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Autore: Deidara94    02/04/2016    0 recensioni
[Kizuna]"Ti proteggerò io, Kei." "Io sono qui. Sarò sempre al tuo fianco."
Quanto può essere forte un sentimento? Per quante difficoltà possa incontrare, se si ha la forza di stringere i denti e andare avanti, tutto è possibile. Anche morire e rinascere. E questo Ranmaru lo sa bene...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Enjoji si mise a braccia conserte, pensieroso. Aveva ritrovato la calma. « Non pensavo vi conosceste. »
Kai lo guardò male. « Ma sei scemo? Ci siamo conosciuti al torneo di kendo, no? Inoltre frequentava la palestra di Samejima e siamo nella stessa Università. Ma dove hai vissuto per tutto questo tempo? »
Enjoji si morsicò il labbro. Minoru, nel mentre, fece per andarsene.
« Dove vai? », chiese Enjoji.
« Non vi devo alcuna spiegazione. Non mi va di stare ancora in vostra compagnia. Chissà cosa penserà la gente… »
Kai lo afferrò per la spalla. « Ehi, non abbiamo ancora finito. »
« Non mi interessa più, mi sono stancato. » Poi, si rivolse a Ranmaru e a Enjoji. « Mi complimento per essere ancora insieme. Ce ne vuole di coraggio, eh. »
Enjoji sentì la rabbia crescere parola dopo parola. Anche Ranmaru sembrava stesse perdendo la pazienza, nonostante tutte le ammonizioni date.
« O forse è solo disperazione? » Con uno strattone, Minoru si liberò dalla presa di Kai e schivò il pugno a tradimento di Enjoji. Questa volta Ranmaru non lo fermò. Infine, senza aggiungere altro, se ne andò. Quando fu abbastanza lontano, Ranmaru chiese spiegazioni a Kai. Sapeva che Kai era difficile da trattare se non si entrava nelle sue grazie, ma attaccare briga anche con chi non frequentava non era da lui. « L’ho sentito parlare con quei suoi cani da guardia mentre si vantava di averci provato con te, senpai, e di essere riuscito a farvi litigare e allontanare. » Guardò il fratello tremare di rabbia. « Non che di Kei me ne importi qualcosa, sia chiaro, ma sentirlo parlare così mi ha fatto salire il sangue al cervello e non ce l’ho più fatta! Sono mesi che ne parlano, ma oggi stavano davvero esagerando, come avete potuto vedere anche voi! » Infine, Kai rivolse uno sguardo pieno d’odio nella direzione in cui Minoru si era dileguato.
« Ti ringrazio molto, Sagano, ma non voglio che passi dei guai per colpa nostra », rispose Ranmaru, ma Kai non aveva colto la gentilezza nelle sue parole. « Samejima senpai, ma ti rendi conto?! Ti ha sminuito davanti a tutti! Certo, che io sappia non ha raccontato nulla della vostra storia, però… »
« Non fa nulla, davvero. E poi all’Università non mi hanno detto niente, per cui… »
Senza aspettare che terminasse la frase, Enjoji afferrò il braccio di Ranmaru. « Kai, non cercare di fare il figo. Ci sono io con lui, e non sarà certo quell’idiota a metterci i bastoni tra le ruote. Ormai dovresti saperlo. »
Kai gli fece un gestaccio e la lingua. « Sei tu che ti stai atteggiando, idiota! Ho detto che non me ne importa niente di te, mi ascolti? Semplicemente non mi va che girino certe voci sul senpai! » Ma un attimo dopo, la sua espressione cambiò nuovamente e le sue guance divennero leggermente rosse. Ranmaru ed Enjoji guardarono nella medesima direzione, e tra la folla videro che Masanori, giovane capo yakuza del clan Sagano, si stava guardando intorno alla ricerca di Kai.
« Non ti sta cercando? »
Kai sorrise dolcemente a Ranmaru e corse verso Masanori, abbracciandolo. Questi gli rivolse alcune parole di rimprovero e poi salutò Ranmaru ed Enjoji con un cenno del viso, poiché non riuscì ad avvicinarsi a causa di Kai che cercava di trascinarlo dalla parte opposta, felice di stare di nuovo con lui.
