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Autore: Marty Shin x Ran    30/03/2016    2 recensioni
Durante un giorno qualunque, Shinichi Kudo alias Conan Edogawa, viene rapito da un uomo.
Passano cinque anni e, grazie alla testardaggine di Ran, il mistero attorno alla sua scomparsa comincerà a dissolversi, rivelando, però, una scia di sangue più lunga del previsto.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti ragazzi!
Sono tornata, purtroppo p​er voi.
Questa è la prima fanfiction che vi porto e che ho più volte provato a postare, senza riuscirci -.- .
Comunque, questo è il primo capitolo.
Buona lettura ;) !
 
Capitolo primo: malinconico anniversario
 
“Oh, dannazione!”
A lanciare l’imprecazione, sbattendo su un libro aperto un evidenziatore giallo, fu una ragazza di ventuno anni dai lunghi capelli mori, occhi azzurri, tendenti al lilla.
Le braccia le caddero lungo il corpo e rivolse lo sguardo al soffitto della sua camera, illuminata solo dalla lampada sulla scrivania dove lei stava studiando.
Sospirò rassegnata, sospingendosi con le braccia per allontanarsi dal tavolo e alzarsi: da una settimana a quella parte, stare sui libri, era diventata un’impresa titanica.
Si affacciò dalla finestra, contemplando le stelle e la luna per non pensare al motivo di tanta distrazione.
Se l’avesse fatto, probabilmente, sarebbe scoppiata a piangere e non lo voleva, non voleva che gli altri si straziassero per lei.
Si soffermò a guardare il cielo sereno con un amaro sorriso e pensò che fosse impossibile non far arrivare il giorno dopo.
Si girò, appoggiandosi con le mani al telaio della finestra e lanciò un’occhiata triste al calendario.
Il 19 aprile era al termine e il 20 sarebbe arrivato, inesorabilmente, portando con sé un’ondata di dolore per lei incolmabile.
Si gettò a faccia in giù sul letto, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia pallida.
Strinse il cuscino e soffocò un singulto, inghiottendo a stento la saliva a causa di un nodo alla gola.
Stava nuovamente cedendo, ma non voleva e non poteva permetterselo.
Era stata già abbastanza patetica per i suoi gusti negli anni passati.
Si mise a sedere e dal comodino prese una foto e rimase a fissarla.
Due ragazzi felici e sorridenti guardavano l’obiettivo, mentre sullo sfondo si stagliava il bellissimo castello situato a Tropical Land, dove Lui era corso via da lei, per tornare a distanza di mesi e poi sparire nuovamente.
Si concentrò sul ragazzo, sui suoi capelli corvini, sui suoi profondi occhi blu e sul suo bellissimo sorriso e accarezzò l’immagine con il pollice attraverso il vetro.
Le lacrime cominciarono a scorrere velocemente, infrangendosi sull’immagine.
Non riusciva a trattenersi, ad incatenare i suoi sentimenti dentro: quel sorriso l’annullava e la faceva tornare fragile come un uccellino caduto dal nido.
“Cinque anni … sono passati cinque anni!” singhiozzò, mentre l’ombra sul muro si agitava come la fiamma di una candela in balia del vento.
“Sono cinque anni che sei scomparso, Shinichi!”
Strinse le dita attorno alla cornice lucida, imprimendoci tutta la sua forza e la sua disperazione.
L’indomani, infatti, sarebbe stato il quinto anniversario della sparizione di Shinichi Kudo, il suo amico d’infanzia e il ragazzo di cui era innamorata.
Si stese su un fianco, poggiando la testa sul cuscino e tenendo stretta la foto, ricordando tutti i fatti come se fossero accaduti solo un giorno prima.
Quel 20 aprile di cinque anni prima tutto era come sempre: lei e Conan, il bambino che abitava con loro, erano andati a scuola come ogni mattina e tutto rientrava nella norma, rispettando la routine quotidiana.
