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Autore: linguadigatto    03/04/2016    1 recensioni
Una piccola discussione tra due amiche rivela un comportamento particolare di una delle due.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scalò dalla seconda alla terza di malagrazia e il cambio protestò sotto la sua mano. Era una fredda notte d'inverno e l'aria era gelida e limpida, tagliata in sezioni precise dalla luce dei fari. Nulla si muoveva sulla statale deserta; nessun rumore che non provenisse dall'interno dell'abitacolo. Marta aveva alzato l'autoradio di proposito perché non voleva parlare con nessuno dei presenti, e fortunatamente il CD che aveva scelto era sufficientemente rumoroso.
Avevano passato il sabato sera in un grande locale in provincia con tutto il loro gruppo, saltellando sulla musica e ridendo alle battute gridate a pieni polmoni sopra il fracasso. Alle tre e mezzo aveva iniziato a farsi largo una certa stanchezza; alle quattro avevano fumato l'ultima sigaretta vicino alle macchine, rabbrividendo. Dopo aver accompagnato a casa Marco, lei e Giulia sarebbero rimaste sole in macchina, e non riusciva a decidere se ciò era un bene o un male. La strada del ritorno sarebbe stata lunga. Ferma al semaforo, alzò gli occhi sullo specchietto retrovisore: Marco, sul sedile posteriore, si teneva impegnato con il cellulare. Non volse lo sguardo alla sua destra perché sentiva che la sua amica stava già fissandola con la coda dell'occhio. Sopra il fracasso della musica percepì il tintinnio del suo bracciale: il rumore la infastidì irragionevolmente. Fece l'ultima curva e risalì la piccola via fino ad una villetta dalla cancellata verde scuro, fermandosi di fronte all'ingresso. Sbloccò le portiere ed abbassò il volume della musica.
«Grazie per il passaggio, sabato prossimo vi riaccompagno io» disse Marco, la mano sulla maniglia.
«Figurati, non preoccuparti » rispose Marta con un sorriso tirato. Non era molto brava a fingere, ma la penombra nascondeva gran parte del suo viso.
«Bella serata, eh? Ci si vede sabato prossimo, buonanotte!» disse ad entrambe, salutandole con un cenno della mano mentre chiudeva la portiera. Ricambiarono educatamente, poi Marta iniziò a fare manovra per tornare indietro. Alzò di nuovo il volume, ma la mano sinistra di Giulia, una piccola mano delicata con lunghe unghie dipinte ed appuntite, si allungò sulla manopola facendola ruotare nel senso opposto. Il rumore della strada tornò udibile soltanto per qualche secondo, poi una brutta, assordante canzone dance ricoprì tutto nuovamente. Giulia non si diede per vinta. Abbassò nuovamente il volume.
«Posso sapere cosa c'è che non va?» chiese con voce ferma.
«Niente» sospirò Marta «Non c'è proprio niente che non va. È solo che ho sonno e sto cercando di restare sveglia».
«Certo» rispose Giulia sarcasticamente. «Non ci credo».
«Sei libera di pensare ciò che vuoi».
«Ci conosciamo da quando eravamo due bambine» disse, ammorbidendo la voce. «Non credere che basti una bugia tanto raffazzonata per convincermi».
Marta strinse il volante tra le mani. Mise la freccia a destra, fermandosi allo stop. Si torturò le labbra.
«Non so se voglio parlarne ora, e, in effetti, non so nemmeno se voglio parlarne». Dalla sua destra arrivò il tintinnio di due orecchini di latta scossi: Giulia si era voltata verso di lei.
«Di cosa?»
Non rispose.
«Oh, per favore» strepitò Giulia «cosa vuol dire che non sai se vuoi parlarne? Ce l'hai con me per qualcosa che ho fatto?»
Marta cambiò marcia in silenzio. Giulia sospirò. «Allora è qualcosa che ho fatto. Se fossi così gentile da spiegarti potremmo cercare di mettere a posto le cose invece di giocare agli indovinelli, no?»
«Non credo che parlarne cambierebbe qualcosa» rispose Marta, soppesando le parole. Giulia sbuffò vigorosamente.
«Sai, non ti sopporto quando fai così».
«Anche io a volte non sopporto certe cose che fai».
«Cosa, per esempio?»
