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Autore: _Pulse_    01/04/2016    2 recensioni
Allora aveva salutato l'agente Kalakaua ed era salito sulla sua Silverado per tornare a casa. Voleva mettersi a letto e non pensare più a nulla fino alla mattina successiva, ma non gli era stato possibile: aveva scoperto di avere ospiti.
La Camaro di Danny era parcheggiata di fronte alla sua villetta, accanto alla Corvette azzurra di Catherine. Una combinata davvero micidiale.
Fu costretto a lasciare il pick-up in strada e prima di entrare si lisciò la cravatta sul petto, respirando profondamente.
[McDanno - Post 4x13 - Segue Too long waiting]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Catherine Rollins, Danny Williams, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Hidden track'
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Buonasera a tutti :)
Dai, questa volta non potete dire che non sono stata rapida. Per i miei standards, questo è un record!
Comunque, questa one-shot segue gli eventi di "Blurryface" e della os precedente, "Too long waiting", e parlando in termini di serie tv è legata ai fatti della 4x13.
Steve avrà finalmente detto a Catherine come stanno le cose? Danny come se la sta passando? E Catherine... per quale motivo Catherine si allontana così improvvisamente da Steve? Questo è un quesito a cui non riuscivo a darmi una risposta e allora che si fa? Si sogna ipotizza.
Spero che il tutto non sia troppo scontato! Anche se fosse, lasciate un piccolo commento per dirmi la vostra: mi farebbe molto piacere :)
Vi aspetto anche sulla mia pagina facebook (link), dove troverete una stupidissima locadina che ho fatto per l'occasione!
Grazie e buona lettura!

Vostra,

_Pulse_



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REGRETS



La porta della stanza in cui si stava svolgendo l'interrogatorio si aprì all'improvviso per farvi uscire un Chin fuori dai gangheri.
Vederlo in quello stato era destabilizzante: tra loro era sempre il più calmo e ragionevole, tanto che in privato Danny si riferiva a lui chiamandolo "maestro zen".
Due eleganti Steve e Kono si alzarono contemporaneamente per convincerlo a tornare sui suoi passi: per quanto fosse difficile e gli agenti degli Affari Interni godessero nel sentirsi mandare al diavolo, non poteva lasciare le cose a metà - avrebbe solamente peggiorato la sua situazione.
«Chin, è la loro specialità. Cercano di innervosirti», esclamò Kono.
«Beh, sta funzionando».
«Ehi, devi dimenticare le questioni personali», intervenne quella volta Steve, ottenendo soltanto uno sguardo tagliente.
«Come diavolo dovrei fare?», replicò il tenente Kelly, agitandosi ancora di più. Puntò un dito verso la porta e aggiunse: «Non c'è modo di non renderla personale!».
«Chin, fermati». Steve si rese conto che lo stava affrontando nel modo sbagliato: se fosse stato nei suoi panni, avrebbe dato di matto due minuti dopo aver iniziato.
Analizzò il viso tumefatto dell'amico - i punti sul sopracciglio destro, i cerotti sul setto nasale e i lividi sotto gli occhi - e con voce pacata ci riprovò: «Questo è il loro gioco: ti mettono alla prova. E tu passerai quella prova, ma devi rispondere alle loro domande, e devi rispondere chiaramente; lascia fuori le emozioni, okay?».
L'espressione di Chin si ammorbidì, proprio mentre i dubbi e i sensi di colpa iniziavano a venire in superficie.
«E se mi fossi sbagliato?», chiese, senza riferirsi in modo particolare a Steve o a Kono.
Kono fece un passo avanti. «Che cosa vuoi dire?».
«Ero innamorato di Malia. Forse è vero che non ero obiettivo, forse... non volevo credere che suo fratello fosse in grado di uccidere!».
Steve si portò le mani sui fianchi e sospirò, ma non fece in tempo a dire ciò che pensava; l'agente Kalakaua infatti si era avvicinata ulteriormente a Chin per avvolgergli le braccia intorno alla schiena e sussurrargli: «Ti conosco, cuz... non saresti mai stato in grado di chiudere un occhio di fronte ad una cosa così grave. Inoltre...».
La ragazza si interruppe per sciolgere l'abbraccio e gettare un'occhiata a Steve, con un piccolo sorriso sulle labbra. «Se anche per ipotesi l'avessi fatto, il padre di Steve ti avrebbe scoperto subito».
Il comandante fu colto di sorpresa e non riuscì a dire nulla in proposito. Si limitò a guardare Chin posare un bacio sulla guancia della cugina, ringraziandola, e poi tornare verso la porta che si era sbattuto alle spalle poco prima.
Aveva già afferrato la maniglia, quando Steve fu in grado di attirare la sua attenzione.
Cinque giorni prima il comandante gli aveva chiesto senza mezzi termini se avesse mai sospettato che Gabriel Waincroft aspirasse a diventare il capo di un cartello messicano e Chin gli aveva risposto che se si fidava di lui sapeva già la risposta. Nonostante l'indagine degli Affari Interni, per lui non era cambiato nulla da allora e voleva che Chin Ho lo sapesse.
«Continuo a fidarmi di te».
Il tenente annuì con un cenno del capo, riservandogli un sorriso di gratitudine, poi rientrò nella stanza degli interrogatori.


