penso che succederà davvero qualcosa!
Pensaci bene: perché l’Uomo
Nero dovrebbe perdere tempo proprio con me? Io sono solo una
bambina!»
«appunto, tu sei solo una
bambina, eppure lo hai umiliato. A
maggior ragione temo che non intenda passarci sopra, io…se
vuoi posso portare
via anche tua madre e tua nonna, non m’importa, ma vieni con
me!»
«non lascerebbero mai il
villaggio, e qui ci vogliono bene.
Nessuna di noi verrà via, ma se tu non te la senti di
rimanere puoi andare, io
capirei».
«no»
ribatté Saturnali, deciso «non mi
muoverò di qui senza
di te, o di voi».
«allora mi sa che resterai
ancora per molto tempo».
***
Quello non era un bel periodo per
Pitch Black.
Aveva passato secoli ad imperversare
nel mondo, creando e
rafforzando la sua egemonia. I popoli delle terre emerse, specialmente
nella
parte del mondo in cui sorgeva la città di Venezia -sotto la
quale si trovava
il suo regno- erano stretti in una morsa di tenebre, paura e ignoranza,
che lui
si curava di alimentare in ogni modo tutti i giorni, e gli spiriti
residenti su
quel pianeta erano troppo vigliacchi o troppo deboli per contrastarlo,
tanto
che aveva dato una lezione definitiva a
quei poveri balordi che ci avevano provato. Tutto sembrava andare per
il verso
giusto, nulla gli aveva mai fatto credere che fosse possibile assistere
a
un’inversione di tendenza, specialmente perché lui
stesso non avrebbe permesso
che si verificasse. Si sentiva potente, anzi, era
potente, imbattibile, invincibile. Quel mondo era il suo
regno,
il suo oscuro dominio, e non avrebbe permesso a nessuno di
strapparglielo via:
era tutto quel che possedeva.
Era consapevole che nella sua vita ci
fosse stato “qualcosa”
prima di finire in quel pianeta, ma non era riuscito a dare maggior
consistenza
a quei vaghi sprazzi di memorie nebulose. A volte erano dei volti, a
volte dei
nomi, a volte dei luoghi, ma si mescolavano tutti insieme in un caos
senza
senso, e aveva deciso di non darci troppo peso.
Poi erano arrivati Nightlight,
l’Uomo nella Luna e i
Guardiani, e alcuni suoi ricordi avevano ricominciato a prendere forma.
Il
cosacco e la fata piumata erano nuovi, del tutto autoctoni, ma gli
altri no:
l’Uomo nella Luna era il principe Lunanoff, colui che non
aveva mai avuto
incubi; Nightlight era il protettore del principe, ed era a causa sua e
dell’ultimo scontro affrontato se erano finiti sulla Terra;
il Pooka era
l’ultimo di una razza che lui stesso aveva sterminato
“perché sì”, e
Sandman…non ne era molto sicuro, ma aveva
l’impressione di aver già incontrato
anche lui.
Nulla di grave, i nuovi ricordi gli
avevano solamente
offerto un quadro più chiaro di chi fossero i suoi nemici e
di come fosse
finito lì, il che era più che sufficiente.
L’unica cosa che gli importava era
sconfiggerli prima che iniziassero a dargli ulteriori grattacapi: quei
piccoli
balordi si stavano rivelando sin troppo fastidiosi, tanto che in pochi
anni
avevano già iniziato a corrodere quel che lui aveva
costruito in secoli di
lavoro.
Era anche questo il motivo per cui
aveva iniziato ad agire
anche nei villaggi piccoli come quello in cui si era recato ormai
cinque notti
prima, come si chiamava?... Ega. Ogni stilla di terrore era preziosa,
si era
detto.
Ma aveva fatto male i conti.
Emise un gemito soffocato, portandosi
le mani alle tempie. Stava
succedendo ancora. Quello era soltanto l’ultimo attacco di
una lunghissima
serie.
Sforzandosi senza successo di riacquisire un minimo di
dignità nel portamento, raggiunse a fatica il suo trono e vi
si accasciò, con
le palpebre serrate e i denti digrignati.
Quando la piccola strega l’aveva affrontato, Pitch aveva
avvertito distintamente una presenza estranea nella sua testa, e
dopo…dopo era
successo tutto in un attimo.