« È un tornado », commentò Enjoji. « Arriva, fa un mucchio di danni e poi se ne va come se niente fosse. »
« A me preoccupa il fatto che si metta sempre nei guai… » Ranmaru rivolse i suoi pensieri a Minoru. « Che strano incontrarlo qui dopo quasi un anno, vero? »
« È solo uno stupido geloso. Siccome nessuno lo cerca, deve rovinare la vita degli altri. »
Improvvisamente, senza che se ne rendessero conto, il giorno era diventato notte, ma in cielo non si vedeva nemmeno una stella brillare. In compenso, le luci delle giostre illuminavano di viola, rosso e verde i passanti, quasi fosse una discoteca gigante. Anche la musica era aumentata di volume e le persone avevano ripreso a camminargli vicino, tanto da privarli di quasi tutto lo spazio vitale. Se non stavano vicini, rischiavano di venire divisi dalla massa di persone che andava avanti e indietro come un mare in burrasca. A un certo punto, sentirono chiamare a squarciagola i loro nomi e, nel cercare la fonte di quel rumore, videro un Takuma traballante andare in giro a disturbare tutti coloro che potessero assomigliargli. I due iniziarono a disperarsi.
« Ma è davvero un adulto, quello? » Si avviarono verso di lui e lo costrinsero a stare zitto. Cercarono di ritrovare la strada principale, quella vicino alle bancarelle e alle panchine. Per fortuna, bastava solo che seguissero la luce dei lampioni all’estremità della strada. Quindi, si diressero a fatica verso i parcheggi, camminando tra centinaia di persone scatenate e ormai calate nell’atmosfera della serata. Il rumore delle urla penetrava le loro orecchie e la musica altissima rimbombava nel loro petto, rendendoli in grado di percepire ogni battito del cuore. Le grida diventavano sempre più forti, le persone davano un senso di claustrofobia e sembravano non finire mai. Tutto pareva muoversi a rilento. Ormai sembrava che ogni cosa fosse lontana, di un’altra dimensione. C’era caldo…
Ranmaru venne preso appena in tempo dal compagno allarmato e cadde sulle ginocchia. Enjoji lo chiamò a voce alta, ma le sue parole erano soltanto un rumore in più che si aggiungeva agli altri. Andavano perdendosi nel vuoto. Nessuno li vedeva, tutti continuavano ad andare per la loro strada: alcuni verso i giochi, altri verso le bancarelle, altri verso il parcheggio, altri ancora camminavano senza meta.
Ranmaru non rispondeva né si muoveva. Era sudato e immobile tra le braccia di Enjoji. Takuma, persa ogni voglia di scherzare, cercò di creare un passaggio per permettere a Enjoji di raggiungere le panchine e far prendere aria al ragazzo. Anche se era pieno inverno, stare in mezzo a tutte quelle persone era l’equivalente di stare dentro un forno.
La panchina più vicina era di fronte a loro, e da lì si riusciva a vedere bene anche la ruota panoramica, imponente e ricca di luci che danzavano in tondo in contrasto con il manto notturno coperto di nuvole quasi invisibili.
Enjoji fece sdraiare Ranmaru sulla panchina e vi rimase davanti inginocchiato. Takuma tornò poco dopo con una bottiglietta d’acqua in mano e la tese a Enjoji, che usò per bagnare un fazzoletto e inumidire il volto sudato del compagno. Percependo del fresco su di sé, Ranmaru aprì gli occhi.
« Ehi », lo salutò Enjoji, accarezzandogli la guancia.
