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Autore: Leonhard    28/03/2016    4 recensioni
...Pensi che sia così scontato aprire gli occhi dopo averli chiusi?...
...pensi che sia così facile rialzarsi dopo essere caduto?...
...pensi che la Compressione Temporale sia apparsa a tutti come un infinito deserto?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Squall Leonheart
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ti amo.

Quelle parole avevano aspettato un bel po’ per uscire dalle labbra di Rinoa; certo, durante la loro avventura per stanare Artemisia se le erano dette, ma con i gesti: le parole le trovava superflue, le aveva sempre viste così. Era facile parlare, dare aria alla bocca, ma seguire con le azioni quello che si era detto era tutta un’altra cosa.

Perciò lui aveva sempre preferito i fatti: le parole stavano bene in testa, dove potevano assumere tutte le forme e le combinazioni che si volevano senza che nessuno rimbeccasse con “sei proprio cattivo!”, “che cerca-ragazzine…” oppure con “è un po’ asociale, ma è un bravo ragazzo”.

I fatti non mentono, sono sempre sinceri fino in fondo: perché promettere, perché giustificarsi, scusarsi, arrabbiarsi? Le parole costringono una persona a modificare il suo carattere ed il suo comportamento per mantenere quella promessa, per avvalorare le sue scuse, per conservare l’irritazione.

Squall era sempre stato un pragmatico; aveva scoperto il suo trasporto per Rinoa dopo la battaglia contro il Garden di Galbadia. Aveva pensato che quel suo irresistibile desiderio di riaverla fosse lo stesso trasporto del bambino che si vede portar via la palla dalla cesta dei giochi; in quel momento gli sembrava la cosa più importante per lui, il centro del suo universo, la ragione per la quale aveva continuato a camminare su quell’autostrada che sembrava dovesse andare avanti all’infinito. In quei momenti era bastato pensare a lei, abbandonata a peso morto sulla sua schiena, per continuare a camminare, fregandosene della fatica, della vista che andava e veniva per la stanchezza, senza sentire nessun tipo di rimpianto quando si lanciava Energira per andare avanti, ancora e ancora e ancora.

Aveva avuto veramente bisogno di parlare quando lei si era aggrappata al cavo d’acciaio con lui in bilico su una torretta volante di Galbadia? E quando l’aveva salvata da un destino che le diceva che avrebbe vagato nello spazio per l’eternità? E quando sulla Lagunarock era finita ‘accidentalmente’ tra le sue braccia invece che sul sedile del copilota? Beh lì si, ma più che altro era stata lei a sentire il bisogno di parlare: lui l’aveva solamente assecondata.

Nel Palazzo della Strega? Lì aveva veramente avuto bisogno di parlare?

No: erano stati i suoi gesti a farlo per lui, com’era sempre successo, e chissenefrega della gente che fraintendeva. A lui interessava solo quello che capivano quelli che erano i suoi compagni, quando ancora era incapace di definirli già amici. E poi lei: il suo isolarsi in un angolo nella Lagunarock, il suo sguardo nervoso quando l’aveva informata che lei non avrebbe preso parte all’irruzione nella Lunatic Pandora, il suo sguardo nervoso ed impaurito che correva sulle pareti del maniero di Artemisia.

Non avevano parlato molto in quel castello, ma per lui era come se si fossero tutti messi a nudo: Quistis che aiutava Zell a sistemarsi le Junction, Irvine che chiudeva la fila e che controllava regolarmente dietro di loro per paura di attacchi alle spalle, Selphie che aveva diviso con lui la sua scorta di Rigene. E poi Rinoa, sempre lei: la sua finta sicurezza che grondava paura da tutti gli angoli possibili, il suo strofinarsi le braccia non perché avesse freddo ma per cercare di darsi coraggio, per poi darsi per vinta e prendere di nascosto un angolo della sua giacca, cercando di assimilare il coraggio che vedeva nei suoi occhi freddi e nella sua camminata decisa.

