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Autore: BandBfun    31/03/2016    11 recensioni
In un giorno di neve, Marco ha preso una grande decisione, dopo aver avuto tutto e aver perso tutto in così poco tempo, ma prima vuole vedere i suoi migliori amici un'ultima volta, coi quali ha condiviso tanti bei momenti e i quali hanno avuto i loro momenti bui...
5° posto con 31/40 punti al Contest "Let it snow, let it snow, let it snow" indetto da Blueorchid31 sul Forum di EFP
4° posto con 60/70 punti al Contest "La piramide dell'amore" indetto da Freya Crescent sul Forum di EFP
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RICORDI

“Cosa può fare un uomo quando ha perso tutto quello che aveva di più caro e non riesce a vedere la luce in fondo al tunnel? Fermarsi, ecco cosa può fare! Ed è quello che farò io!”

Era il primo giorno del terzo anno di liceo. Io ero in ritardo, di ben venti minuti. Appena sceso dal pullman, ho iniziato a correre verso la scuola, pensando tra me e me ch'era davvero un bel modo per iniziare.
Sono sempre stato ironico, sin da bambino, tanto con gli altri quanto con me stesso.
Ho attraversato un paio di strade senza preoccuparmi delle macchine e non so come ho schivato un ciclista. Penso mi abbia insultato, ma non ne sono sicuro.
Non ero un ragazzo molto atletico e quella corsa, per quanto breve, mi ha distrutto.
Entrato nella scuola, con quelle poche energie rimaste, ho fatto di corsa le due rampe di scale e mi sono fermato davanti alla porta della mia futura classe.
Ho preso fiato ed ho bussato, un paio di volte, molto ravvicinate.
Dall'altra parte, una voce stridula mi ha detto di entrare.
Ho aperto la porta, ho varcato la soglia a testa bassa e stavo per scusarmi per il ritardo.
Non ci sono riuscito. Sono rimasto bloccato, lì in piedi, davanti a tutti.
Una ragazza seduta in terza fila al centro della stanza mi ha guardato ed io non ho saputo che dire o che fare. Ho ricevuto una bella ramanzina dalla professoressa e sono andato a sedermi al mio posto, in fondo all'aula.

“L'ho guardata per tutta la lezione di italiano, pensando a trovare le parole migliori per dirle che mi ha fatto sentire come se fossi qualcuno che valeva la pena di conoscere, che non era come tutte le altre ragazze della sua età, come avevo capito subito, in quell'istante in cui l'azzurro cielo dei suoi occhi hanno incrociato il grigio-verde dei miei.”

Nell'intervallo, i miei nuovi compagni sono usciti tutti dall'aula per andare in cortile a mangiare e a fumare. Siamo rimasti solo io e quella ragazza, intenta a prendere la sua merenda dallo zaino, per poi raggiungere le sue amiche.
Prima di uscire, si è voltata e si è avvicinata a me.
Mi ha teso la mano ed io l'ho stretta.
“Piacere, Anna.”
“Marco. Felice di conoscerti.”
“Piacere mio.”
La mia mano era fredda, mentre lei aveva una stretta decisa e gentile allo stesso tempo.
Abbiamo iniziato a parlare, anche se la pausa stava per finire.
Era molto dolce e sinceramente interessata a quello che avevo da dire.
Sono rimasto colpito e sorpreso dal suo modo di fare. E ancor più mi ha sorpreso trovarmi così a mio agio con una ragazza. Sono sempre stato molto timido e non ho mai legato davvero con nessuno.

“Sono bastati quei pochi minuti passati insieme per capire che li avrei voluti rivivere tutti i giorni per il resto della mia vita.”

Sono partito da Roma, dove risiedo da qualche anno, e mi sto dirigendo a Milano, per incontrarmi alla stazione con alcuni amici di vecchia data.
Non ho mai preso la patente, un po' per pigrizia un po' per paura delle auto e degli altri automobilisti, e i miei amici non hanno mai mancato di prendermi in giro. In effetti, ammetto che le mie paure siano sciocche, ma non lo sono abbastanza per superarle.
É già tutto programmato: una volta che sarò arrivato in stazione, chiamerò Annalisa e assieme a Simone verranno a prendermi per portarmi a casa di quest'ultimo, perché la serata abbia inizio. Tutto come ogni seconda domenica di dicembre.

Passa davanti al mio scompartimento una ragazza che canticchia “My Heart Will Go On”.
É una delle mie canzoni preferite, non solo perché suggestiva e intensa, ma soprattutto perché ogni volta mi riporta alla mente il primo appuntamento con Anna. Inoltre, quella è stata la nostra canzone.
Siamo diventati subito amici e qualche mese dopo abbiamo cominciato a vederci anche al di fuori della scuola. Non credevo che sarebbe successo così presto, dal momento che ho tutta una serie di regole che ci avrebbero portato a quel momento trascorsi almeno tre anni.
In televisione, avevo visto il trailer del film “Titanic” e mi era stato descritto come la più grande storia d'amore mai mostrata sul grande schermo.
Diciamo che la scelta è stata automatica: io le ho proposto di andare a vederlo, lei ha accettato e così ci siamo andati.
Ci siamo incontrati davanti al cinema, ho acquistato i biglietti per entrambi e ci siamo seduti l'uno accanto all'altra in sala.
Lei era molto sensibile e dalla scena dell'iceberg sino alla fine ha pianto, mentre io ho pianto sin dalla scena del primo incontro tra Jack e Rose. 
Terminato il film, siamo usciti e abbiamo deciso di farci una passeggiata. Diciamo che siamo rimasti molto scossi dalla visione del film e dal pensiero che fosse basato su fatti realmente accaduti e avevamo bisogno di prendere un po' d'aria fresca.
Ha cominciato a nevicare e alcuni fiocchi si sono posati sui suoi lunghi capelli scuri, come una sorta di polvere magica e brillante.
L'atmosfera sembrava tanto romantica. Era perfetta per quello che avevo intenzione di fare da... Beh, praticamente da quando l'ho conosciuta.
L'ho presa per mano e l'ho guardata dritta negli occhi.
“Che fai?”
“Anch'io ti avrei ceduto il mio posto.”
Lei mi ha guardato e sembrava che quello che stava per dirmi, l'avesse in canna già da parecchio tempo.
“Ti amo.”
Io non le ho detto nulla e l'ho baciata. Quello è stato il nostro primo bacio ed è stato davvero stupendo. L'avevo immaginato per tanto tempo, in quei momenti di gelosia nei confronti dei miei coetanei già impegnati, ma non avrei mai potuto immaginare tale magia.
“Ti amo anch'io.”
Ho pensato che non fosse necessario dirglielo, ma era così bello dirlo ad una persona unica e speciale com'era lei. Quindi, gliel'ho detto e da allora non abbiamo mai smesso di dircelo.

“In quel momento siamo diventati una coppia e, un paio di mesi dopo l'esame di maturità, ci siamo sposati in una cerimonia intima, con pochi invitati. É stata breve quanto intensa e ricca di emozioni. Eravamo così giovani, ma già così sicuri di quello che volevamo fare nella vita: dedicarci alla recitazione e dopo qualche anno mettere su famiglia. E ci siamo riusciti. Abbiamo lavorato duramente per raccogliere i soldi necessari e poi li abbiamo investiti nella produzione di un film che ha avuto un buon successo al botteghino ed ha regalato ad Anna anche un premio Oscar. Dopo soli cinque anni di carriera, cinque film prodotti e oggetto di critiche positive dagli esperti e dal pubblico e qualche premio, abbiamo deciso di mettere su famiglia e dopo vari tentativi, è nato nostro figlio Edoardo.”