L'attesa era snervante.
Quando Chin si era chiuso la porta alle spalle Steve e Kono si erano rimessi seduti l'uno accanto all'altro ed erano rimasti in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Il comandante non aveva fatto altro che rimuginare su ciò che lei aveva detto per rassicurare il cugino a proposito della sua buona fede e ora aveva bisogno di risposte.
«Kono».
L'agente si voltò verso di lui e i suoi capelli - più lisci del solito, con la riga laterale - gli sfiorarono la spalla. Si era messa in tiro per testimoniare a favore del cugino e gli faceva specie trovarla attraente, perché ormai era parte dell'ohana e la considerava una sorella. Quel vestito nero a mezze maniche, che le fasciava così bene il corpo snello da ex campionessa di surf però...
«Che cosa?», lo incalzò, aiutandolo a tornare coi piedi per terra.
Pensare ad una cosa del genere era il colmo, specialmente dopo tutto ciò che era successo con Danny la sera prima che iniziassero ad indagare proprio sul cognato di Chin. Danny... Ne sentiva così tanto la mancanza, in quel momento più che mai. Anche se non era stato convocato perché non aveva partecipato all'indagine e al successivo arresto di Waincroft aveva detto che sarebbe venuto, per Chin, ma doveva aver cambiato idea all'ultimo minuto.
«Scusami», disse, prima di rivolgerle la domanda che gli frullava in testa già da un po': «Anche tu conoscevi mio padre?».
Kono si strinse nelle spalle, sospirando. «Non proprio. Ero una ragazzina, quando Chin e tuo padre lavoravano insieme, e passavo la maggior parte del tempo sulla mia tavola. Qualche volta però mi capitava di incontrarlo. Durante l'indagine sulla morte di mio zio è successo spesso e credo di aver anche dato una mano, ad un certo punto».
«In che modo?», domandò, incuriosito.
«Chin e tuo padre avevano allestito una parete con i loro appunti e le foto dei sospettati e ho notato su uno degli uomini un tatuaggio che aveva anche Gabriel. Da lì hanno capito che era appena entrato a far parte di una gang».
Steve annuì, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e guardando il pavimento tra le sue scarpe. Quando sentì la mano di Kono sulla sua schiena socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle sue parole di conforto.
«Tuo padre era davvero una bella persona, capo. Si è occupato di Chin come se fosse stato suo figlio e noi non lo dimenticheremo mai per questo».
Sollevò il capo per rivolgerle un sorriso. «Grazie, Kono».


Chin se n'era andato da un pezzo quando Steve e Kono finirono di essere interrogati. Il SEAL avrebbe voluto andare a cercarlo per dirgli ancora una volta che essendo innocente non aveva nulla da temere, ma la cugina gli aveva detto che forse era meglio lasciargli un po' di spazio. Non aveva potuto far altro che desistere, ma la verità era questa: era stanco di dover concedere spazio e tempo a tutto coloro che gli stavano accanto: prima Danny, ora Chin... Anche se, riflettendoci meglio, era colpa sua se il partner si era allontanato in quel modo, prendendosi una pausa dalla task-force per alcuni corsi di aggiornamento.
Il tempismo era stato sorprendente, dato che gli aveva fatto firmare i moduli la mattina immediatamente successiva al loro intenso scambio di opinioni.

