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Autore: Giandra    01/04/2016    2 recensioni
Raccolta di storie incentrate ognuna su una shipping del mondo Pokémon, scritte tutte su vostra richiesta.
Scrivo su:
- anime principale (tutte le stagioni);
- Pokémon Horizons;
- videogiochi (trovate le specifiche nel prologo).
☆ #7. Mizuhiki: Seconda classificata e vincitrice dei premi Sara, miglior stile, miglior grammatica e miglior personaggio al contest "Ho letto un libro, una volta (si chiamava...)" indetto da zbor liber sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
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Buongiorno omegliobuonanottecontandocheèl'una! Torno con questa bella(?) Poké, malinconica quanto basta, che mi è spuntata all'improvviso; chiaramente sarà piena di cose strane perché è tardi e l'ho già letta tre volte, può bastare~ 
È dedicata a fedina, che la aspetta da molto tempo, spero che piaccia a lei e a voi! In sostanza, si tratta di un piccolo tributo triste e forse leggermente OOC di Misty, che si (ri)trova ancorata alla sua vita come Capopalestra, la stessa che aveva prima che Ash la portasse via da quella specie di incubo. Ecco se stessa, quindi, che prova a parlare con il suo io interiore, che cerca di farsi forza e di lottare per essere la splendida persona che è anche senza quel babbeo di Ash (che, nel cuore, la ama ancora♥). Spero che gradiate questa OS. Bye.



 
 
Time is stronger than us
Amore così grande come il tempo che non si è arreso.
— Tiziano Ferro
 
 
Il sole si librava alto nel cielo, i suoi raggi irradiavano i volti dei passanti e le nuvole faticavano a surclassare la sua luminosità. Essa stessa, indisturbata, penetrò senza preavviso nella camera da letto di Misty, costringendola a serrare gli occhi e a premersi il cuscino sul capo. Quando i primi attimi di disperazione passarono, la ragazza si liberò lentamente delle lenzuola, indossò le sue pantofole azzurre e camminò con la stessa andatura di uno Psyduck verso il bagno. Si lavò i denti, meticolosa, attenta a spazzolare almeno dieci volte ogni incisivo.
Una volta finito di prepararsi, indossando una salopette grigiastra e un top che le lasciava scoperte le braccia toniche, scese al piano di sotto, salutando di sfuggita le sorelle e indirizzandosi verso la Palestra di Cerulean.
Ogni giorno si ripeteva in quel modo, come un disco rotto, come una videocassetta che veniva prontamente resettata ogni notte, da molto tempo ormai: sei anni; sei anni erano passati dall’ultima volta che aveva deciso di dare una svolta decisiva alla sua vita e ora ogni progresso era andato perduto, costringendola a tornare alla routine di sempre.
Entrò nella Palestra, squadrando subito l’acquario con i Pokémon d’Acqua che la osservavano felici. Ricambiò il gesto con un tenue sorriso, specchiandosi nel vetro opaco: vedeva una ragazza bella, dal potenziale nascosto, che non riusciva a superare ciò che un tempo aveva reso la sua esistenza degna d’essere vissuta; come un’elegante candela ormai spenta, che non aveva trovato la giusta fiamma per tornare ad ardere.
Improvvisamente sentì dei saltelli silenziosi e regolari incedere verso di lei. «Ciao, Seadra» salutò il suo compagno d'avventure, appena uscito dalla fontana al centro dell’imponente costruzione, e gli carezzò il capo affettuosamente. «Tutto bene?»
Il cavalluccio marino prima annuì, poi assunse un’espressione preoccupata.
«Anche io sto bene, tranquillo.»
Uscì dall’ingresso e proseguì fino al campo lotta, ancora vuoto dato l’orario mattiniero. Tante, troppe cose erano avvenute in quel luogo e troppi ricordi assalivano la sua mente demotivata.
Fece una leggera pressione sui gomiti e riuscì a elevarsi sul davanzale dell’alta finestra, che dava sulla sua città. Sì, perché, del resto, la considerava una delle poche cose che era riuscita a conquistare — assieme al rispetto dei suoi abitanti.
Si sciolse i capelli, aggiustandoli alla bell’e meglio grazie al suo riflesso che la squadrava senza battere ciglio. Erano anni che non li portavo così, pensò; una serie di immagini si catapultarono nella sua testa senza chiedere l’accesso: un’allegra festicciola di paese, un kimono dai colori pastello e un raffinato uchiwa tra le sue dita; un giovane dai capelli corvini che la guardava estasiato, due mani che si intrecciavano per la prima volta — con una spontaneità e una dolcezza disarmanti.
Scosse la testa, vietandosi di far cadere di nuovo i suoi pensieri su di lui.
Era sciocco pensare che fosse stato il tempo a portarglielo via? Forse; eppure non riusciva né a incolpare se stessa — che, del resto, non aveva responsabilità della piega che aveva preso la loro relazione —, né voleva addossare la colpa su chi realmente lo meritava. Ammettere che di sua spontanea volontà quel babbeo aveva troncato i rapporti, pian piano, lasciandoli affievolire sempre di più, l’avrebbe distrutta.
E, del resto, il tempo era davvero l’ultimo fattore con cui poteva prendersela: lui la sosteneva, lui ancora credeva in lei, in loro. Lui le mostrava tutti i giorni una fotografia, gliela impiantava nel cervello senza possibilità di ritorno e le dava speranza; il tempo le ricordava che in tre anni avevano compiuto peripezie incredibili, impensabili, e che di conseguenza sei anni potevano essere ancora recuperati. Lui la sosteneva, le dava grinta e coraggio.
Si legò nuovamente i capelli con un elastico celeste, prima di analizzare attentamente la sua immagine riflessa. «Il tempo ce lo riporterà, è una promessa» le disse e un riso smagliante fece sfoggio di sé sul suo volto. Le stava sorridendo e Misty giurò a se stessa che per quel sorriso avrebbe sempre combattuto.






 
   
 
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