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Autore: Aryuna    02/04/2009    7 recensioni
'...Ayame si era già posizionata davanti a me con la spesa in mano. "Koga mi ha detto che ti sei incriccato il collo per corteggiare quella Sango", cominciò lei, lasciando la busta sul tavolo, "Non riuscivo a crederci e sono venuta per accertarmene". "Gentilissima", sospirai tristemente, osservando la busta di cartone. Non potevo neppure uscire per andarmi a comprare da mangiare. Umiliante.'
II° Classificata al concorso 'Le relazioni che fanno sognare', indetto da Roro - Premio della Giuria
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miroku, Sango
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Time Forgets




 

 

“E' bella e quindi può esser corteggiata;

è donna e quindi può essere conquistata.”

[William Shakespeare]


“Di tutte le perversioni sessuali, la castità è la più strana.”

[Anatole France]

 


Ero lì, seduto al solito tavolo, del solito pub, con i soliti amici.

E ascoltavo la solita voce, che cantava ogni giorno melodie diverse accompagnate al pianoforte. Tutti testi da lei scritti sulle musiche di un famoso pianista.

Era come ogni sera. Lei cantava, io ascoltavo, e i miei occhi si fissavano avidamente sulle sue forme perfette. Quei fianchi fasciati dagli abiti eleganti, i seni prorompenti cinti da raffinati corpetti, e le labbra… oh, il desiderio di poterle possedere con passione era sempre presente nella mia mente. Anche quanto stavo con un’altra donna, da quando la conoscevo non potevo evitare di pensare a lei.

Era come la mia musa ispiratrice.

Certo, non ero il tipo d’uomo che veniva ispirato alla luce del giorno. Ma ognuno ha i propri segreti, e i propri difetti. Il fatto di non riuscire mai a sentirmi amato era forse una pecca del mio lavoro. Avevo tutte le donne ai miei piedi, ma non bastava a farmi sentire il calore che provavo anche solo ascoltando la sua voce.

Miroku, arrenditi”. Feci il mio solito sorriso innocente, fissando i miei occhi blu su Koga. Anche la mia predisposizione a fare amicizia con i demoni era tuttora un mistero, anche per me. Gli esseri umani mi… scansavano. Non c’era termine migliore per definirlo. Invece i demoni mi trovavano stranamente interessante. “Non capisco a cosa ti riferisci, amico mio”, mentii, come mio solito. Lui fece una smorfia, come suo solito, e spostò gli occhi azzurro ghiaccio su Inuyasha, che muoveva annoiato il dito sul bordo del bicchiere di vodka. “Non ho forse ragione, cagnaccio?”. Inuyasha alzò gli occhi ambra, ringhiando. Io ridacchiai, spostandomi in avanti per dividerli. “Suvvia, vi sembra il caso di litigare? Ascoltate piuttosto, la melodia è cambiata”. Ed era vero: era diventata più dolce e meno movimentata. Fissai nuovamente il mio sguardo su di lei, stavolta sul suo volto. La carnagione così chiara, le proporzioni perfette, quelle folte ciglia che nascondevano con delicatezza e dolcezza le profonde pozze ametista: gli occhi incantevoli della fata che mi aveva stregato. Non era proprio da me, io ero il tipico scapolo che rimorchiava ogni giorno una ragazza diversa con i suoi modi da gentiluomo quale non ero. Il giorno dopo l’avevo già dimenticata.

E allora perché lei continuavo a desiderarla? Perché venivo a vedere ogni sera il suo spettacolo? Forse perché ancora non era diventata mia. Continuava ad opporsi fastidiosamente.