« Enjoji… che cosa è successo? », chiese Ranmaru, sollevandosi appena sulla schiena. Si guardò intorno con occhi pesanti e si toccò la fronte: era bagnata e fredda. « Ah, ecco… »
« Sei svenuto mentre stavamo cercando di venire qui. »
Ranmaru lo fissò, sorpreso. « Svenuto? »
Enjoji si alzò in piedi e gli tese la bottiglietta d’acqua. « Avrai avuto un abbassamento di pressione o un capogiro… »
Improvvisamente, si sentì la voce di Takuma parlare con nessuno in particolare. « Chiamo Yuki? »
Ranmaru poggiò i piedi a terra e si alzò, tenendosi alla spalla di Enjoji per riprendere le forze. « No, non chiamarla. Sto bene, davvero, non voglio farla preoccupare. »
Takuma ripose il telefono nella tasca del giubbotto, deluso. Però, subito dopo, un’idea gli riaccese il sorriso. « Beh, ma potremmo sempre chiamarla per sapere dove sono gli altri. »
Questa volta fu Enjoji a non essere d’accordo con la proposta. « Se vuoi chiamarla per te, va bene, ma noi continuiamo a cercarli da soli. » Ma poiché Takuma non sembrava capire la logica del suo discorso, proseguì. « È una scusa per fare una passeggiata, furbacchione. »
Ranmaru rise tra sé e sé, divertito da quanto, a volte, Takuma riuscisse a essere ingenuo.
Imbronciato, aggrottò le sopracciglia. « Guarda che l’avevo capito! »
Enjoji scoccò un’occhiata scettica a Ranmaru, che restituì.
Allora, Takuma prese di nuovo il telefono in mano e chiamò Yuki. Rispose solo al terzo tentativo, perché la musica della suoneria era stata coperta dal chiasso circostante. Mentre parlava a urla con lei per cercare di farsi sentire, i due compagni si rimisero a camminare, venendo superati quasi subito da un marito in corsa alla ricerca della propria famiglia. Sparì tra la folla dopo aver urlato delle parole incomprensibili. Sospirando e ringraziando, proseguirono lentamente, stando il più vicino possibile ai bordi della strada per evitare altri incidenti. Notarono solo in quel momento che le famiglie o le coppie camminavano vicine o prese per mano per non separarsi. Numerose luci illuminavano con ritmo i volti e i vestiti di coloro che passavano vicino alle giostre più movimentate e veloci. Rispetto a quando erano arrivati, anche il tempo era cambiato completamente: la temperatura si era abbassata improvvisamente e un freddo vento si scontrava contro i loro visi arrossati. I respiri delle persone si vedevano da lontano nella semioscurità. Enjoji, vedendo il compagno mettersi a braccia conserte, gli passò un braccio attorno alle spalle, in modo da scaldarsi reciprocamente. « Hai voglia di salire sulla ruota panoramica? Così restiamo al caldo. »
« Ma l’abbiamo già superata da un pezzo… »
Enjoji si guardò intorno e poi si mise a riflettere. « Era un modo per non tornare subito… »
Ranmaru, che si era immaginato una risposta simile, si liberò dall’abbraccio del compagno e proseguì da solo, ma non poté fare nulla per evitare una nuova stretta. Nessuno dei due disse niente, e continuarono a camminare fino a che non videro le giostre per bambini che stavano cercando. Non fu difficile trovare i loro parenti: stavano guardando Takumi girare in tondo al galoppo su una giostra a forma di zebra con la madre. Tanti altri bambini si divertivano in quella stessa giostra, ma pochi erano accompagnati dai loro genitori, i quali osservavano i loro figli seguendoli da terra o rimanendo fermi in uno stesso punto e salutando di tanto in tanto. Quando Ranmaru ed Enjoji arrivarono, Takumi si agitò tantissimo. Alla fine del giro scese dalla giostra e corse verso lo zio a cui chiese insistentemente di farne un altro insieme. Ranmaru si guardò intorno come per chiedere aiuto: era troppo imbarazzante salire su quelle giostre dalle forme strane. Yuki, allora, poiché intuì i pensieri che stavano attraversando la mente del fratello, cercò di convincere il figlio a fare un altro giro con lei o con il padre – che si tirò indietro contemplando alcuni sassolini per terra – ma Takumi desiderava solamente lo zio. Proprio quando, a malincuore, Ranmaru stava per accettare, si offrì Enjoji: la sua allegria e i suoi occhi vispi contagiarono il bimbo, che fu contento di aver trovato un compagno di giochi. Ranmaru ringraziò ardentemente tra sé e sé l’iniziativa del compagno. Dopo aver comprato il gettone ed essersi posizionati in una giostra scelta da Takumi a forma di scarpa da ginnastica, partirono. Enjoji era simpatico e divertente, e a Takumi la sua compagnia piaceva molto. Ogni volta che giravano in tondo e superavano i parenti che chiacchieravano mentre li osservavano divertiti, Takumi salutava con foga tutti quanti, ed Enjoji si agitava come un bambino al suo compleanno. A quella scena, Ranmaru non riusciva a smettere di ridere. A un certo punto, però, un’improvvisa folata di vento li fece raggelare tutti fino alle ossa, quindi il signor Samejima chiese l’ora. 