Intanto, la neve continua a cadere senza sosta, calma e inesorabile, cullata da un vento deciso ma dolce. Ha lo stesso tocco di una mamma che muove la culla del suo bimbo per farlo riposare tranquillo.
Dal tetto del treno sul quale mi trovo alle vaste campagne deserte romagnole che sta attraversando sembra coperto da un sottile velo luccicante. Sa essere così discreta la neve, nell'intrufolarsi in ogni pertugio e in ogni fessura e nell'adagiarsi su ogni cosa, per nasconderla agli occhi di chiunque.
Questa sua abilità mi ha sempre incuriosito. Si, mi piace la neve.
Sto guardando fuori dal finestrino, con il mento appoggiato sulla mano, quando sento la voce di un bambino.
“A che pensi?”
Rispondo senza pensare, di getto, e non mi volto nemmeno verso di lui.
“A tante cose...”
É solo un ragazzino, non deve sapere tutto.
“Più preciso?”
La sua risposta mi sorprende.
Non so se ho voglia di fare conversazione.
Mi volto verso di lui, perché è maleducazione non guardare in faccia l'interlocutore.
E lui è lì, in piedi, che mi guarda dal basso verso l'alto, dritto negli occhi, come se volesse scoprire chissà che cosa di me. Mi sento scrutato e questo mi intimorisce.
“Vieni qui.”
“Perché?”
É irriverente, sembra quasi senza educazione. Sembra me quando avevo la sua età.
Una ragazza davanti a me sta riposando. Penso sia sua madre, ma è solo una supposizione.
“É la tua mamma?”
“Sembra di si.”
“Sai chi mi ricorda?”
“Come faccio a saperlo?”
Ha la lingua lunga e la risposta sempre pronta. É proprio com'ero io alla sua età.
“Mi ricorda Anna, mia moglie, quando dormiva assieme a Edo, nostro figlio. Sembrava una gatta con il suo cucciolo, all'apparenza innocua e calma, ma pronta a scattare in un istante. Quando entravo nella sua stanza, cercavo sempre di non fare rumore, perché temevo come avrebbe potuto reagire.”
Mi mancava il suono di una risata. Non ricordo nemmeno più l'ultima volta che io stesso ho riso, solo che è passato davvero molto tempo.
Il ragazzino ride così di gusto da svegliare la mamma.
“Quante volte te l'ho detto? Non si parla con gli estranei!”
Capisco la sua agitazione. Anch'io avrei reagito come lei se avessi visto mio figlio parlare con uno sconosciuto.
Gli sistema la frangia con un paio di tocchi di mano veloci e lo guarda con occhi severi.
“Sei un piccolo mulo testardo!”
La donna si volta verso di me.
“Spero non le abbia dato fastidio. Sa, a volte mio figlio sa essere invadente.”
“Nessun fastidio. Mi ricorda mio figlio Edo.”
“É qui suo figlio?”
Non so mai come rispondere a questa domanda. Non so dove sia mio figlio e nemmeno se sia in compagnia di sua madre. E ogni volta, rispondo con una bugia.
“É lassù con la mamma, a guardare in basso il papà e a vegliare su di lui.”
Lo sguardo della ragazza si fa triste e cupo.
“Mi dispiace.”
É la stessa reazione che hanno tutti quando dico loro che sono rimasto solo. Voglio cambiare argomento.
“Quanti anni hai?”
“Quasi otto anni.”
“É molto sveglio, eh?”
“Già, quasi quanto è indiscreto.”
“Anch'io ero così. Vedrà, tra qualche anno, quando sarà cresciuto, cambierà.”
“Non credo proprio.”
“Nico!”
“Non lo rimproveri. Mi piace il suo caratterino.”
“Mi creda, è il primo che la pensa così!”

Ero in taxi, diretto verso casa, quando ho pensato di chiamare Anna per dire una cosa molto importante a Edo. Era il giorno del suo sesto compleanno ed io e sua madre avevamo organizzato una grande festa. Ci sarebbero stati tanti regali e tutti i suoi compagni di prima elementare con i loro genitori.
“Pronto?”
“Sono io. Tra circa 10 minuti sarò a casa. Come va?”
“Bene, tutto bene. Edoardo è in giardino a giocare.”
“Scommetto che non vede l'ora di festeggiare!”
“Vuoi che te lo chiamo?”
“Si, in effetti avrei qualcosa da dirgli.”
Anna si affaccia alla finestra e chiama il figlio.
“Edoardo, vieni! C'è papà al telefono!”
Sono sempre rimasto al telefono ed ho sentito tutto. L'ho sentita urlare disperata il nome di nostro figlio mentre correva verso il giardino, ma non ho capito subito cosa stesse succedendo. Giunto a casa, ho visto i vicini attorno al nostro vialetto. Il loro sguardo valeva più di mille parole e ho realizzato tutto.
Nostro figlio Edo era morto.
Anna mi è corsa incontro e in lacrime mi ha detto tutto.
“É morto, Marco! Io-- Ha battuto la testa ed è caduto in acqua!”
L'ho stretta forte tra le mie braccia.
“Lo so, lo so.”
Non sapevo cos'altro dirle. E chi l'avrebbe saputo al mio posto?
L'ho lasciata sfogare, stretta tra le mie braccia.

“Non ricordo nient'altro di quel giorno, se non quella sensazione di impotenza che ho provato  nel sentire le grida struggenti di mia moglie e il nostro dolore. Non avevo mai provato tanto dolore e non avrei immaginato che l'avrei riprovato qualche mese più tardi.”

La sua mamma è tornata a riposare da qualche minuto, mentre il bambino è rimasto seduto accanto a lei.
Mi ha visto. Sono sicuro che mi ha visto. É troppo sveglio per non essersene accorto.
Si siede accanto a me e mi stringe la mano.
“Edoardo...”

Dopo un paio d'ore il treno giunge in stazione e i passeggeri scendono con calma.
Il bambino tiene per mano la mamma e si volta verso di me.
Mi saluta con un cenno della mano. Ricambio il saluto e accenno un sorriso.
Mi siedo su una panchina. Penso sia il caso di avvertirli del mio arrivo.
Estraggo il telefono dalla mia tasca e cerco il numero in rubrica.
“Pronto?”
Annalisa è sempre la prima a rispondere. A volte penso che passi le giornate seduta accanto al telefono in attesa di ricevere una chiamata.
“Sono io. Sono appena arrivato in stazione.”
“Com'è andato il viaggio?”
Sento in lontananza la voce di Simone. Sicuramente è in cucina, col suo grembiule a preparare l'arrosto, dopo aver apparecchiato la tavola.
“E' Marco?”
“Si! E' appena arrivato in stazione!”
“Il viaggio è andato meglio del previsto, diciamo così.”
“Simone?”
“Si?”
“Tra quanto tempo possiamo essere lì?”
“Possiamo andare anche adesso. Qui è già tutto pronto.”
“Perfetto!”
“Vado a vestirmi.”
“Partiamo adesso e tra una mezz'oretta saremo lì, d'accordo?”
“D'accordo.”
“Va tutto bene?”
“Si, certo. Perché me lo chiedi?”
“Non lo so, hai una voce strana...”
“Va tutto bene.”
Non è vero e mi dispiace dirle una bugia, ma non voglio farli preoccupare. Quindi, cerco di stare attento a non svelare nulla e a controllare il tono di voce.
“Dove ti troveremo?”
“Nel solito bar della stazione dove vi aspetto tutti gli anni.”
“Bene. Ci vedremo lì.”
“Perfetto.”
“A tra poco.”
Rimango seduto sulla panchina per qualche istante.
La neve continua a cadere in quantità.
Spero che non sia un problema per i miei amici.
Forse dovrei prendere la patente, ma ormai è troppo tardi.