Fingendo di scrivere al computer, vide Danny salutare Chin e Kono e poi fare il giro del tavolo touch-screen per raggiungerlo nel suo ufficio, dove si accomodò su una delle poltrone di fronte alla scrivania.
«Catherine è già andata a casa?», fu la prima cosa che gli chiese, mentre accavallava le gambe ed evitava il suo sguardo.
«Sì, ha detto che mi aspetta per cena».
«Bene, allora sarò veloce: non voglio rubarti tempo prezioso con lei».
Oh, quel tono non era per nulla rassicurante.
Steve chiuse il notebook con movimenti calcolati, analizzando la sua espressione contrita e... addolorata?
«Che c'è, Danno? È successo qualcosa?».
«Sì, il fatto che non hai ancora detto a Catherine di noi due».
Steve si appoggiò allo schienale della propria poltrona, sospirando. «Senti, ti ho già detto che le parlerò, devo solo trovare il momento giusto. Magari stasera...».
Il detective lo interruppe alzando una mano e chinandosi verso di lui. «Non c'è un momento giusto per dirle che scopiamo da ormai quattro anni, Steve. Perciò smettila di rifilarmi questa scusa, non me la bevo. Voglio che tu mi dica la verità».
Fu come ricevere un pugno ben assestato nello stomaco. Sapeva che era solo una questione di tempo prima che Danny capisse che stava soltanto cercando di prendere tempo, ma pensava di guadagnarne abbastanza per prepararsi, per trovare le parole per spiegargli che non voleva farlo soffrire. Forse doveva smetterla di cercare, perché la verità era che non ce n'erano.
«Ti sei innamorato di Catherine», affermò Danny, rivolgendogli un altro sguardo addolorato, anche se sulle sue labbra aleggiava un sorriso.
Steve abbassò il capo vergognosamente. «Credo di sì», mormorò, ma dirlo ad alta voce non lo fece sentire meglio, anzi.
«Quando l'hai capito?».
«Quando ho convinto Catherine a lavorare con Billy. Non appena mi sono reso conto del rapporto che c'era tra loro, di come si guardavano... ho iniziato a temere che la scintilla tra loro si riaccendesse. Ero geloso, Danny, e questo non era previsto».
«Beh, almeno su una cosa avevo ragione», esclamò il biondo, alzandosi.
Steve lo guardò passeggiare avanti e indietro davanti a lui, tirandosi indietro i capelli.
Si sentiva così in colpa nei suoi confonti... e allo stesso tempo così arrabbiato. Ma non poteva prendersela con Danny, davvero non poteva in quel momento: era lui quello che gli stava infliggendo il colpo basso, confessandogli di essersi innamorato di un'altra persona, della sua ragazza di copertura.
«Mi dispiace, Danno...».
Il detective si fermò e si voltò a guardarlo, sorridendogli nuovamente. Dio, quel sorriso venato di tristezza lo avrebbe ucciso.
«Non devi. È colpa mia, dopotutto. Ho aspettato troppo e questo è ciò che mi merito. Anche se...».
«Cosa?».
«Vorrei non aver creduto tanto in questa cosa».
Quelle parole lo ferirono tanto che Steve perse lucidità. Si alzò bruscamente, facendo cadere il portapenne sulla scrivania, e fissò Danny dritto negli occhi, lasciandogli intravedere tutta la propria rabbia: «Non puoi farlo. Non puoi pentirtene ora».
«Perché no? Sto soffrendo come un cane in questo momento, ho il diritto di pentirmene! Se non ti avessi dato retta, quattro anni fa...!».
«Anche io sto soffrendo, Danny!».
«Certo, ma tu ora uscirai da qui e avrai comunque qualcuno pronto a scaldarti il letto a casa! Io, a causa tua, non sono mai riuscito a portare una relazione a termine!».
«Che cosa stai dicendo?».
«Prima Rachel, poi Gabby. Quando le cose iniziavano a farsi serie, ho sempre mandato tutto all'aria. Per te, Steve!».
Il comandante fu talmente spiazzato da quella confessione che boccheggiò per qualche secondo. Quando si riprese, tutto ciò che riuscì a dire fu: «Mi hai detto di Gabby, ma Rachel...».
«Lo so», lo interruppe. «È successo tre anni fa. Stavo per partire con lei e Grace, stavo per salire su un aereo per il continente e lasciare le Hawaii, quando sei stato incastrato da Wo Fat per l'omicidio del Governatore Jameson e sei finito in prigione. Come la prima volta, tra noi non avrebbe funzionato, ne sono consapevole, ma per un po' avrei potuto godermi Grace sette giorni su sette. Ma non l'ho fatto, per te».
Più Steve si sentiva male e in colpa nei suoi confronti, più la rabbia aumentava: perché non gliel'aveva mai detto, perché aveva continuato fino ad allora con quella commedia? Avrebbero potuto essere felici, tanto felici... Ma non riuscì a dirgli nessuna di quelle cose in faccia.
Fece minacciosamente il giro della scrivania e Danny roteò gli occhi al cielo, alzando persino le braccia.
«Ecco come Steve McGarrett risolve le cose: con una bella scazzottata. Okay, fatti sotto». Gli fece segno di avvicinarsi e poi si infilò le mani nelle tasche, gli occhi chiusi e il volto proteso in avanti perché potesse colpirlo meglio.
«Avanti, che cosa stai aspettando?», gli domandò ancora.
Steve sollevò il pugno chiuso, ma le lacrime gli annebbiarono la vista e fu costretto ad abbassarlo, scuotendo il capo.
«Sai che non posso farlo, Danno».
Il detective aprì finalmente gli occhi, quegli occhi azzurri ed impregnati di delusione che gli diedero il colpo peggiore di qualsiasi pugno avesse mai ricevuto.
«Interessante l'uso del verbo potere... Sarebbe stato più corretto dire "Sai che non voglio farlo", ma questa è l'ennesima prova che sei più simile a tua madre di quello che credi».
«Che cosa intendi dire?».
«Che è da tanto tempo che mi menti, Steve. Se quello che dici è vero, che hai capito di essere andato oltre con Catherine quando ha iniziato a lavorare con Billy, allora sono mesi che mi nascondi la verità. E l'ultima bugia l'hai detta giusto qualche giorno fa, in auto: mi hai detto che erano quattro anni che mi aspettavi, che il tuo era amore vero...».
«Ti prego, Danny, non fare questo gioco con me».
Il detective si indicò, aprendo la bocca in un ghigno. «Io starei giocando? Io? Pazzesco».
Steve non riuscì a ribattere e Danny ne approfittò per concludere, con tono infinitamente dolce: «Sono molto... amareggiato, Steve. Ma mi passerà, suppongo. Spero che tu sia felice, te lo auguro davvero di cuore».
Fece per superarlo per andare alla porta, ma il comandante lo afferrò per un braccio e si appoggiò al suo corpo, le labbra vicinissime al suo orecchio e il naso solleticato dai suoi capelli.
«Mi dispiace, Danno».
«Lo so», replicò, dandogli una pacca sulla spalla. «Ci vediamo domani». 