« Siamo qui già da un bel po’, sono le 19.00 passate. »
« Vedendo tutto questo buio, pensavo fosse più tardi. »
Ranmaru alzò gli occhi verso il cielo. « È così anche perché ci sono molte nuvole che coprono la luna. »
Il nonno sollevò la sciarpa fino al mento e strinse a sé il cappotto. I lunghi capelli bianchi danzavano nell’aria cullati dal vento. Takashi posò una mano sulla sua schiena. Intanto Enjoji e Takumi erano scesi dalla giostra assieme a un’altra dozzina di bambini che si misero a correre, chi dai genitori e chi verso altri giochi. « Cosa ne dice di andare in qualche giostra al chiuso? Così ci ripariamo. »
Il nonno lo guardò severo. « Takashi, eppure tu dovresti capirmi, almeno un po’! Devo ricordarti la mia età? »
« Beh, potremmo andare in una di quelle case piene di trappole, è qui vicino », intervenne Yuki.
« Oppure sulla ruota panoramica », si intromise Enjoji. « Per quella non c’è un limite d’età. »
Il signor Samejima sbuffò, cosciente di non avere speranze di tornare a casa presto. « Se solo avessi saputo come sarebbe andata, sarei rimasto a casa con Miyo… » Si fermò a riflettere. « Me l’avete fatta. Va bene, va bene… Basta che andiamo in un posto riparato. »
Dopo essersi messi tutti d’accordo, si avviarono verso la ruota panoramica. Takumi, che intanto era passato dalle braccia di Enjoji a quelle del padre, era euforico e divertito perché aveva giocato come un matto, però stava anche iniziando a sentire la stanchezza.
Ripercorrendo la strada a ritroso, tuttavia, notarono una costruzione che all’inizio era passata inosservata, poiché, da fuori, poteva sembrare una normale casa con le scale. Una grande insegna ne indicava il nome: “La casa degli specchi”. Decisero di provarla, ignorando le lamentele del nonno. Andarono nella biglietteria e comprarono un biglietto per ciascuno, fatta eccezione per Takumi, ancora troppo piccolo per pagare e, salite le scale per arrivare all’entrata della casa, li consegnarono alla donna che stava all’ingresso. Nella parte posteriore della casa, al piano terra, ogni tanto si vedevano delle persone che avevano completato il percorso e che si guardavano intorno come se fosse stata la prima volta che vedevano il mondo esterno.
Entrarono: era quasi completamente buio; la stanza era illuminata solo da alcune piccole luci sparse sul soffitto. Quelle che, invece, erano posizionate per terra, sembravano quattro volte di più a causa della moltitudine di specchi che riempivano la stanza. Di conseguenza, le luci, il cui ruolo era quello di indicare la via, traevano in inganno. Gli specchi riflettevano in diverse forme le persone che passavano lungo gli stretti corridoi, alcuni alterandone anche la forma e l’altezza, altri, più piccoli, poiché posizionati trasversalmente sul soffitto, modificavano semplicemente la prospettiva. Era un vero e proprio labirinto di specchi e luci. Era possibile udire le voci di qualche uomo o donna immersi già da tempo nel magico labirinto. Rispetto all’esterno, la casa sembrava molto più grande, e si estendeva su due piani.
Il gruppo partì alla ricerca dell’uscita: Takuma e il figlio in testa, seguivano Ranmaru ed Enjoji; poi, ancora dietro, Yuki fiancheggiava il padre e il nonno. Tutti camminavano tastando con una mano le pareti di vetro e cercando di guardarsi intorno il meno possibile. In realtà, tutti tranne Takuma che, ogni tre o quattro passi, andava a sbattere da qualche parte. Yuki, arrabbiata per la sua stupidità e sconsideratezza, gli prese dalle braccia il figlio ormai crollato dal sonno e lo tenne con sé.