Annalisa è lì, davanti allo specchio, immobile e sembra molto preoccupata. 
Non sentendola più parlare e non vedendola, Simone si preoccupa.
“Stai bene?”
La ragazza non risponde. 
“Anna, sei ancora in casa?”
Il ragazzo ritorna dalla sua stanza, già pronto per partire, e vede riflessa nello specchio tutta la preoccupazione dell'amica.
“Anna?”
“Cosa?”
Si avvicina e le appoggia la mano sulla spalla.
“Ti senti bene?”
Lei ci appoggia sopra la sua e la batte, un paio di volte, ravvicinate e delicate.
“Si, si, certo. Ho solo una strana sensazione...”
“Una strana sensazione? A che proposito?”
“Marco aveva una voce strana e mi è sembrato calmo...”
“Calmo?”
“Si, calmo. A dire il vero, un po' troppo calmo...”
“E questo non è da lui.”
“Infatti. É forse la persona più nervosa che abbia mai conosciuto!”
“E pensi che... Si, insomma... Pensi?”
“Si, ci ho pensato. É già successo una volta...” 
“Beh, allora andiamo a prenderlo.”
“Fammi prendere la giacca.”
Annalisa corre verso il soggiorno per prendere la borsa e la giacca nera e la indossa.
Simone si mette le scarpe ed è davanti alla porta, pronto ad aprirla.
“Ci sei?”
“Si, si, eccomi.”
Annalisa esce per prima con Simone dietro che chiude la porta e vanno verso la macchina.

La strada è poco illuminata e la neve continua a cadere in abbondanza. Simone fa fatica a vedere la strada, mentre Annalisa ha il telefono in mano e sembra indecisa sul da farsi.
“Lo vuoi chiamare?”
“Non so se sia il caso.”
“Senti, rilassati. Non succederà nulla. Tra poco saremo arrivati in stazione, lo vedremo venirci incontro come ogni volta e lo porteremo con noi a casa per passare una serata in allegria, come sempre.”
“Lo so che non devo preoccuparmi, ma non riesco a scrollarmi di dosso questa strana sensazione!”
“Mi ricordi quello che ti ha detto al telefono?”
“Nulla di che... Insomma, io gli ho chiesto se il viaggio in treno era andato bene e lui mi ha risposto con una tal calma che... Oh, non lo so, mi ha preoccupata, ecco!”
“Perché l'ultima volta che lo abbiamo visto calmo, per poco...?”
“Esatto...”
“Se ripenso a quel giorno, mi viene da dire solo questo: straziante”
“Concordo.”

Il funerale di Anna si è tenuto la seconda domenica di novembre e quell'anno aveva cominciato a nevicare molto prima del solito.
Ero là davanti alla chiesa quando ho visto arrivare Annalisa e gli altri miei amici.
Gli sono andato incontro e, per quanto fossi distrutto per la morte di mia moglie, mi ha fatto piacere rivederli. Mi ha fatto sentire meno solo, ecco.
“Grazie per essere venuti tutti.”
“Non potevamo non esserci.”
Ognuno di loro mi ha fatto le condoglianze e mi hanno abbracciato.
Io li ho ringraziati tutti, uno per uno.
“Come ti senti? Stai bene?”
Annalisa mi è sembrata a a disagio. E anche gli altri mi hanno dato quella sensazione.
In queste occasioni non si sa mai cosa dire o fare, quindi si chiedono le solite cose.
Ho apprezzato il loro interessamento, perché sincero.
Il problema era che non sapevo bene cosa risponderle. Soltanto sei mesi fa io ed Anna eravamo qui a dare l'ultimo saluto a nostro figlio e tra poco l'avrei dato a mia moglie. Non volevo che si preoccupassero, quindi ho detto loro una mezza verità.
“Diciamo che adesso che siete qui mi sento un po' meglio.”

“Era chiaro a tutti che stava mentendo. Cercava di nascondere quello che stava provando, ma quella volta non ci era riuscito, non quanto avrebbe voluto. E si poteva capire, eh! Nel giro di pochi mesi aveva perso le due persone più importanti della sua vita.”
“Sai, dopo tutto quello che abbiamo passato, sono convinto che chiunque vi sia lassù ci osservi e si diverta a distruggere quel poco di buono che una persona riesce a creare nella sua esistenza!”

Dopo qualche minuto, passato in silenzio, Annalisa si accorge che il tempo sta peggiorando.
“Non ti sembra che stia nevicando come quel giorno?”
“Si, davvero. Fortuna che avevo portato l'ombrello, così l'ho potuto riparare e gli ho evitato un malanno!”
“Anche se non era la sua preoccupazione principale, sono sicura che l'ha apprezzato.”

Sentivo i capelli bagnati e vedevo che tutto intorno a me veniva celato dalla neve, ma ero più concentrato sui fiori che avevo scelto per Anna. Qualcosa non mi convinceva, ma non sapevo che cosa... Non mi ero nemmeno accorto che Simone mi aveva riparato col suo ombrello fino a quando non ha parlato!
“Vieni, andiamo. Non vorrai prenderti una polmonite, eh?”
Non gli ho risposto.
“Ti piacciono i fiori?”
Forse era una domanda stupida, ma l'ho dovuta fare.
“Si, si mi piacciono.”
“Non lo so, non mi convincono. Sono abbastanza belli per lei?”
“Sono sicuro che le sarebbero piaciuti. Andiamo?”
“Si, andiamo.”

“A me erano piaciuti molto quei fiori e ed ero sicura che Anna sarebbe stata d'accordo.”
“Aveva scelto i suoi fiori preferiti.”
“E avevi mai visto una persona tanto imbarazzata nel chiedere un favore?”
“Mai!”

Volevo chiedere loro se potevano fermarsi a casa mia, almeno per quella notte. Non mi era mai piaciuta l'idea di chiedere, ma forse era il momento di cambiare. Perciò, mi sono fatto coraggio e gliel'ho chiesto.
“Potreste fermarvi a casa mia per questa sera?”
“Certo, nessun problema.”
“Confermiamo.”
Sapevo che non avrebbero avuto riserve. Erano dei veri amici, senza dubbio.
“Grazie, siete dei veri amici.”
“Di nulla, per così poco.”
“É solo che non me la sento di restare da solo in quella casa così grande.”
“Non devi spiegarci nulla.”

Simone ha dei dubbi sulla curva da prendere e Annalisa gli dà un suggerimento.
“Gira a destra. É una scorciatoia, così arriveremo prima.”
“Buona idea.”
Girata la curva, Annalisa riprende a raccontare.
“E quella sera stessa, mentre eravamo tutti in salotto a ricordare la nostra amica, Marco si è alzato per andare nella sua stanza. Dopo qualche minuto, preoccupata per il troppo tempo che era stato via, sono andata a vedere che cosa stesse facendo e l'ho trovato sul suo letto.”
Annalisa viene colta dalle emozioni e cerca un fazzoletto nella sua borsetta.
“Accidenti, non li trovi mai quando ne hai bisogno!”
“Trovati?”
“Si, erano davanti ai miei occhi.”
“Mi sono avvicinata, l'ho chiamato un paio di volte e solo dopo qualche istante ho notato un flaconcino di pillole aperto e vuoto accanto a lui. D'istinto, gli ho infilato un paio di dita in gola e l'ho fatto vomitare e si è ripreso.”
“Sei arrivata proprio in tempo. Ti deve la vita.”
“Ho avuto tanta di quella paura... Non lo so come ho fatto a mantenere la calma in quel momento! Non me lo sarei mai aspetto da lui!”
“Davvero?”
“Si. Anche se nei suoi film il suicidio era un tema ricorrente, non mi sembrava quel tipo di persona.”
Rimasto calmo fino a quel momento, per tranquillizzare Annalisa, adesso Simone sembra essere molto arrabbiato nel ricordare il gesto estremo dell'amico.
“E vai a capire cosa pensava di risolvere con quel gesto! É stato un gesto davvero stupido, imperdonabile!”
“Non vorrai dirmi che anche tu...”
Lo sguardo di Simone è sufficiente per capire che anche lui aveva tentato il suicidio.
“Si, sono stato ad un passo dal farlo. La morte di Clara è stata un duro colpo.”
“Mi dispiace, non ne avevo idea.”
“Ci credo, non lo sa nessuno.”
“Nessuno?”
“Si, beh, tranne me e te da adesso, certo.”
“Non potrei nemmeno immaginare cos'hai passato...”
“A volte non lo so nemmeno io! E' successo tutto così rapidamente che a volte non me ne rendo conto, sai?” 
“Vuoi parlarne?”
“C'è poco da dire. Ricordi che Clara ha avuto un tumore all'utero e che la chemioterapia aveva davvero messo a dura prova il suo corpo e la nostra relazione, no?”
“Me lo ricordo bene! Avete sfiorato il divorzio!”
“E questo come lo sai?”
“Dove credi che sia venuta quella volta che se n'è andata di casa?”
Simone la guarda e accenna un sorriso, per poi proseguire il racconto.

