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Autore: Pedio Uichi    04/04/2016    0 recensioni
Vedere qualcosa da un'altra prospettiva può solo essere l'inizio di un nuovo modo di affrontare il tutto.
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza un perché me ne stavo seduto con le gambe incrociate nel lungomare dei miei pensieri. In realtà era una cosa così consueta che non mancava giorno che questa insolita e alquanto monotona routine prendesse parte delle mie giornate.

Giorni interi trascorsi tra il dire e il non fare. Un po’ come quando fai una promessa e poi non la mantieni, un po’ come quando ti ferma un poveraccio per strada e dici di non avere una lira ma in realtà stai andando al tabacchi a comprare le sigarette che ti renderanno un poveraccio. Contraddizioni. Preferisco chiamarle così.
Sin da piccolo mi è stato insegnato che le giornate durano 24 ore. Per i più audaci, le 24 ore sono una potenziale arma di riscatto, un qualcosa da sfruttare fino all’ultimo spicciolo di secondo, ma per gli impavidi come me 24 ore sono solo un susseguirsi di eventi uguali l’un l’altro. Un incastonarsi di rimandi che portano alla più critica delle conclusioni: cinico autolesionismo.
E così le mie giornate erano vuote, insipide, prive di qualsiasi contenuto se non il solo “collezionare minuti privi di qualsiasi atto di pura dedizione”.

 

Una mattina di un giorno qualsiasi, mi alzai dal letto con la voglia di strafare: “Oggi è il mio giorno, urlai dentro la mia testa” ebbene, quel giorno finì per essere sempre e solo domani.
Domani è stato un mio compagno di viaggio fantastico. Il giorno in cui conoscerò un persona che si chiama Domani, diventerà sicuramente il mio amico. Anzi, quella persona la conosco già, anche voi la conoscete. Basta soffermarsi qualche minuto allo specchio e come per magia la parola domani sarà stampata sulla vostra faccia. Se non la vedete è perché l’avete nascosta bene tra le rughe della fronte e se non avete ancora le rughe, oppure le celate, sicuramente farete uso di un buon fondotinta, uno di quelli che sicuramente non comprerete domani.
Ad ogni modo, le giornate erano così. Una brutta, insolita, monotona e per di più autolesionista routine che possa esistere in questo mondo.

Vi starete chiedendo qualcosa, no? Se cercate una risposta alla vostra più classica delle domande che “mannaggia la miseria ce l’ho sulla punta della lingua” allora vi do una bella risposta: NO.

NO è una risposta che viene prima della domanda. Per esempio:
- Vuoi….NO…..?
- Che …...NO…..fai?
Così, più o meno.
E NO era soltanto l’inizio, un modo diverso per potere ricominciare da capo. Strano a dirsi ma NO mi stava più simpatico di Domani. Essendo sempre stato un appassionato di giochi in stile “settimana enigmistica” quel NO, aveva quasi preso il posto di Domani. Solo che quest’ultimo era un tantino più lungo.
NO era l’interruzione del Domani, o per lo meno, l’interruzione di qualsiasi cosa che potesse portare al domani.
L’autodistruzione stava per cominciare.


Giorno 1.

 

Buffo. Quando me ne sto seduto con le gambe incrociate penso alle ballerine di danza classica quando fanno la spaccata. Il nesso? penso sempre di riuscire a restare incastrato. Sarà ma credo che un giorno il mio corpo inizierà ad essere così autonomo in questa malsana monotonia che mentre la mia testa dorme, lui inizia a fare quello che vuole. Una sorta di sonnambulismo comandato dalla solita routine.
Una volta sbloccatomi dallo stato “gambe incrociate” a mo di X-Factor iniziai la lenta e insulsa ripresa mattutina. Ah e in quanto a X probabilmente avrei vinto il premio come miglior X-Factorista del momento.
 

La sola cosa che mi portava ad alzarmi dal letto era la conseguente “perdita di tempo”. Come un abile tessitore o sarto che dir si voglia, con ago e filo tessevo le mie doti da mago del perditempo. Sapere gestire una giornata nel migliore dei modi era un’impresa, ma quando ti alzi con la sola voglia di trovare una scusa, allora la giornata diventa più lunga di quanto sembra. Quelle 24 ore non passano mai, a patto di saperle sfruttare nel migliore dei modi. E di modi belli ne conoscevo soltanto uno: pensare.

 

Non ho mai smesso di pensare. Credo che le persone che agiscono di impulso sono state progettate senza la rotellina del pensiero. Che male c’è starsene un paio di minuti a riflettere su cosa o su come potere svolgere una determinata azione? Dal mio punto di vista, nessuno. Però non ero d’accordo con me l’altro me, quello che viveva dentro la mia testa, quello che nasce, cresce e muore sconfortato, ossia il mio pensiero.