“Ha finito anche oggi, possiamo andare adesso?”, brontolò Inuyasha. Sospirai tristemente. Lui odiava i pub in generale, diceva che puzzavano come letamai. In verità quello era un locale di classe, ma questo non sembrava sfiorarlo affatto. “Arrenditi, Miroku”, ripeté Koga, cercando di riportarmi sulla via della ragione. La sua ragione. “Non posso arrendermi senza aver tentato”, risposi tranquillamente. “Senza aver tentato?”, mi fece eco Inuyasha, “L’ultima volta quel buttafuori stava per torcerti il collo!”. Ah, giusto. Il buttafuori. “Ho un piano per renderlo inoffensivo”, dissi sorridendo sghembo, “Voi cominciate pure ad andare”. Mi alzai lentamente, e sentii chiaramente Koga brontolare un debole ‘Ecco che ci riprova’.

Già, ci riprovavo. Ma il piano di quel giorno era infallibile. Uscii dal locale, dirigendomi verso la mia macchina. Sentii lo sguardo di qualche ragazza che mi seguiva, come sempre. Presi con un movimento fluido le chiavi della macchina, e premetti il pulsante per aprire il bagagliaio: avvertii un debole scatto in risposta.

“Bene, stavolta dovranno farmi passare”, ghignai, indossando un cappello da fattorino. Chiusi il cappotto per nascondere il mio abbigliamento, prima di prendere l’enorme mazzo di rose rosse e dirigermi verso l’uscita di servizio. Individuai immediatamente l’omone che impediva l’ingresso, con il quale avevo già discusso più volte, cercando di entrare. Calai ulteriormente la visiera sul volto, tenendo con difficoltà l’enorme mazzo con una sola mano; era quasi più grande di me. Una spesa che mi sentivo di poter fare per quella donna misteriosa. Sorrisi al buttafuori, che mi fulminò con aria tutt’altro che amichevole.

“Buonasera, mio giovane amico”, esordii, guadagnandomi subito un’occhiataccia che parlava chiaro: Stai. Alla. Larga. Sorrisi falsamente, mettendo in bella mostra – sempre che fosse possibile nasconderle – le rose rosse. “Devo consegnare queste rose alla signorina Sango Hirai”, continuai tranquillamente. I fattorini non si tiravano certo indietro per così poco, e tantomeno io. “Lasciali qui”, ringhiò il buttafuori, incrociando minacciosamente le braccia. Io continuai a sorridere – era la mia unica speranza di salvezza di fronte a quel muro umano – e osservai i muscoli minacciosi che si intravedevano sotto la giacca.

“Mi è stato chiesto di consegnarle personalmente”, improvvisai, “e vossignoria non vorrà privarmi di codesto privilegio, erro?”. Lui mi fissò confuso, un’espressione così buffa che fu difficile non scoppiare a ridergli in faccia. “Vos… Vossignoria?”, ripeté confuso. È italiano, bifolco. Inutile dire che questa considerazione la tenni intelligentemente per me. “Dunque? Non vorrete deludere un sì forte ammiratore! Queste rose sono di una qualità pregiatissima, e per una sì tanta quantità avrà di certo speso una fortuna”. Già, una fortuna… eccome se lo sapevo! Lui mi fissò, probabilmente decidendo se potevo essere pericoloso o meno.

“E va bene, passa. Ma fa in fretta”, brontolò, lasciandomi passare. “Ve ne sono grato”, risposi, guadagnandomi l’ingresso vittorioso. “Fermo!”, mi sentii artigliare il braccio con violenza. Ma che aveva al posto delle falangi? Ci solleva le case con quelle dita? In quel momento il mio coraggio cominciò a venire meno, e cominciai a sudare freddo.

“E’l’ultima porta a sinistra”.

L’ultima porta a sinistra. Quella porta non poteva immaginare neppure lontanamente lo spavento che mi ero preso nel sentirmi catturato da quel gigante nano. “Grazie”, dissi in tono soffocato, quando mi lasciò il braccio dolorante. Mi sbrigai a raggiungere l’ultima porta a sinistra, prima che ‘Margutte’ decidesse di tornare a darmi qualche informazione stradale. Bussai delicatamente.