Anche sul terrazzo del Garden non si erano scambiati una parola: si erano baciati e basta. Era successo e sarebbe successo nuovamente e nello stesso modo se avessero ripetuto il momento infinite volte: uno scambio di sguardi, un sorriso e poi l’impatto. Calde, morbide, dolci, agognate labbra…

Quelle parole erano uscite a festa finita, mentre percorrevano mano nella mano il corridoio del Garden verso i dormitori: la stava accompagnando nella sua stanza quando l’aveva sentita vincere la naturale timidezza, conseguenza di quelle parole, e dar loro voce.

Ti amo.

E a lui era parso di sognare.

Nemmeno lì aveva risposto con le parole: si era limitato a stringere lievemente la sua mano ed a grattarsi la nuca, imbarazzato e lusingato, grato al fatto di esserle di spalle e risparmiarle il rossore adolescenziale che aveva sentito invadergli il volto.

Una ragazza come Rinoa Heartilly era innamorata. Di lui. Una cosa del genere poteva essere commentata solamente con un ‘wow’. L’aveva lasciata davanti alla stanza assegnatale e lei aveva nuovamente cercato le sue labbra; gliele aveva concesse, ancora incredulo che una cosa del genere potesse star succedendo proprio a lui. Era stata una sorta di conferma per entrambi: serviva a lei per accertarsi che quel ragazzo così chiuso e freddo ricambiasse ciò che sentiva e serviva a lui per convincersi che una cosa del genere non se la fosse sognata.

Aveva visto il suo volto illuminarsi di una felicità del tutto nuova quando si erano separati e l’aveva sentita chiudere la porta ed appoggiarvisi contro con un sospiro estatico: faceva tanto teenager innocente quel gesto che gli scappò incontrollato un sorrisetto divertito. Gli sembrava quasi di vederla, appoggiata contro la porta, a guardare l’infinito che c’era tra lei ed il soffitto, con quegli occhi sognanti da ragazza innamorata che non aspetta altro che il giorno dopo, per urlare al mondo intero che lei si era baciata niente meno che con Squall Leonhart.

Con Seifer era il passato: quelle parole dette sulla Lagunarock (*) avevano trovato conferma nei giorni successivi. Lei lo guardava, lo chiamava con lo sguardo, gli faceva sentire la paura che la invadeva svanire come fumo al vento quando le stava accanto ed anche quel piccolo gesto esclusivo tra Strega e Cavaliere per lui era valso più di mille parole. Gesti, fatti, azioni: mai parole.

Entrò nella sua camera e si buttò sul letto senza nemmeno spogliarsi: tutte le emozioni di quella sera lo avevano sfinito e quel sorrisetto soddisfatto non ne voleva sapere di rilassargli i muscoli del viso. Rifletté per qualche istante e si accorse che il suo non era un sorrisetto soddisfatto, ma un sorriso felice. Era felice. E per la prima volta nella sua vita non aveva paura di perdere quella felicità che aveva trovato mettendosi in gioco in un modo che mai avrebbe voluto fare fino a qualche tempo prima.

 
In the lingering moments before you die, your body releases DMT.
The same drug that makes you dream.
The same drug found in every living animal.


Un vento secco e freddo lo obbligò ad aprire gli occhi. Si guardò intorno e deglutì aria, in preda alla paura più nera, una paura che non provava da anni. La landa grigia ed arida della Compressione Temporale si estendeva davanti ai suoi occhi, infinita sotto un cielo di greve piombo. Si sentì la polvere del terreno appiccicata contro il palato e quella felicità del tutto nuova lasciare rapidamente il posto all’ansia. Si sentì sperduto e fu la prima volta che si sentì incapace di stare solo.

Mosse un passo in avanti, guardando la terra sbuffare polvere secca sotto il suo stivale. Si guardava intorno, ma tutto quello che vedeva era desolazione ed abbandono in una dimensione in cui ogni forma di vita era stata negata.

