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Autore: Egle    22/03/2005    8 recensioni
Lascio che la pioggia mi scorra sul viso in rivoli tortuosi, trascinando via il sudiciume e la stanchezza. Chiudo per una manciata gli occhi prima di riportarli sulla strada. Non riesco a vederne il fondo, inglobato nell’oscurità. Questa strada è come il mio futuro: oscuro e incerto. Ma non è detto che sia un male. Non ci vedo…male. Solo speranza.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La strada si estende davanti a me, perdendosi nelle ombre della notte

INSIDE OF ME

 

La strada si estende davanti a me, perdendosi nelle ombre della notte. Avanzo lentamente, incurante della pioggia che mi scivola addosso, inzuppandomi il mantello e i capelli. I miei passi risuonano nella vastità della notte, intervallati solo dal picchiettare della pioggia sull’asfalto. Mi fermo un attimo sotto la luce vacua di un lampione sollevando il viso verso il cielo e respirando profondamente. C’è un buon odore nell’aria. Odore di pulito.

Lascio che la pioggia mi scorra sul viso in rivoli tortuosi, trascinando via il sudiciume e la stanchezza. Chiudo per una manciata gli occhi prima di riportarli sulla strada. Non riesco a vederne il fondo, inglobato nell’oscurità.

Questa strada è come il mio futuro: oscuro e incerto. Ma non è detto che sia un male. Non ci vedo…male. Solo speranza.

Me la caverò anche stavolta, come ho sempre fatto, in un modo o nell’altro. 

Riprendo a camminare, sistemandomi il borsone su una spalla, quando vengo investito dalla luce di un paio di fari. Balzo all’indietro appena in tempo per non essere investito dall’imponente veicolo blu a tre piani.

“Dove sei diretto?” mi chiede l’anziano controllore, aprendo lo sportello del Nottetempo.

“Hogwarts” rispondo. Mi sistemo in una delle tante brande libere, abbandonando la testa tra le braccia tese, con i palmi appoggiati alle ginocchia.

I miei capelli e il mio mantello sgocciolano sul pavimento, formando una pozzanghera tra i miei piedi. La osservo ingrandirsi lentamente, come ipnotizzato. Sono talmente stanco da non aver nemmeno voglia di dormire. Guardo fuori dal finestrino riuscendo a riconoscere a malapena i contorni dei palazzi. Il controllore mi porta una tazza di tè caldo che accetto con gratitudine.

“è meglio se ti togli quei vestiti bagnati, giovanotto” mi dice,  scuotendo la testa come gesto di disapprovazione per i miei abiti zuppi di pioggia.   

Mi stringo nelle spalle, riportando la mia attenzione sul paesaggio al di là del vetro. L’uomo si allontana, borbottando qualcosa di incomprensibile tra sé e sé.  Non so per quanto tempo viaggiamo a folle velocità. Lentamente la lunga notte invernale viene striata dalle prime luci dell’alba, che, a fatica, penetrano attraverso la cortina di nubi. Quando scendo davanti alla scuola, ha smesso di piovere e il cielo sta tornando limpido.

Il Nottetempo riparte alle mie spalle tra uno stridore di pneumatici.

Alzo il viso a contemplare la facciata austera di Hogwarts. Il tetto risplende  sotto i deboli raggi solari, reso lucente dalla pioggia. Anche qui c’è un buon odore. Odore di pulito. Odore di casa.

Sono ancora lì impietrito quando la porta d’ingresso si apre. La figura di Silente emerge dalla calda luce dell’atrio. I suoi occhi si posano nei miei, attraverso gli occhiali a mezzaluna. Dall’espressione della sua faccia capisco che è già al corrente di quanto è successo.

“posso restare?” chiedo, avvertendo il mio respiro farsi improvvisamente più rapido.

Trascorre solo un istante, prima che Silente annuisca, facendosi da parte per farmi entrare nella scuola. Il castello è immerso nel sonno.

“Professor Silente” bofonchio, spostando il borsone da una spalla all’altra, ma il mago solleva una mano per interrompermi.

“più tardi…ora và nel tuo dormitorio e cerca di riposare”

Annuisco, volgendogli un ultimo sguardo di ringraziamento, prima di incamminarmi su dalle scale. Sapevo che Silente non si sarebbe fatto intimorire dall’influenza della mia famiglia. Sapevo che non mi avrebbe abbandonato.

Attraverso con passo stanco la Sala Comune di Grifondoro e salgo nel dormitorio, senza incontrare nessuno e senza sentire nessun rumore a parte il suono dei miei passi.

La mia mano tentenna per un istante sulla maniglia. Quando faccio scivolare la porta sui cardini e mi ritrovo nella stanza dove ho dormito per gran parte dell’anno, mi sento improvvisamente bene. Inspiro l’odore familiare di questo luogo, avanzando fino al mio letto. Poso la borsa sul materasso e getto il mantello da una parte. Mi passo una mano tra i capelli, rilasciando piano il fiato quando il mio sguardo si posa su uno dei letti. Quello di Remus. Una sagoma conosciuta s’intravede sotto le tante coperte. Troppo preso dai miei problemi, mi ero quasi dimenticato che non era andato a casa per le vacanze natalizie. Raggiungo il suo letto e mi fermo accanto al comodino, indeciso su cosa fare. Il mio sguardo è puntato sulla sua nuca. Non voglio svegliarlo, ma prima che possa impedirmelo pronuncio il suo nome con un filo di voce.