“Avanti”. Quella voce era inconfondibile. Entrai con sicurezza, facendo passare con nonchalance le rose dalla porta. La vidi riflessa nello specchio, esattamente come lei vide me. Si voltò a guardare le rose, trattenendo a stento lo stupore. Nascose con le mani – curatissime – le labbra perfette, prima di avvicinarsi con un passo calcolato e silenzioso. Si era cambiata rapidamente dopo lo spettacolo, e sebbene fosse ancora truccata con un viola pastello, ora indossava una t-shirt a maniche corte e una minigonna a fascia beige che le circondava aderente i fianchi. Aveva ai piccoli piedi due ballerine nere che rendevano grazioso l’effetto generale.

“Ti sei legata i capelli”, mi sfuggii, vedendo la fluente chioma costretta in una coda di cavallo perfetta. Perfetta come ogni cosa in lei. E proprio lei mi guardò confusa, fermando i suoi passi.

“Come?”. Ah, di nuovo quella voce. Come potevo essere l’unico che desiderava a tal punto quella donna da rischiare di venir fatto a pezzi dal titano all’ingresso? Sorrisi a quel pensiero: era decisamente meglio così, senza rivali, o potevo morire di gelosia. Ero così contraddittorio, avevo centinaia di donne e poi ero geloso di una donna non mia.

“Mi scusi”, aggiunsi immediatamente, “è stato inopportuno rivolgersi a lei in maniera così colloquiale. Sono un suo grande ammiratore, e non mi sono potuto trattenere”. Stavolta le sue dita nascosero solo in parte un sorriso divertito. “Sono dei fiori bellissimi”, cominciò, finalmente decisa a parlare, “chi li manda?”. “In verità sono stato io”, ammisi immediatamente, “sembrava fosse l’unico modo per incontrarla tutto intero”. La vidi ridere, probabilmente aveva colto la mia allusione al buttafuori. “Sì, effettivamente spesso esagera”, ammise, “non sembri certo un tipo così pericoloso, e di certo non sono così famosa da rischiare di ritrovarmi il camerino invaso da fan”. Sorrisi sinceramente. Era di sicuro molto, troppo modesta. “Dobbiamo trovare un posto ai fiori, chissà se c’è un vaso da qualche parte”, disse pensierosa, avviandosi alla porta, “aspettami, vado ad avvertire che stai qui e a cercare un recipiente degno di quelle rose in bellezza e dimensione”. Mi fece una linguaccia scherzosa, prima di sparire oltre la porta. Posai i fiori su un ampio ripiano, e tolsi il cappello da fattorino, non più necessario. Aprii anche la giacca e la lasciai sullo schienale della sedia; era decisamente troppo calda per quell’ambiente chiuso.

Aveva detto che non sembravo un tipo pericoloso. Quanto si sbagliava. Forse era proprio per quello che tutte le ragazze ci cascavano con me. Non sembravo un tipo pericoloso. Mi passai una mano sul collo, scansando delicatamente il mio codino. Odiavo aspettare.

“Trovato!”, esordì la mia fanciulla, tornando nella stanza con un grosso vaso. Sembrava pesarle molto, ma prima che mi offrissi di tenerlo al suo posto, lei fece uno di quei gesti che con me non andavano assolutamente compiuti. Erano la tentazione allo stato puro. Si chinò per poggiare a terra il peso, mettendo in mostra il fondoschiena sodo e perfetto. Miroku, sei nel suo camerino, regolati di conseguenza!  Già, peccato che prima ancora di terminare questo pensiero la mia mano aveva già raggiunto il suo gluteo, per combaciare ad esso come due elementi complementari. La vidi immobilizzarsi, prima di voltarsi confusa.

Ecco, fregato.

“CHE COSA STAI FACENDO, MANIACO?!”.