Allora aveva salutato l'agente Kalakaua ed era salito sulla sua Silverado per tornare a casa. Voleva mettersi a letto e non pensare più a nulla fino alla mattina successiva, ma non gli era stato possibile: aveva scoperto di avere ospiti.
La Camaro di Danny era parcheggiata di fronte alla sua villetta, accanto alla Corvette azzurra di Catherine. Una combinata davvero micidiale.
Fu costretto a lasciare il pick-up in strada e prima di entrare si lisciò la cravatta sul petto, respirando profondamente.
Trovò Danny e Catherine seduti vicini sul divano, il detective che le accarezzava la schiena e la parlava a bassa voce, come se stesse cercando di tranquillizzarla, e lei con le gambe strette al petto e il volto quasi nascosto tra le ginocchia.
Quando si accorsero del suo arrivo, entrambi si voltarono verso di lui e lo fissarono stupiti, colti sul fatto. Danny aprì la bocca, ma alla fine rimase in silenzio a guardare Catherine alzarsi dal divano in fretta e furia e correre al piano superiore con le mani sulla faccia irritata dalle lacrime.
Steve sentì un'onda di rabbia crescere e crescere dentro di sé, fino a quando non si infranse e gli fu impossibile contenerla per limitare i danni.
Si tuffò su Danny, ancora seduto sul divano, e il primo pugno andò a segno grazie all'effetto sorpresa. Successivamente il poliziotto si difese, bloccandogli i polsi oppure semplicemente levandosi dalla traiettoria dei suoi colpi.
«Che cosa le hai detto?! Ti giuro che se l'hai fatto per vendetta, io...!».
«Vendetta?! Ma ascolti quello che dici, Steve?!».
Finalmente con un colpo di reni Danny riuscì a ribaltare la situazione, peccato che si ribaltarono davvero e caddero per terra. Quest'ultimo però non perse il vantaggio acquisito e si sedette sulla sua schiena, imprigionandogli le braccia sotto le ginocchia. Quindi si chinò sul suo orecchio sinistro e sussurrò: «Hai finito?».

