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Autore: elizabethfray    29/03/2016    0 recensioni
"Elizabeth odiava i cambiamenti di programma. O le novità. O le sorprese. O qualsiasi altra dannatissima cosa che non facesse parte dello schema con cui lei aveva organizzato la sua vita per un certo periodo di tempo. Cioè, le facevano proprio schifo. Così, quando i suoi genitori le hanno detto che la loro casa era stata distrutta da qualche stupido demone e che sarebbero dovuti andare a vivere dentro l'Istituto per un tempo al momento indeterminato, lei non ha preso la notizia particolarmente bene." Salve amici lettori, ho deciso di cimentarmi in un possibile continuo della saga di Shadowhunters, spero vi piacerà.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Elizabeth odiava i cambiamenti di programma. O le novità. O le sorprese. O qualsiasi altra dannatissima cosa che non facesse parte dello schema con cui lei aveva organizzato la sua vita per un certo periodo di tempo. Cioè, le facevano proprio schifo. Così, quando i suoi genitori le hanno detto che la loro casa era stata distrutta da qualche stupido demone e che sarebbero dovuti andare a vivere dentro l'Istituto per un tempo al momento indeterminato, lei non ha preso la notizia particolarmente bene. Se per ''particolarmente bene'' si intende avere la voglia di posizionarsi nel punto perfetto in cui due strade si incrociavano e lasciarci schiacciare da due tir (il tutto urlando), allora sì: non l'aveva presa particolarmente bene.

Ovviamente, non voleva certo che i suoi genitori la vedessero affrontare una morte certa, così si limitò ad alzare le spalle e a seguire suo padre nei resti di quella che una volta era stata la sua casa per vedere se qualcosa si era magicamente salvato dall'attacco demoniaco. La sua reazione (apparente) era stata così minima soprattutto perché sapeva che tentare di far cambiare idea ai suoi genitori sarebbe stato inutile (anche perché non c'era altro posto dove potessero andare). Che poi, non le dispiaceva in particolar modo andare all'Istituto, perché lì vicino abitava Meredith, perché era fornito di una palestra, perché le camere da letto erano bellissime...insomma, per una marea di ragioni! Ma, come c'erano delle ragioni per cui andare, ce n'era anche una per cui non andare: Christopher Herondale. L'ultima volta che lo aveva visto avevano lei otto e lui dieci anni, ed era il ragazzino più fastidioso che avesse mai incontrato in tutta la sua, anche se breve, esistenza. Dopo l'ultimo incontro, quando i suoi genitori volevano tornare lì per incontrare i loro amici Clary e Jace, lei riuscì sempre a farla franca ed evitare altre spiacevoli giornate in compagnia del tipo. Non voleva che questa esperienza risalente a otto anni prima condizionasse il suo giudizio sul ragazzo che era diventato, anche perché sapeva che la maggior parte dei ragazzini a dieci anni era sgradevole, ma immaginava anche che sarebbe stata molto dura avere un buon rapporto con lui.

Comunque, il suo umore non migliorò molto quando scoprì che i vestiti che aveva lasciato a casa mentre era ad Idris erano stati distrutti.

Le veniva davvero da piangere, adesso.

–Dopo ti darò dei soldi così potrai comprarti qualcos'altro.– la rassicurò sua madre vedendo l'espressione sconsolata della figlia. –E non preoccuparti, tesoro, presto risolveremo tutto.– aggiunse alla fine.

–Okay, grazie.– rispose Elizabeth, raccogliendo da terra il bagaglio che aveva portato a Idris e incamminandosi sulla strada che l'avrebbe condotta all'Istituto.

 

Davanti al portone dell'Istituto fece un respiro profondo, abbassò lo sguardo sugli anfibi neri che aveva ai piedi, e cominciò a camminare. Notò a mala pena cosa la circondava mentre raggiungeva l'ascensore, preceduta dai suoi genitori, emozionati all'idea di rivedere i loro amici. Le ricordarono se stessa a sette anni, quando aspettava che Meredith arrivasse a casa sua, e intanto saltellava per tutto il soggiorno pensando a cosa avrebbero potuto fare insieme. Rimase sconcertata da quest'ultimo pensiero, certa che non fosse un bene che i suoi genitori le ricordassero una bimba di sette anni.

Quando l'ascensore si fu fermato, le porte furono aperte da una piccola donna dai capelli rossi. Clary. Elizabeth era sconcertata dal fatto che fosse rimasta lì ad aspettare il loro arrivo. Ma fu ancora più sconcertata, quando la donna la stritolò in un soffocante abbraccio. Solo Meredith l'abbracciava con una tale forza, quando era passato tanto tempo dal loro ultimo incontro. Sentendosi stordita da tutto ciò, Elizabeth disse un debole “Ciao”, e si sforzò di sorridere nonostante la stanchezza e il malumore.

–Come sei cresciuta! È passato davvero tanto tempo...sei diventata davvero bellissima!–. Quindi prima non ero bella, fantastico! Pensò Elizabeth, guardandosi le scarpe, per evitare che tutti vedessero la sua espressione torva.

Dopo che ebbe stritolato per bene anche i suoi genitori, Clary le fece vedere le indicò una porta. –Tu puoi sistemarti qui. E nella stanza accanto c'è Chris, se ti va di salutarlo.

–Grazie.– rispose la ragazza, notando un'occhiata della madre che le diceva “Vai contro la tua natura di stronza per una volta, e sii amichevole e gentile con quel ragazzo”.