Se i pensieri fossero come i figli, per ora sarei padre di tanti bellissimi pensierini. Il punto è che stando ad oggi e allo stato d’animo con cui convivo, sarei un serial killer compulsivo di pensieri.

Quando ti svegli però e inizi la giornata pensando che “cazzo, 24 ore e già è domani” allora ti sei alzato con il piede sbagliato, ecco perché scendendo dal letto iniziavo a gattonare un po’ come i pensieri che mi frullavano per la testa.
Una macchina di pensieri ambulante. Già mi vedo come consulente di pensieri. Sarebbe bello girare un po’ ovunque con un furgoncino lungo i posti più belli del nostro paese ed offrire in cambio a qualcuno pensieri, soprattutto felici, si intende. Però chi vorrebbe mai salire su un furgoncino con una scritta a caratteri cubitali: PensiAMO.
Roba da matti, io stesso non lo farei. A maggior ragione se fosse a pagamento. Ecco perché il mio pensiero è sempre stato gratuito e stando alle ragionevoli circostanze della vita, quando una cosa è gratis è più buona di quando non lo è. Ma i pensieri gratuiti ahimè non sono così buoni da digerire. Non esiste un menù dei pensieri, neanche un catalogo. Il pensiero arriva così come un temporale improvviso. E’ vero, il temporale si capisce che sta per arrivare, ma il pensiero pure. Insomma da qualche parte deve pure scaturire una scintilla che faccia in modo di accendere il nostro piccolo pensiero.  
E a proposito di piccolo: non credo che esista unità di misura per i pensieri. Quando mi sento dire: “Sai, ho pensato molto” oppure “Sono stato un giorno intero a pensare” io non ci credo così tanto. Certo, ho conosciuto anche maghi della sveltina in quanto a “pensiero veloce”, però credo che “molto” e “giorno intero” non siano sufficienti a descrivere l’importanza che si dedica ad un pensiero.
Per me anche un secondo è già sufficiente quasi come la giusta scintilla che caduta sull’erba secca infiamma tutto quanto. Una frazione di secondo, eccolo, tanto per contraddirmi, è l’unità di misura giusta dei pensieri. Quindi, se state cercando l’unità di misura giusta, ebbene esiste anche per i pensieri. “Datemi una frazione di secondo e mi rovinerò la giornata”.

Viva le frazioni di secondo.


Giorno 2.

Già è domani. Insomma sono passate 24 ore e che ho fatto? Ho solo guadagnato del tempo, perdendolo a pensare. Assurdo, quasi mistico e intrigante. Guadagni tempo, cosa quasi impossibile. E pure si può fare. Quando oltre alla monotona vita ti si frappone davanti a te un impegno, quelli a cui sei costretto ad andare, tipo: esame a scuola, incontro di lavoro, dentista per rimuovere una carie, devi saperti gestire il tempo. Ecco che le giornate si accorciano terribilmente. Strano, è tutto troppo strano. Quando sei in FannulloneLandia le giornate non finiscono mai, mentre quando un impegno distrugge la routine quotidiana, il tempo vola.

Sono due giorni che penso e devo dire che Domani diventa sempre più vicino. Però non posso più rimandare, almeno stando a quanto dice l’altro me dentro la mia testa. Mannaggia a lui. Insomma, diamoci una smossa. Tra poche ore devi essere ad un appuntamento importante, quello per cui ti sei preparato per mesi interi, ricordi? (disse il mio insulso pensiero).
Cazzo! Avevo mesi e me ne sono accorto solo adesso?
Come vola il tempo.
Ah già, me ne stavo seduto in posizione X-Factor a pensare. PensiAMO.
PensiAMO credo sia il gesto d’amore più giusto che una persona possa compiere. Però si sa che se ami troppo qualcosa o la distruggi oppure, a mali estremi l’abbandoni. Ecco, non ho fatto altro che abbandonare per mesi il mio obiettivo, per poi ritrovarmi ad un paio di ore dal traguardo finale dell’appuntamento tanto ambito e che sto facendo? Sto pensando. Ancora. Per fortuna l’appuntamento, anche se a breve è soltanto domani. E’ solo mezzanotte e tra poche ore dovrai trovarti di fronte ad un persona e dovrai mostrargli quanto vali.
E quando il mio pensiero dice vali, l’involucro che lo contiene pensa solo alle valigie. Un modo diverso per fuggire, oppure un modo come un altro per impacchettare tutto quanto il più possibile a mo di file zip. Compressione in corso…..

 

Giorno 3

Ok. Allora, stronzo che non sei altro.
Siamo solo io e tu, dannatissimo pensiero. A noi due.

Tra 6 ore dovrei svegliarmi, lavarmi, fare colazione ed andare all’appuntamento. Ma cosa vado a dire? Come posso andare se l’unica cosa che saprò a malapena dire sarà il mio nome. 6 ore, signori.
Rinuncio.
Buonanotte.