Non mi sarei mai immaginato che una mano così delicata potesse dare uno schiaffo tanto potente. Come quello che mi arrivò in piena faccia dopo pochi secondi. Però, mio malgrado, non potei fare a meno di sorridere, al pensiero di essere riuscito a toccare così facilmente l’oggetto dei miei desideri. Sì, il mio solito stupido sorrisino beato che permaneva sulla mia faccia.

“Mi perdoni”, cominciai, incapace di trattenermi, “ma sarebbe stato un insulto alla sua bellezza non approfittarne”. La vidi diventare livida di rabbia.

“TU!”, urlò in un sibilo, stringendo i pugni. Come era bella da arrabbiata. Temetti che chiamasse il buttafuori, ma poi la guardai meglio, e valutai il suo grado di arrabbiatura.

No, non mi aveva bisogno. Probabilmente era capace di farmi a pezzi con un solo sguardo di quegli occhi ametista. Quando si avvicinò minacciosa mi appiattii contro la finestra del camerino, aperta. Sentivo l’aria fredda sulla schiena, e il mio sguardo corse per un tempo brevissimo – meglio non perdere di vista una donna infuriata per più di mezzo secondo – alla giacca sulla sedia, rimpiangendo di averla tolta. Tornai con gli occhi sulla ragazza, che aveva preso il vaso dal pavimento.

“FUORI DA QUESTA STANZA!”, strillò, lanciandolo con tutta la sua forza.

Se quel vaso mi avesse preso la fronte, come la sua mira perfetta aveva previsto, di sicuro mi avrebbe frantumato il cranio. Feci un gesto troppo veloce per un umano come me, sporgendomi all’indietro.

Risultato? Diedi una capocciata al bordo alzato della finestra, per mettermi le mani sulla testa dolorante persi l’equilibrio, e caddi dall’apertura. Sentii il vaso frantumarsi poco lontano, e il mio collo incriccarsi allegramente assieme alla schiena sull’asfalto del vicolo.

“Che succede?”. La voce del buttafuori fu una cura immediata per le mie vertebre cervicali. Mi rialzai e scattai nel vicolo a velocità lampo, correndo verso la macchina di Inuyasha. Non avevo il tempo di montare sulla mia. Vidi la berlina argentata già in moto, con i miei due amici demoni seduti sui sedili anteriori. Vidi Koga voltarsi perplesso verso di me e indicarmi a Inuyasha che, dopo essere impallidito, imprecò qualcosa – potevo capirlo dal suo labiale – e arpionò lo sterzo. Aprii la portiera dei sedili posteriori e, prima ancora di montare con entrambi i piedi sulla macchina, Inuyasha partì. Chiusi la portiera mentre l’auto era già in corsa, con il respiro mozzato e le gambe e i polmoni a pezzi, mentre il buttafuori rinunciava a rincorrere l’autovettura.

Miroku, sei un pazzo!”, sbaitò Inuyasha fuori pericolo, “Se quell’energumeno faceva un solo graffio alla mia Jaguar tu eri un uomo morto!”. “Se mi prendeva lo sarei stato comunque”, riuscii a dire tra un respiro e l’altro. Koga mi guardò con la coda dell’occhio. “Il tuo giaccone?”, domandò subito. Sorrisi, ricordando le ottime capacità di osservazione del mio amico. “Diciamo che tornerò a prenderlo assieme alla mia macchina”, risposi, pensando alla prossima mossa da fare. Vidi Inuyasha ruotare gli occhi dallo specchietto retrovisore, prima di sbuffare scocciato.

Keh! Credimi Miroku, lascia stare quella donna. Non è il tuo tipo”. Sapevo che era un consiglio da amico, seppur detto con il suo solito tono scocciato. Ma non potevo arrendermi, non così. Sango era il mio pensiero fisso, e non avrei mai rinunciato a lei.

“Sai una cosa, Inuyasha?”, domandai, attirando l’attenzione dei miei amici, “Sango è una donna”. Koga mi fissò perplesso. “E allora? Ci sono moltissime altre donne, e lo sai benissimo, don Giovanni come sei”. “Non mi capite”, sospirai sconsolato, “rinunciare a lei sarebbe come arrendermi”. Koga sprofondò nel suo sedile, concentrandosi sulla strada.

