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Autore: niebo    02/04/2016    0 recensioni
Questa è la storia di un mondo...
Questa è la storia di un viaggio...
Questa è la storia di un desiderio...
Questa è la storia di quattro risate....
Questa è la storia di anche più di quattro feels....
Tutti pronti... si parte!!!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Scacco.” disse atono Kaizoku.
“Cosa?? Di nuovo?!” fece Kaito mettendosi le mani nei capelli “Non è possibile che tu mi batta sempre!!”
“Devi coltivare la virtù della pazienza. Agendo di impulso non avrai mai la mente abbastanza fredda per essere lucido nei ragionamenti.
“Aaaaah balle!!! Sei il maggiore, nostro padre ti allenato per più tempo!”
“Nostro padre non amava questo genere di giochi. Era una testa calda quanto te.”
Il fratello ringhiò in risposta.
“Ancora!!”
Kaizoku sorrise. Sarà pure un tipo irruento, ma la tenacia e la determinazione non gli mancano. Fece un cenno di assenso ed iniziò a risistemare i pezzi della scacchiera. Erano entrambi inginocchiati a terra e giocavano su un tavolo molto basso. La luce filtrava tenue dalle finestre attraverso delle spesse tende marroncine. Il vento primaverile muoveva i lunghi capelli neri di Kaizoku; così profondi… così perfetti… lisci come la seta. Quando non era a compiere uno dei suoi soliti doveri o delle pratiche burocratiche che ogni giorno lo attanagliavano, li portava sciolti e liberi su tutta la schiena, tanto lunghi da cadere a cascata e spargersi poi sul pavimento, riversati come acqua placida, ogni volta che si sedeva.
La maggior parte delle volte, invece, li teneva raccolti dietro la testa, più composti, come si addiceva al suo ruolo.
Dal canto suo Kaito, il fratello più giovane, aveva i capelli bianchi e puri, come la neve appena scesa. Li portava corti fino ad un terzo del collo, ad eccezione di una lunga e cospicua ciocca sul retro della testa, che scendeva dritta e rigida perchè avvolta più volte da una serie di nastri colorati.
Stavano quindi per riprendere il gioco, quando uno dei servitori aprì improvvisamente la porta.
“Mio signore sono giunti i messaggeri. E’ ora di tenere l’incontro.”
Il maggiore rispose con un cenno di assenso.
Il minore, invece, spostò lo sguardo prima sull’uno poi sull’altro, a bocca aperta.
“No!! Non andrai!!”
“Kaito non essere infantile, sai che è mio dovere…”
“Me ne sbatto del tuo dovere! Mi avevi promesso che avresti passato il pomeriggio con me, e ora stavamo per iniziare un’altra partita!!”
“Fratello, ti dimostri immaturo e capriccioso, cosa non consona per un ragazzo della tua età. Ormai non sei più un bambino.”
Vero. Non lo era. Dimostrava vent’anni anche se per tanti parevano molti meno. Kaizoku sette in più di lui. Anch’egli, nonostante i lineamenti più adulti e maturi, non dimostrava comunque i presunti anni che aveva.
Da quando il padre era morto quando erano ancora in tenera età, avevano convissuto insieme.
Kaito era sempre stato irragionevole, da quando aveva memoria. Purtroppo il primogenito era stato nominato capo del Kengah quando era appena maggiorenne, e questo lo aveva tenuto costantemente impegnato, impedendogli di dedicare al minore il tempo necessario a coltivare un rapporto più stabile e solido. E tuttora la situazione non era cambiata.
Forse l’altro era ancora troppo giovane ed immaturo, e nella sua testa non riusciva ad accettare l’importanza degli impegni del fratello, che vedeva egoisticamente come un tradimento affettivo. Fatto sta che questo era un copione che si ripeteva più e più volte nell’arco della giornata… delle settimane… dei mesi.
Kaizoku si alzò piano, non proferendo altra parola.
“Ehi fermati!! Dai ascoltami!!” ma non ebbe risposta.
“E tu osi definirti fratello??” continuò velocemente prima che se ne andasse, tirandogli la veste insistente.
L’altro non disse nulla e se ne andò, silenzioso come un fantasma.
Tra sé, però, sentiva ogni volta una stretta al petto, che si faceva più forte ad ogni grido alzato nel tentativo di richiamare la sua attenzione.
Egli prendeva la propria posizione molto seriamente. Sapeva che dalle sue scelte dipendeva il destino di gran parte della popolazione. Non si sentiva sotto pressione, quello no. Era sempre stato una persona calma e riflessiva. Ogni sua decisione era sempre attentamente ponderata, e nessuno sbaglio aveva commesso da quando aveva iniziato il suo mandato. Silenzioso e composto, aveva il favore della gran parte della gente. Solo una piccola minoranza si lamentava del fatto che non avesse abbastanza pugno di ferro, cosa per cui era stato invece famoso il padre.