La sera, finite le lezioni, salutò la sua migliore amica, Sonoko, e tornò a casa, convinta di trovare suo padre e il suo piccolo amico ad aspettarla, affamati.
Al suo arrivo, però, dovette constatare di aver sbagliato: c’era solo suo padre lì ad attenderla, ubriaco.
All’inizio non ci fece caso: alcune volte Conan restava a giocare con i suoi amici o andava dal dottor Agasa, rientrando in tempo per la cena.
Si cambiò, riponendo la divisa su una sedia, pronta per il giorno successivo e poi accese il cellulare, aspettandosi di vedere il simbolo del messaggio o quello della chiamata persa.
Con sua grande sorpresa non trovò né l’uno né l’altro.
Con un tuffo al cuore, cercò di appellarsi a tutta la sua razionalità.
Poteva essersi dimenticato di avvertirla.
Accogliendo le insistenti richieste di Kogoro, preparò la cena, cercando di non cedere all’ansia e ripetendosi che sarebbe tornato, come sempre.
Il tempo scorse lentamente e, ogni minuto in più, avvertiva una strana sensazione farsi largo nella sua mente, una paura che pareva stupida, ingiustificata.
Due ore dopo, finita la cena, perse definitivamente la calma e chiese consiglio al padre, che le suggerì di telefonare ai suoi compagni per sapere se si trovava da loro, senza allarmarsi inutilmente.
Con il cuore che le martellava furiosamente in petto, chiamò tutte le persone da cui sarebbe potuto essere, pregando con tutta sé stessa che stesse bene.
Ottenne una negazione dietro l’altra da parte di tutti gli amici e non le rimase che chiedere al professor Agasa.
Compose il numero a rilento, spaventata dalla risposta che avrebbe potuto ricevere.
Come temeva, lui non aveva neppure visto il bambino quel giorno.
Fece un’ultima prova, cercando di contattare direttamente il suo cellulare, ma scattò immediatamente la segreteria telefonica.
Tremò, chiudendo la chiamata e pianse, facendosi cullare da Kogoro, che le sussurrava di stare tranquilla e che l’avrebbero trovato.
Non ricordava di aver mai provato una sensazione tanto brutta, salvo quando Shinichi era corso dietro quegli uomini vestiti di nero.
La sera stessa andarono alla polizia, scuri in volto, e fecero la denuncia di scomparsa, rendendo ufficiale la notizia: Conan Edogawa era sparito.
E non solo lui.
Mentre la polizia continuava con le ricerche, lei fece vari tentativi per mettersi in contatto con Shinichi, bisognosa della sua voce calda e rassicurante, ma, anche da lui, non ottenne più risposta.
Passò un anno e la polizia si arrese, incapace di trovare anche un solo indizio.
Fu un duro colpo per tutti.
Ayumi, che l’aveva visto dirigersi verso casa, tranquillo, quel giorno, si sentiva in colpa per non averlo fermato o accompagnato e si chiuse in un mutismo preoccupante, che solo recentemente aveva interrotto.
Ran, invece, quando venne a saperlo, protestò, rivolgendosi a tutte le persone che lavoravano in polizia ed erano affezionate a lei e al bambino, mentre la domanda “Sarà ancora vivo?” le ronzava in testa.
Visse quel primo anniversario sola, in camera, mentre i suoi timori la corrodevano dentro come un acido.
Le mancavano entrambi i suoi amici, pilastri fondamentali della sua vita.
Quando si trovò in compagnia di suo padre, finse di sorridere e cercò di mostrarsi quantomeno serena, anche per aiutare lui, che si era affezionato al bambino.
Trascorse il resto dell’anno seguendo la sua routine: un po’ per necessità e un po’ perché sapeva che, se l’avesse interrotta, qualcosa in lei si sarebbe infranto.
Passò un altro anno e lei si diplomò, senza di lui.
Tempo prima, non avrebbe dubitato un solo secondo di come avrebbe passato quel momento, poiché sarebbe stata certa della sua risposta.
