Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Feds_95    30/03/2016    2 recensioni
Mi fissava, sosteneva il mio sguardo con un’onestà estrema. La luce che avevo visto poco fa era sparita.
Indietreggiai con un balzo e ricominciai a tremare, ma stavolta non era la collera che mi tormentava.
I suoi occhi nei miei occhi. Il suo sangue sul mio muso.
La sua vita. La mia vita.
Il branco indietreggiò. Iwao mi ringhiò contro, insieme a Darcia e Kunio, non ero più un capo per loro, e grugnirono contro la preda. Pensai che fosse il ragazzo più bello e vitale che avessi mai visto e loro stavano per farlo a pezzi.
Vidi quello che stava succedendo. Vidi lui come non avevo mai visto nulla prima di allora. E li fermai.
[Tratto dal Primo Capitolo]
****
Mi faceva male il petto, il mio corpo parlava un linguaggio che la mia mente a stento riusciva a decifrare.
Attesi.
Ma Taiga, l’unica persona al mondo che volevo mi riconoscesse, attese che l’amico lo raggiungesse per poi incamminarsi al seguito del gruppo, schiamazzando e parlando.
Non si accorse neppure che ero lì, e che gli sarebbe bastato tendere la mano per toccarmi.
[Tratto dal Terzo Capitolo]
(Crossover con "Wolf Children", opera di Mamoru Hosoda)
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Riko Aida, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Cross-over, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Quel Nome

Un Nome

 

Ieri- 7 anni fa

 

Dopo quell’episodio lo rividi ancora, sempre al freddo.

Era nel campetto al limitare del bosco, con uno zaino e un pallone da basket in mano. Teneva gli occhi fissi sui cespugli, nei quali mi ero acquattata come ero solita fare per osservarlo. Trovavo incredibile che un ragazzino fosse in grado di giocare con quel freddo, insopportabile persino per noi lupi.

Stava lì, a volte tirava a canestro o si sedeva sulla panca finché non sentiva addosso il mio sguardo. Tuttavia non ero mai del tutto sicura che riuscisse realmente a vedermi o se lo immaginasse solamente.

Si avvicinava lentamente; veniva piano piano verso di me con la mano tesa, il palmo verso l’alto, gli occhi bassi. Senza minaccia. Cercava di parlare il mio linguaggio, ed io lo capivo.

Però, per quanto mi sforzassi, non riuscivo mai a farmi toccare, sparivo sempre tra gli arbusti prima che potesse annullare la distanza tra noi.

Non ebbi mai paura di lui, né lui di me apparentemente. Ero grossa quanto bastava per strapparlo via dalla panca, più grande di un lupo normale, forte abbastanza da gettarlo a terra e trascinarlo nel bosco. Ma sapevo che la ferocia del mio corpo non raggiungeva i miei occhi, in ogni gradazione di verde.

Sapeva che non gli avrei mai fatto del male.

Volevo che sapesse che non gli avrei mai e poi mai fatto del male.

E aspettava. Aspettava.

Anche io aspettavo, ma non sapevo cosa. Lui sembrava l’unico tra i due a cercare un contatto.

Tuttavia, nonostante non ci fosse mai riuscito, era sempre lì. A guardare me che guardavo lui.

E così per due mesi si ripeté lo stesso schema: la sua presenza ossessiva al campetto, la mia figura nascosta nei cespugli. Lui cercava di avvicinarsi e io mi allontanavo.

Però quel giorno fu diverso.

La neve era caduta molto durante la notte, arrivando a coprirmi le zampe e impedire a lui di giocare. Non aveva con sé il pallone, solo uno zaino rosso sulle spalle ed una sciarpa dello stesso colore intorno al collo. Stava lì, più vicino del solito, con gli occhi bassi.

E per la prima volta parlò.

<< Io... non potrò venire più. >> disse. Il suo sospiro creò una nuvola di vapore che si dissolse in pochi secondi. << Io e la mia famiglia torniamo in America, a Los Angeles. Lì non ci sono lupi. >> scherzò, alzando lo sguardo e puntandolo nel mio. << Perciò sono venuto a salutarti, Yuki. >>

Yuki?

Emisi un versetto, emergendo appena col muso da dietro il cespuglio.

<< Ehm… Non sapevo come fare per rivolgermi a te, così ho pensato di darti un nome! >> ridacchiò, grattandosi la nuca nervoso. << Mia nonna ha detto che Yuki significa “neve” e così mi è venuto il mente il colore della tua pelliccia. Ma se non ti piace, posso cambiarlo! >>

Feci qualche passo in avanti, incuriosita più che mai dal bambino che aveva dato il nome ad un lupo. Anche lui fece qualche passo verso di me, lentamente e alternando lo sguardo dal terreno a me. Cercava di non fare movimenti bruschi per non spaventarmi.

America… sapevo che era un posto molto lontano, praticamente dall’altra parte del mondo.

Sapevo che quello sarebbe stato un addio, un amaro addio. Se ne fossi venuta a conoscenza prima, mi sarei avvicinata, magari addirittura mostrata in forma umana, pur di passare più tempo con lui.

Si inginocchiò sulla neve, mentre io mi avvicinavo ancora di più.

Adesso eravamo vicini, più di quanto lo fossimo mai stati.

Occhi rossi in occhi verdi.

Due mondi in contatto.

Allungò la mano, col palmo rivolto in alto, piano piano. Io abbassai il muso e lui mi accarezzò fra le orecchie. Le sue dita sprofondarono nella mia pelliccia, toccando la pelle calda. I piccoli calli, dovuti alla palla da basket, e la ruvidezza della pelle causata dal freddo mi graffiavano lievemente, in modo piacevole.

Chiusi d’istinto gli occhi, ma lui non sembrò accorgersene, perché continuò a sorridere e ad accarezzarmi dolcemente.

Non so per quanto restammo in quella posizione, calmi e immobili. Sarei potuta restare così ancora, per sempre. Quel semplice contatto, che avevo scacciato per tutto quel tempo, mi trasmetteva un immenso calore, riscaldandomi le membra. Improvvisamente dentro di me era estate.

Il ragazzo allontanò la mano con lentezza, quasi come se non volesse farlo. Neanche io volevo che lo facesse, ma era inevitabile.

Si alzò, pulendosi la neve dai pantaloni neri, infilati negli stivali, e non smise mai di sorridere e sghignazzare allegro.

<< Sono contento che di averti potuta salutare! Ti prometto che tornerò a trovarti! >> disse, mentre ripercorreva la strada su cui aveva lasciato le sue solitarie impronte. Io mi voltai per tornare nel bosco, dal branco, alla ricerca di cibo. Camminavo lenta, sicura, col suo odore ancora addosso, intriso nella pelliccia.

<< Ah! Quasi dimenticavo! >> gridò all’improvviso << Io mi chiamo Kagami Taiga!! Non scordarti di me! >> poi prese a correre nelle direzione da cui era venuto.

Profumo di caldo e cuoio.

Ora quell’odore aveva anche un nome.

Taiga Kagami.

  
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