Aveva avvertito un’intensissima fitta di dolore in tutto il
cranio, poi erano arrivati i ricordi. Una quantità immensa
d’immagini, di voci
e, soprattutto, le sensazioni. Era riuscito a sopportarlo solo il tempo
di
vederla convincere gli altri bambini a non temerlo, poi non aveva
potuto fare
altro che giurarle vendetta e ritirarsi, andando a languire in un posto
isolato.
Quella maledetta bambina non aveva la
minima idea di quel
che gli aveva fatto. Aveva letteralmente scoperchiato il vaso di
Pandora, e non
c’era né modo di rimettere al suo interno tutto
quel che ne era uscito, né di
arrestare il processo.
In quei giorni era stato costretto a sopportare fitte alla
testa quasi continue, dolorose come la prima, e ognuna di esse gli
aveva fatto
rivivere in poco tempo lunghi periodi della sua vita passata. Ad ogni
atroce
stilettata di dolore si rendeva sempre più conto di essere
nient’altro che
l’ombra di un uomo che aveva perso tutto quel che aveva di
più caro, e per
cosa?! Per essere stato un High General of the Galaxies fin troppo
bravo nel
suo lavoro di difendere un regno!
Non era solo una tortura, era
qualcosa di peggio. Era come
perdere tutto quanto una seconda volta. Avvertire una sofferenza antica
come se
fosse stata nuova, concentrata tutta in pochi minuti, era
più di quanto si
potesse umanamente sopportare…e nella sua vita precedente
come Kozmotis
Pitchiner ne aveva provata fin troppa, di sofferenza. Ne aveva avuta
abbastanza
per due o tre vite intere.
«c-che tu sia dannata,
p-piccola…lurida…strega!!!»
gridò, con voce rauca e respiro affannato. Si
rannicchiò
su se stesso, inconsapevole delle lacrime scivolavano lungo le sue
guance
scarne, dovute a un dolore non soltanto fisico «te la
farò pagare, te la farò
pagare cara, fosse l’ultima cosa che faccio!!!»
Avrebbe atteso che le fitte e le
ondate di ricordi si
diradassero un po’, poi si sarebbe mosso. Non sarebbe stato
troppo difficile, e
quella piccola bastarda avrebbe passato esattamente quel che stava
passando -di
nuovo!- lui: non le sarebbe rimasto più niente.
***
«hai visto qualcosa di
strano, Anine?»
«no, nonna. Voi
l’avete visto?»
Una donna sulla cinquantina, alta e
vestita di nero, scosse
la testa. «assolutamente. Comincio a pensare che le sue
fossero parole vuote:
le creature come quella tendono a sorprendersi e spaventarsi molto,
quando un
mortale riesce a usare contro di loro alcune capacità
particolari, e penso che
nel tuo caso se l’aspettasse ancor meno. I miei poteri sono
arrivati quando
sono diventata donna» disse, riferendosi al momento dello
sviluppo «tu invece…»
Quelle che lei condivideva con Anine
erano capacità che si
tramandavano da tempo immemorabile nella linea di sangue della sua
famiglia.
Capitava che saltassero qualche generazione, e da che ricordasse non
c’erano
mai stati uomini che le avessero manifestate, ma prima o poi finivano
sempre
col rispuntare fuori, e Anine prometteva molto più che bene.
Doveva soltanto
evitare di parlare a chicchessia del suo dono, e imparare a
controllarlo come a
suo tempo aveva fatto lei.
Nessuna donna della sua famiglia era mai finita bruciata
viva o simili: i poteri che possedevano l’avevano sempre
impedito, dal momento
che agivano più che altro sulle menti altrui. Lei, per
esempio, al momento
influenzava l’intero villaggio di Ega, istigando tutti a
voler loro bene. Se
non l’avesse fatto, probabilmente sarebbero finite male da un
pezzo: tre donne
che vivevano sole e s’intendevano di erbe che curavano i
malati? Opera del demonio!
«quindi voi pensate che
possiamo stare tranquille?»
«non vedo perché
no e, se mai tornasse a seccarti, lo caccerò
via. Non preoccuparti, e cerca di rassicurare anche il tuo amico: non
c’è
bisogno di scappare da alcuna parte. Andarcene chissà dove
su una nave
volante…che follia».