Continuarono a girare e a girare, ma sembrava di essere sempre nello stesso punto. Takuma era andato molto avanti, deciso a trovare la strada da solo e per primo. Era sparito dietro innumerevoli specchi; di lui si percepiva solo la sua voce che si lamentava. Ma proprio quando lo stavano per raggiungere, si sentì un urlo e poi un rumore sordo. Il gruppo cercò di arrivare nel punto in cui la voce era scomparsa. Sbagliarono la strada tre volte, poi videro riflesse nello specchio davanti a loro un cartello e delle scale che portavano verso il basso. Si affacciarono: Takuma era caduto di schiena e si teneva la testa, mentre i presenti cercavano di aiutarlo. Yuki scese le scale che separavano i due piani dopo aver consegnato Takumi a Takashi. Si inginocchiò accanto al marito e lo aiutò ad alzarsi, preoccupata. Questi si tenne il fianco e la testa, ma riuscì a rimettersi in piedi. Anche gli altri scesero le scale e li raggiunsero, mentre le persone che lo avevano soccorso si dispersero nuovamente per il piano. Ora che la situazione si era stabilizzata ed erano tutti più tranquilli, poterono osservare con più calma la stanza nuova: notarono subito che era leggermente più illuminata, sia dalle luci posizionate in punti diversi rispetto al piano superiore, sia dalla presenza di poche finestre che lasciavano filtrare un po’ della luce che proveniva dall’esterno. Però la presenza di queste luci ritmate delle giostre infastidiva gli occhi, e l’aria iniziava a essere pesante. Gli specchi erano tanti quanto gli altri, e anche alcuni di questi deformavano le immagini riflesse.
Takuma, per cercare di mascherare la figuraccia appena fatta, si mise a ridere teatralmente e a urlare dicendo di stare bene, ma riuscì solo a far imbarazzare tutti i suoi conoscenti. Per fortuna, Yuki riuscì a farlo tacere con poche frasi.
Il gruppo di amici e parenti continuò il percorso, ma questa volta limitarono le azioni di Takuma e lo costrinsero a guardarsi bene intorno nell’eventualità di trovare altri cartelli con indicazioni importanti. Onde evitare altre sgridate, a malincuore accettò e si diede una calmata. Tornò un silenzio quasi assoluto, rotto unicamente dai passi delle persone che giravano in mezzo alla stanza e dai bisbigli emessi quasi impercettibili. Poi, finalmente, trovarono un cartello più  illuminato del normale e seguirono l’unica indicazione utile per uscire. Dopo qualche altro giro, arrivarono all’uscita, seguiti da un’altra famiglia e poco dopo da una coppia di fidanzati. Ranmaru ed Enjoji respirarono a pieni polmoni l’aria fresca; Takuma si stiracchiò, soddisfatto, mentre il signor Samejima dovette sedersi sulla panchina di fianco alla porta, e con lui anche Takashi. Yuki rimase in piedi e accarezzò la guancia del figlio in braccio a Takashi, addormentatosi da un pezzo. Poteva non sembrare, ma in quel momento era più piacevole stare fuori che dentro, nel buio quasi completo, al caldo e in un labirinto di specchi. Tutto sommato, si guardarono divertiti.
Poiché stava arrivando l’ora di cena, Enjoji si rivolse ai parenti del compagno, dichiarando di voler andare assolutamente a fare un giro con Ranmaru sulla ruota panoramica prima di andare via. In realtà era più una richiesta che un’affermazione. Ranmaru lo guardò esasperato. « Ma non hai nient’altro per la testa, oggi? »
Enjoji si compiacque per quella frase e sorrise a piè viso. « Ovviamente! È d’obbligo andare a fare un giro in quella giostra. Ran, mi deludi! »
Ranmaru inarcò un sopracciglio, ma anche Yuki era emozionata all’idea. « Takuma, andiamo anche noi? Enjoji ha ragione. »
Il marito le sorrise e la prese per mano, pronto ad andare ovunque volesse.
« Penso io al bambino », le disse Takashi.
« E voi due, invece? Non vorrete restare qui, spero. », chiese Enjoji.