Remus mugugna qualcosa, rigirandosi nelle coperte. Ha ancora gli occhi chiusi.

Mi siedo sul materasso, che cede con un flebile cigolio sotto il mio peso.

Ripensandoci, forse mi sento veramente stanco. Come se la stanchezza si fosse riversata sulle mie spalle tutt’a un tratto.

“Sirius?”

Volto il capo fino a incontrare gli occhi assonnati di Remus con i miei.

“vuoi sapere la novità?” mormoro, prima che lui possa dire altro  “me ne sono andato di casa”

Mi stringe una spalla con una mano senza rispondere, aspettando che io prosegua.

“sono settimane che dico che dovevo farlo. Che questa era la volta buona che mandavo tutti al diavolo. Che era la sola cosa giusta da fare, ma…”

La voce si spezza nella mia gola. Traggo un lungo respiro, scostando lo sguardo.

“Sei già andato da Silente?”

Annuisco, inumidendomi le labbra con la punta della lingua.

“sapeva giù tutto” rispondo “posso restare”

Remus si mette seduto sul bordo del letto al mio fianco.

“sai quella cosa che mi ripeti ogni tanto?” butto lì con un tono che spero risuoni casuale.

“quale?” ribatte, muovendo piano i piedi scalzi.

“che la casa è quel posto che quando ci vai non possono non accoglierti” 

Giro la testa per guardarlo di nuovo negli occhi.

“Ma se uno la casa non ce l’ha?”.

La mia voce si spezza per la seconda volta. Un forte bruciore mi solletica la gola e mi punge gli occhi. Le mie dita si contraggono sulla trapunta. Forse io non ce l’ho più una casa. Non più. Quando la scuola sarà finita non avrò più un posto in cui tornare. In cui non possono non accogliermi.

“non è una questione di edifici” risponde Remus con voce pacata. La debole luce solare che penetra dalla finestra fa risplendere i suoi capelli. Il temporale si è allontanato. Le nubi diradate.

Remus solleva lentamente una mano e l’appoggia sul mio petto, all’altezza del cuore.

“forse tutto ciò che abbiamo bisogno è qui dentro. Dentro le persone che ci vogliono bene. Forse la casa è un calore che portiamo dentro di noi. Che viene rinvigorito ogni volta che stiamo con le persone che ci amano e che ci conforta quando queste non ci sono vicine.”

“dici?”

Remus annuisce. Osservo la sua espressione aperta e sincera e mi sento meglio. Lui ha la capacità di tranquillizzarmi. Per quanto la situazione possa essere negativa, Remus è in grado di placare la mia rabbia, la mia angoscia, la mia disperazione.

“E poi sono sicuro che i coniugi Potter sarebbero più che felici di accoglierti a braccia aperte in qualsiasi momento. Loro ti vogliono un gran bene. E anch’io…”

S’interrompe un attimo, scostando lo sguardo e affondando i denti nel labbro inferiore. La mano che mi aveva appoggiato sul petto ricade lentamente sulle coperte.

“voglio dire che in qualunque momento puoi contare su di me. E su James. E su Peter

“lo so” sussurro con un filo di voce. Rimaniamo per qualche minuto seduti l’uno accanto all’altro in perfetto silenzio. Il peso che mi opprimeva la gabbia toracica si sta dissolvendo lentamente, come la ruggine su un rubinetto immerso nell’acido.

“allora” esclama Remus con la voce più allegra che faccia parte del suo repertorio “che ne pensi di una bella colazione?” mi chiede, spostando definitivamente le coperte e alzandosi in piedi. Lo guardo dal sotto in su per un istante e il sorriso sulle sue labbra vacilla.

“magari più tardi, Moony. Preferisco dormire un po’” rispondo, calciando via le scarpe e togliendomi la maglia ancora umida. Con solo i pantaloni e la t-shirt addosso, m’infilo nel suo letto, godendo del calore che le lenzuola ancora conservano. Remus mi rimbocca le coperte, quasi fossi un bimbo piccolo e mi sfiora per un secondo i capelli con la punta delle dita. È bello avere qualcuno che si preoccupa per me. È bello sapere di avere una casa a cui tornare. O che posso portare dentro di me, ovunque vada.

“sarò giù nella Sala Comune quando ti sveglierai” mi dice piano.

Annuisco impercettibilmente, prima che chiuda le cortine del letto per non far penetrare la luce del sole. Non c’è bisogno di dire altro. So che ci sarà. Sempre.

 

***

Domani è un giorno molto importante per me e per festeggiare ho deciso di pubblicare una storia che avevo scritto diverso tempo fa, con protagonisti due dei personaggi che amo di più in assoluto. Spero che vi sia piaciuta…e lasciatemi un commentino così mi fate contenta ^__^

Vorrei ringraziare tutti coloro che mi lasciano sempre una recensione. Alcune mi fanno veramente commuovere! Sei gentilissimi! Grazie infinite…non potete nemmeno immaginare quello che le vostre parole significhino per me!

Un bacione

Egle

   
 
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