Kaizoku era un capo tollerante, sempre aperto al dialogo e alle vie diplomatiche, mentre il suo genitore aveva sempre avuto la tendenza a risolvere tutto con la forza e con ogni mezzo, pur di difendere il proprio popolo. Molti abitanti, soprattutto i maschi più anziani, erano favorevoli a questa linea più dura.
Ma erano ormai altri tempi.
La cosa importante era che il suo mandato fu un periodo di pace e tranquillità costante, e per questo motivo nessuno se ne era mai apertamente lamentato.
E così si ritirò un attimo nella sua stanza per raccogliersi i capelli ed indossare l’armatura. Non combatteva mai, ma la utilizzava negli incontri ufficiali, in ricordo di suo padre. Era nera e bordeaux e si sposava perfettamente con i suoi capelli e i suoi lineamenti duri, dandogli un tono ancora più solenne.
Uscì fuori nel cortile della sede principale del Kengah dove, un paio di ore prima, si stavano esercitando gli allievi del maestro Omida. Salì su un piccolo palco improvvisato, dove una sontuosa sedia lo attendeva. Gli esploratori, nervosi ed impazienti, si inchinarono al suo passaggio, in segno di rispetto.
“Vi porgo i miei saluti, umili viaggiatori. Mi portate novità?” chiese con la solita calma che lo contraddistingueva.
Intorno a lui si erano radunati anche tutti i generali presenti in sede, ovvero quelli che non erano stati assegnati ad alcun incarico particolare.
La presenza di tutte queste massicce figure aveva intimorito un po’ gli esploratori, che però si tranquillizzarono ,paradossalmente, al sentire la voce calda e composta del loro superiore.
“C’è stata un’altra apertura di un portale nella zona sud est del paese, signore.”
“Nella zona sud est…” ripetè tra sé prendendosi il mento con la mano “Se non sbaglio uno di noi si trovava proprio in quei paraggi stamattina…”
“Io capitano.”
Un voce cavernosa e roca si fece sentire, e un attimo dopo Akuma fece un passo in avanti. Le mani incrociate dietro la schiena e il petto in fuori, come doveroso per ogni generale che si rispetti.”
“Pattugliavo alcune città limitrofe con i miei uomini. Ci siamo messi sulle tracce di quel ragazzo bastardo che avevamo avvistato la scorsa settimana.”
“Il bambino intendi…? Il mezzo figlio di uomini?” puntualizzò Kaizoku, quasi correggendolo. Non gli piacevano i termini che potevano suonare così fortemente dispregiativi.
“Sì, signore.”
“Capisco…” continuò “E non avete notato altro di strano?”
“Solo qualche trambusto da parte di un individuo poco ragionevole che si è messo in mezzo. Ma ho provveduto.”
Silenzio.
“Provveduto a fare cosa?”
“A fargli abbassare le arie, signore. Ma nessuno ne è rimasto mortalmente ferito.”
Kaizoku tirò un sospiro di sollievo.
Akuma era un mezzo demone e spesso faceva molta fatica a controllare la sua vera natura. Più di una volta aveva ucciso innocenti o distrutto case e villaggi solo perché preso da troppa ira. Per molti anni era stato tenuto prigioniero nei sotterranei del Kengah e trattato come un animale, proprio perché venisse addomesticato. Questo negli anni di governo del padre dei due fratelli.
Come già detto, Kaizoku era invece un capo magnanimo, e avava deciso di concedergli un’altra possibilità in cambio dei suoi servigi. E così Akuma fu nominato kigen, ovvero generale. Finora nulla era più successo che avesse reso necessario rimetterlo in gattabuia. Tutti però, conoscendolo, rimanevano sempre in allerta e, soprattutto, si guardavano bene dal dargli ordini o minare alla sua indipendenza.
“Ho capito. La situazione è piuttosto chiara. Nei prossimi giorni organizzeremo altre truppe che facciano una ricognizione. Per ora non è necessario allarmarsi dato che nessun umano è stato ancora avvistato. Potrebbe anche esserci la possibilità che il portale si sia aperto senza portare nessuno ad Antihtesis.”
Fece una piccola pausa, che sfruttò per guardare indistintamente tutti i presenti con lo stesso sguardo buono e comprensivo.
“La cosa importante è non avere mai la presunzione di essere a prescindere dalla parte della ragione.”
Le sue parole erano, come sempre, sagge e giuste e nessuno ebbe nulla da ridire.
  
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