*

Danny aveva deciso di rompere il silenzio con Steve perché era giunto alla conclusione che più tempo avrebbe trascorso a fare la ragazzina ferita più avrebbe rovinato tutto ciò che avevano costruito di bello in quei quattro anni insieme.
E poi voleva sapere davvero com'era andata con gli Affari Interni e, perché no, vantarsi di aver ricevuto il punteggio più alto dell'intera classe sul test d'inseguimento in auto.
Non si sarebbe mai immaginato, invece, di diventare il confessore di Catherine e di essere malmenato da Steve per via di un enorme malinteso. Era proprio vero che con lui nei paraggi non ci si annoiava mai.
«Hai finito?», gli sussurrò all'orecchio dalla privilegiata posizione in cui si trovava: la sua schiena.
Steve provò a rifilargli una testata, un ultimo disperato tentativo da animale braccato, ma Danny fu tanto pronto di riflessi da sollevarsi.
«Steve, non so che idea ti sia fatto, ma non le ho detto proprio niente», ci riprovò il detective. «Sono venuto qui perché avevi il telefono spento e volevo sapere se avessi già finito con gli Affari Interni. Stavo per tornare indietro quando ho visto che la tua auto non c'era, ma Catherine era alla finestra, mi ha visto e mi ha invitato ad entrare».
«Perché stava piangendo?», gli domandò, ringhiando.
«Un attimo, ci stavo arrivando. Non so come si sia aperto l'argomento, ma ha iniziato a parlarmi di Billy, della sua morte e di quanto gli manchi... Non te ne ha mai parlato?».
Steve fece per girarsi per guardarlo in viso, ma la presa di Danny era ferrea.
Sospirò, posando la fronte sul parquet. «Puoi lasciarmi andare ora».
«Sicuro? Non è che mi metti k.o. con una tecnica conosciuta solo da voi Navy SEALs?».
«Se avessi davvero voluto metterti k.o. ora non saresti sulla mia schiena, non credi? A proposito, penso tu abbia mangiato troppe Malasadas recentemente».
Danny ci rifletté su e poi sbuffò, con una faccia che rappresentava perfettamente quanto fosse stato ferito nell'orgoglio. «Non c'era bisogno di essere così indelicati», mugugnò.
Si alzò, molto lentamente, e tenne le mani avanti, per difendersi nel caso Steve non avesse resistito all'ultima scarica di rabbia. Non ce ne fu bisogno, ma con lui la precauzione non era mai troppa.
Si voltò verso di lui e Danny ebbe una fitta al cuore nel vedere il terribile squarcio che si era fatto sulla spalla della giacca durante la colluttazione.
«Hai iniziato tu», esclamò immediatamente, indicando lo strappo e poi sollevando le mani in segno di resa.
Steve grugnì infastidito e si tolse la giacca per gettarla sul divano, incurante. Quindi si diresse verso la cucina, dove aprì il frigo per tirarvi fuori due birre. Le stappò con un movimento esperto, ma quella di Danny non gliela consegnò, bensì gliela posò direttamente sullo zigomo sinistro, quello che aveva colpito e che si stava già gonfiando.
«Grazie... credo», mormorò il detective, prima di distrarsi a causa dei veloci passi sulle scale.
Catherine si fermò davanti alla porta della cucina, con un borsone in mano, e il suo sguardo scosso e tormentato si posò immediatamente su Steve, il quale la raggiunse con un paio di falcate.
Danny si appoggiò al lavabo e provò a pensare ad altro, a chiudersi le orecchie per non ascoltare ciò che si stavano dicendo, ma non ci riuscì molto bene.
Catherine ripeté in modo sommario ciò di cui aveva parlato con Danny, scusandosi per non aver mai trovato il coraggio di affrontare l'argomento con lui: pensava di essersi lasciata la morte di Billy alle spalle aiutando Kono a rintracciare Sato e lavorando con la Five-0, ma si sbagliava. Quello che era successo le aveva lasciato una ferita più profonda di quello che credeva e in quel momento vivere con Steve non era ciò di cui aveva bisogno. Per il bene di entrambi e della loro relazione era necessaria una pausa.
«Mi dispiace Steve, davvero», la sentì mormorare, mortificata, giusto un momento prima che si chiudesse la porta alle spalle.
Poco dopo Danny sentì il motore della Corvette accendersi e decise di raggiungere Steve, trovandolo ancora fermo all'ingresso, con le mani posate sui fianchi e il capo chinato verso il basso.
«Ehi».
Il comandante non si girò, ma poté immaginare il suo sorriso amareggiato dal suo tono di voce: «Quindi è vero che non le hai detto di noi».
Danny alzò gli occhi al cielo, trattenendo un sospiro frustrato, e si avvicinò ulteriormente per prendergli un braccio e costringerlo a voltarsi verso di lui.
«Vieni qui, dai», lo invitò ad abbracciarlo e Steve non se lo fece ripetere due volte: lo strinse forte, chiudendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.
Gli diede qualche pacca sulla schiena, respirando profondamente.
Certo che Steve aveva un tempismo eccezionale: aveva appena preferito Catherine a lui e lei gli voltava le spalle. O in passato aveva fatto qualcosa di tanto brutto da aver avuto il karma contro per tutta la vita, oppure la sua cattiva sorte avrebbe dovuto fargli paura.
«Mi dispiace. Sono veramente dispiaciuto, okay?».
«Ti credo», disse il SEAL, sciogliendo l'abbraccio per guardarlo negli occhi. «Grazie per essere qui, Danny».
Il detective gli rivolse un sorriso e indicò il lanai con un cenno del capo. «Avviati, io recupero le birre prima che diventino inbevibili». 