«lo ha detto
perché teme per me, non perché è
matto» disse
Anine «e voi non conoscete
l’Uomo Nero,
nonna, mentre lui sapeva chi è».
«quel che conta
è che tu, da sola, lo hai costretto a
ritirarsi. Non può essere tanto difficile da
battere» minimizzò «vai a dormire
tranquilla, piccola».
[…]
Un grido strappò
bruscamente Anine dal suo tranquillo sonno,
inducendola ad abbandonare immediatamente il giaciglio e correre nella
stanza
accanto con gli occhi sgranati dalla paura.
«mamma!» strillò «mamma, che
cosa-»
Ammutolì bruscamente,
trovandosi davanti a una scena che nel
corso della vita nessuno, tantomeno una bambina di sette anni, dovrebbe
mai vedere.
La stanza era piena di sangue, e Anine si trovò
così vicina
al cadavere di sua nonna da potersi vedere riflessa nei suoi occhi
vitrei.
Quelli erano l’aspetto più spaventoso, assieme
all’espressione: i tratti del
suo volto erano deformati dall’odio allo stato puro, tanto da
conferirle
qualcosa di selvaggio, di bestiale. Mosse un ulteriore passo in
direzione di
quel che restava di sua nonna, incapace di distogliere lo sguardo da
lei, dallo
squarcio che le aveva aperto in due il ventre.
Com’era potuto succedere?
Pensava che nessuno potesse farle
del male, nessuno…
«pagherai» le
sussurrò all’orecchio una voce maschile
melliflua quanto maligna, mentre delle dita lunghe e forti le
stringevano le
spalle «e non illuderti, piccola: questo è solo
l’inizio».
Dopo essersi irrigidita, la bambina
iniziò a tremare e si
accasciò a terra, scoppiando in un pianto dirotto.
Era l’Uomo Nero. Alla fine
si era vendicato, proprio come
aveva detto.
“se
mai tornasse a
cercarti lo caccerò via”.
“tranquilla,
piccola”.
“non
c’è bisogno di
scappare da alcuna parte”.
“non
può essere così
difficile da battere”.
Si erano sbagliate entrambe, e se
ciò era costato la vita a
sua nonna non osava pensare a cosa stessero per andare incontro lei e
sua
madre.
Ciò che successe dopo fu
molto confuso. Sentì sua madre
dirle qualcosa, forse farla alzare da terra, e poi altre parole,
parole…suoni
senza significato, per lei, che era in condizioni tali da capire ben
poco di
quel che stava accadendo.
Forse sua madre la fece sedere accanto al focolare, o forse
no.
Forse la lasciò sola in casa col cadavere per andare a
chiedere aiuto agli abitanti del villaggio, o forse no.
La mente di Anine era uno dei suoi punti di forza, ma aveva
già ceduto. Non riusciva a sentire e comprendere i propri
pensieri -non ne
aveva neppure di concreti- figurarsi quelli altrui.
Il ritrovamento era avvenuto di
mattina, ma quando si
riscosse era calata la sera. Fu il suono della porta che sbatteva a
risvegliarla dal torpore.
«…assurdo,
proprio assurdo, perché? Solo perché
l’espressione sul suo viso era…streghe…non
ha senso!»
«m-mamma, cosa
succede?»
Fino al giorno prima erano state
molto amate tutte e tre nel
villaggio, ma le cose erano cambiate da quando i compaesani erano
arrivati ad
aiutarla a portare via il corpo di sua suocera. L’espressione
sul volto del
cadavere li aveva spaventati, e avevano iniziato a guardarla con occhi
diversi,
oltre che a mormorare. Sembrava che
qualcuno, durante la notte e nell’arco della giornata, non
avesse fatto altro
che suggerire agli abitanti di Ega che la donna morta era una strega, e
che le
altre due erano esattamente come lei. Avevano persino tirato in ballo
la morte
di suo marito Søren, che secondo la nuova versione era
“morto in mare perché
viveva con delle streghe”.
Assurdo. Avevano sempre fatto così tanto per i loro
compaesani, e adesso…
La madre di Anine si morse
nervosamente il labbro inferiore,
senza avere il coraggio di risponderle. «no,
niente…niente. Stai tranquilla».