Aprì lentamente la porta, e sorrise un po' nel vedere l'arredamento e sentendo l'odore del legno con cui erano fatti tutti i mobili: tutte cose molto familiari.

Appoggiò la borsa a terra e si lasciò cadere sul letto. Questo affare è vecchio e probabilmente dovrei stare più attenta quando decido di sdraiarmici sopra.

Dopo circa quindici minuti sentì dei colpi sulla porta, accompagnati dalla voce di sua madre –Elizabeth, sono io. Posso entrare?

–Certo.– tanto sarebbe entrata comunque.

–Sei andata da Christopher?– chiese sedendosi sul bordo del letto.

–No.– Elizabeth si mise in piedi e si mise davanti allo specchio che era sopra il cassettone che avrebbe dovuto riempire con i suoi vestiti.

–Si può sapere cosa hai fatto fino adesso?– Hannah non era arrabbiata, ma voleva che sua figlia la prendesse sul serio, così usò un tono di rimprovero.

–Umm...niente che tu possa giudicare produttivo, credo.– Elizabeth aprì i cassetti del grande mobile e trascinò fin lì il suo borsone, riluttante a svuotarlo.

–Sistema i vestiti e poi vai a salutare quel ragazzo, devi imparare ad essere più educata.– la ammonì la donna prima di uscire dalla stanza.

–Sissignore.– bisbiglio lei in risposta, mentre iniziava a infilare ordinatamente i vestiti nel primo cassetto.

 

Impiegò molto più tempo del necessario per compiere il suo lavoro e alla fine, dopo aver sistemato i capelli e il trucco un po' sbavato, decise di dirigersi lentamente davanti alla porta della camera di Christopher. Una volta lì, bussò e, dondolandosi sui talloni, aspettò che qualcuno dall'altra parte le dicesse di entrare o che la porta si aprisse. Dopo aver bussato qualche altra volta, si ritrovò a fissare la porta chiusa e alla fine si sentì tremendamente stupida. Indecisa sul da farsi, si morse il labbro e decise di scoprire se la porta era chiusa a chiave oppure no. Elizabeth era sempre così dannatamente curiosa, che non si fermava a pensare alle conseguenze delle sue azioni, così girò la maniglia e spinse la porta, che si spalancò. Si affacciò nella stanza e, invece di preoccuparsi che qualcuno fosse nella stanza, rimase ammagliata dai numerosissimi disegni appesi alle pareti e sparsi sulla scrivania. Senza pensarci su, entrò nella stanza e la porta si richiuse alle sue spalle sbattendo, a causa della corrente d'aria che entrava dalla grande finestra spalancata sopra al letto. Non facendo caso al rumore, si avvicinò alla parete accanto alla porta, che era interamente coperta di disegni. Letteralmente, coperta di disegni. Era impossibile vedere la vernice con cui era stata dipinta la parete. Guardò quelli che andavano dall'altezza dei suoi occhi in giù, sfiorando i fogli con la punta delle dita, stando attenta a non rovinare i chiaroscuro. Il suo sguardo cadde su uno in particolare, che raffigurava il volto di un ragazzo. Smise, però, di guardare il disegno, quando sentì una porta alle sue spalle aprirsi e dei passi attutiti dalla moquette, andare verso di lei. Si girò svelta e vide il ragazzo che supponeva fosse Christopher che con espressione bagnata e confusa, andava verso di lei. Era appena uscito dalla doccia e, come la maggior parte dei ragazzi che si erano appena lavati, se ne andava in giro con addosso solo un asciugamano avvolto intorno alla vita. Ma solo io, quando mi lavo, porto i vestiti in bagno?!

–Ciao.– disse la ragazza, cercando di mettere fine a tutto quell'imbarazzo. Si sforzò di sorridere, ma proprio non ci riusciva. Era quasi certa che fosse Christopher: aveva i capelli neri e con qualche boccolo, gli occhi di un azzurro chiarissimo e somigliava in modo impressionante a suo padre Jace.

–Chi sei?– domandò lui, sempre più confuso. Si aspettava che Elizabeth sarebbe andata a salutarlo, e lei non gli ricordava neanche minimamente l'Elizabeth che aveva conosciuto da bambino. Quella che lui ricordava, era una bimba troppo bassa per la sua età, paffutella e con i capelli biondi e lunghi; la ragazza che aveva davanti, era alta quasi quanto lui, magra -forse anche troppo, per essere una shadowhunters-, e i capelli erano castani. Gli occhi, però, erano gli stessi che aveva visto otto anni fa: grigi e vivaci.

–Elizabeth Blackmoon.– rispose lei, torcendosi le mani come faceva sempre quando era in imbarazzo o nervosa.

–Non puoi essere tu...sei cambiata moltissimo!– sembrava sinceramente stupito.

–Credevi che avrei avuto per sempre l'aspetto di una bambina di otto anni?– non voleva essere antipatica ma, nonostante i suoi sforzi, la domanda suonò un po' brusca.

–Certo che no, ma sei cambiata cambiata!

–Ah si? Tu sei uguale uguale.– Elizabeth cominciava a stancarsi di quell'assurda conversazione, così cercò di porle fine. –Okay, ora ti lascio vestire e...ci vediamo in giro.– si sforzò di sorridere e uscì dalla stanza. Che tipo assurdo.

 
   
 
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