Tutta sola nello spazio e nel tempo, adesso fra le mani non mi è rimasto altro che il ricordo di aver messo la mia testa sul tuo piatto d'argento.
Ti ha mandato il cielo, a salvarci, tanto tempo fa.
Lo stesso tempo che mi è impazzito nel petto, con lentezza, arrivata fin qui.
Buttata via, come se non volessi altro che il sacrificio.
Ma la colpa è solo mia, mia che non ho saputo dirti di no.
Come sempre, da sempre.
Non posso accusarti di nulla, non posso odiarti - ma una parte di me urla a gran voce che tutto questo è solo colpa tua.
Hai trovato qualcuno da ferire, e a breve, anche qualcun altro da mettere sul piedistallo che era mio.
Ormai ho però accettato, e per il tuo volere sto già facendo le valigie per un Paradiso che non mi appartiene.
Prima di ora, non me ne sono mai preoccupata.
La paura, la fredda e impietosa certezza che sto percorrendo i miei ultimi passi mi si aggroviglia sulle gambe, bloccandole.
Il mio corpo smette di funzionare, abbracciato da una coltre che non distingue più terrore e buon senso.
Mentre i miei pensieri si adattano a questo livido torpore, posso solo utilizzare quel che rimane di me e scagliarlo sul pulsante che tu mi hai detto di premere.
Che io ho accettato di premere.
Non c'è più nulla qui, di me.
O probabilmente sono sparsa ovunque.
Prima di sparire, un pensiero mi ha reso il dolore accettabile, come fosse un elemento necessario a quando ci rivedremo.
Per ogni parte di te, ce ne sarà una di me.