«non
dire bugie!»
gridò la bambina «non ci sto tranquilla, anche la
nonna mi aveva detto di stare
tranquilla, e lui l’ha uccisa!»
«“lui”?
Lui chi? Anine, sai qualcosa e non me l’hai detto?!»
«è stato
l’Uomo Nero» affermò lei con un sussurro
«me lo
aveva detto, che si sarebbe vendicato».
I capelli scompigliati e i grandi
occhi blu dalle pupille
dilatate a causa della penombra rendevano Anine veramente inquietante,
almeno
agli occhi della madre, che sentendola parlare così temette
che avesse perso il
senno. «tu sei solo sconvolta, non sai quello che dici, non-Anine!!!»
La bambina saltò
giù dallo sgabello e corse fuori
addentrandosi nel bosco, incurante dei richiami della madre.
Perché perdere
tempo a parlare con qualcuno che non le credeva? Doveva andare da chi sapeva, da chi aveva sempre
saputo...perché era stata così stupida da non
dargli retta?! Come aveva potuto
avere tanta fiducia nel fatto che Pitch avrebbe lasciato correre, dopo
quel che
aveva visto nella sua testa?!
Corse e corse, indifferente agli
arbusti che la graffiavano,
alla durezza del terreno sotto i suoi piedi scalzi. Provò ad
aprire la mente
per trovare Saturnali, ma non ci riuscì, e non
c’era da stupirsene.
«Titus!!!»
gridò,
sperando che potesse sentirla. Ripeté più volte
il suo richiamo, ma solo la
quinta volta ricevette risposta, e l’uomo spuntò
tra gli alberi.
«cos’hai?!
Cos’è successo?!»
«l’ha uccisa, ha
ucciso la nonna, tu avevi ragione e io non
ti ho ascoltato» farfugliò, scossa da violenti
singhiozzi «avevi ragione, e
adesso anche la mamma ha qualcosa, io non so cos’è
successo, ti prego,
aiutami…»
Per il momento Saturnali non poteva
far altro che
abbracciarla, cercando di trasmetterle una sicurezza che lui stesso non
sentiva
di avere. Era un grumo di preoccupazione e rabbia. Preoccupazione per
Anine e
quel che era accaduto alla sua famiglia; rabbia perché aveva
passato undici
notti più vicino a casa della bambina proprio per
proteggerla -dormendo qualche
ora dall’alba al primo pomeriggio- e l’Uomo Nero si
era deciso ad agire proprio
durante la dodicesima, in cui invece non era stato di guardia. Non che
avrebbe
potuto fare molto contro di lui, ma avrebbe quantomeno tentato.
«per tua nonna è
tardi, ma tu e tua madre siete ancora in
tempo. Andremo via tutti e tre» sentendo la bambina poggiare
la testa sulla sua
spalla chiuse gli occhi, e la strinse ancor più forte
«tutti e tre».
Già un minuto dopo,
tuttavia, qualcosa gli fece iniziare a
temere che non sarebbero riusciti a tener fede ai loro programmi.
L’odore del fumo, per la precisione, accompagnato dalle urla
di svariate voci maschili, e rumori lontani.
Anche Anine avvertì tutto
ciò, e si staccò bruscamente da
lui, voltandosi indietro. «mamma».
«no, Anine, non
è detto-»
«mamma!!!»
Saturnali non riuscì a
trattenerla e, per la seconda volta
in quel breve arco di tempo, Anine si lanciò in una corsa
forsennata, di nuovo
sorda ai richiami di chiunque.
Era colpevole della morte di sua nonna, ma se fosse successo
qualcosa anche a sua madre non avrebbe potuto perdonarselo. Se lei non
fosse
scappata, se fosse stata presente!…
Dopo un tragitto che le parve
interminabile, risbucò poco
lontana da casa sua, e quel che vide la bloccò .
Il posto in cui era nata e cresciuta, dove aveva passato
tutta la propria vita ed erano custoditi i suoi pochi averi, era stato
dato in
pasto a fiamme già alte, che stavano divorando il tetto;
oltre a ciò, un folto
drappello di uomini armati stava trascinando via sua madre, la quale
cercava di
divincolarsi in ogni modo, tra pianti e strepiti.
«mamma…mam-MMMPH!!!»