Un po’ come nei sogni irreali e irrealizzabili dei bambini, anche lei desiderava la felicità costante di tutti e, per un momento importante come l’ottenimento del diploma, quella gioia significava Shinichi Kudo.
Eppure, quando ebbe quell’attestato in mano, simbolo di tanto lavoro, impegno e fatica, non fu pervasa da quel senso d’euforia che avrebbe dovuto provare.
Passare lo sguardo su tutti i presenti e non vedere nemmeno qualcuno di somigliante alla persona più importante della sua vita fu un duro colpo.
Era la prova definitiva che l’aveva perso e che la sua vita era definitivamente cambiata.
Questa consapevolezza le lasciava tuttora l’amaro in bocca, la rendeva delicata ed incredula allo stesso tempo, soprattutto per la verità che aveva dovuto apprendere da sola
Il terzo 20 aprile senza di lui, Heiji e Kazuha, degli amici di Osaka, andarono a trovarla, utilizzando come scusa un piccolo restauro dell’università, che sarebbe rimasta chiusa per una settimana.
Quel pomeriggio stesso, il ragazzo le chiese di accompagnarlo da Agasa, perché avevano qualcosa da raccontarle e pregò l’amica di andare con loro.
Riusciva ancora a percepire il disagio provato da Heiji, mentre camminavano e riviveva in continuazione il flash della sua espressione seria e triste, che, al pari del suo aspetto, l’avevano scossa.
Il giovane, infatti, era cambiato molto nel corso del tempo.
Dopo aver scelto di studiare criminologia alla ‘Ryukoku University’ di Kyoto, separandosi dalla sua amica d’infanzia, che aveva deciso di andare all’università di Osaka, scegliendo ‘Scienze umane’, si era trasformato ed aveva iniziato ad assumere atteggiamenti e un modo di vestire molto più seri.
Kazuha, una volta, le raccontò di non averlo più visto con il suo amato cappellino bianco, con la scritta ‘Sax’ ricamata sopra, che era stato riposto in un cassetto dell’armadio e sommerso da altri vestiti.
Vederlo così diverso, le aveva causato un disagio che non sapeva spiegare.
Fortunatamente, per quanto sofferto, fu un tragitto breve.
Il professore, non appena arrivarono, la fece accomodare su uno dei divani insieme a Kazuha.
Lui, il ragazzo e Ai, la bambina dall’aria adulta che abitava con il dottore, si sedettero di fronte a loro e lei sentì istintivamente il bisogno di fare un respiro profondo.
I colori, perfino quelli più vivaci del tramonto, s’ingrigirono, trasformando  la casa in una sala di torture, dove un’aria tetra regnava sovrana sul resto.
 
Il dottor Agasa e Heiji mi osservano, mentre Ai, con quei suoi occhi azzurri, mi scruta, impassibile.
Kazuha mi si è seduta accanto e lancia delle occhiate preoccupate sia a me sia all’amico, condividendo con me quell’improvviso e ingiustificato senso di paura.
Tutti tacciono e io comincio a diventare impaziente, la mano destra che trema senza un perché insieme alla sinistra.
Il ginocchio urta contro il tavolino e, finalmente, noto il giornale di una settimana fa, appoggiato su di esso.
Operazione internazionale compiuta dall’FBI a Tokyo: catturati i membri di una pericolosa organizzazione.’
Questo è il titolo della prima pagina.
Subito, il mio cervello comincia a lavorare:  ripenso alla professoressa Jodie e, quasi in automatico, il mio sguardo si volge sulla bambina dai capelli ramati.
Sono passati due anni e mezzo da quando le ho salvato la vita al molo e ho scoperto che la nostra insegnante d’inglese era un’agente del Bureau, ma non ho mai smesso di pensare agli avvenimenti di quella sera.
Mi sembra ancora di sentire la voce di quella donna bionda che mi dice di andarmene, chiamandomi ‘Angel’ e l’adrenalina scorrermi nelle vene insieme alla paura.