“E allora cosa vorresti fare?”. Sorrisi, divertito dai miei futuri piani.

E' bella e quindi può esser corteggiata; è donna e quindi può essere conquistata.


 

Miroku?”. Mugolai infastidito, cercando di girare il collo. Gesto inutile e doloroso. Come si può sperare di girare il collo quando è immobilizzato da un collare? Vidi Koga entrare nell’appartamento con la coda dell’occhio, quando ormai Ayame si era già posizionata davanti a me con la spesa in mano.

Koga mi ha detto che ti sei incriccato il collo per corteggiare quella Sango”, cominciò lei, lasciando la busta sul tavolo, “Non riuscivo a crederci, e sono venuta per accertarmene”.

“Gentilissima”, sospirai tristemente, osservando la busta di cartone. Non potevo neppure uscire per andare a comprarmi da mangiare. Umiliante. Koga mi guardò con sguardo indecifrabile. Lo sguardo di un amico rassegnato che non vuole fartelo notare.

Miroku”, cominciò, con la sua voce roca. Me lo aspettavo. “Che c’è?”, domandai inutilmente, per fargli credere di non aver capito dove voleva andare a parare. “Oggi non sei andato a lavoro, vero?”. Alzai gli occhi al cielo. “No Koga, a chi interesserebbe un modello col collare?”, gli feci notare con tutta la gentilezza che riuscivo a mettere assieme in quella scocciante situazione. Oltretutto Ayame continuava a fissarmi incredula. Era uno sguardo fastidioso. Koga fece la domanda che mi aspettavo. Era chiaro che gli ronzava nella testa da quando era entrato.

“Non tornerai lì stasera, vero?”. Sorrisi, ben sapendo di non essere affatto capace di resistere alla tentazione.

“Certo che ci tornerò”.


 

Adesso che sapevo quale era la finestra del camerino di Sango, fu una passeggiata intrufolarsi nel vicolo. Guardai all’interno: era vuoto, quindi non era ancora rientrata dallo spettacolo. Ma dovetti accontentarmi di attenderla all’esterno, dato che il collare mi impediva di fare movimenti complessi, come per esempio arrampicarmi su una finestra. Attesi pazientemente, notando con piacere che aveva messo i miei fiori in un vaso molto elegante. Quindi li aveva apprezzati, anche se aveva cercato di spaccarmi la testa. Individuai anche la mia giacca. Era buttata nel secchio sotto al tavolino, con le maniche che straripavano cercando di fuggire. Doveva essere ancora arrabbiata…

Un delicato scatto, e concentrai la mia attenzione sulla porta. Qualcuno la stava aprendo, e dopo poco Sango fece la sua entrata nel camerino, ancora vestita con un delicato abito lilla che le metteva in risalto il seno. Sospirai beato, e in un rapido guizzo i suoi occhi erano concentrati su di me.

Sorpresa. Confusione. Incredulità. Rabbia.

Queste furono le emozioni che vidi passare nei suoi occhi ametista nel corso di pochissimi secondi. Boccheggiò, cercando qualcosa da urlarmi, ma io la precedetti cordialmente.

“Buonasera”, le dissi allegro, “bella come sempre mia cara”.

“Mia cara?”, ringhiò lei con la sua bellissima voce, “Con quale coraggio ti sei ripresentato qui?”. Risposi con semplicità, e solo con una mezza menzogna: “Sono venuto a riprendermi la giacca”. La indicai lì, nel secchio, e Sango non poté trattenere una risatina maligna.

Adoravo anche questo di lei.

“Comunque consolati, all’ospedale ci sono andato comunque per la cervicale. So che avresti preferito un trauma cranico, ma la vita va così, che ci vuoi fare”, aggiunsi ironicamente. Sembrò funzionare, perché notando il mio collare ridacchiò nuovamente. “Ti sono piaciuti i fiori?”, domandai subito, approfittandone. Lei valutò cosa rispondere per qualche secondo.

