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Autore: sil_c    30/03/2016    1 recensioni
Questa storia rappresenta la sesta serie del telefilm Covert Affairs così come la immagino io, dopo che ne è stata sospesa la produzione da parte dell'emittente televisiva americana USANetwork.
non possiedo né i diritti né i personaggi della serie, tranne alcuni personaggi secondari che mi sono serviti per raccontare la mia storia.
Annie è un ex agente opertivo della CIA, ora alle dipendenze di Ryan McQuaid, nella McQuaid Security. Sia Ryan che Annie partecipano personalmente a diverse missioni e servizi di scorta a personaggi politici importanti.
Durante una di queste missioni, il convoglio col quale viaggiano viene attaccato dai guerriglieri jihadisti, in Mali.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 1

Era l’alba. Nel deserto, l’alba, aveva un suo fascino, del tutto diverso da qualunque altro luogo.
Ne aveva viste tante di albe, nei suoi viaggi di lavoro, tante da pensare che ormai avrebbe dovuto esserne abituata. Ma qui, nel Sahara, ogni giorno era diverso dal precedente e sarebbe stato diverso da tutti quelli a venire.
Uscì dalla tenda che i berberi, con i quali stava viaggiando, le avevano messo a disposizione. Non ricordava esattamente da quanti giorni era in viaggio in quel mare di sabbia, ma dovevano essere abbastanza da aver permesso al suo fisico di abituarsi alle escursioni termiche della zona.
Era in piedi sulla soglia della tenda e si portò la mano sinistra alla fronte per ripararsi gli occhi, in un gesto che le era diventato familiare, e guardò ad Est, nell’esatta direzione in cui il sole, a breve, avrebbe fatto la sua comparsa. Il cielo iniziò a tingersi di arancione e poi di rosa, mentre i primi raggi irradiavano le dune all’orizzonte. Pian piano il cielo divenne sempre più chiaro, fino a sembrare quasi bianco e la luce solare divenne così intensa da costringerla a distogliere lo sguardo.
Non c’era una nuvola. La giornata si preannunciava calda e soffocante. L’ennesima.
Una bambina di circa 10 anni, avvolta nel suo burnus, la tirò per un braccio e la ricondusse nella tenda dove sua madre aveva preparato il pasto del mattino.
“Jedjiga” invitò la donna nella tenda, facendole segno di entrare e indicandole il piatto col cibo.
I berberi avevano chiamato così questa donna occidentale, trovata nel deserto e viva per miracolo. Jedjiga, fiore, era un nome che le si addiceva. I suoi lunghi capelli biondi erano qualcosa di inconsueto e di eccezionale tra la gente del deserto, così come lo erano i fiori, e col passare dei giorni avevano preso delle sfumature dorate ancora più accentuate grazie al sole.
Il suo incarnato si era fatto più vivo grazie alla vita all’aria aperta. Ma quello che più colpiva chi la guardava, erano i suoi occhi: grandi occhi castani che osservavano ogni cosa con vivo interesse e che avevano la capacità di trasmettere i suoi pensieri a chiunque la guardasse. Era bella. Bella e sola.
Jedjiga non ricordava come fosse finita in questa tribù Tuareg. Sapeva solo che, da quando l’avevano trovata, era passato almeno un mese durante il quale aveva trascorso la prima settimana febbricitante e ferita.
Khennuj e Ghumer, la coppia di sposi che era stata incaricata di occuparsi di lei, e la loro figlia Lila avevano cercato di spiegarle le circostanze del suo ritrovamento, cosa non facile, per altro, anche se Jedjiga parlava il persiano e il turco e alcune parole assomigliavano abbastanza al dialetto berbero della tribù.
Così era riuscita a capire che l’avevano trovata in fin di vita lungo la via Carovaniera Del Sale che collega Timbuctù  con Taoudenni, nel Mali. Le jeep e i mezzi che costituivano la carovana con la quale viaggiava, avevano subito un’imboscata ed erano state fatte saltare. In pochi erano sopravvissuti e, quei pochi, erano stati accolti nella tribù nomade e portati nel più vicino centro di Medici Senza Frontiere (MSF) a Timbuctù.
Ripercorrendo a ritroso la strada, Abu-Mokhammed e la sua gente si erano fermati sul luogo dell’attentato per depredare il convoglio di quello che poteva loro servire. Mentre cercavano merce utile tra i rottami, Lila si era accorta che, sotto una delle jeep, c’era una signora bionda "bella come un fiore”. Ghumer e Khennuj la estrassero dalle lamiere, la medicarono velocemente e la misero delicatamente su uno dei cammelli della carovana.
Abu-Mokhammed decise di portarla con loro poiché tornare indietro per portarla all’accampamento di MSF significava perdere almeno altri due giorni di viaggio. Così l’affidò alla coppia dei suoi imrad, vassalli, che l’avevano trovata perché se ne prendessero cura.
I dottori avevano dato loro medicinali di vario genere, per cui erano in grado di curarla senza dover tornare in città.
La comunicazione fra loro non era tra le cose più semplici. Jedjiga aveva imparato qualche parola berbera ma non abbastanza da poter sostenere una conversazione.
Trascorreva molto tempo da sola, quando la tribù si accampava per la notte, seguita silenziosamente da Lila, che divenne la sua ombra.
Jedjiga non ricordava quasi nulla del proprio passato, a parte alcuni flash di luoghi in cui era stata, che, assieme al fatto che sapeva diverse lingue, le facevano presupporre di aver viaggiato molto.
Quella mattina, dopo aver mangiato il suo bonchiar, una sorta di wafer ricoperto di burro e miele, usci dalla tenda indossando un burnus azzurro e un velo bianco.
Gli uomini della tribù berbera erano tutti molto indaffarati a smontare l’accampamento per riprendere il viaggio il prima possibile.
Erano rimasti fermi per un paio di giorni a causa di una tempesta di sabbia che aveva modificato completamente il paesaggio circostante, spostando le dune con una velocità impressionante.
Jedjiga s’incantò ad osservare come, nel volgere di una mezz’ora, il cielo fosse diventato più chiaro e allo stesso tempo più vivo. Poi, per pochi secondi, fissò il sole e chiuse improvvisamente gli occhi abbagliata.
“Potrei essere cieca ora, adesso. Come lui.” pensò.
Riaprì gli occhi sorpresa. Come lui. Lui, chi?

   
 
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