Mi chiedo perché sia qui, come se fosse importante per la conversazione che stiamo per intraprendere.
Il professore sembra essersi accorto del mio interesse per il giornale e tossicchia, in difficoltà, lanciando un messaggio a Hattori, che respira profondamente.
Sembra un fascio di nervi, rigido e con le braccia conserte.
“Ran …” mi chiama.
Io lo fisso negli occhi, invitandolo così a continuare.
“Io, il professore e Haibara abbiamo delle cose da dirti.”
Lui, serio e concentrato, stringe la mano destra nella sinistra, mentre la mia amica, vicino a me, si irrita per l’attesa, che le pare superflua.
“Che sono tutte queste storie, Heiji?! Dacci un taglio e parla!” si lamenta lei, agitata per me.
In un attimo le sue iridi smeraldo si spostano dai miei ai suoi occhi, fulminandola all’istante.
Non ho mai visto uno sguardo simile in vita mia, così carico di rabbia repressa, che spinge Kazuha a farsi più piccola, con le pupille rivolte al pavimento.
“Se devi lamentarti come un’oca come al solito, ti consiglio di andare a farti un giro, perché l’ultima cosa che desidero è vederti starnazzare in questo momento!”
Non grida, ma il tono è talmente freddo e acido, che ottiene lo stesso effetto.
Lei abbassa ulteriormente il capo, toccandosi quasi le cosce con la fronte, provando a reprimere le lacrime.
Torna a rivolgersi a me, non curandosi più di lei ed espellendo tutta l’aria possibile dai polmoni.
Vorrei difenderla, confortarla, ma mi limito a posarle una mano sulla spalla.
Mi rendo conto che questa reazione non è da lui e che, per essere arrivato a questo, ciò che deve dirmi è molto importante.
Prego con lo sguardo il mio amico, chiedendogli di parlare, senza attendere oltre.
Quest’attesa mi sta consumando e agitando ulteriormente.
Lui, finalmente, accoglie le mie preghiere e, allungando una mano verso il tavolo, comincia a spiegarmi.
“Scommetto che hai già sentito o visto questa notizia, vero?” mi chiede, indicando, con l’indice, l’articolo sulla prima pagina.
In effetti, in questi giorni, ne avevo già sentito parlare, anche se ne ignoravo i particolari.
Scuoto la testa, attendendo che prosegua.
“Una squadra dell’FBI, di cui fa parte la signorina Jodie, che tu conosci, è venuta in Giappone per arrestare dei pericolosi criminali.
L’operazione della settimana scorsa non è stata altro che l’ultimo atto di anni di preparazione e ricerca.” mi spiega, ponendo la mano destra sotto il mento.
“Capisco. Va’ avanti.” lo incito, senza sforzarmi di alzare troppo la voce.
“Quello che sto per raccontarti, Ran, potrà renderti triste, ferirti o preoccuparti ulteriormente, ma ti chiedo gentilmente di non interrompere né me né il professore ed ascoltare tutta la storia.”
Passano alcuni secondi, durante i quali socchiudo leggermente gli occhi e mi concentro.
“L’operazione, qui, è cominciata quasi quattro anni fa, prima che … Shinichi e Conan scomparissero.
Shinichi stesso prese parte alle indagini, perché la sua strada si era incrociata con quella dell’organizzazione, che ha messo in serio pericolo la sua vita.”
C’è un’altra pausa, che mi permette di mantenere un livello di calma accettabile.
Perché Shinichi non mi ha mai detto niente di tutta questa storia?
Mi tengo la domanda e lascio che vada avanti, mordendomi la lingua al loro solo ricordo.
 “Ricordi quando ti ho presentato Conan, Ran?”
A farmi la domanda è Agasa, che mi guarda con un sorriso dolce e comprensivo.
Io annuisco, senza azzardarmi a spalancare le palpebre, che ho serrato.