Il signor Samejima assunse un aspetto spettrale, desideroso di tornare a casa, ma la prospettiva che quella sarebbe stata l’ultima giostra lo rincuorò e si aiutò con Takashi ad alzarsi. Quest’ultimo sorrise al figlio e lo rassicurò, anche se con scarsi risultati. « Stai tranquillo, Ranmaru. Sia Yuki che Takuma che noi staremo ben lontani dalla vostra cabina. »
Enjoji prese il compagno a braccetto e lo costrinse a camminare, pensando che il rossore fosse dovuto al freddo e il non fare resistenza all’emozione. Invece, Ranmaru era solo sorpreso, perché non avrebbe mai pensato che il padre potesse schierarsi dalla parte del “nemico” e che potesse dirgli una cosa del genere come se niente fosse.
Yuki e Takuma arrivarono per primi. Era la prima volta che si comportavano davvero come una coppia agli occhi dei parenti. Takuma era più legato a lei di quanto non sembrasse, e lo stesso valeva per Yuki. Dimenticavano tutti spesso che Yuki, nonostante la giovane età, fosse felicemente sposata, forse perché il modo di comportarsi, dal punto di vista sentimentale, era molto simile a quello del fratello, e quindi non si perdeva in smancerie inutili e fuori luogo.
Appena furono pronti, salirono sulla prima cabina disponibile e subito dopo fecero lo stesso anche Ranmaru ed Enjoji. I posti furono occupati velocemente da molte coppie e amici, e l’atmosfera, nel momento in cui la ruota partì, lenta, sembrò mutare completamente. Ammiravano tutti il panorama che cambiava al di là del vetro, e molti si tenevano per mano seduti l’uno a fianco all’altra. Anche Yuki e Takuma si sedettero accanto, ma dopo essere saliti di qualche metro, non erano solo i loro corpi a essere vicini.
Poco più in basso si trovavano Ranmaru ed Enjoji, seduti uno di fronte all’altro, intenti a godersi quel momento di pace e meraviglia. Mano a mano che la ruota si ergeva in tutta la sua altezza, superando persino i palazzi e le giostre intorno, si svelava completamente l’ampio cielo blu scuro. Si stava bene, non c’era né caldo né freddo. Il loro sguardo si incontrò, e dominarono l’atmosfera con le loro parole mai pronunciate ma totalmente comprese. Sembrava non esistere niente all’infuori della persona che avevano davanti. Era in momenti come questi che capivano quanto erano stati fortunati a incontrarsi, anni e anni prima, ai tempi delle medie. E ora, arrivati all’ultimo anno di studi all’Università e pronti a dare gli ultimi esami, erano innamorati più che mai; gli occhi brillavano a entrambi. Uno spiffero d’aria muoveva leggermente i capelli neri di Enjoji. Si sporse verso Ranmaru e gli prese entrambe le mani. Nella loro espressione non c’era niente che non facesse intuire il loro profondo legame. Ranmaru strinse per un attimo le mani che tenevano le proprie, poi le lasciò nuovamente inermi. Si sentiva accaldato, infuocato, mentre si specchiava negli occhi blu scuro di Enjoji. Questi si sedette sul bordo della panca per avvicinarsi al compagno. Chiusero gli occhi e incontrarono le labbra con un passionale bacio.
Superato il punto più alto della ruota, percepirono la discesa della cabina, ma, nonostante tutto, si sentivano sempre più in alto di tutti, quasi come se potessero ergersi oltre le stelle finalmente apparse in quella notte nuvolosa. Rimasero con i volti vicini, i nasi si sfioravano tra loro. Enjoji si alzò dal suo posto e si inginocchiò di fronte al compagno, baciandolo ancora e poi abbracciandolo. Il viso di Ranmaru sprofondò tra le proprie braccia e quelle del compagno, sentendosi protetto da ogni pericolo. Lo strinse con forza e respirò forte, ascoltando il profumo della sua pelle e dei suoi abiti. Di nuovo, non c’era bisogno di dire niente. Il silenzio raccontava più di mille parole. Poi, si sentì uno scatto che scosse la cabina: il giro era concluso e la ruota continuava a girare più lenta per permettere a tutte le persone di scendere. Tuttavia, i due ragazzi se ne accorsero solo quando sentirono bussare al vetro della loro cabina. Spaventato dall’improvvisa apparizione di Takashi che cercava di dire loro di scendere, nonostante le parole venissero portate via dal vento, Ranmaru allontanò improvvisamente Enjoji da sé. Non appena aprirono lo sportello, dovettero riabituarsi alla luce colorata delle giostre. Il vento disturbava Ranmaru, che dovette tenersi il ciuffo di capelli con una mano per poter vedere bene, e il cambiamento di temperatura improvviso gli arrossò nuovamente le guance.