“Circa un paio di mesi dopo aver ricevuto la conferma che era guarita, l'ho trovata seduta sul letto con un foglio in mano. Non riuscivo a capire se aveva ricevuto una bella notizia oppure una pessima. Mi sono avvicinato, preoccupato, e lei mi ha consegnato quel foglio.”

“Tieni.”
“Che cos'è?”
“Sono i risultati dei miei ultimi esami.”
“Non sarai di nuovo...?”
“No! No, no, anzi!”
“Allora?”
“Sai perché di recente ogni mattina ho la nausea?”
“No...”
“Beh, aspettiamo un bambino!”
“Sei incinta?”
“Si! Non sei contento?”
“Si, sono contento... É solo che...”
“Solo che cosa? Pensavo di darti una bella notizia, ma sembra che sia la sola qui a esserne contenta!”

“Ti rendi conto? Era incinta! Io ho sempre voluto avere un bambino e l'avrei avuto con lei, la mia anima gemella! Avrei voluto essere al settimo cielo, ma il primo pensiero è andato al tumore che aveva da poco sconfitto.”
“Mi sembra ragionevole.”
“Però a lei non sembrava...”

“Non è una bella notizia?”
“Diciamo che sono preoccupato.”
“Lo sono anch'io, sai?”
“Non voglio perderti.”
“E non mi perderai. Noi avremo questo bambino o bambina e saremo finalmente una vera famiglia. Non devi preoccuparti perché tutto andrà bene. Abbiamo già vinto una volta le avversità e vinceremo anche quelle che verranno.”

“Già una volta ho rischiato di perderla e il pensiero che avrei vissuto senza di lei per parecchio tempo, mi aveva fatto capire che lei era tutto per me e se fare in modo che stesse bene voleva dire non avere un figlio, allora così sarebbe stato. Mi sarebbe dispiaciuto, certo, ma perdere lei sarebbe stato peggio.”
“Le hai detto questo?”
“L'avrei fatto, ma era da così tanto tempo che non la vedevo così contenta che non me la sono sentita di rovinarle quel momento.”

“Ti chiedo scusa.”
“Nessun problema.”
Clara sembra sentirsi male e si tocca la tempia destra con la mano.
“Ah, che strano...”
“Che cosa?”
“Un leggero fastidio alla testa...”
“Stai bene?”
“Si, si, è passato.”
“Vado ad aprire la finestra così entra un po' d'aria. Adesso ti sentirai un po' meglio.”

“Ho aperto la finestra, mi sono voltato e l'ho vista distesa sul pavimento.”
“Santo Cielo...”
“Ho perso entrambi quel giorno. Non ho mai detto a nessuno che era incinta, perché l'ho voluto rimuovere il prima possibile! Averla persa mi sembrava già sufficiente.”
“E adesso come ti senti? Ti sei ripreso?”
“Si, diciamo di si. Cerco di andare avanti e di tenermi impegnato, per non pensare.”
“E non hai più pensieri... Strani?”
“Se penso a farla finita? No, non ci ho mai più pensato. Le ho fatto una promessa e intendo mantenerla.”
“Non capisco. A chi l'hai promesso?”
“A Clara. Libera di non credermi, ma è stata lei a impedirmi di prendere tutti quei barbiturici. Ero lì seduto sul letto, quando l'ho affianco a me. Aveva un'aria così delusa nel vedermi ridotto in quello stato...” 

“So qual'è la tua intenzione e sono molto delusa, davvero molto. Dov'è il mio Simone? Dov'è quel ragazzo così coraggioso da avermi fatto notare tutti i miei sbagli e di essermi rimasta sempre accanto?”
“Non lo so, non me lo ricordo più. Cara, dimmi solo che ovunque tu sia, adesso stai bene e che sei felice. Puoi dirlo? É l'unica cosa che mi fermerebbe.”

“Io avevo paura di farlo! E avevo bisogno di quella bugia, ne avevo bisogno per non andare fino in fondo! Le ho preso le mani, le ho strette molto forte e in lacrime le ho chiesto di dirlo... L'ho supplicata di dirlo!”

“Mi serve che tu lo dica perché io mi salvi! Io... Io non voglio farlo, ma non vedo altra soluzione a questa... Non lo so, mi manchi e non sapere se adesso stai bene mi fa impazzire! Capisci?”

“Clara ha appoggiato le sue mani sul mio volto, mi ha asciugato le lacrime e mi ha detto proprio quello che avevo bisogno di sentire.”

“Se tardi a trovarmi, insisti. Se non ci sono in nessun posto, cerca in un altro, perché io sono seduta da una qualche parte, ad aspettare te. E ad un certo punto, scoprirai che sono sempre stata qui, nel tuo cuore.”

“E dopo un lungo bacio, lei è andata via e da quel giorno non ha fatto più ritorno. Qualche volta mi manca, però mi basta ricordarmi quello che mi ha detto per andare avanti. Inutile dire che subito dopo abbia buttato tutte le pillole e che abbia cambiato le lenzuola del letto.”
“Così hai ricominciato a vivere?”
“Si, ed eccomi qua.”
“Hai visto? Ha smesso di nevicare! Non l'avrei detto, visto che sembrava non finire più!”
“E proprio quando siamo quasi arrivati, eh? Che strano caso!”
“É sempre così, si sa.”
“Grazie per avermi ascoltato, mi ha fatto bene parlarne con te. Mi sento meglio.”
“Mi fa piacere. E spero che anche Marco stia bene.”
“Lo starà, vedrai.”

