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Autore: lauretta02    28/03/2016    2 recensioni
Martina, 20 anni. Jorge, 22 anni.
Lei, cieca. Lui, grande osservatore.
Lei gli insegnerà ad ascoltare. Lui le insegnerà a vedere.
E insieme impareranno ad amare.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Martina non ricorda molto dell'incidente che le ha cambiato la vita per sempre. Ricorda solo che voleva andare via dalla festa per il diciassettesimo compleanno della sua migliore amica. Ricorda di essere salita in auto con i suoi amici. Ricorda che Damien era ubriaco, ma aveva voluto guidare lo stesso. Ricorda le risate, la bottiglia di birra che girava nell'auto di Damien. Ricorda che andavano veloci, per tornare a casa prima.
Ricorda l'autostrada. Ricorda che Damien perse il controllo dell'auto.
Ricorda le urla e lo schianto.
Poi più nulla, solo il nero.
Gli ultimi colori che ha visto sono stati il verde degli occhi di Damien, il rosso della propria camicetta e il blu del cielo notturno. Nient'altro, nessun'altro colore. Mai più, da tre anni a questa parte.
Quella notte Martina ha battuto la testa. Il suo airbag si è aperto troppo tardi, e lei ha subito un trauma cranico, entrando in coma. Ha dormito tre mesi, perdendo ogni contatto con il mondo esterno... tranne i genitori, suo cugino Xabiani, e Facundo, il suo migliore amico e vicino di casa, di tre anni più grande.
Si è svegliata dopo tre mesi, come se fosse rinata, come fosse risorta dalle ceneri. Si è svegliata. Ma senza poter rivedere il verde prato degli occhi di Damien, o il color cielo di quelli di Facundo, o il biondo quasi platino dei capelli di Mercedes.
Si è svegliata, ma rimanendo al buio. Senza più vedere niente.
Mai più, stando a quello che dicevano i medici.


MARTINA'S POINT OF VIEW.
Sento la mano di Mechi stringere leggermente il mio braccio, segno che siamo arrivate al gradino. Sento i mormorii della gente intorno a noi, ma ormai dopo tre anni non ci faccio nemmeno più caso. Sento la mia migliore amica borbottare tra sé che odia prendere la metropolitana. Dal canto mio, mi limito a scuotere la testa con un mezzo sorriso e a salire lo scalino.
«Dove vado?», chiedo a Mercedes a bassa voce, ignorando i commenti di chi mi sta intorno.
«A destra, meno di una decina di passi», mi dice calma. Apparentemente calma. In realtà io so che dentro di sé sta scoppiando di rabbia. E so perfettamente che vorrebbe prendere a sberle chiunque si sia permesso di borbottare.
Uno, due, tre.
«Ancora dritta, Mechi?».
«Sì, un secondo tesoro...»
.
La sento allontanarsi, segno che sta andando ad occupare il posto con la sua borsa. Stupidamente, mi azzardo a fare un paio di passi avanti. Quattro, cinque. E al sesto passo mi accorgo a malapena di quello che succede, perché mi sento spingere, e in un attimo mi ritrovo spalmata sul pavimento del vagone.
Sospiro, è un classico. Come è un classico che nessuno si sia mosso dal proprio posto per soccorrere la ragazza cieca. Faccio per rialzarmi, trattenendo le lacrime, ma una voce maschile mi ributta a terra, con le lacrime pronte ad uscire dal loro nascondiglio.
«Attenta a dove vai, ragazzina!».
Ha una bella voce, lo stronzo che mi è venuto addosso. È una voce calda, avvolgente, anche se trasfigurata dalla rabbia, in quel momento. Faccio per ribattere, ma la voce incazzata della mia migliore amica mi anticipa. «Brutto stronzo, non ci vede!», gli urla quasi, avvicinandosi a me e abbassandosi al mio livello. «Stai bene, piccina?», mi sussurra poi in un orecchio.
Scuoto impercettibilmente la testa, lasciando che mi aiuti ad alzarmi.
«Se non la smette di guardarti, giuro che lo rapo a zero», mi dice Mechi in un orecchio facendomi sedere sulle sue ginocchia. Evidentemente c'è un solo posto libero, e ovviamente nessuno che si degni di cedere il posto ad una disabile. Perché in fondo è quello che sono, una disabile.
«Calmati, Mechi», mormoro di rimando stringendole una mano.
Ma è davvero troppo carina quando tira fuori il suo lato vendicativo, così scoppio a ridere passandomi una mano tra i capelli, che la mia migliore amica ha avuto il coraggio di lisciarmi quella mattina. Si aggiunge alla mia risata, per poi sbuffarmi nei capelli.
Riesce persino a farmi passare la rabbia per il deficiente che mi ha buttata a terra.
È miracolosa quella ragazza.
«Se mi rendessi partecipe non sarebbe male» le dico posando una mano sulla sua, che si è appena chiusa a pugno sul mio stomaco. Da quando ci conosciamo, Merchi è diventata i miei occhi. Mi descrive tutto ciò che io per ovvie ragioni non posso vedere, quando siamo insieme. «Andiamo, Mercedes... È carino almeno?».
Lei ride. Non vedo un ragazzo da tre anni, ma le sue descrizioni di solito sono molto fedeli, è quasi come se vedessi. Quasi, certo. Ma è pur sempre qualcosa.
«Capelli castani, tirati su in un ciuffo stratosferico e rasati ai lati. Occhi verdi, mi sembra», mi spiega, incrociando le caviglie ad una frenata piuttosto brusca del treno. Sbatto le palpebre più volte, aggrappandomi a lei per non finire di nuovo per terra. «Camicia a quadri rossa con le maniche tirate su e una canotta bianca sotto, braccia tatuate e una sigaretta tra indice e medio...».
Come volevasi dimostrare, Mercedes è molto brava quando si tratta di descrivere un ragazzo nei minimi dettagli. Sono sicura che se glielo chiedessi mi elencherebbe i tatuaggi, ma penso che sia meglio evitare.
Lei intanto si è fermata, come se avesse finito la descrizione. Ma io sbuffo, facendola ridere.
«Elastico dei boxer dello stesso colore della camicia, jeans strappati a vita bassa, le Supra rosse e bianche e... un gran bel culo», finisce spostandomi i capelli su una spalla. La sento sorridere, e sorrido di rimando.
«Sembra carino», ammetto mordicchiandomi un labbro.
«Carino?» sbotta Mechi quasi strozzandosi con la saliva. E a voce alta, oltretutto, tanto che sento il ragazzo ridacchiare tra sé. Mi sento arrossire, e do una botta sulla coscia alla bionda, facendole capire che l'ha sentita. «È molto più che carino, credimi... Quel ragazzo è da stupro, tesoro», mi sussurra in un orecchio.
La mia migliore amica, non fa altro che pensare al sesso, penso che sia il suo argomento preferito.
«Sarà anche da stupro, Mechi... Ma ammettiamolo, non mi vorrà mai nessuno».
Sento che sta per farmi una delle sue solite ramanzine, ma vengo salvata dalla nostra fermata, che fa sospirare Mechi e costringe a scendere dal treno. Ma non da sole. Non ci vedo, è vero. Ma il mio naso funziona benissimo. E così mi ritrovo a sorridere, quando sento l'odore di tabacco del ragazzo perforarmi le narici.
«È sceso con noi, lo stronzo».
«Lo so», le dico con un sorriso, mentre il suo odore svanisce nell'aria, portato via da una folata di vento. È un odore caratteristico, solo suo. Che sono sicura il mio naso non dimenticherà tanto facilmente.