Quando lo raggiunse, Steve si era totalmente lasciato andare sulla sua sedia in legno, come se qualcuno gli avesse strappato via la spina dorsale. Si era tolto le scarpe eleganti e le calze per avere i piedi nudi direttamente a contatto con l'erba fresca e aveva allentato il nodo alla cravatta.
«Allora, come sta Chin?», gli chiese dopo avergli passato la birra, sedendosi al suo fianco.
«Come vuoi che stia? Per colpa di questa storia ha dovuto rivivere tutti i brutti momenti degli ultimi quindici anni».
«Però ha finalmente messo dietro le sbarre l'assassino di suo padre».
«Il fratello di Malia».
Danny sospirò e fissò la linea dell'oceano, illuminata dalla mezza luna appesa nel cielo scuro.
«Immagino che gli Affari Interni ci siano andati giù pesanti».
«Ci puoi scommettere. L'hanno fatto pure con me, tirando in mezzo mio padre».
«Userebbero qualsiasi cosa, pur di indebolire chi hanno di fronte».
«Già...».
Danny percepì il suo sguardo su di sé e lo ricambiò, trovando i suoi occhi profondi pronti ad entrargli dentro fino a scrutargli l'anima.
«Qual è il vero motivo per cui sei venuto, Danno?», gli chiese, ma il suo tono era stanco, quasi supplichevole. Il detective non poté negargli la verità.
«Volevo scusarmi per non esserci stato per Chin e, soprattutto, per averti detto quelle cose sei giorni fa. Io... ho mentito. Ero arrabbiato e ferito e ti ho mentito».
«A che proposito?».
«Riguardo al fatto che mi pento di quello che c'è stato tra di noi. Non è vero, non c'è una sola cosa che non rifarei. Il tempo che trascorro con te, che sia al quartier generale, in auto, durante una sparatoria, oppure semplicemente qui, come ora, è quello che dà un senso alle mie giornate e non posso, non voglio farne a meno».
«Nemmeno io, Danno», rispose il comandante, rivolgendogli un sorriso quasi commosso.