« Com’è stato? »
Enjoji rispose alla domanda di Takashi dando un bacio sulla guancia al figlio. « Bellissimo. »
Ranmaru gli lanciò uno sguardo di rimprovero. Per quanto ci provasse, davanti agli altri non riusciva proprio a sciogliersi. « Tu e il nonno non siete saliti? »
« No, alla fine abbiamo deciso di sederci e basta. »
Enjoji si guardò intorno. « E la dolce famigliola dov’è? »
Takashi indicò una panchina dietro di sé. « Sono tutti lì. Sono venuto a chiamarvi perché non vi vedevamo uscire. »
Nessuno dei due rispose e seguirono Takashi in silenzio, sperando cambiasse discorso. Una volta riunitisi, decisero di cercare il punto in cui avevano parcheggiato la macchina e di tornare a casa. La signora Miyo, molto probabilmente, era già alle prese con la cena e stava aspettando da sola il loro ritorno.
Percorsero la strada a ritroso alla ricerca della prima giostra provata come punto di riferimento, orientandosi a fatica in mezzo alle decine di persone che camminavano in tutte le direzioni. Ovviamente, il primo a notarla fu Takuma, che rischiò di far cadere il figlio dalle braccia per l’euforia. Come premio, ricevette un colpo alla nuca da parte della moglie. « Che padre disgraziato si ritrova, Takumi! »
Takashi si offrì di prendere in braccio il nipote, in modo da non farli litigare proprio all’ultimo, anche se, ormai, il bambino si era svegliato. Comunque, ora che la giostra era stata trovata, restava solo la macchina nera di Enjoji… che col buio si mimetizzava alla perfezione in mezzo a tutte le altre.
« Ma non potrebbero essere un po’ più originali? », si lamentò Enjoji.
Riuscirono a trovarla per puro caso e solo dopo aver osservato tutte le macchine scure che si trovavano lì davanti. Enjoji tirò fuori le chiavi e tolse la sicura. Si sedettero tutti negli stessi posti di qualche ora prima.
« Magari sei tu che hai poca fantasia. In fondo, questa è una delle tante », disse Ranmaru, rispondendo alla domanda fatta in precedenza. Enjoji lo guardò offeso, ma mandò giù il boccone amaro in silenzio.
Tornarono a casa stanchi, ma la gentilezza con cui vennero accolti restituì loro un po’ di energia. Entrarono in casa al caldo, e subito il profumo della cena li ammaliò, deliziati ancora una volta dalla magica cucina della signora Miyo.
Si sedettero a tavola, ma, anche se le risate e le chiacchiere non mancavano, mangiarono in modo tranquillo. Durante il pasto, decisero tutti di restare lì fino al primo dell’anno, dopodiché ognuno sarebbe dovuto tornare alle proprie occupazioni, tra cui Ranmaru ed Enjoji, che dovevano studiare seriamente per la parte conclusiva della loro carriera scolastica.
 
Il giorno in cui dovettero tornare a casa arrivò presto. Il signor Tsurumi arrivò di prima mattina per portare a casa Yuki, Takuma e Takumi e per accompagnare Takashi all’aeroporto. Enjoji e Ranmaru, invece, partirono di pomeriggio, e il nipote promise al nonno che sarebbe tornato il più spesso possibile per riprendere l’allenamento di kendo, in modo da poter prendere la qualifica per diventare insegnante e collega di Kurebayashi, che era rimasto estremamente contento di questa scelta. Enjoji, invece, dopo aver lasciato il lavoro di accompagnatore e aver ritrovato i contatti con un suo vecchio amico, si dedicò alla realizzazione del suo sogno, ovvero quello di aprire un piccolo negozio tutto suo con le specialità di Kyoto.
   
 
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