L’avevano sconfitta. L’avevano fermata. Artemisia non aveva attivato la Compressione Temporale e quello non poteva che essere un sogno: ricordava bene di essersi addormentato dopo la festa. Ricordava le labbra di Rinoa pronunciare quelle agognate due parole prima di incontrare le sue e poteva ancora sentire l’effetto che gli aveva dato, anche se lontano e nascosto da una patina di nervosismo. Quel luogo non poteva esistere se non nella sua testa.

Non dovette camminare molto per arrivare al limitare della landa. La terra si interrompeva bruscamente e dava su un fumoso nulla, senza principio e senza fine; si volse, aspettandosi di vedere la terra regredita dietro di lui per formare un fluttuante piatto di niente. Avrebbe atteso l’arrivo di Rinoa e di tutti i suoi amici o più semplicemente il suono della sveglia sul comodino o l’altoparlante che lo chiamava a rapporto con la voce del preside.

Vide dietro di lui una piuma candida fluttuare a mezz’aria. Danzava davanti a lui, senza tuttavia avvicinarsi alla terra polverosa o allontanarsi: sembrava quasi che lo stesse guardando, che lo stesse invitando ad avvicinarsi. Assecondò il sogno e si avvicinò a quella virgola candida che spezzava in modo così netto il grigio del cielo ed il marrone spento del suolo in modo talmente netto da somigliare ad un pugno nell’occhio. Mosse un passo ed una voce rimbombò nella sua testa.

Squall Leonhart

Era una voce bassa e profonda e riecheggiava nella sua mente come in un grotta vuota. Non mosse un passo di più e rimase in attesa; cercò il Lionheart appeso alla sua cintura, ma tutto quello che trovò fu un Revolver a terra, nella polvere, poco lontano da lui.

Un Revolver spezzato; la lama s’interrompeva bruscamente in una sezione tagliente e frastagliata e poco oltre il tamburo e la punta era piantata a terra, poco distante, con la polvere appiccicata a residui di sangue.

“Chi c’è?” chiamò, sorpreso. La voce rimbombò nuovamente nella sua mente.

Finalmente sei arrivato

Era una voce che non prometteva nulla di buono, ma che al contempo gli faceva provare una sensazione che poteva definire piacevole. Non sentiva nulla: erano sparite la paura, l’odio, la perplessità ed il nervosismo.

Ma non c’era nessuna traccia nemmeno della gioia, dell’amore, di quel piacevole brivido che gli aveva dato la scoperta di quelle due magiche parole uscite dalla bocca di Rinoa.

“Tu chi sei?” chiese, senza tuttavia riuscire a dare alla sua voce un tono minaccioso: suonò come una richiesta vaga, dettata solamente da una curiosità talmente flebile che scomparve prima che lui avesse modo di chiedersi perché avesse fatto quella domanda. La voce parlò ancora.

Sarai tu a deciderlo, Squall: tu deciderai chi sono io e chi sei tu

La piuma cominciò a brillare: una luce pulsante lieve, dolce, che si trasformò in pochi secondi in un abbagliante faro che lo obbligò a chiudere gli occhi sentì la terra sparire sotto i suoi piedi ed una forza trascinarlo per le spalle. Ciò che tuttavia lo sconvolse non fu l’improvvisa, inaspettata piega che fece il suo sogno.

Ciò che lo sconvolse fu il fatto che non era sconvolto.


It's not an evolutionary trick to make you survive.
Your body is choosing to release this drug now because it believes your fate is too grim for you to comprehend.


Quando riaprì gli occhi, era in un posto nuovo: lo spiazzo su cui si trovava non era altro che una piattaforma rocciosa, ma al centro della pianura sottostante, lontano, c’era il Garden di Balamb, sovrastato da un cielo plumbeo e gravido di pioggia. L’aria era umida e sapeva di quell’odore, quel profumo che gli piaceva, che precedeva o seguiva un temporale: l’odore dell’erba bagnata, dell’umidità stagnante nel vento, delle cariche elettrostatiche che eccitavano le molecole dell’aria poco dopo un fulmine.