Marta rimase per un momento in silenzio, sentendosi addosso gli occhi di Giulia, scintillanti di irritazione. Non poteva certo usare nuovamente l'autoradio per difendersi; si sarebbe arrabbiata ancora di più e la discussione avrebbe finito per evolvere in un vero e proprio litigio.
«Quando sono venuta a cercarti per dirti che avevamo deciso di andare via eri con un ragazzo».
«Sì, e allora? Non stavo facendo niente di male. Ti avevo detto che mi sarei allontanata per un po'».
«Quando mi sono avvicinata per chiamarti ho avuto una strana sensazione».
«E vorresti dirmi che ce l'hai con me per questo?»
Si fermarono al semaforo e Marta ne approfittò per voltarsi. Giulia la fissava con la fronte corrugata ed uno sguardo cupo.
«No».
Giulia rimase in silenzio aspettando il resto della risposta. «E quindi?» disse alla fine, quando si rese conto che non sarebbe arrivata.
Marta si passò la lingua sulle labbra. «L'avevo già provata una volta».
Giulia non comprese subito; batté le palpebre, guardandosi attorno. Poi l'illuminazione arrivò e un vecchio senso di colpa tornò a galla dai recessi della sua memoria. Rise, un suono brillante e gioioso. «Sul serio?» disse incredula.
«Sì» rispose seccamente Marta.
«Non ci credo».
Marta iniziò a sentire un certo calore nel petto. «Non sono stupida» argomentò «Ho visto come lo guardavi».
«È successo soltanto una volta e mi sono molto pentita di averlo fatto» scattò Giulia. I suoi orecchini oscillarono violentemente.
«È comunque successo e non puoi pretendere che me lo dimentichi».
«È stato due anni fa! Hai intenzione di portarmi rancore per il resto dei tuoi giorni?»
«Io non ti porto rancore, mi preoccupo per te».
«Ti preoccupi quando non ce n'è bisogno».
«Non posso escluderlo».
Calò un teso silenzio. Marta rallentò all'imbocco con il grande corso che le avrebbe riportate in città. Giulia, al suo fianco, sbuffò.
«Non riesco veramente a capire perché tu debba prendertela tanto. È la mia vita e sono io che decido».
Marta sospirò. «Ho provato a pensarla così».
«Immagino che non abbia funzionato». Marta avrebbe potuto giurare che in quel momento, sotto la luce intermittente dei lampioni, la sua amica stesse sollevando enfaticamente le sopracciglia.
«Non è così semplice. Io tengo a te e non voglio che tu ti faccia del male».
«Non mi sto facendo del male, anzi, a dirla tutta, non ho proprio fatto niente di male».
Marta non rispose. Si fermò ad un incrocio, controllando che la via fosse sgombra.
«Due anni fa ho perso le staffe, ho fatto una cosa stupida e me ne sono resa conto immediatamente. Non accetto che tu mi osservi come un sorvegliato speciale, è ridicolo!» sbottò Giulia.
Marta strinse il volante con più forza. Incollò gli occhi al tachimetro per controllare di non sforare il limite di velocità – in quel tratto aveva già rimediato una multa salata qualche mese prima.
«Non ti sto controllando, ho solo visto come guardavi quel ragazzo mentre sono venuta a chiamarti e mi sono preoccupata».
«Senza motivo».
«Possibile. La sensazione che ho provato, però...» Giulia la interruppe: «Hai mai pensato che potresti esserti sbagliata? Che magari hai visto male?»
Marta guardò pensosamente dentro tutti e tre gli specchietti retrovisori. Il respiro di Giulia, reso più rapido dalla sua agitazione, era appena udibile. Dopo quell'ultimo scambio restarono in silenzio per diversi minuti, avanzando nell'intrico di vie cittadine fino a raggiungere le vicinanze del loro quartiere.
«Senti, mi spiace. Non volevo litigare per questo, infatti inizialmente non volevo dirti nulla» disse alla fine Marta. Effettivamente la sala era buia ed affollata e non aveva potuto vedere Giulia e quel tizio che per una manciata di secondi. Abbastanza, in ogni caso, per riportare alla luce dentro di lei quella sgradevole sensazione di inganno. In quei brevi istanti, come a quella festa di compleanno di due anni prima, aveva avuto la dolorosa impressione di avere davanti agli occhi qualcosa che normalmente si rifiutava di vedere.
