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Autore: Ciulla    30/03/2016    5 recensioni
I primi momenti di convivenza tra Whis e Beerus, in cui Beerus mangia troppo gelato e Whis si rende conto di essere all'inizio di qualcosa di bello.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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UN INIZIO


Era una splendida giornata sul piccolo pianeta quadrato che da ere vedeva il susseguirsi delle generazioni di dei della distruzione. Whis non vi tornava da parecchi anni e fu subito circondato da una piacevole sensazione di familiarità malinconica quando vi posò piede con in braccio il nuovo inquilino; gli alberi da frutto che egli stesso aveva piantato prosperavano rigogliosi, diffondendo nell’aria un delizioso e dolce profumo di primavera, e il palazzo si ergeva come sempre possente in mezzo a quel tripudio di natura.
Il piccolo che Whis aveva tra le braccia si lanciò emozionato a terra e cominciò entusiasta ad indicare tutto ciò che lo circondava. L’aria prima silenziosa si riempì delle grida eccitate di un cucciolo che per la prima volta vedeva ben tre soli brillare nel cielo e che non riusciva a credere ai suoi occhi per tutte le meraviglie a cui assisteva.
“Uomo blu! È bellissimo!” Gridava correndo di qua e di là, indicando ogni fiore, pianta o animale che gli si parava davanti. “Ma davvero posso vivere qua? Dov’è la nostra casa? E di chi è quell’enorme palazzo?”
Whis sorrise, immaginando l’espressione che Beerus avrebbe fatto venendo a scoprire la verità. “Quella è la nostra casa, cucciolo”, affermò pacatamente.
Il sorriso del bambino si spense immediatamente per venire sostituito da una smorfia di malcelato disappunto. Whis lo guardò perplesso ed il cucciolo, incrociando lo sguardo dell’alieno, si fece piccolo piccolo, quasi a volersi nascondere tra i bassi fili d’erba che stavano ai suoi piedi. “Non è che non mi piace, signor uomo blu”, si affrettò a spiegare. “È che a casa mia quelli che vivono nei palazzi grandi sono le persone ricche e cattive con noi. Ci trattano male e ci dicono cosa fare e mi stanno tanto antipatici. Diventerò anch’io come quelle persone se vivo nel palazzo? Diventerò cattivo verso gli altri?”
Whis sorrise, un po’ intenerito, un po’ preoccupato. Il piccolo non sarebbe diventato cattivo per il palazzo, di questo era certo, ma non ci si poteva nemmeno aspettare che un futuro dio della distruzione mantenesse per sempre una tale indole pacata ed infantile. Cominciò a preoccuparsi; forse portarlo con sè per allenarlo non era stata esattamente la scelta giusta.
Ciononostante decise di tranquillizzarlo e vedere lo svolgersi degli eventi prima di prendere una qualsiasi decisione.
“Beh, piccolo”, gli disse dolcemente, “Non credo proprio che finirai col trattare male le altre persone se vivrai qui. Vedi... Su questo pianeta ci siamo solo noi”.
La bocca del cucciolo si aprì in una perfetta “o” di stupore, per poi venir rimpiazzata da un sorriso. “Pazienza!” Affermò Beerus alzando le spalle. “Tanto l’altra gente è antipatica!”
Whis si lasciò andare ad una risata sentita, reclinando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi viola nel piacere del momento. Per anni non era riuscito nemmeno a sorridere, rassegnato alla linearità noiosa della sua vita ed alla propria inadeguatezza, mentre ora quell’esserino viola lo aveva fatto ridere sinceramente in due sole ore di conoscenza. Non era abbastanza per decretare di aver finalmente trovato qualcosa per cui vivere, ma era... Un inizio.
“Uomo blu? Perché ridi?” Una voce perplessa interruppe i suoi pensieri, e Whis si accovacciò sulle ginocchia per ritrovarsi alla stessa altezza del gattino che gliel’aveva posta. “Perché sei buffo, Beerus. Ma ora smettila di chiamarmi uomo blu, per favore. Il mio nome e Whis”.