JORGE'S POINT OF VIEW.
Sto aspettando la metropolitana tormentando la sigaretta che tengo tra le dita. Sono totalmente scazzato, più del solito si intende. Sono andato via dal gruppo senza dire una parola, dopo la scenata di quella troia di Stephie.
Ti amo. Era tutta una stronzata.
Ho bisogno di te. Stronzate.
E idiota io che non ho esitato nemmeno per un momento. Ci ho creduto e basta, mi sono fidato ciecamente di qualcuno che ovviamente non meritava la mia fiducia.
Ho detto a Ruggero di lasciarmi stare per un paio di giorni, di darmi il tempo per assimilare la situazione. Ci è rimasto male. È il mio migliore amico, sa che sono la persona più impulsiva del mondo. Semplicemente, io non penso prima di agire. Agisco direttamente, senza dare peso alle conseguenze.
E così, ancora incazzato per la presa per il culo subita, salgo sul treno, attraversando un paio di vagoni alla ricerca di un posto libero e accorgendomi appena di aver investito una ragazza mora, facendola cadere a terra.
La prima cosa sarebbe aiutarla a tirarsi su, ma sono troppo incazzato. «Attenta a dove vai, ragazzina!», sbotto andandomi a sedere poco più avanti.
Qualche secondo e la mora viene raggiunta da una ragazza bionda, incazzata nera. Mi lancia un'occhiata omicida. «Brutto stronzo, non ci vede!», mi urla contro, per poi abbassarsi al livello della mora, sussurrare qualcosa e aiutarla a tirarsi su.
Se possibile, divento di pietra.
Non sembra cieca, a prima vista. È una bella ragazza, mora con un colore biondo dorato sulle punte e occhi marroni, e sembra normale a vederla ridere con quella che credo sia la migliore amica. Ridono, scherzano. Credo che la mora mi stia descrivendo, dalle occhiate che mi lancia.
«Sembra carino», sento dire dalla mora.
Vedo la bionda granare gli occhi e quasi strozzarsi con la saliva. «Carino?», la sento dire, a voce alta. Ridacchio, passandomi una mano tra i capelli, e vedo la mora arrossire, per poi far notare all'amica che l'ho sentita. Allora riprendono a parlare, ma a voce più bassa, in modo che non le senta.
Ma preparandomi per scendere dal treno riesco a cogliere uno stralcio del loro discorso.
«Sarà anche da stupro, Mechi... Ma ammettiamolo, non mi vorrà mai nessuno».
Non mi vorrà mai nessuno.
Guardo le due ragazze scendere, e mi affretto a scendere anche io, superandole e quasi correndo verso casa. Mi serve un oculista. O anche un computer, in mancanza d'altro. Devo fare qualche ricerca. Perché anche se in fondo l'ho guardata a malapena devo ammettere che quella ragazza mi intriga.
Anche se probabilmente non avrà mai la possibilità di vedermi.
Beh, o forse proprio per quello.
 


Spero che questa storia vi piaccia,la sto pubblicando anche su Wattpad. Credo che aggiornerò una volta a settimana quindi commentate e fatemi sapere se vi piace.
   
 
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