Giulia le toccò delicatamente una mano. «Non importa, non abbiamo litigato».
Marta pensava che la discussione sarebbe terminata con quelle parole. Accostò vicino al marciapiede, davanti al cancello del condominio dove abitava Giulia. Sbloccò le portiere.
«In realtà io penso ancora che quel tizio della festa di compleanno se lo sia meritato» disse tranquillamente la voce alla sua destra.
«Ah, sì?»
«In un certo senso sì. Mi aveva presa per una stupida».
«Potevi dirglielo».
«Pensi che avrebbe capito? Era troppo impegnato a cercare di impressionarmi con le sue vanterie».
«Potevi andartene».
«Forse sì» ammise Giulia. «Sul momento però il suo comportamento mi irritava troppo per lasciare stare. Avresti dovuto sentirlo, come gonfiava il petto con la sua architettura, la sua laurea futura, i bei progetti».
«Credo di aver colto qualche stralcio» disse Marta, sorridendo. Ricordava abbastanza chiaramente quel ragazzo avvenente, dalla voce profonda e dalla bocca piena di parole pompose.
«Peccato che non gli sia venuto in mente di chiedermi di parlargli di me. Se avesse saputo che aveva davanti la prima classificata regionale nei risultati del test d'ingresso a medicina forse avrebbe smesso di trattarmi come una bambolina di porcellana e mi avrebbe preso sul serio».
«Non credo. Stai dimenticando che era abbastanza ubriaco e, in ogni caso, dubito che l'argomento gli interessasse».
«Anche io ero un po' brilla e non vedo perché a me avrebbero dovuto interessare i suoi trascorsi universitari».
«C'erano altre soluzioni, lo sai».
Giulia mosse il braccio destro come per scacciare un pensiero. «Tutte molto meno soddisfacenti».
Marta si voltò per un attimo a squadrarla alzando un sopracciglio. Giulia alzò gli occhi al cielo. «Sì» ammise, «so che non sei della stessa opinione e che tu, nella tua infinita saggezza, avresti scelto il modo ottimale per liberarti di lui. Però non siamo tutti perfetti».
«Io non sono perfetta» protestò. «Penso solo che invece di sfilargli il portafogli dalla tasca dei pantaloni avresti potuto intimargli di andarsene o fargli capire che non eri interessata».
«E lasciargli la convinzione di essere il più furbo?»
«Ho l'impressione che tu abbia dato un significato eccessivo a quella situazione».
Giulia scrollò le spalle socchiudendo gli occhi. «In ogni caso, non aveva con sé un soldo e nemmeno la tessera universitaria. Probabilmente si era inventato tutto».
«Non puoi saperlo con certezza».
«Andiamo! Quale studente universitario va in giro senza tessera nel portafogli?»
«Quelli che se lo fanno rubare dalla ragazza che stanno cercando di piazzare sul sedile posteriore della macchina, apparentemente».
Giulia rise sonoramente. Marta decise che lasciar perdere e dimenticare era la cosa migliore. Era successo una volta due anni fa; era tempo che iniziasse a combattere quella stupida sensazione di disagio. «Buonanotte, e scusami per prima» disse.
«Non hai proprio niente di cui scusarti. Buonanotte» rispose Giulia aprendo la portiera. Marta la guardò avvicinarsi al cancello cercando le chiavi, poi inserì la prima e si allontanò lentamente senza guardarsi indietro.
Giulia si guardò alle spalle con la coda dell'occhio. Si allontanò dal cancello sotto i coni gialli e soffusi dei lampioni. Camminò per qualche metro sul marciapiede, avendo cura di non mettere i piedi su una crepa. Arrivò al punto in cui erano raggruppati diversi bidoni della spazzatura, masse scure nell'ombra. Ne aprì uno con un po' di fatica. Frugò nella borsa capiente senza successo e dovette spostarsi sotto la luce di un lampione. Riuscì infine a trarre fuori un oggetto rettangolare, di pelle marrone: un portafogli da uomo. Ne controllò scrupolosamente il contenuto, lesse i dati sui documenti e sfilò due spiegazzate banconote da dieci euro. Ritornò nel buio e lanciò il portafoglio nel bidone. Atterrò con un tonfo sordo. Si allontanò velocemente sbattendo i tacchi ticchettanti sull'asfalto.
   
 
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