Marco sta entrando nel bar della stazione quando vede entrare Annalisa e Simone. 
“Ce l'avete fatta!”
“Si, hai visto?”
“Vi va di prendere un caffè?”
Simone si toglie il cappotto e si siede. Anche Annalisa si siede, ma non risponde, perché è troppo impegnata a guardarsi nello specchietto e a lamentarsi dei suoi capelli.
“Guarda che capelli!”
Ci mette le mani dentro per cercare di metterli a posto, ma non sembra funzionare.
“Accidenti! Una leggera brezza ed ecco il risultato! Un nido d'uccelli!”
“Dai, stai bene anche così.”
Le ho detto una piccola bugia, ma a fin di bene. In effetti, non passa inosservata.
“Si, certo! A tutta questa gente sembrerò una pazza scappata dal manicomio!”
Simone non poteva risparmiarsi un commento ironico. Non l'ha mai fatto, perché avrebbe dovuto iniziare proprio oggi?
“E perché, non lo sei forse?”
“Ah, ah! Sei sempre divertente!”
“Non te la prendere. Lo sai, è fatto così. É bello che almeno uno di noi non abbia perso il senso dell'umorismo.”
Io faccio segno al cameriere di venire al nostro tavolo per ricevere le nostre ordinazioni.
“E' un romanzo quello?"
“Si.”
“E di che cosa parla?”
“In breve, di una giovane coppia di genitori messa alla prova dalla morte del figlio.” 
Dal loro sguardo basso, sono certo che hanno capito chi è l'autore e chi è la coppia protagonista. Annalisa mette via lo specchietto nella borsa e mi stringe la mano.
“Non dovresti leggere questo tipo di racconti.”
Il cameriere arriva e io decido per tutti cosa prendere.
“Vorremmo tre belle tazze di caffè caldo.”
“D'accordo. Arrivano subito.”
Il cameriere se ne va con le nostre ordinazioni, mentre i ragazzi continuano a manifestare la loro contrarietà. Non mi sorprende, me l'aspettavo, conoscendoli.
“Ha ragione, non dovresti. Non è salutare.”
Io cerco di tranquillizzarli, perché non voglio che si preoccupino.
“Questa volta è diverso.”
“Possiamo sapere il perché?”
“Questo romanzo l'ho scritto io.”
“Davvero?”
“Si. Questo romanzo parla di me, della mia vita, del mio rapporto con Anna e mi piace considerarlo come una delle tante mie manifestazioni di affetto e di riconoscenza nei suoi confronti. E come contorno ci siete anche voi, sapete?”
“Davvero?”
”Certo! Siete sempre i miei migliori amici, no? Avete sopportato le mie stranezze per così tanti anni che ho pensato di ringraziarvi in questo modo.”
“Si, è vero, le tue stranezze ci hanno messo a dura prova, ma alla fine ci siamo sempre divertiti parecchio.”
“Posso prenderlo?”
“Certamente.”
Il cameriere arriva con il vassoio e le nostre tre tazze di caffè caldo e fumante. Le passa a ciascuno e noi lo ringraziamo.
“Mi piace il titolo... “Ricordi”... Suona bene.”
“Mi è sembrato il più azzeccato. Cosa avete fatto oggi?”
“Nulla di importante.”
“Parla per te, Anna! Io ho passato tutta la giornata a cucinare per la serata!”
Il cameriere ci presenta il conto. Prendo il portafoglio dalla tasca e pago per tutti.
“Tenga pure il resto.”
I miei amici sono sorpresi, per non dire scioccati, da questo mio gesto.
“Sei sicuro di stare bene?”
“Si, perché?”
“Tu che offri qualcosa a qualcun altro? Non è da te!”
“Nella vita si cambia, sapete?”
Annalisa si accorge di un foglietto per terra accanto ai miei piedi.
“E quello?”
“Che cosa?”
“Lì, per terra, vicino ai tuoi piedi. É tuo?”
“Controllo.”
Io so bene che cosa c'è scritto su quel foglietto. Come non potrei saperlo? Non avrebbe dovuto scivolare fuori dal portafogli, ma forse è un segno che è momento che loro sappiano la verità. Lo prendo in mano, lo apro e lo leggo.
“Dobbiamo parlare.”
“Sentiamo.”
“Vi ho mentito sulla morte di Anna.”
“Non capisco.”
“Io vi avevo detto che era caduta dalle scale e che aveva picchiato la testa contro lo spigolo di un gradino, ma vi ho mentito.”
“Marco, com'è morta Anna?”
“Questo non un pezzo di carta qualunque, vero?”
“No, non lo è affatto. Questa è la sua lettera d'addio.”
Non ho il coraggio di leggerla, quindi lascio che siano loro a farlo.
E mentre loro la leggono, io immagino mia moglie con la sua vestaglia e con le lacrime agli occhi mentre la scriveva.
“Mio caro, ti scrivo perché altrimenti non riuscirei a dirti quello che ho da dire. Ti chiedo subito scusa per averti mentito per tutto questo tempo. Sono davvero dispiaciuta e capirò ogni tua reazione. In questo periodo ti ho fatto credere di essermi ripresa, di stare meglio, ma devi sapere che non è vero, non è vero nulla! La verità è che il senso di colpa mi sta schiacciando sempre di più, come in una presa stretta e mortale, dalla quale non so come liberarmi! Sento la sua voce, sento le sue grida e rivivo quei momenti, continuamente! Non credo di avere il coraggio e la forza di andare avanti a combattere questa battaglia. Credo che ormai mi convenga rassegnarmi a essere stata sconfitta. Quindi ho deciso di fare quel passo. Non avrei potuto trovare un uomo migliore che mi avrebbe amata come hai fatto tu. Sei stato così buono con me e tanto paziente. Ti sto rovinando la vita e mi dispiace. Mi hai dato tutta la felicità possibile, oltre ogni rosea aspettativa. Ti amo.”
Annalisa e Simone sono increduli e io li capisco. Lo ero anch'io nel leggere quella lettera. 
“Non ci credo! Non può averlo fatto!”
“Lo so, non me l'aspettavo, però l'ha fatto. Quella mattina mi sono svegliato prima del solito e non l'ho vista lì nel letto con me. Perciò, mi sono alzato, sono sceso in cucina per cercarla e ho trovato questa lettera sul tavolo.”
Prendo dalle mani di Annalisa la lettera per rimetterla nel portafogli, quando mi accorgo di una piccola foto di Edoardo in una fessura. La prendo e la guardo. Il mio piccolo Edoardo era proprio un bel bambino, come sua madre.
“E quella?” 
“É una foto di Edoardo. Non sembrava un piccolo dottore? Con quello sguardo vispo e intelligente...”
“In effetti... Ed era anche carino.”
“Annalisa!”
“Cosa c'è? É vero!”
“Lo so, deve aver preso da sua madre.”
“E quel retino?”
“Semplice. A Edoardo piacevano molto le farfalle e quando ne trovava una che gli piaceva alquanto, ce la portava a vedere, ci mostrava i suoi colori e poi insieme la lasciavamo andare. Era un bambino molto intelligente, nonché molto gentile e rispettoso della natura e di tutte le sue creature. Forse sarà una frase banale, ma la sua morte è stata qualcosa di davvero sconvolgente, per entrambi.”
“Non possiamo nemmeno immaginare cosa possiate aver provato.”
“E spero che non lo dobbiate mai scoprire!”
“Vuoi parlarne?”
“Non lo so. É stato un periodo davvero molto difficile per Anna. Anche per me, certo, ma ho dovuto essere forte per entrambi e ho dovuto reprimere ogni emozione il più in fretta possibile. E con lei in quello stato, qualcuno doveva pur provvedere al resto, no?”
“É per questo che non l'abbiamo più vista in giro e non rispondeva alle nostre chiamate?”
“Si. Ogni mattina si chiudeva nella stanza del figlio e ci restava fino all'ora di pranzo. Alle volte, passando accanto alla stanza, mi fermavo dalla porta leggermente socchiusa e la vedevo, nella penombra, seduta su una piccola sedia intenta ad accarezzare un delfino di peluche. Era un fare alle volte molto materno, molto dolce, e altre volte quasi ossessivo, maniacale. Una volta ci sono entrato, mentre lei stava salendo le scale. Era tutto così fermo. Le tende erano sempre abbassate e non entrava luce. Era quasi soffocante la presenza di nostro figlio. Tutto lo ricordava, dal letto ai suoi giochi e ai suoi amati peluches. Non ho mai capito come riuscisse a starci dentro per tutto quel tempo ogni mattina, davvero.” 
“Ti ha visto quella volta?”
“Si. Io ero lì davanti alla finestra quando è entrata. Mi ha lanciato uno sguardo di odio, come se avesse temuto ch'io avrei cambiato qualcosa o spostato qualcosa da qualche parte.”

“Non dovresti essere qui!”
“É così buio qua dentro. Vorrei aprire le tende, se posso.”
“No, non puoi farlo.”
“Posso sapere perché?”
“Perché a me piace così, va bene?”
“Tesoro...”
“Cosa c'è?”
“Tesoro, tutto questo non è salutare.”
“Sei un dottore, forse?”
“Non puoi continuare a negare la realtà.”
“Possiamo non litigare qua dentro? Cosa direbbe Edo se ci vedesse, eh?”
“Edo è morto.”
“Smettila!”
“Edo è morto. Sono passati tre mesi ormai. Cara, io voglio aiutarti, ma ho bisogno di sapere che cosa ti sta succedendo.”
“Io sto bene! E il fatto che mi piaccia stare qui non è affar tuo! Lo so anch'io che Edo è morto! E questo è il mio modo di reagire!”
“Ci deve pur essere un modo migliore...”
“Tu lo sai?”
“Forse.”
“Non vorrai dirmi di fingere che nulla sia successo, eh?”

