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Autore: ZoeLoveRock    02/04/2016    0 recensioni
Dal 1* capitolo: Quello era lo shinigami, Janis lo sapeva, lo sapeva perché sì, lo sapeva perché l’aura di potere era percepibile solo guardandolo negli occhi, perché il suo ghigno gridava lussuria e perché nella sua figura era incisa la morte. Non pensava nemmeno lontanamente al collegamento tra lei e la figura che si trovava davanti, rimaneva semplicemente affascinata da quello che le stava succedendo. In una parte remota della sua mente il jazz rimbombava con un eco ormai sbiadito, in un’altra aveva il ricordo di un miele denso, marrone e incredibilmente dolce.
Genere: Demenziale, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Well I'd trade all of my tomorrows For one single yesterday” (E scambierei tutti i miei domani Per un solo ieri) Janis era su un palco, ne era sicura. Prima di quel vortice, i piedi erano saldamente fissati sul pavimento di legno, gli occhi accecati dalle luci stroboscopiche, le orecchie assordate dalla sua voce, dalle urla del pubblico e dal suono degli strumenti alle sue spalle. Ora era tutto tinto di bianco, lei era circondata da spifferi ghiacciati e aliti cocenti; percepire l’ambiente oltre l’uragano che la avvolgeva le sembrava impossibile. La donna ipotizzò vagamente di essere finita all’inferno mentre perdeva il filo dei suoi pensieri, lasciando che si unissero alla voragine che le turbinava attorno. Poi, lentamente, come il sole che al mattino si affaccia alla finestra, ogni sibilo d’aria si volatilizzò, lasciando cadere dolcemente Janis, che si ritrovò in un piccolo giardino pieno di profumi speziati e aromatici. Oltre ad una staccionata in legno chiaro si estendevano campi di lavanda e girasoli, mentre una palla infuocata all’orizzonte tingeva il cielo di colori cangianti. Se quello era l’inferno, non osava nemmeno immaginare il paradiso. O quello era il paradiso. Non lo sapeva e decise che, almeno per il momento, non le sarebbe importato più di molto. Purtroppo non poté rimandare a lungo il pensiero, dato che una figura nera le si avvicinò mentre lei stava osservando una farfalla meravigliosa con le ali quasi trasparenti e contornate di blu. Janis si voltò di scatto, sentendosi osservata. Davanti a lei c’era un’ombra alta, totalmente vestita di nero. C’era qualcosa di surreale là, che gravitava attorno a quel corpo che di umano aveva ben poco. La donna era convinta che Jimi le avesse detto qualcosa riguardo a quello strano diavolo giapponese: era lo shinigami, una creatura mitologica con l’unico compito di mietere anime. Attorno ad essa c’erano altri shinigami, gli spiriti dei suicidi, che aiutavano quest’anima superiore a svolgere il suo dovere, accompagnando un’anima nel flusso della sua fine. Quello era lo shinigami, Janis lo sapeva, lo sapeva perché sì, lo sapeva perché l’aura di potere era percepibile solo guardandolo negli occhi, perché il suo ghigno gridava lussuria e perché nella sua figura era incisa la morte. Non pensava nemmeno lontanamente al collegamento tra lei e la figura che si trovava davanti, rimaneva semplicemente affascinata da quello che le stava succedendo. In una parte remota della sua mente il jazz rimbombava con un eco ormai sbiadito, in un’altra aveva il ricordo di un miele denso, marrone e incredibilmente dolce.* Forse per colpa sua stava vivendo quell’assurda allucinazione, semplicemente da sommare alle tante altre passate. In quel momento però i colori non erano sfocati, si sentiva più persa del solito ma comunque riusciva a formulare pensieri, cosa che non le era mai successa prima. La donna osservò attentamente occhiaie scure dello shinigami, che mettevano in risalto gli occhi verde acceso. “Janis Joplin...” disse. No, disse non era la parola giusta: era come se le parole del demone fossero arrivate nella sua mente sotto forma di onde sonore. “Chi sei?” chiese Janis, sentendo la sua voce flebile e altisonante, tanto diversa dal timbro roco che la contraddistingueva. “Il mio nome è Katashi” rispose lui sbrigativo. Nonostante prima non sembrasse avere alcuna fretta, parlare di sé doveva infastidirlo. “Questo non è importante. Tu sei qui per un motivo, Janis. Sai, noi demoni siamo furbi, scaltri: ci è facile rigirare le carte in tavola, siamo in grado di volgere il gioco a nostro favore, sempre. Possiamo estrapolare da un umano cose che non pensava di dire, sconvolgerlo a tal punto da rendergli impossibile ogni minima resistenza. Ci piace il gioco facile, preferiamo