Davanti a lui, c’era Seifer. L’uomo lo guardava immobile, con una serietà che non gli apparteneva: il sorrisetto sprezzante e strafottente, suo marchio di fabbrica, era scomparso, il volto era distrutto e gli occhi spenti. Un sottile segno rosso gli circondava la gola, come un collarino. Le braccia erano abbandonate lungo i fianchi ed il suo Hyperion era a terra, a pochi passi da lui, spezzato.

“Seifer?” chiamò Squall. Gli occhi del rivale erano spenti, quasi finti, immobili, e non lo lasciavano nemmeno per un istante.

“Ricordi?” chiese improvvisamente. Anche la voce sembrava non sua: era bassa, lenta e pregna di una tale desolazione che avrebbe dovuto perlomeno scuoterlo. Ma non accadde: dentro di lui vi era solo l’immagine di quella piuma che volteggiava in un punto nello spazio, quella voce con il potere di spogliarlo di tutti i sentimenti e svuotarlo di tutte le emozioni. Squall era pregno di serenità, non capiva il perché e la cosa non gli interessava.

Si volse per accontentarlo e vide sé stesso a terra; un giovane vestito esattamente come lui, con un Revolver in pugno, scagliato a terra, che guardava attonito un altro Seifer davanti a lui: quel biondo restituiva a quello Squall uno sguardo divertito, eccitato, in qualche modo sadico, mentre l’Hyperion era stretto nella sua mano. Squall si soffermò su un particolare che gli fece aggrottare leggermente un sopracciglio.

Il viso dell’altro sé stesso era pieno di sorpresa, incredulo per l’affronto dato dal fatto che stava a terra, inerme, mentre leggeva negli occhi dei Seifer sopra di lui la decisione di fare qualcosa di contrario alle regole ma non per questo meno eccitante. Il tempo si congelò nell’istante in cui l’Hyperion si sollevò oltre la testa del biondo e gli occhi dell’altro Squall spalancarsi di comprensione, tardiva tuttavia per evitare la cicatrice che ancora non c’era, ma che sarebbe stato il SUO marchio di fabbrica da quel momento in avanti.

“Ricordi?”: la voce di Seifer riportò la sua attenzione su di lui. I suoi occhi non l’aveva lasciato e lo fissavano senza espressione.

“La cicatrice…” borbottò lui in risposta, portandosi istintivamente una mano sulle labbra dischiuse del taglio che sarebbero rimaste così finché non avesse deciso di farsele ricucire per permettere la formazione di una cicatrice più discreta.

“Volevo farlo” disse Seifer. “Ma non mi sarei mai spinto oltre”. Si passò un dito sul collo, evidenziando il segno rosso che stonava con il perlaceo della sua pelle ed il candore della sua casacca. Squall non capì, ma tornò ugualmente con lo sguardo sulla scena: tutto era immobile, tutto era fermo. L’espressione di Seifer era compiaciuta, il ghigno sul volto era in qualche modo crudele, ma non si sarebbe mai spinto a fare quello che non avrebbe mai voluto fare.

“Non mi sarei mai spinto oltre…” ripeté la voce del ragazzo, mentre si voltava verso la scena. “Mai…e nemmeno tu ti saresti spinto oltre…ma l’hai fatto”. Tornò con gli occhi su di lui. “L’hai fatto…perché l’hai fatto?”.

“Cosa ho fatto?”: la domanda sorse spontaneamente, eludendo lo scarso interesse che provava in quel momento. Era il passato, un passato che si era ormai lasciato alle spalle da tempo. Non ci pensava nemmeno più alla nascita della sua cicatrice, quella che per qualche tempo aveva dirottato l’attenzione di tutti su di lui, quella che aveva deciso di tenere per incutere timore nei suoi nemici, quella che aveva attirato gli sguardi dei suoi amici come una calamita per tutto quel tempo.