Una grossa mano le chiuse la bocca, e
un braccio le cinse
con forza la vita. In pochi istanti Anine fu portata in un luogo
più nascosto
rispetto a quello dove si trovava prima, ma che allo stesso tempo le
consentiva
una perfetta visuale.
«è uno
spettacolo molto gradevole, non trovi?»
Sebbene non potesse vederlo, neppure
in quel caso Anine ebbe
dubbi sull’identità di chi la stava trattenendo.
Avrebbero voluto andarsene per
sfuggirgli, ma ancora una volta l’Uomo Nero era arrivato
prima.
«un falò
è proprio quel che serve, in questo periodo qui le
notti sono ancora piuttosto fredde…oh, è inutile
che ti agiti!» le disse, con
una breve risata «non potresti salvare tua madre neppure se
decidessi di
lasciarti provare, tentativo che naturalmente non ti
concederò. Mi hai arrecato
un torto estremamente grave, Anine. Non hai idea quanto…ed
è giusto che tu abbia quel che ti meriti».
La bambina assistette impotente alla
vista di sua madre che
veniva trascinata via, che cadeva a terra, che veniva presa a calci
dagli
stessi uomini che aveva curato.
«non è ancora il
tuo momento» proseguì Pitch «prima
assisteremo insieme al processo e alla condanna di tua madre. La
vedremo
ardere, annegare, o forse squartare, chi lo sa: voi umani siete
così fantasiosi
nel mutilare e uccidere i vostri simili! Ci divertiremo un mondo te
l’assicuro.
E poi…solo poi…mi occuperò di
te».
Appena terminata la sua minaccia
però Pitch colse un
movimento di fianco a lui…
«argh!!!»
E riuscì a spostarsi
appena in tempo perché l’affondo
destinato alla sua schiena finisse col trafiggergli solo una spalla,
lasciandolo dolorante e facendogli perdere la presa su Anine.
Venne spinto di lato con forza da qualcuno, cadde a terra, e
solo allora riuscì a vedere in faccia il colpevole di
quell’affronto, un uomo
basso a lui del tutto sconosciuto che aveva preso in braccio la
bambina. «chi osa?!...»
«sono Saturnali, bastardo! Ricordatelo!»
Non aveva mai sentito tanta rabbia
pulsargli nelle vene,
neppure quando il suo fratellastro aveva tentato di ucciderlo, e forse
fu
proprio quella a consentirgli di sfruttare la sua telecinesi a livelli
cui non
era mai arrivato prima: con un solo cenno della mano, infatti, tutte le
armi in
possesso di quel gruppo di uomini lasciarono i loro proprietari per
volare
contro l’Uomo Nero!
Purtroppo Saturnali non aveva tempo
di rimanere a vedere
quante di queste avrebbero colpito Pitch, e si limitò a
sfruttare il diversivo
creato per addentrarsi nella boscaglia tenendo stretta Anine.
L’obiettivo era
raggiungere la nave e scappare via, issandosi sopra le fitte nuvole che
quella
sera coprivano il cielo come un manto di lana.
Avrebbe voluto salvare anche la madre, ma non aveva visto alcuna
possibilità. Non era certo neppure di riuscire a salvare se
stesso e la
bambina, figurarsi una terza persona.
L’uomo si voltò indietro solo un attimo,
abbastanza da
vedere gruppi di ombre di forma indistinta intenti a inseguirli. A
guidarle era
Pitch, poco distante dal suo piccolo esercito, impegnato ad estrarre un
pugnale
che gli si era conficcato in un fianco.
«Saturnali!
Non pensare di sfuggirmi!»
«non soltanto ci penso, ma
ci provo pure!» ribatté lui,
saltando un cespuglio con agilità nonostante il peso di
Anine.
“ci provo
pure”…ma ci sarebbe riuscito?
Un’ombra con gli occhi
gialli e fattezze simil umane gli
arrivò quasi addosso, e riuscì a scamparla
soltanto sguainando la spada. Non
era sicuro di averla veramente uccisa, ma almeno l’aveva
bloccata
temporaneamente, e subito dopo decise di cambiare bruscamente la
direzione
della sua corsa: era vitale riuscire a seminare Pitch, o non sapeva
quanto
sarebbe stato utile raggiungere la nave.