“Che nome brutto!” Affermò il piccolo con sicurezza, facendogli poi una linguaccia. 
Whis non riuscì ad irritarsi nemmeno un po’ di fronte a quel faccino felice.
“Chiamami Maestro, allora”, disse semplicemente. “Dopotutto è quello che sarò d’ora in avanti”.
“Mi insegnerai a tirare pugni e calci?” Chiese emozionato il piccolo gatto.
“Beh, anche. Ti insegnerò a vivere, prima di tutto. A controllarti, a parlare bene, a scrivere e far di conto, ti insegnerò a volare e poi sì, a tirare calci e pugni e colpi di energia così potenti da distruggere un pianeta intero. Diventerai un dio, piccolo”.
”Ma i miei genitori mi hanno insegnato a non credere negli dei”, borbottò Beerus corrucciato.
“Beh, se è così allora ben presto ti troverai di fronte ad una grossa crisi esistenziale”, ironizzò Whis. In realtà la sua mente vagava per mari ben più malinconici, verso un’infanzia magnifica in cui regnava la convinzione che una semplice preghiera avrebbe potuto dare risposta ad ogni cosa. Invidiava Beerus, che non avrebbe mai dovuto affrontare il dolore della consapevolezza che gli dei che tutti pregano non sono altro che esseri soggetti come tutti noi alle vanità e ai capricci del momento, e che sono lontani dalla nostra realtà, che non si preoccupano di noi, che tutte le preghiere pronunciate da labbra infantili e da cuori ancora puri e intatti altro non sono che parole gettate nell’aria per venire trascinate via dal vento e infrangersi sulla dura realtà. 
Whis ci aveva creduto, da piccolo. Aveva creduto che ogni volta che la sorella gli faceva uno sgambetto, perdonarla con una preghiera l’avrebbe reso un uomo migliore.
E poi li aveva conosciuti, gli dei. Lo avevano esaminato, e gli avevano rivelato di non aver mai sentito le sue parole, con un’aria quasi di colpevolezza sul volto. Aveva scoperto, addirittura, di essere più forte di loro... Aveva capito che lui era meglio di un dio, che avrebbe potuto facilmente plasmare l’universo a proprio piacimento.
”Uomo blu? A che pensi adesso? Sei molto distratto, sai”.
Whis si riscosse dai propri pensieri tristi, memorie di un passato che tornava a tormentarlo proprio quando credeva di essersene liberato. Si preparò all’ondata di dolore e di vergogna per se stesso che lo travolgeva ogni qualvolta riemergeva dai propri ricordi, ma questa non arrivò. Sarà che un paio di occhi gialli, divertiti all’idea di aver appena rimproverato un adulto, l’avevano fermata.
“Hai ragione piccolo”, commentò Whis sorridendo sollevato. “Sono molto distratto. Ma mi farò perdonare: cosa vuoi per cena?”
“In genere mamma e papà mi danno la zuppa di piselli atomici”, rispose Beerus coscienziosamente.
L’alieno adulto sorrise. “Ed è quello che vuoi anche tu?” Gli chiese ridacchiando.
Beerus esitò. “Veramente io voglio un gelato!” Esclamò poi sicuro di sé.
“E allora avrai un gelato!”
 
Qualche ora dopo, mentre Beerus si contorceva a terra per il mal di testa da cervello ghiacciato, Whis, che aveva avuto il buonsenso di mangiare più lentamente di quanto il cucciolo avesse fatto, ripuliva a fondo la propria diciassettesima coppetta. 
“Uomo blu, sto morendo. Ho mangiato troppo gelato!” Gemeva il piccolo con le lacrime agli occhi.
“Ma no, che dici?” Commentava Whis, col cucchiaino in bocca ed una macchia rosa che aleggiava sulla sua guancia. “Quarantadue coppette non sono che un antipasto”.
E mentre il piccolo si lamentava dell’insensibilità del suo nuovo Maestro, Whis si ritrovò a pensare sorridendo che quello era decisamente l’inizio di qualcosa di bello.
   
 
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