Bene, bene,
bene… premetto che
questa è la prima storia su Soul Eater sfornata dal mio
cervelletto bacato
quindi non aspettatevi nulla!
In secondo
luogo, specifico che ciò
che è qui raccontato è completamente frutto della
mia fantasia e non è un fatto
realmente accaduto nel manga o nell’anime, almeno fino a
questo momento. Ho
comunque messo tra le avvertenze lo spoiler! perché vi
è un accenno al Kishin,
che appare più tardi e quindi potrebbe rappresentare una
novità a per chi è
all’inizio.
Aggiungo
un’ultima, cosa questa
storia si è classificata 7° al concorso per storie
edite “Flash Contest”
indetto Addison89, che ringrazio di cuore per il giudizio e
la gentilezza
dimostrata nel farci avere i risultati il prima possibile ^^
Detto questo,
a meno che non siate
già fuggiti, vi lascio alla storia e…BUONA
LETTURA!
P.S. se vi
scappasse un commentino
anche per una qualsiasi critica e/ o suggerimento vi sarei immensamente
grata!
Better Than a God
Stupida.
Ecco
come Black Star avrebbe descritto la propria morte.
Se ne avesse avuto le forze, sarebbe scoppiato in una fragorosa risata,
ripensando al banale modo in cui essa lo aveva fatto suo. Tante volte
si erano
trovati faccia a faccia, ma lui le aveva sempre voltato le spalle con
arroganza.
- Non
è ancora il momento.-
Ecco
cosa rispondeva. E lei, soffocando l’ ira, tornava a celarsi
tra le tenebre,
come una tigre rabbiosa che non attende altro che il fallo della
propria preda.
E
quella volta, la preda era miseramente caduta in trappola…
-…
Tsubaki…-
La
ragazza frenò la propria corsa disperata sperando
ardentemente di essere
riuscita ad allontanarsi sufficientemente da lui.
Con
cautela, fece sdraiare su un tappeto di foglie secche il proprio
master,
sorreggendogli poi la testa.
Nonostante
fosse stato portato sulle spalle dalla buki, il ragazzo respirava a
fatica, a
causa di una grossa ferita che gli attraversava da parte a parte il
torace, fino
all’addome. Mosse le labbra, ma non ne scaturì
alcun suono e fu colto da un
violento attacco di tosse.
- Non
parlare, Black Star. Vedrai che andrà tutto bene.- Tsubaki
lottò contro le
lacrime che minacciavano di scivolarle lungo le guance arrossate.
Allungò una
mano a scostare ciò che rimaneva della maglia del master,
scoprendo in tutta la
sua gravità l’enorme taglio causato da un attacco
del Kishin. Un colpo che, da
quanto era sembrato, non aveva richiesto il minimo sforzo da parte del
mostro.
Un semplice gesto della mano, e il tronco del ragazzo si era aperto.
La buki
spostò lo sguardo addolorato sul viso contratto dal dolore
del compagno. Tentò
di pulirlo dal sangue, ma la sostanza vermiglia continuava a
fuoriuscire
copiosa.
Comprese
quanto forte dovesse essere la vergogna provata in quel momento da
Black Star.
Lui, che avrebbe dovuto superare chiunque, perfino gli dei, era stato
sconfitto
da un avversario senza alcuna fatica.
Nonostante
a lei fosse parso eroico il gesto del master, colpito
dall’attacco del nemico
per proteggerla da morte certa, sapeva bene che ciò non
sarebbe bastato per
risollevare l’autostima del ragazzo, che ora giaceva
abbattuto e ferito tra le
sue braccia.
-…Merda…-
sussurrò lui a denti serrati, stringendo i pugni per sfogare
l’ira.
- Non ti
agitare, Black Star. Vedrai che una volta migliorato riuscirai a
batterlo.-
Tsubaki cercò di sorridergli fiduciosa, il volto ora umido -
Tu devi diventare
il migliore.- venne improvvisamente scossa da forti singhiozzi. La mano
con cui
cercava invano di curare la ferita continuava a bagnarsi di sangue. I
due erano
ormai circondati da una pozza scarlatta.
Era
chiaro. Quell’evidenza non poteva essere ignorata neanche dal
master, sempre
fiducioso e positivo.
Gli
occhi celesti dei due si incontrarono e Tsubaki scorse sul volto di lui
un’emozione mai vista prima: la disfatta.
Ed il
corpo del compagno si fece duro e rigido.
La vista
annebbiata dalle lacrime incontrollabili, Tsubaki si sentì
chiamare un’ultima
volta da quella voce che tanto aveva udito colma di gioia
-
…
Black Star muore come un dio?-
La buki
non poté che annuire con convinzione, il fiato smorzato.
Sì, di quello era
certa. Come fu certa dell’aver scorto un ultimo sorriso di
soddisfazione
piegare le labbra del master, quando le sue membra si abbandonarono
pesantemente tra le braccia della compagna. E lei strinse a
sé quel corpo
inerme, incurante del sangue che le imbrattò i lunghi
capelli corvini.
Si era
sacrificato per salvarla, e a lei non serviva sapere altro per sentirsi
orgogliosa e lusingata. Non aveva bisogno di ulteriori prove per
ammirarlo. Lui
era stato l’unico che, fino alla fine, avesse sempre tenuto
in maggior conto la
sua stima.