«puoi provarci quanto vuoi,
ma non ci riuscirai, povero
sciocco».
Aveva imboccato la strada sbagliata.
Si trovò
improvvisamente circondato dalle ombre, alcune come quella che aveva
colpito,
altre simil equine, ma sembravano tutte pronte ad uccidere sia lui che
Anine.
Quando si voltò verso destra, vide Pitch osservarli con un
sorrisetto soddisfatto.
«sarebbe stato meglio se
non ti fossi immischiato, se non
l’avessi fatto ti avrei risparmiato: la fase in cui uccidevo
per il solo gusto
di farlo è finita da qualche tempo».
Era finita, ma Titus Quinctius
Saturninus non avrebbe ceduto
senza combattere e dire la sua, poco importava che avesse una bambina
piangente
in braccio. «ora che fase è, quella in cui
distruggi la vita dei bambini che
hanno il coraggio di sbatterti in faccia che essere patetico e schifoso
sei?!»
L’Uomo Nero socchiuse
leggermente le palpebre, col volto
deformato dalla rabbia. «la tua sarà una morte
estremamente dolorosa».
Stava per ordinare ai suoi Incubi di attaccare, quando
qualcosa di indistinto gli volò in faccia con uno stridio.
Qualunque cosa fosse
lo stava attaccando con ferocia, lasciandogli profondi graffi sulle
guance, strappandogli
grossi lembi di
pelle e tentando di cavargli gli occhi dalle orbite.
Saturnali non poteva credere a quel
che stava vedendo: una
civetta che dava l’assalto all’Uomo Nero! Ma non
aveva tempo neppure per assistere
a questo. Le ombre di Pitch sembravano confuse, ed era il momento di
svignarsela.
“gratias
ago vos esse,
civetta!”
Uccise tre o quattro di quei mostri
neri e riprese a
correre, spingendosi alla massima velocità possibile, e
finalmente riuscì a raggiungere
la nave.
«continua a tenerti forte,
Anine! Brava, così!» esclamò,
risalendo con rapidità la scala di corda mentre il veliero
si alzava
velocemente di quota «ecco…ecco. Ci
siamo» mormorò, e una volta giunto in
coperta posò Anine sul pavimento di legno.
Ormai erano già sopra le
nuvole, e tutto quel che doveva
fare era scegliere la destinazione. Non aveva idee chiare su dove
andare, tutto
quel che importava era che fosse lontano da lì.
L’oceano vicino a quel
continente dove i popoli avevano costruito le piramidi a gradoni,
ancora
inesplorato dalle civiltà attorno al mar Mediterraneo, per
un po’poteva andare
bene.
Fece dunque virare il galeone a sud-ovest, mentre continuava
ad occuparsi di quella povera bambina, che sollevò gli occhi
su di lui. «i-io ho
solo te adesso, non so…n-non…cosa
faremo?»
«ce ne andremo. Ti prometto
che mi prenderò cura di te, e
non ti lascerò mai sola. Mai. Lo giuro».
La bambina annuì. Quel che
era accaduto le aveva causato un
trauma che probabilmente non avrebbe mai superato del tutto, ma non
doveva
affrontare tutto quanto senza aiuti, ed era già qualcosa.
Non sarebbe mai
riuscita ad esprimere a Saturnali tutta la sua gratitudine,
né a ripagarlo come
avrebbe dovuto: nulla sarebbe stato sufficiente.
«grazie».
«non ringraziarmi, mi
dispiace soltanto di non aver potuto
fare di più. Piuttosto dobbiamo ringraziare entrambi una
civetta, Anine, perché
senza di lei ce la saremmo vista ancor più
brutta…cosa c’è?»
Anine sollevò lentamente
una mano, indicando qualcosa dietro
di lui; Saturnali quindi si volse, spada alla mano e pronto a
fronteggiare
qualunque cosa…
“la civetta!”
Era proprio lì,
appollaiata in cima al rostro. Già prima Saturnali
aveva ritenuto strana la sua azione, e la sua presenza lì
non faceva altro che
confermare che quella non era civetta normale.
Accorgendosi di essere osservata, la creatura volò in alto
con un fischio e, pochi istanti dopo, atterrò alla base del
rostro con
tutt’altra forma: quella di una donna alta e slanciata, con
lunghissimi capelli
rossi e ricci lasciati al vento.