“Se devo essere sincero, neppure io l’avevo mai visto prima di quella sera.” mi rivela con tono colpevole.
Ho un tuffo al cuore e avverto la mano della mia amica stringere la mia, per farmi sapere che lei c’è ed è qui per me.
Non reagisco, preparata al resto della storia, che sento già di sapere.
“In un primo momento, l’avevo scambiato per un parente di Shinichi, perché, come avrai visto tu stessa, era identico a lui.
Poi, però, lui mi rivelò che …”
Il professore esita, cosciente della bomba che sta per sganciare.
Oramai, ho capito e nascondo i miei occhi con i capelli, sussurrando poche e semplici parole.
“Lo dica, professore.”
“… mi rivelò che era proprio Shinichi e che questi criminali lo avevano avvelenato con una strana sostanza.”
Intorno a me ora c’è calma piatta.
Nessuno osa fiatare, nessuno osa toccarmi. a parte la mia amica.
Neppure una lacrima scende lungo il mio viso, nonostante il mio cuore si sia frantumato.
Sento gli occhi bruciarmi, farmi male, ma io sono di pietra e mi trattengo.
Alzo gli occhi e rivolgo il mio sguardo a Kazuha, che mi guarda preoccupata, paralizzata da quanto ha appena scoperto.
Rivolgo il viso verso Heiji, fissandolo senza tradire alcuna emozioni.
Lo vedo deglutire, ne avverto l’ansia e la tristezza, mentre io faccio dei respiri profondi.
“Da quanto sapevi, Heiji?” domando, glaciale.
Lui non ricambia il mio sguardo e risponde, mormorando.
“Dalla fine della riunione degli appassionati di Holmes.”
Mi sento così delusa e tradita!
Che stupida! Come ho fatto a non capire?
 “Perché non mi ha detto niente? Non sono stata degna della sua fiducia?”
Chiudo le mani in un pugno, che stringo fino ad imprimere i segni delle unghie sulla mia pelle.
Nella mia testa il puzzle si ricompone, tutti i pezzi vanno al loro posto e riesco a vedere chiaramente il mio mondo andare in frantumi.
Bugie su bugie, scuse su scuse e nemmeno un pizzico di coraggio per raccontarmi la verità.
“Non voleva metterti in pericolo.” sussurra Heiji.
Pessima scelta.
“Non voleva mettermi in pericolo? Divertente, dico davvero! Teneva così tanto alla mia incolumità, che è venuto ad abitare a casa mia. Un genio, no?”
“Falla finita!”
Ai, con il suo ordine, mi lascia interdetta e io rivolgo il mio sguardo di fuoco anche a lei.
“Con quale diritto ti riferisci a lui così? Hai una vaga idea di tutto quello che ha affrontato?”
“Tu che ne sai?!”
Lei non ricambia il mio tono, ma si limita ad un’occhiata severa, che si trasforma in una risata crudele.
“Il veleno era mio.”
Quelle parole, dette con tutta calma, mi fanno impallidire e la mia schiena si appoggia di nuovo alla spalliera del divano.
“Cosa?”
Non posso credere che Ai, una ragazzina così buona e diffidente, possa aver creato qualcosa in grado di uccidere un essere umano.
“Ho fatto parte di quell’organizzazione e ho creato questa sostanza. Come puoi immaginare, l’ho assunta anch’io.”
Io rimango chiusa nel mio silenzio, mentre lei continua a raccontare.
“Avevo paura e ho cercato Shinichi, perché solo lui poteva aiutarmi.
Ho collaborato con lui fino al giorno della sua scomparsa ed è per questo che non ti permetto di parlarne male: non ho mai conosciuto qualcuno di tanto buono ed innamorato.”
Non appena pronuncia l’ultima parola, la più pesante e difficile da accettare, mi alzo in piedi, attirando su di me l’attenzione di tutti.
“Innamorato? Mi sarebbe piaciuto. Purtroppo, non riesco a perdonare chi si è fidato del suo nemico e non del suo amico.”