“I fiori non hanno colpa: non allungano le mani come qualcuno”, disse tagliente, alludendo alla mia bricconata involontaria.

“Era un modo per mostrare apprezzamento”, mi difesi immediatamente, “una donna così bella deve pur ricevere dei complimenti per la sua linea!”. Mi fulminò immediatamente. Eh già, non era affatto come le altre donne che avevo avuto.

Lei era speciale. E non era una facile.

“Le rose erano più che sufficienti”, ringhiò minacciosa, “e ora sparisci, o il prossimo lancio sarà un centro”. Non dava alcun segno di scherzare.

“Va bene, ma sai, come i fiori anche la giacca non ha colpa. Guarda, cerca di fuggire poverina”, dissi con occhi da cerbiatto. Lei la osservò per nulla impietosita.

“Cerca di fuggire o allunga le mani come il proprietario?”, domandò retoricamente. Stavolta fui io a ridere, con il mio solito sorrisino colpevole. “Meglio non rischiare, no? Se la tieni lì potrebbe mostrarti il suo apprezzamento mentre ti strucchi”, commentai speranzoso. Lei fece una smorfia, acchiappò il giaccone e me lo lanciò in malo modo.

“Adesso sparisci”, brontolò, arrossita. Rimasi sorpreso da questo dettaglio. Perché mai doveva sentirsi in imbarazzo? La giacca era un aggressore così spaventoso? Sospirai, capendo che da quella serata non avrei ottenuto niente di meglio.

“Allora ci vediamo presto”, la salutai con un piccolo inchino. Lei mi sorrise impercettibilmente, con le sopracciglia sollevate. Era decisamente scettica. “Addio”, pronunciò molto lentamente, avvicinandosi alla finestra per chiuderla. Feci appena in tempo a togliere le dita, prima che me le schiacciasse con l’anta dell’infisso.

Quella donna era sadica, cercava ogni giorno un modo per farmi passare la notte all’ospedale. Sospirai sconsolato.

Sigh. È proprio vero, di tutte le perversioni sessuali, la castità è la più strana e la peggiore!”, aggiunsi di mio alla citazione voltandomi verso la macchina. Peccato che davanti a me non c’era più il vicolo.

Vidi solo una maglia nera, con sopra la preoccupante scritta bianca ‘Security’.


 

“Entri pure, è qui”.

Quel giorno la voce dell’infermiere era terribilmente in contrasto con le delicate voci delle infermiere dei giorni prima. Infermiere che si erano fatte cambiare paziente dopo aver valutato il mio carattere.

Le donne si lamentano sempre che non gli fai i complimenti e poi quando glieli fai… che pazienza che ci vuole!

“Ciao Miroku”. “Buongiorno Inuyasha”, risposi fissandolo. Era venuto con la sua ragazza, Kagome, dalla quale mi teneva sempre lontano con minacce di morte. “Buongiorno anche a lei divina Kagome”, la salutai, e lei sorrise onorata dal complimento, come sempre. Inuyasha invece mi fulminò. Come sempre.

“Come stai oggi?”, domandò il mio amico. Io fissai il gesso alla gamba, per quanto mi fosse possibile piegare il collo con il collare che ancora tenevo. “Uhm… a vista non saprei, direi come sempre”. “Abbiamo buone notizie!”, esclamò Kagome stordendoci entrambi, “il buttafuori che ti ha pestato è agli arresti domiciliari e sembra che vincerai tu la causa”.

“Ci mancherebbe”, brontolai, percosso da un brivido. Che brutti ricordi. Non avevo mai avuto tanta paura di morire in vita mia. E adesso mi toccava stare a letto per un mese a causa di quel pazzoide.

“Quante visite oggi. È quella stanza in fondo”, sentii dire dall’infermiere.

