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Autore: FRAMAR    26/03/2016    26 recensioni
Non c'è l'ho fatta più e le ho chiesto: "Perché non vuoi bene a Matteo? E' il mio fratellino e tu sei la sua mamma".
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Vincitore Premio Io bimbo
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non voglio regali
 
 
 
Caro Coccolino se sapessi scrivere bene terrei un diario come mia cugina Mara, ma preferisco parlare con te, che sei il mio orsacchiotto preferito e raccontarti tutto ciò che mi passa per la mente. Ecco, per esempio, una grande notizia: avrò un fratellino. Ne sono tanto contento, sono sempre solo, va bene che non mi mancano giocattoli, ma è noioso non dividerli con alcuno. Io vorrei una sorellina, ma il papà ha detto che è un maschietto.

Il papà me ne ha parlato, non la mamma, per la mamma non deve essere una notizia che le fa piacere perché non sorride mai, ha gli occhi bui, come li ho io quando mi fanno qualche dispetto o sto male.

Coccolino, ascolta, sapevo che ai bambini appena nati occorre la culla e la cuffietta e il biberon. Lo so perché la mia compagna Nerina ha un fratellino di pochi mesi e gli hanno comprato tutte queste cose. Così ho detto alla mamma: “Gli diamo la mia culla al fratellino?”

Lei ha girato la testa come se non volesse guardarmi e ha detto : “No”. Allora il papà che era là con noi  mi ha preso in braccio e mi ha detto: “Vedi, Samuele, lui avrà un bel lettino, lo metterò nella cameretta accanto alla tua”.
Quando arriverà?”, ho chiesto.

Ha guardato la mamma che gli voltava le spalle, e ha detto: “Fra pochi giorni”. La mamma si è rivolta a me, “Vai a giocare”. Il suo tono era strano, sembrava fosse in collera, ma con chi? Ma  con me non credo, non ho fatto nessuna birichinata, col papà? Non l’ho capito.

Coccolino, ieri è venuta zia Iolanda e sentivo che parlava con la mamma e la zia diceva: “Ma non andare laggiù a prendere il bambino, mandaci lui”.  Io ho trovato la cosa molto buffa perché i bambini li vanno a prendere le mamme in clinica, me l’ha assicurato Nerina, i papà non c’entrano. Ma la  mamma ha risposto: “lui vuole che l’accompagni. Gliel’ho promesso anche se mi sento ribellare”.

“Ma perché hai accettato, allora?”

La voce della mamma era bassa, molto bassa, diceva che aveva perdonato ma che “quello” non lo voleva, eppure per non distruggere una famiglia, per togliere il padre a me subiva. Mi pareva che piangesse.

Papà e mamma sono partiti, andavano in un paesetto poco lontano, là è il mio fratellino.

Papà. Prima di partire, mi ha abbracciato e ha detto: “non credere che sia piccolo piccolo , ha imparato a camminare e dice già tante parole. Ti sembrerà un bambolotto un po’ più grande di Coccolino. Gli vorrai bene vero?”. Parlava con voce tenera e i suoi occhi mi sembravano supplichevoli.

“Si”, ho promesso, “gli vorrò bene”.

Sono tornati, hanno portato il bambino, si chiama Matteo, sai che è tanto bello? E ride, ha dei dentini piccoli, traballa un po’ quando cammina, si aggrappa al papà. Oh! Il papà lo accarezza, lo bacia, ma quando non c’è la mamma. Io non sono geloso, anzi sono contento, mi piace Matteo. Mamma lo guarda appena. Hanno portato anche una ragazza che deve accudire Matteo, viene da quel paesotto, si chiama Annamaria.

Coccolino. Le persone grandi fanno spesso dei discorsi che non capisco. Per esempio ho sentito zia Iolanda dire, guardando Matteo: “E’ tutto tuo marito, non lo si può negare, nessuno direbbe che non è suo figlio”.

Annamaria, stava facendo il bagnetto a Matteo, lui mi guardava e rideva ed era tanto grazioso,  si toccava con la manina il pisellino, com’era piccolino, che buffo. Annamaria non si era accorta di me, e ho sentito quello che diceva: “Povero piccolo, senza mamma!”. Mi ha visto e ha abbassato il capo. Ma perché avrà detto quelle parole? Matteo è il mio fratellino, perciò la mia mamma è anche la sua.

Caro Coccolino, non ci capisco nulla. La mamma seguita a essere triste, anche il papà ha una ruga sulla fronte, che gli va via se prende in braccio Matteo o mi accarezza. Loro due non si parlano quasi mai, qualche frase se la scambiano, ma come due estranei. E sai cosa mi meraviglia di più? Che la mamma non baci mai Matteo. Non lo sgrida, provvede a che mangi, che esca con Annamaria, ma come se fosse un estraneo anche lui. Non ce l’ho fatta più e glielo chiesto: “Non vuoi bene a Matteo?”. Mi ha guardato, un lungo profondo sguardo che non dimenticherò mai. “Tu sei il mio bambino”, ha detto e se ne andata dalla stanza.