risparmiare i nostri poteri per i casi speciali, sai... La cosa divertente è che spesso ci immaginano come esseri trasandati, ma tutto questo non ti pare più curato di ciò che gli umani arrabattano con le loro esigue capacità? Certo, siamo lussuriosi, facciamo ciò che possiamo permetterci, e noi possiamo permetterci molto, mia cara.” mormorò, facendo apparire delle monete e trasformandole in una sfera d’acqua, che sciolse in una polvere di stelle profumata. Ogni granello dorato avvicinò a quello accanto, coagulandosi in una palla e poi esplodendo in un vinile su cui erano incisi nomi conosciuti e sconosciuti. “Sai Janis, non sono solito a passare il mio tempo con voi, ma in certe occasioni credo che la mia presenza sia... Sai com’è, necessaria. Ti starai chiedendo perché sei qui, Janis.” No, non se lo era chiesta. Era rimasta talmente storidita da quegli avvenimenti da perdere la capacità di formulare pensieri, creando il vuoto nella sua mente. La sua attenzione era totalmente incentrata sul disco che Katashi faceva fluttuare sul palmo della mano. “Cosa sono quei nomi?” chiese la donna, ignorando completamente quanto detto da Katashi. “Oh, te lo spiegherò più tardi. Ora sediamoci, non ti va?” disse in tono zuccheroso il demone, facendo comparire un piccolo tavolo in ferro battuto. “Dimmi cosa ci faccio qui!” esclamò invece la donna, spazientita. Ci stava aver preso qualcosa di troppo ed aver avuto un’allucinazione assurda, ma non poteva essere così cosciente e tutto ciò che la circondava non poteva avere nessuna concomitanza con la realtà. Le sembrava di essere in un campo californiano, ma senza il caldo cocente e il profumo dell’oceano. Allo stesso tempo sembrava un set di un film horror, con quella figura spaventosa che sembrava stonare totalmente con il paradiso che si estendeva sotto i loro occhi. “D’accordo, come vuoi tu. Tanto, te l’avrei detto comunque” sospirò con un’alzata di spalle. “Ti ricordi quello che ti ho detto prima, immagino. Noi demoni abbiamo l’incredibile capacità di plasmare quanto detto o fatto da una persona in modo da renderlo a nostro favore. Siamo esseri ingordi, insaziabili, in un certo senso incredibilmente avidi. Ma siamo anche generosi, sai, Janis? Non sembra, vero? E invece ecco qua, posso esaudire il tuo desiderio. Spero che sarai contenta, una volta tornata indietro. Lasciami spiegare. Devi sapere che i versi di quella tua canzone, Me & Bobby McGee, mi hanno fatto molto pensare, riflettere. In fondo mi stavi supplicando, mi hai chiamato più volte in quei pochi minuti. Non è ciò che volevi? L’avevi promesso.” continuò Katashi in modo sempre più suadente, vedendo l’espressione sconcertata di Janis. “Io ti darò un giorno del tuo passato, ti permetterò di viverlo, di provare le medesime sensazioni che ti riempivano una volta e che ora avrebbero significato solo nostalgia. E tu in cambio mi regalerai tutto ciò che ti sarebbe rimasto da vivere. È questo che a noi shinigami piace: la vita. Anche a te piacerà, sai? Dopo quel giorno, che sarai tu stessa a scegliere, la tua vita sarà totalmente tra le mie mani, sarai una shinigami anche tu.” “Gli shinigami sono le anime dei suicidi. Io non sono una suicida.” rispose fermamente Janis, con un tono duro che nemmeno sperava di avere in una circostanza simile. “Oh, mia cara. Non ti savi forse portando alla fine, con quelle sostanze poco simpatiche? E non mi hai forse invocato tu, chiedendomi di darti uno “ieri”, barattandolo per il tuo futuro? Non è un suicidio, secondo te? Te l’ho detto, il gioco va sempre come vogliamo noi. Presto diventerai una shinigami, sarai sotto il mio dominio.” “Quindi io sono morta?” azzardò Janis, sgranando gli occhi ed avendo improvvisamente freddo. “No, non ancora. Sei svenuta sul palco, sei in coma: ti stanno perdendo, il tempo necessario per vivere quel giorno.” con queste parole Katashi alzò una mano e lasciò che un’unghia aguzza scivolasse sul collo di Janis, ferendola. Janis sussultò, vedendo il sangue che scendeva lungo la clavicola in una linea sottile, creando una chiazza rossa sulla maglia. “Hai ventiquattro ore di vita.” e con queste parole fece più pressione sulla gola della mora, che chiuse gli occhi per il dolere. Poi la sensazione di essere incorporea, le palpebre pesanti, il vuoto nella mente e il rosso davanti ai suoi occhi. *il “brown sugar” è una forma di eroina. Cioè, si può trovare sia sotto forma di cristalli che brown sugar. W le mie spiegazioni scientifiche eh!
   
 
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