*

Non aveva mai creduto che Danny si fosse pentito, nemmeno per un istante, ma sentirglielo dire lo aveva liberato da un peso che da giorni gli comprimeva il petto.
Dopo qualche secondo di silenzio, Steve gli chiese: «Mangi qualcosa?».
Danny si alzò, scuotendo il capo con espressione divertita. «Non posso, esco con Amber».
«Amber... la ragazza del proiettile vagante?».
La sua espressione sbigottita lo avrebbe fatto ridere, se solo non fosse stato tanto occupato a far finta di sentirsi offeso.
«Non fare quella faccia: so ancora come conquistare una donna!».
«Donna? Avrà dieci anni meno di te!».
«E quindi? È un reato uscire con donne più giovani?».
«No, dico solo che probabilmente l'unico motivo per cui ha deciso di uscire con te è perché si sentiva in debito dopo che le hai salvato la vita».
Si fissarono a lungo, prima di sorridersi come solo loro sapevano fare.
Tutto sarebbe tornato alla normalità, poco ma sicuro, perché il loro legame andava persino oltre la loro stessa comprensione. Potevano litigare, prendersi a pugni, avere altre relazioni, ma niente avrebbe mai cambiato ciò che provavano l'uno per l'altro. O almeno così sperava Steve, mentre Danny gli porgeva una mano perché si alzasse e rientrasse in casa per farsi una doccia e cambiarsi.
Lui l'afferrò e la usò per darsi la spinta, ma non la lasciò, non prima di riuscire a rubare un bacio al partner.
«Steven...», lo rimproverò Danny, ad occhi chiusi e con la fronte ancora accostata alla sua.
Il comandante però gli fece una domanda a bruciapelo: «Hai intenzione di impegnarti veramente con Amber?».
«Non lo so, la conosco appena...».
«Voglio che tu lo faccia. Ci siamo capiti?». Il suo sguardo perentorio era l'equivalente di una minaccia, ma sapeva essere anche estremamente dolce e premuroso, come in quel frangente. «Voglio che tu sia felice».
Sulle labbra di Danny sbocciò un sorriso prima che si allungasse per posarle di nuovo su quelle di Steve.
«Ci proverò», affermò, e dal suo sguardo capì che l'avrebbe fatto davvero.
Poi, per invitarlo a scostarsi, il biondo appoggiò le mani sul suo petto, ma le lasciò lì una manciata di secondi di troppo, tanto che ne perse il controllo e le lasciò vagare dai pettorali agli addominali scolpiti, da cui erano separate soltanto dal tessuto sottile della camicia azzurra.
«Oh, se mi mancherà tutto questo», sibilò, per poi mordersi il labbro.
Steve recitò la sua parte, anche se il sorriso che aveva sul volto la diceva lunga su ciò che realmente pensava.
«Ah, quindi ti mancherà più il mio corpo del mio spirito? Non è una bella cosa, detective Williams».
«Non dirmi che credi davvero che tutto questo», enfatizzò tracciando un cerchio invisibile dalla sua testa alla sua vita, «non abbia alcuna importanza nella vita di tutti i giorni! Se le persone potessero, in modo istantaneo, sapere davvero come sei, non ti si avvicinerebbero neanche!».
«Tu hai scoperto come sono davvero e sei rimasto», gli sussurrò suadente in un orecchio.
«Mi piace rendermi la vita un inferno, lo sai».
Steve sorrise e tenendolo ancora abbracciato guardò l'orologio da polso.
«A che ora devi uscire con Amber?».
«Dovrei già essere per strada, in realtà».
A quelle parole il comandante lo liberò e lo voltò verso la veranda, dandogli una pacca sul sedere perché si sbrigasse.
«Metticela tutta, playboy!», gli gridò dietro, quando ormai era quasi rientrato in salotto.
Danny lo fissò desolato. «Sei serio?».
Steve scrollò le spalle e si scambiarono un altro sorriso, poi il detective se ne andò lasciandolo indietro sul lanai, solo.
Il fatto era che, nonostante Cath avesse deciso di prendersi una pausa per ritrovare se stessa, e nonostante Danny si stesse per imbarcare in una nuova relazione con Amber, non si sentiva affatto solo. Non avrebbe mai perso il partner, come era sicuro che tra lui e Catherine non sarebbe finita. E poi aveva la Five-0, la sua seconda ohana, e non avrebbe potuto volere di meglio.
   
 
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