“Sei andato avanti Squall” fu la risposta. “Avresti dovuto fermarti, ma non l’hai fatto: sei andato avanti”. Gli occhi di Seifer si immobilizzarono nuovamente su di lui, con quell’espressione che non diceva se veramente lo stava vedendo.

“Perché sei andato avanti?”.



Di nuovo la luce, di nuovo la Compressione: accadde in maniera così repentina da fargli dubitare di aver visto veramente Seifer. La piuma era ancora lì e fluttuava tranquilla, senza alcun pensiero o preoccupazione apparente: faceva il suo lavoro da piuma e volteggiava, infischiandosene di ciò che la circondava.

Hai visto Seifer…

La voce tornò ad invadergli la mente, rimbombando nella sua testa come se non ci fosse altro. Questa volta, tuttavia, portò con sé un seme d’ansia e lo piantò da qualche parte dentro di lui; lo sentì germogliare, ma non lo ritenne un fatto preoccupante: continuò a studiare i movimenti della piuma davanti a sé senza tuttavia percepire un che di trasporto, un filo d’interesse per quello che vedeva.

Perché hai visto Seifer?

“Dimmelo tu perché” rispose. “Chiunque tu sia”.

Non aveva bisogno di quella voce che gli spiegasse: Seifer era stato molte cose per lui. Un rivale, un esempio, un superiore, un compagno d’orfanotrofio. Con lui aveva sperimentato per la prima volta il brivido del duello ed il dolore conseguente, interno ed esterno; con lui aveva provato cosa voleva dire obbedire ad un suo superiore e disobbedire agli ordini del Garden. Con lui aveva scoperto il significato di odiare visceralmente un traditore, uno che aveva venduto quella che era stata la sua casa al Garden di Galbadia, uno che aveva consegnato ad una Strega come Adele una ragazza che l’estate precedente l’aveva ritenuto parte importante nella sua vita.

Seifer era in parte responsabile di ciò che era successo, di ciò che era e di ciò che era diventato. Ma domanda rimaneva in parte irrisolta. Perché l’aveva visto? Perché c’era stato quello scambio di battute così fumose e confuse e pregne di una paura nascosta non troppo bene perché lui non ne cogliesse un angolo più che sufficiente da mostrargli almeno che esisteva?

È uno dei tre, Squall. Per questo l’hai visto

La piuma tornò a brillare, abbagliandolo con una seconda ondata di luce bianca talmente intensa da costringerlo a cercare nuovamente il sollevo e la sicurezza dietro il nero delle palpebre.

 
So you dream.
You dream that everything will be fine.
You dream that nothing happened.


La strada principale di Deling City era luminosa ed affollata esattamente come allora: in cielo si stagliava alta una luna talmente rotonda e grande che sembrava disegnata con il compasso, la cui luce tuttavia scemava davanti all’illuminazione della città ed ai fuochi sparati nell’aria per festeggiare la Strega Edea, neogovernatore di Galbadia. Il carro, enorme ed appariscente su cui, sapeva, sedeva la donna, stava per varcare i cancelli dell’arco di trionfo.

Squall guardò la scena: sapeva il dove e sapeva il quando, ma rimase comunque leggermente sorpreso quando la scena cambiò ancora e si trovò sopra il carro. Seifer giaceva privo di sensi accanto al trono e Edea si stava alzando, indispettita dai tre ragazzini davanti a lei talmente impudenti da sfidarla.