“Era questo il tuo modo?”
“Certo che no! Non è possibile fingere una cosa del genere!”
“Gliel'hai detto?”
“Prima le ho fatto una domanda.”

“Tu credi che a me non importi?”
“La verità? Non lo so... Io non riesco a capire come fai...”
“A essere più forte?”
“Si, diciamo così, si.”
“Io sono distrutto ma cerco di nasconderlo per essere forte per te, perché abbiamo subito una perdita terribile e perché non voglio perdere anche te! Questa è la nostra battaglia e dal momento che tu non sembri in grado di combattere, io dovrò farlo per entrambi! E per fare ciò non posso permettermi di lasciarmi andare!”
“Questa è la mia battaglia! Non la tua, solo la mia! Io sola combatto ogni istante contro le voci e i sensi di colpa!”
“Non sei la sola! Credi che io non mi senta in colpa? Sappi che mi ci sento ogni momento! Sai quante volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non ti avessi telefonato?”
“Tu non eri, io sola ero lì! Era sotto la mia responsabilità ed era mia compito tenerlo lontano dai pericoli! Ed eccoci qua, a piangere la morte di nostro figlio.”
“E se fosse stato destino? E se fosse il nostro destino di andare avanti, cominciando con l'andare giù in cucina a pranzare?”
“Non ho fame. Tu vai se vuoi, io ti raggiungerò nel pomeriggio.”
“Al Diavolo!”

“Sono uscito da quella stanza davvero arrabbiato! Sembrava di parlare con un burattino, con una donna, non con la mia Anna!”
“Beh, era la madre e forse per lei è stato più difficile che per te...”
“Non lo è stato per nessuno! Non le avevo mai parlato così duramente e non mi è piaciuto affatto!”
“Immagino.”
“Per qualche giorno le mie parole sembravano aver fatto effetto e vedevo Anna non dico stare meglio, ma più motivata ad andare avanti. Quindi, una sera, ho pensato di chiederle di uscire fuori a cena, giusto per cambiare la routine quotidiana e passare una serata normale tra marito e moglie.”
“Serata normale?”
“Diciamo che un paio di sere la settimana, Anna voleva starsene in salone davanti al proiettore a guardare vecchi filmini di noi e di Edo, mentre nelle altre sere se ne andava a letto subito dopo cena per svegliarsi il mattino seguente, fare una veloce colazione e passare la mattinata chiusa in quella stanza.”
“Non ce la faceva, vero?”
“No. E forse passerò per un egoista e insensibile, ma se all'inizio ero partecipe del suo dolore, dopo una decina di sere passate o nel totale silenzio o a guardare sempre gli stessi filmini, la noia e la nostalgia hanno preso il sopravvento.”
“Non ti giudichiamo, tranquillo.”
“E dopo la noia e la nostalgia, è subentrata la paura di essere in quel punto in cui ho temuto di aver ormai perso ogni contatto con lei. Forse ero davanti alla mia paura più grande: essere solo, non averla più vicino.”
“Le hai parlato?”
“Si, l'ho fatto.” 

Eravamo seduti sul divano a guardare i soliti vecchi filmini. Io non mi sforzavo nemmeno più di nascondere la noia, mentre Anna era sempre molto interessata, come se ogni volta fosse la prima.
“Pensavo di andare a cena fuori.”
“D'accordo, come vuoi.”
“Io vorrei uscire con te.”
“Inconcepibile!”
“Lo sapevo...”
“Cosa vuoi dire?”
“Lascia stare.”
Mi sono alzato dal divano per andarmene, quando Anna ha detto qualcosa che non mi sarei mai aspettato di sentire.
“L'ho capito, sai? L'ho pensato qualche giorno fa e adesso ne ho la conferma.”
“La conferma di cosa?”
“Tu sei felice della sua morte.”
“Hai cominciato a bere, adesso?”

“L'ho presa sul ridere. Cos'altro potevo fare? Era talmente assurdo quel pensiero!”

“Smettila e dì la verità, per una volta! Dillo che non ti senti in colpa per la sua morte! Nulla di quello che mi hai detto quella mattina è vero! Mi hai sempre mentito!”

“Non so cosa mi sia preso, ma ho alzato la mano e le ho dato uno schiaffo.”
“L'hai picchiata?”
“Le ho dato solo uno schiaffo. E puoi biasimarmi? Cosa avresti fatto tu se tuo marito ti avesse accusato di essere felice per la morte di vostro figlio? Ti rendi conto? Come si può pensare a qualcosa del genere?”
“Si, forse avrei reagito ancora peggio...”
“E lo so bene che non avrei dovuto! Me ne sono pentito nello stesso istante!”

“Hai finito?”
“Io... Io non lo so cosa mi sia preso. Non volevo.”
“Puoi andare se vuoi.”
“Mi dispiace.”

“Io sono andato al piano di sopra, mentre lei è rimasta sul divano a guardare quei filmini. L'ho aspettata per un paio d'ore, pensando a come chiederle scusa per quello che avevo fatto. Stavo per scendere al piano di sotto, quando lei si è presentata davanti alla porta.”

“Perché stai al buio?”
Mi volto verso di lei, felice di vederla.
“Ehi! Stai bene? Credimi, mi dispiace davvero tanto per quello che ho fatto!”
“Hai fatto quello che avrei fatto io se le nostre parti fossero state invertite.”
“Non succederà mai più, te lo giuro!”
“Senti, forse hai fatto bene. Mi serviva per tornare alla realtà. E se c'è qualcuno che deve scusarsi, quella sono io.  Ti ho accusato di una cosa orribile, davvero tremenda, e non lo pensavo affatto! Lo sai, no, che non le pensavo?”
“Diciamo che sembravi molto convinta.”
Anna accenna un sorriso. Mi mancava vederla sorridere. È così bella quando sorride. 
“Senti, la tua offerta è ancora valida?”
“Di uscire fuori a cena?”
“Si.”
“Facciamo domani sera?”
“D'accordo. E dove mi porterai?”
“Non lo so ancora.”
“Ovunque mi porterai, a me piacerà.”
Tendo la mano verso il punto in cui l'avevo dato lo schiaffo.
“Posso vedere?”
“Non è niente. Non fa nemmeno male.”
“Mi dispiace, davvero.”
“E a me di averti detto quelle cose orribili. Voglio provare ad andare avanti... Lo voglio davvero!”