Non ho capito nulla e avrei tanto bisogno che mi si spiegasse, che mi si parlasse di quello che ha dentro di se. La maestra dice che chi soffre tiene chiuso nel cuore. Ma perché la mamma soffre? Ho cercato di scoprirlo da me. Ho tentato di chiederlo a zia Iolanda. “Ma la mamma vuole bene a Matteo?”. Mi ha guardato sorpresa, ha dato un’occhiata in giro, ha risposto.

“La tua mamma è stanca”.

Allora l’ho chiesto al papà. Il suo viso ha cambiato espressione, era ridente, si è incupito, ha lasciato cadere il giornaletto che mi stava leggendo, ha risposto. “Non so, non credo!”. Quanto dolore nella sua voce. Allora sono venuto qui da te, nella mia cameretta e non so perché, ho pianto. La mamma, il papà non sono felici e forse nemmeno il piccolo Matteo.

Ieri è venuta Nerina a giocare con me e l’ho condotta a vedere Matteo che dormiva nel suo lettino. “Non fare rumore, non deve svegliarsi, guarda com’è grazioso!”. Le lunghe ciglia sembravano una frangetta dorata, sorrideva, nel sonno, e tra le mani teneva stretto un pupazzetto.

Siamo tornati nella mia camera e mi è venuto spontaneo dire: “La mamma non è contenta che sia venuto Matteo”.

“Ma certo”, ha risposto pronta Nerina, “io ho sentito i discorsi che facevano in casa mia a proposito dei tuoi genitori”.
“Che discorso?”, ho chiesto.

“Che è figlio del tuo papà, ma ha un’altra mamma, una ragazza. Pare che se ne sia andata e l’ha lasciato  al paese. E? venuta a saperlo mamma tua che c’era Matteo, lei non voleva crederci, voleva andarsene via con te, ma il tuo papà l’ha supplicata e ha voluto che Matteo venisse qua”.

“Non so dirti altro, insomma il bambino e con voi e deve restarci per sempre”.

 Mi sono seduto nella mia poltroncina e ho nascosto il volto tra le mani, nel mio cervello sono passati tanti pensieri, forse troppo grandi per me.
Papà entrò nel soggiorno tenendo un pacco tra le mani. La tavola era apparecchiata, vi erano dei fiori nel mezzo.  Vidi mia madre che posava  un astuccio presso il mio posto.

“Che cosa gli hai comprato?” Lei non si volse: “Un orologio ormai è un omettino, gli piaceva molto”. La sua voce era neutra.

“Io ho acquistato l’enciclopedia che desiderava da tanto tempo”, rispose mio padre. Mamma alzò le spalle. “E’ troppo piccolo ancora…”.

“Ma oggi compie otto anni!”.

“E ti sembrano  tanti?”, disse lei sarcastica.

“Serena!”, la voce di mio padre si era fatta supplichevole. Si volge, sul volto un’espressione chiusa.

“Ti voglio bene”, disse lui piano venendole vicino.

“Non ci credo più”. Non arretrò, ma le mani alzate erano un baluardo di difesa.

“Così non si può più andare”, disse lui d’impeto, “oggi è il compleanno di Samuele”.

“E con questo? Che vuoi da me? Perdonarti? L’ho fatto, ma non dimentico”.

Si voltarono perché sentirono i miei passi, tacquero, ma io avevo sentito tutto.

“Tanti giorni sereni Samuele”. Mio padre mi venne accanto e mi baciò.

“Tanti auguri”, mia madre cercò di dare un toni allegro alla sua voce.

Io, che tenevo per mano Matteo, guardai i pacchi.

“Non li apri?”, chiese mio padre.

Io, piccolo e minuto, sembrai dominarli, il mio sguardo era più maturo, il piccino mi stava accanto sgranando i suoi occhi azzurri. “Non voglio regali, non quelli là”, dissi indicandoli. Vidi la loro espressione dispiaciuta, la mia voce prese un tono di preghiera.

“Voglio solo una cosa, a cui tengo moltissimo”. Mi guardarono, che cosa c’era di cambiato in me?

Non riuscivo a vincere quella riluttanza che mi legava la lingua, poi spinto da un impulso, dissi chiaramente. “Matteo, il mio fratellino, deve avere anche lui una vera mamma. Hai capito (e mi volsi a mia madre), lo devi amare, come fosse tuo. E’ così piccino!”.

Mia madre impallidì, tentò anzi di allontanarmi, vidi gli occhi umidi di pianto, fissò le pupille innocenti di Matteo. Tutto il rancore che aveva dentro si sciolse. Avanzò d’un passo, aprì le braccia e li strinse a lui.

“Serena”, fu un gemito quello che uscì dalle labbra di papà. Lei sollevò il capo versi lui, disse: “Si, anche Matteo è il mio bambino”.
 
 
 
 

 
 
   
 
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