Il tempo si fermò nuovamente: Squall ebbe modo si studiare l’attimo congelato in cui la Strega alzava un braccio sopra la sua testa, attirando verso di sé un lumicino azzurro delle dimensioni di una capocchia di spillo. Dall’altra parte del carro, un’altra Edea lo guardava fisso. I suoi occhi da falco, di un bel giallo dorato, lo studiavano spenti, eppure vivi di una luce che trasmetteva la smodata passione per quello che stava facendo. Squall sentì un brivido corrergli lungo la schiena e la chiamò.

“Edea?” sentì la propria voce dire: stranamente, non si sentiva di chiamarla Madre. La donna non rispose subito; camminò verso di lui con un’eleganza ipnotica, disinteressandosi completamente a ciò che la circondava.

“Lo senti?” chiese. Non disse altro: la sua voce era fredda, metallica, estranea. La scena slittò in avanti di qualche secondo, per poi interrompersi nuovamente quando tre lance di ghiaccio si materializzarono poco sopra la mano dell’altra Edea: li stava guardando con un’espressione infastidita, come se stesse cercando di scacciare tre mosche audaci quanto bastava per infastidirla fino al limite della sua sopportazione.

Dall’altra parte del carro vi erano Rinoa, Irvine e, nuovamente, un altro lui: la cicatrice era al suo posto, ancora leggermente arrossata, che incorniciava un’espressione perplessa ed un paio di occhi preoccupati e solo lievemente incuriositi. E fu proprio la curiosità il seme che la voce di Edea piantò nella sua testa: si sentì improvvisamente curioso di vedere cosa sarebbe successo dopo, perché il prima lo sapeva ed il durante lo ricordava.

“Lo senti?” chiese nuovamente Edea. Il suo sguardo era fermo e sterile, il suo volto era più vicino, la sua espressione una maschera di cera, la sua voce era piatta e gelida. Il tempo fece un secondo scatto e questo volta Squall sentì.

L’altro Squall venne colpito da una delle tre lance di ghiaccio e lui sentì una fitta di devastante dolore irradiarsi dal suo sterno: durò qualche attimo, poi svanì così come era arrivata. Barcollò leggermente, lanciando un’occhiata perplessa alla Edea davanti a sé: studiò ancora l’attimo congelato, soffermandosi sulla calma spiazzante della Strega davanti al trono, l’espressione contratta dell’altro Squall che cercava con tutte le forze di respirare, la paura che brillò negli occhi di Rinoa nel rendersi conto che quel ragazzo insopportabile con cui non aveva fatto altro che litigare era stato colpito.

“Perché?” chiese Edea. Nulla sul suo viso era cambiato. “Perché hai preferito tutto questo?”.

E prima che avesse modo di elaborare la domanda, la luce lo riportò con uno strattone alla Compressione. Squall si sentiva ancora senza fiato per la fitta che aveva sentito, ma il dolore era scomparso e lui poté nuovamente concentrarsi sulla piuma.

Adesso hai visto Edea…

La voce parlò, ma al contrario di poco prima la frase suonava più come una constatazione che come una domanda. Non tradiva divertimento, ma suonava tranquilla, pacata. Quasi paziente. In paziente attesa di qualcosa.


(*) Riferimento ad un pezzo segreto del dialogo all’interno della Lagunarock (credo presente solo nella versione americana)



NOTA DELL'AUTORE:

Ragazzi, bentrovati: lo so, non è da me ripartire in quarta con una nuova fic dopo così poco dal termine della precedente, ma questa è una cosa che volevo scrivere da tempo e che solo adesso, grazie a voi lettori, ho avuto il fegato di mettermici a lavorare.

Il progetto iniziale era quello di una OS ma io, come i miei lettori più appassionati avranno già capito, sono veramente molto infame e quindi mi prendo la libertà di spezzarla in due parti per stimolare (spero) la vostra curiosità.

Questa non è completamente farina del mio sacco, ma le fonti da cui ho preso l'idea le fornirò alla fine della storia, ovvero al prossimo aggiornamento.

Ci leggiamo quindi alla prossima.

Leonhard
   
 
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