“E ha mantenuto la promessa?”
“Ci ha provato e che per qualche mese sembrava ritornata l'Anna che conoscevo e della quale mi ero innamorato. Ma il senso di colpa e la mancanza del figlio, alla fine, sono stati più forti della sua volontà di guarire. E con questo senso di colpa convivo da allora.”
“Lo sappiamo tutti che non è stata colpa tua.”
“Tu hai fatto tutto quello che potevi... Le sei stato vicino e hai cercato di aiutarla. Cosa altro potevi fare?”
“Avrei dovuto portarla da un professionista. Io conoscevo ogni variazione della sua voce, ogni suo sguardo, ogni suo gesto; eppure in quei mesi tutte queste conoscenze sembravano sparite. E chissà, forse volevo vedere che stava bene, perché mi faceva comodo e perché mi piaceva vederla felice.”
Annalisa, per cambiare argomento e per rendere meno deprimente l'atmosfera, se ne esce con una rivelazione inaspettata.
“Io ho avuto un problema di dipendenza da alcolici.”
Io e Simone la guardiamo sorpresi e preoccupati.
“Tu? Com'è successo?”
“Diciamo che il periodo che ha seguito il divorzio da Pietro non è stato uno dei miei più felici e avevo cominciato a frequentare il bar vicino a casa mia e in poco tempo sono diventata una cliente abituale.”
“Mi dispiace, non ne avevo idea.”
“Lo sa solo Roberto e per pura coincidenza, non certo perché l'avessi voluto io, eh!”
“Non capisco.”
“Una sera, seduta al bancone, sorseggiando il mio bicchiere di Vodka, mi sono voltata un attimo, per dare uno sguardo alle persone intorno a me e ho visti Agata e Roberto baciarsi. La teneva a sé per la vita e lei sorrideva e sembrava così felice... Mi ha dato i nervi, ricordo solo questa sensazione.”
“Forse perché in loro hai visto te e Pietro insieme.”
“Si, sicuramente. In ogni caso, mi sono avvicinata a loro e abbiamo parlato del più e del meno per qualche minuto, come ai vecchi tempi. Poi Roberto ha incontrato un collega di lavoro o un amico, non lo so, e sono rimasta da sola con Agata. Beh, tra una chiacchiera e l'altra, mi ha rivelato che tradiva il marito con Giulio. Ve lo ricordate?”
“Si, certo.”
“Scusa un attimo. Giulio non era sposato con Cristina? E avevano avuto ben sei figli, no?”
“Ti giuro! Parlava proprio di quel Giulio! E anch'io non riuscivo a crederci.”
“Che cosa triste...”

“L'hai detto. Un pomeriggio, qualcuno ha bussato alla mia porta.”

“Annalisa, ci sei?”

“Io non ho riconosciuto subito la voce. Passavo le mattine a dormire, il pomeriggio a bere e le sere al bar, sempre fino a notte inoltrata. Non ero proprio connessa in quel periodo, ecco.”

“Un attimo. Chi è?”
“Sono io, Roberto. Mi puoi aprire?”
“Dammi un attimo. Solo un attimo. Devo fare una cosa.”
“Stai bene? Annalisa, mi vuoi aprire?”
“Un attimo! Smettila!”

“Quella voce era ancora più fastidiosa del solito. Pensa che mi ero tappata le orecchie per non sentirla nella testa! In casa ormai regnava il disordine e bottiglie vuote erano ormai ovunque. Decisa a non fargli vedere come ero caduta in basso, ho nascosto quello che potevo dietro i cuscini e sotto il tappeto e davanti allo specchio mi sono data una veloce pettinata e un filo di trucco. Ho preso fiato e ho aperto la porta...”

“Si?”
“Volevo vedere se stavi bene. Posso?”
Annalisa apre la porta e lo lascia entrare.
Roberto si dà un'occhiata attorno.
“Scusa per il disordine. Ho avuto ospiti. Hanno fatto un po' di casino. Sai come vanno certe cose, no?”
“Immagino...”
Si china per raccogliere una bottiglia mezza vuota.
“E questa?”
“Questa? E' una bottiglia.”
“E' quasi vuota.”
“Avevo sete.”

“Volevo solo che se ne andasse e che mi lasciasse in pace. Pertanto, sono stata molto schietta e diretta, non ho fatto giri di parole.”

“Qualche problema?”
“Si, ho un problema.”
“Beh, è soltanto tuo. Se non c'è altro puoi andare. Ciao...”
“Cosa ti sta succedendo?”
“Mai capitato di avere un periodo difficile? Io lo sto avendo adesso e sembra che durerà ancora per un po'.”
“Ed è così che cerchi di superarlo? Attaccandoti alla bottiglia? Credi che sia il metodo migliore?”
“E quante domande! Manco fossimo in un quiz alla televisione! Che vuoi che ti dica? Ognuno ha i suoi metodi! Io bevo, altri si buttano giù da un palazzo e altre ancora mettono le corna al marito...”
“Che vuoi dire?”

Simone ha conosciuto Annalisa circa dieci anni prima del mio arrivo, quindi sa quanto sa essere sgradevole. Anch'io l'ho scoperto e senza fare tanta fatica.
“Immagino come gli avrai risposto.”
“Da gran stronza, ovvio!”

“Solo che quel paio di corna che ti spuntano dalla testa ti donano. Sei un gran bel pezzo di cervo, sai?”
“Stai forse insinuando che Agata se la fa con qualcuno?”
Nel vederlo così convinto dell'assurdità di quell'ipotesi, la ragazza gli ride in faccia e gli prende la bottiglia dalla mano.
“Questa è mia. Vieni, siediti e fatti un goccio. Ti servirà.”

“Ero seduta al bancone, a chiedere l'ennesimo bicchiere e a guardarmi intorno, quando mi accorgo di una ragazza dal volto famigliare che mi fa segno di raggiungerla...”

“Vieni, vieni.”
“Cosa ci fai qui tutta sola?”
“Non sono sola. Giulio è andato un attimo in bagno.”
“Giulio?”
“Non te lo ricordi?”
“Si! Giulio!”
“Te l'avevo detto, no?”
“Si, si, certo, certo.”
Giulio è ritornato dal bagno e dà un bacio sulla fronte ad Agata.
“Eccomi, sono tornato.”
“Ti ricordi di Annalisa?”
“Sì, mi ricordo. Ho saputo del tuo divorzio.”

“Mi ha abbracciata e si è seduto vicino ad Agata. Non era cambiato per nulla, sapete? Era sempre alto, bello e gentile.”

“Come stai? Va tutto bene?”
“Va...”
“Ci dispiace. Immagino che sia un periodo difficile per te.”
“Si cerca di andare avanti comunque.”
“Fai bene. Andiamo?”
“Ah, già, l'appuntamento. Scusami. Ci vediamo uno di questi giorni? Mi piacerebbe molto, sai?”
“Certamente.”
“Ci vediamo. Ciao.”

“Ritornata al bancone, guardando il liquido nel mio bicchiere, ho pensato a quello che stava succedendo loro. Mi sono fatta così tante domande. E se Roberto l'avesse scoperto? Cosa stava succedendo ad Agata? E a Giulio? Improvvisamente, non avevo più voglia di finire il bicchiere e volevo solo tornare a casa mia.”

Roberto era visibilmente sconvolto da quello che aveva appena sentito dall'amica.
“Non può essere vero...”
“Senti, cervo! Va bene che ero ubriaca, ma certe cose non si scordano!”
“Secondo te cosa sta cercando da Giulio?”
“A me lo chiedi? Vallo a chiedere a lei, no?”
“Adesso puoi andare, se vuoi.”
“Quando ti sei trasformata in questa stronza insensibile?”
“Che vuoi che ne sappia! E comunque non lo direi a te! Ma tu guarda! Non ti ho chiesto mica io di venire a trovarmi! Hai voluto fare l'amico e non farti i cazzi tuoi? Ecco il risultato! Pensa più al tuo matrimonio che a me! Ci penso già io a me!”
“Adesso capisco perché Pietro ti ha lasciata! É stato un ragazzo intelligente!”
“C'è altro?”
“Si! Anche se sei diventata una stronza ubriacona, sei comunque mia amica e spero che ti rimetterai.”
La ragazza gli ha sbattuto la porta in faccia.