“Grazie”.

Rimasi immobile. Quella voce era inconfondibile. Kagome si affacciò felice alla porta. “Sango, allora sei venuta!”. Fissai Kagome sconvolto, prima di fulminare Inuyasha. Lui stava volontariamente distogliendo lo sguardo. “L’ho saputo solo ieri che si conoscevano”, si difese, fino a darmi definitivamente le spalle.

Poi l’immagine di Sango apparve oltre la porta, e tutto il resto divenne insignificante.

“Ciao”, mormorò lei, rossa in volto e imbarazzatissima. Teneva in mano un mazzetto di rose color pesca, e si sforzava di sorridere. “Buongiorno mia cara”. Mi fulminò nuovamente. Ora la riconoscevo. Non potei evitare di ridacchiare alla su reazione.

“Noi andiamo al bar”, esclamò Kagome, prendendo Inuyasha per il braccio. “Ma io non voglio”, replicò lui immediatamente. Kagome lo fulminò con lo sguardo. “Andiamo al bar, tu vuoi un cappuccino, vero Inuyasha?”, sibilò la ragazza minacciosa. Il mio amico annuì terrorizzato, prima di venir trascinato via in malo modo. Ridacchiai davanti a quella scena.

Le donne sapevano essere spaventose.

“Sono venuta per scusarmi”, cominciò Sango, attirando nuovamente la mia attenzione, “Ecco… non volevo che finissi veramente all’ospedale”. Era terribilmente imbarazzata, si vedeva che chiedere scusa le costava molto. Doveva essere una donna molto orgogliosa.

“Non preoccuparti”, le dissi io, “non sei stata certo tu a picchiarmi”. Lei sorrise, e mi mostrò i fiori.

“Ti ho portato delle rose per ravvivare un po’ l’ambiente”, esclamò, guardandosi attorno. “C’è un vaso?”. Gli indicai quello sul mio comodino. Si avviò per metterci i fiori. Era terribilmente vicina. Che tentazione

Si vedeva che non aveva affatto capito com’ero.

DI NUOVO?! Ma allora è una fissa!”, strillò lei saltando indietro, schiaffeggiando la mia mano. Inutile, non riuscivo a resistere all’impulso di palparle il sedere ogni volta.

“È una malattia inguaribile”, commentai io sconsolato. Lei uscì dalla stanza come una furia, scontrandosi con Inuyasha e Kagome, i quali stavano origliando alla porta.

Miroku, non l’avrai palpata di nuovo?!”, mi sgridò Kagome, sapendo benissimo che l’avevo appena fatto. Io sospirai tristemente.

“Uffa, ogni volta devo ricominciare daccapo!”.

Il commento di Inuyasha fu uno, e uno solo:

Il solito maniaco”.









 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incredibilmente non ho molto da dire stavolta. Sono arrivata seconda, è sono molto soddisfatta, ma questa storia è stato un parto che non mi ha portato granché bene. Mi ha portato via moltissimo tempo, perché non ero abituata ad immedesimarmi in Miroku, e si è portata via anche la mia ispirazione. Come conseguenza non riesco più a scrivere con velocità, e ci metto ore per scrivere un terzo di pagina. Diverse persone hanno cercato di uccidermi per il mancato aggiornamento di Neko to Inu, spero che questa shot possa alleviare la loro ira ^^’

Giuro che non parteciperò più ai concorsi fino alla fine di Neko to Inu!!! XD *si inchina scusandosi profondamente*

Ne approfitto per ringraziare Roro, che ha indetto il concorso e si è mezza suicidata per postare i risultati nonostante il pc rotto!

Roro, we love you! *I love Roro-chan*

 

P.S. Il titolo non ha attinenza con la storia, perché deriva dal nome di una melodia al pianoforte che mi ha molto ispirato sul ruolo di Sango. Ringrazio Yiruma e le sue fantastiche musiche!



 

Aryuna

  
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