«ehilà!»
Si presumeva fosse un saluto, ma
né Saturnali né Anine
l’avevano mai sentito, e comunque non era la cosa
più strana. Erano entrambi
troppo provati per stare a farsi domande, ma in un altro momento si
sarebbero
chiesti da dove quella donna avesse tirato fuori ciò che
indossava: sembravano
abiti da uomo, ma in realtà…nemmeno.
«state bene, ragazzi?
Fisicamente, intendo».
«sì.
Fisicamente» confermò Saturnali, ancora guardingo
«grazie per l’aiuto, non so come sarebbe finita se
voi non foste intervenuta».
«non
c’è di che» rispose, facendo spallucce
«dite un po’,
non è che già che ci siete mi dareste un
passaggio per, boh, ovunque stiate
andando? Avevo pensato di volare da un amico nel regno di Mide*, ma ci
andrò
un’altra volta!»
Quella donna dalle iridi arancio era
un po’stravagante, ma
li aveva aiutati, e “a pelle” gli piaceva abbastanza,
nonostante il modo in cui
gli aveva chiesto un passaggio non fosse dei più consueti.
Si girò verso Anine,
come chiedendole il permesso, e questa annuì dopo una
brevissima esitazione.
«se volete venire con noi
dovete almeno dirci il vostro nome,
signora» disse dunque Saturnali.
«ihihih!!!
“Signora”! Mi chiamo Sam Hain, Sam per voi
due, e datemi del “tu”…tanto a me delle
formalità non potrebbe importare di
meno» dichiarò la donna, sedendosi scompostamente
a cavallo del rostro. Aveva
un modo di fare che lasciava di stucco, ma passi: quel che contava era
che non
fosse alleata dell’Uomo Nero, e decisamente non lo
era.
«va bene…Sam.
Immagino che anche tu ora sia in fuga Pitch
Black, giusto?» le chiese l’uomo.
«fosse per questo avrei
potuto tranquillamente restare
dov’ero, mi sono sempre fregata altamente di Pitch Black sin
da quando è
arrivato. Stasera l’ho attaccato
perché…mah! Passavo di là, ho visto
voi due,
ho visto lui che si sentiva tanto forte e furbo a prendersela con gente
che non
poteva difendersi e ho detto “perché
no”?»
«quindi ci hai aiutati
così a caso?» allibì Saturnali,
incredulo.
«eggià.
Dai un’occhiata alla bambina, mi sa che ha
freddo».
***
«non bastavano quei poveri mentecatti dei Guardiani e la
loro compagnia, non bastavano la bambina e quel piccolo idiota
sfacciato, ci si
sono messe anche le civette!»
C’era mancato poco che
Pitch Black si trovasse costretto a
dover cercare i suoi bulbi oculari sul terreno: quel rapace maledetto,
nonostante tutti i suoi tentativi, non si era tolto di torno fino a
quando
Saturnali e Anine Sørendatter erano scomparsi, e nonostante
le ricerche non
riusciva a trovarli. Erano fuggiti chissà dove e
chissà come, lasciandolo a
bocca asciutta. Ora chissà quanto avrebbe dovuto aspettare
per ottenere la
giusta vendetta!
Un solo pensiero riusciva a lenire
leggermente la sua ira.
«o
beh…assisterò comunque alla condanna a morte di
sua madre».
*Mide: antico regno
nell’Irlanda centrale. L’amico cui si
riferisce Sam Hain è il Leprecauno.
Da tempo avevo in mente di scrivere
questa one shot, e
niente, eccola qui.
Ero indecisa se farlo,
perché intendevo parlare di questi
fatti nella long, ma mi sono resa conto che c’è
già diversa carne al fuoco, e
che quindi sarei finita a parlarne solo “quanto
bastava” senza approfondire.
…e ho comunque omesso un
paio di dettagli che verranno
svelati più avanti ne “La Luna Dorata
II”. Avete ragione, sono una disgraziata.
Ah, per chi se lo fosse domandato,
qui Pitch non ha ancora
rincontrato sua figlia. Lo specifico, dato che Madre Natura non
c’era
nell’elenco da lui menzionato.
Grazie a chi
ha avuto
la pazienza di leggere fino in fondo. Alla prossima,
_Dracarys_