“Era davvero sconvolto dalla notizia. E per tutto il giorno mi sono sentita davvero una grande stronza, tanto da decidere di smettere di bere. Mi sono vestita e ho preso dei sacchi della spazzatura e alla fine della mattinata tutte le bottiglie vuote sparse per la stanza erano lì dentro, pronte per essere gettate nei cassonetti!”
Io sono sconvolto. Non ne sapevo nulla. Invece, Simone non mi sembra così sconvolto, tanto che sta leggendo il mio libro come se nulla fosse.
“Tu lo sapevi?”
“Sì. Quel pomeriggio mi ha chiamato e mi ha chiesto di andarla a trovare, che aveva qualcosa di importante da dirmi. Quel pomeriggio mi ha detto tutto, del bere, delle serate nei bar, degli uomini, e ci siamo promessi di sostenerci ogni volta che avessimo avuto dei periodi difficili.”
“Anch'io voglio essere onesto.”
“Cosa vuoi dire?”
“Ognuno ha condiviso e ora tocca anche a me. Marco, io ti ho odiato quando hai tentato il suicidio quella sera, ma, dopo la morte di Clara, sappi che ti ho capito e che l'ho tentato anch'io.”
“Promettiamo che non ci saranno più segreti tra di noi?”
“Io ci sto.”
“Anch'io.”
“Bene. E' bello sapere che ho ancora degli amici di cui posso fidarmi e con cui posso confidarmi.”
“Andiamo?”
“Vado un attimo fuori. Sai, tutti questi ricordi...”
“E la serata?”
“Ci metterò un attimo. Voglio solo prendere una boccata d'aria.”
“Fai presto, però!”
“Tranquilla.”
“Va tutto bene?”
“É bene riflettere sulle cose che possono farci felici; infatti, se siamo felici, abbiamo tutto ciò che ci occorre e se non lo siamo, facciamo tutto per esserlo.”

Con queste poche parole mi congedo dai miei cari amici. Non credo che abbiano capito, ma di certo tra poco capiranno. E' solo questione di pochi minuti e tutto sarà finito.
Sull'uscita mi volto un istante, per vederli un'ultima volta chiacchierare mentre bevono il caffè. Accenno un sorriso e me ne vado.
All'esterno, comincio a camminare avanti e indietro, a testa bassa e con le mani nelle tasche, in attesa che arrivi il treno.
Mi accendo una sigaretta.
Non ho più fumato dal giorno in cui ho scoperto che Anna non ne sopportava l'odore. Non mi è mancato, ma non avrò un'altra occasione.
Ha ricominciato a nevicare e una brezza alquanto fresca muove i miei capelli.
Sento un rumore, in lontananza.
Butto la sigaretta in terra e la spengo con la scarpa.
Supero la linea gialla e scendo sui binari. Mi giro verso la luce e rimango lì, in piedi, in attesa che arrivi.
All'inizio avevo paura, ma adesso sono sereno.
Manca sempre meno.

Sono in taxi sulla strada di casa e sto chiamando Anna per dirle che sto per arrivare.
“Tra circa 10 minuti sarò a casa. Come va?”
“Bene, tutto bene. Edoardo è in giardino a giocare.”
“Scommetto che non vede l'ora di festeggiare!”
“Vuoi che te lo chiamo?”
“Si, in effetti avrei qualcosa da dirgli.”
Anna si affaccia alla finestra e chiama il figlio.
“Edoardo, vieni! C'è papà al telefono!”
“Arrivo!”
“Ecco, tieni.”
“Ciao!”
“Sei pronto per la festa di oggi?”
“Non vedo l'ora!”
“Immaginavo. E sappi che ci sarà una bella sorpresa per te.”
“Dimmi! Dimmi!”
“Se lo facessi, allora che sorpresa sarebbe?”
“E va bene, aspetterò.”
“Torna a giocare e non camminare sul bordo della piscina!”
“Si, mamma...”
“Sarà una festa meravigliosa.”
“Lo so.”
Penso che sia frutto della mia immaginazione, ma questa volta non voglio farmi domande e voglio godermi questo momento. Vedo mia moglie togliersi le scarpe e correre verso Edoardo per giocare e rincorrersi a vicenda sull'erba. Ah! Lo ha preso! Lo ha preso! Lo ha preso e lo sta stringendo forte a sé, non troppo da fargli male e abbastanza perché non si liberi e fugga via. E poi lo prende in braccio e insieme guardano il sole, lassù, illuminare ogni cosa. Ah, il cielo era azzurro, non c'era alcuna traccia di nuvole all'orizzonte e quella luce brillava intensamente, proprio come quella del treno che si sta avvicinando... Chiudo gli occhi.


******


Note di Autore

É la prima volta che scrivo delle note d'autore, ma penso di doverlo fare data la lunghezza e la complessità non tanto della trama, quanto piuttosto della struttura della mia “fatica”.
Ecco quello che ritengo d'ausilio per la lettura e l'interpretazione che dovete sapere:

1) questo racconto è una via di mezzo tra una sceneggiatura - l'idea originale - e un brano – se così lo si può definire -, così da poterlo candidare ai contest “Let it snow, let it snow, let it snow” e “La piramide dell'amore” e ai futuri Oscar EFPiani 2017.

1.1) nella mia testa bacata, la sceneggiatura era nata con la precisa intenzione di presentarla a qualche produttore italiano perché mi aiutasse a farne un film - senza escludermi dal progetto, certo! -, vincere un Nastro d'Argento e un David di Donatello quale sceneggiatore e, poi, di portarla all'attenzione di qualche produttore di Hollywood per farne un remake con me nel ruolo di Marco e Heather Tom - la Divina, come l'ho presentata a qualche mio “devoto” fan - per permetterle di spiccare il volo e uscire dal castrante mondo delle soap opera - è un'attrice ancora giovane e troppo grande per il piccolo mondo delle soap opera, punto e basta! -. In breve, l'ho scritta 3 anni fa, appena compiuti vent'anni, e tali ambizioni sono ancora ben presenti in mente. Perciò, colgo l'occasione e chiedo a chi la ritenga una sceneggiatura vincente e abbia delle conoscenze di farmi sapere.

1.2) è stata un'esperienza traumatica sia la stesura della sceneggiatura originale sia la sua revisione in questi giorni, perciò spero davvero che non vi siano errori – io ho controllato varie volte, ma qualcosa può essermi sfuggito, sicuro! -, perché per qualche tempo non voglio più parlarne! Ho sentito troppo questa storia, non tanto per esperienza personale - grazie al cielo! -, quanto per aver immaginato ogni singola scena e ognuna era così viva che... Beh, penso di essermi spiegato. Nel caso, chiedete e vi sarà dato.

2) le battute in corsivo vanno lette in questo modo: il personaggio parla e mentre parla il lettore immagina/lo spettatore vede la scena in questione.

3) I flash-back vanno considerati in questo modo: sono narrati in prima persona da Marco anche quando sono Annalisa o Simone a ricordarli, mentre gli altri sono narrati in terza persona, salvo le battute in corsivo per il motivo suddetto.

4) gli spazi tra una battuta e l'altra vanno considerati in questo modo: voi siete il lettore che immagina/lo spettatore che vede ogni singola scena - spero di esser stato bravo a facilitarvi lo sforzo d'immaginazione... -.

5) le mie fonti di ispirazione sono state:
- la soap opera “The Bold and The Beautiful”, in particolare le scene per le quali la Divina ha ricevuto le candidature come miglior attrice protagonista in una soap opera negli anni 2012-2014 - ne ha portati a casa un paio, sufficienti per avere l'ennesimo record in carriera -.
- il film “The Hours” (2002) per la lettera-confessione di Anna al marito Marco - il senso e le parole della lettera originale di Virginia Woolf sono state cambiate abbastanza per sembrare originale, anche quella finale, per evitare ogni problema -.
- il film “Amour” (2012) per l'idea di amore unico che trasmette e per quanto mi ha coinvolto la prima volta – non l'ho più rivisto perché sono ancora traumatizzato dalla cruda mano del regista Michael Haneke e dalla trama così romantica e realistica -.

Credo di aver detto e spero che vi piacerà, ma non a tal punto da esserne traumatizzati, certo! Grazie mille a chi leggerà e a chi lascerà una recensione - mi rendo conto della lunghezza e della struttura complicata, ma spero comunque che sarete in tanti e che mi farete pubblicità, ci terrei molto -. ;-) :-) 
   
 
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