Sono consapevole di aver detto qualcosa di molto pesante e so di non conoscere nulla di Ai, della sua storia, ma ciò che ho appreso mi uccide dentro, non posso più evitare di dire quello che penso.
Non guardo in faccia nessuno e mi dirigo alla porta.

Questo capitolo della mia vita è definitivamente chiuso.
 
Ran sorrise, desiderando sprofondare al riaffiorare di quelle sue parole velenose.
Era stata stupida, impulsiva.
Non si era resa conto di averlo già perdonato.
Come poteva avercela con qualcuno disposto a mettere da parte le proprie paure, il proprio odio per aiutare chi quelle paure e quell’odio l’aveva creati?
Rimise la foto sul comodino per contemplarla meglio e si coprì il volto con le mani.
Era stata dura chiedere scusa per il suo comportamento infantile, quasi umiliante.
Ancor più difficile fu, però, chiamare i suoi genitori.
Si era bloccata più volte a causa delle lacrime e aveva lasciato che i coniugi Kudo, comprensivi, la consolassero e la cullassero con la loro dolcezza.
Anche loro stavano affrontando il dolore, colpevolizzandosi per non aver insistito, affinché il loro unico figlio andasse in America, ma era ovvio che fossero felici di avere anche il suo sostegno.
Superata anche quella, era convinta che fosse riuscita a ristabilire un buon equilibrio tra lei e gli altri.
Errore madornale.
Quel giorno lei, la sua rabbia e la sua delusione avevano fatto diventare un inferno la vita di Heiji e Kazuha.
Il primo difendeva Shinichi a spada tratta, infuriandosi non appena Kazuha, che lo attaccava, accusandolo di aver fatto soffrire ingiustamente la ragazza, apriva bocca.
La loro guerra non aveva alcun senso, soffrivano continuamente di tutte le brutte cose che si dicevano, perché erano innamorati l’uno dell’altra, ma la portavano avanti e continuavano a farsi del male, come se lasciassero la loro mano sopra un fuoco, ma non la ritraessero nonostante il dolore.
La karateka, oltre che dispiaciuta, era infastidita.
Non sopportava che lo giudicassero, senza considerare che non  spettava a loro farlo.
Il problema non era tra Heiji e Shinichi o tra Kazuha e Shinichi, ma era tra lei e Shinichi e non potevano decidere per conto suo.
 Nonostante i suoi tentativi, nulla era cambiato e lei si era arresa, lasciando che risolvessero i suoi problemi da soli, come le persone adulte che erano, anche se non mancava mai ai suoi doveri di amica, consolando Kazuha quando la chiamava.
Ora, era quasi un anno che non si vedevano, presi dai loro impegni con l’università.
Non avrebbe mai creduto, quando aveva scelto di studiare alla facoltà di ‘Scrittura creativa’, che sarebbe stata così dura.
Era tutto partito come un semplice sfogo, qualche riga su un foglio per raccontarsi, che poi aveva fatto leggere a Sonoko, la sua migliore amica.
Era rimasta letteralmente a bocca aperta, quando l’aveva pregata di scrivere di nuovo, consigliandole persino di scegliere quell’indirizzo di studi, che, con molte probabilità, l’avrebbe portata a fare la scrittrice.
Era stata la sua capacità naturale di comunicare le proprie emozioni, aveva detto poi, che l’avevano tenuta incollata alla pagina.
Quelle sensazioni che, ormai, conosceva così bene e che l’indomani avrebbe rivissuto, senza riuscire ad opporsi.
Chiuse gli occhi, che bruciavano a causa delle lacrime e tra i ricordi, più o meno confusi, lasciò che il sonno la portasse nel mondo dei sogni.
 
 
C'è qualcuno ancora vivo?
MI auguro di sì ^^"
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Il secondo capitolo è in corso di scrittura e posso dirvi che sta venendo bene, ma niente spoiler.
Baci,
Martina
   
 
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