Giorno 4

Quando ti svegli all’improvviso per un brutto sogno è un conto, ma quando ti sveglia la vicina di casa con le urla è un altro. Con la sua solita eleganza se ne stava li tutti i santi giorni ad urlare, a detta sua parlava a bassa voce, con l’altra vicina delle più disparate vicende del giorno. Mannaggia a loro. Non ho mai capito cosa hanno da raccontarsi se ogni giorno si raccontano tutto, persino i dettagli più insulsi. Sta di fatto che continuano tuttora a farlo. Il giorno in cui le persone avranno la possibilità promulgare delle leggi, inventerò una legge per metterle a bada, ma per il momento me ne sto a letto.

L’appuntamento. CA**O.
Mi devo muovere oppure arrivo in ritardo.

Preso da una insolita botta di vitalità mi vesto di fretta e furia e faccio colazione sotto la doccia. Certo è che i toast con la marmellata zuppi di acqua non hanno un gran sapore, però quando uno deve porre rimedio a qualcosa inizia a diventare multitasking. Ed è qui che entra il gioco la fortunata unità di misura del pensiero: la frazione di secondo. Se non avessi mai pronunciato la parola multitasking, probabilmente non avrei mai pronunciato le seguenti parole: Quanti di voi, si sono trovati a dover aprire tante applicazioni nel telefono e poi a chiuderle nel multitasking? Alzate la mano, sennò non capisco quanti siete. Bravi. Io pure. Ma perché allora ne apriamo tante se alla fine ne usiamo una alla volta, che senso ha il multitasking? Dovevo smetterla di pensare. Ormai ero quasi sulla soglia del ritardo, o uscivo di casa oppure per me era finita.

So scendere le scale di casa in una frazione di secondo,quasi alla stessa velocità del mio pensiero, soprattutto quando si parla di premura. Ma quando sei in mezzo al traffico e non sei tu a guidare le altre macchine, credetemi ma io impazzisco.
Calmati, mi dicevo, calmati andrà tutto bene.
Manca ormai poco e sei giunto a destinazione. Su, un paio di strade e sei arrivato.
Scendo.
Arrivo all’indirizzo designato. Prima di suonare il campanello do una rapida lettura a tutti quelli che vivono in quel condominio, non si sa mai ci vive una mia ex oppure chissà cosa. I pulsanti attivano sempre in me la voglia sfrenata di cliccarli tutti insieme e scappare, ma non era quello il momento adatto per farlo. Dovevo solo pigiare quello corretto e dire che ero io. E così feci. Davanti a me la porta dell’ascensore sembrava grande quasi quanto quella di un campo da calcio. Il portiere era lì, però non gli ho chiesto in che squadra giocasse. Il mio pensiero aveva preso il sopravvento, stavo soltanto cercando di trovare una battuta pessima per placare la mia mente prima di trovarmi davanti l’obiettivo designato da tempo.
A che piano, signore? Mi chiese il portiere.
Ultimo piano, grazie.

Non sono mai stato un fanatico di ascensori, ma 60 piani non li avrei mai fatti a piedi. Sarei arrivato sicuramente sudato.
1,...2,....3
Guardavo di sottecchi il portiere e pensavo: ma questo che fa su e giù ogni giorno non si annoia? Certo, parlo io che ho trascorso giornate intere annoiandomi dei miei pensieri, figuriamoci lui. Comunque…
55,...56,....57,....58,....59

Siamo arrivati, signore. Disse il portiere con nonchalanche. 59? Avevo detto ultimo piano, il 60. E il portire mi rispose:

Non esiste il 60-esimo piano. E’ l’attico e in quel piano non c’è nessuno che possa accoglierla signore. Piuttosto pensavo che lei stesse scherzando e l’ho portata qui al 59-esimo piano, l’ultimo disponibile. Un po’ come i secondi in 1 minuto. Lei sa come gestirli, vero?
- Rimasi in silenzio.
Vede, continuò il portiere, trascorro le mie giornate dentro un ascensore, sperando che un giorno qualcuno mi chieda di arrivare al 60-esimo piano, un po’ come ha fatto lei oggi. Ho sempre sognato che qualcuno, nella fretta sbagliasse e dicesse qualcosa di insensato. Ed eccoci qui, io e lei fermi ad un piano che non porta a nulla.
Un piano.
Se potessi pianificare la mia vita, probabilmente sceglierei sicuramente di salire le scale a piedi, così passo dopo passo potrei costruire il mio palazzo. Solo arrivato in cima deciderei senza tregua di scendere giù con un ascensore. Ma non salirei mai senza aver percorso tutti i piani gradino per gradino.
Quello che potrei dirle a questo punto è: Ha sbagliato palazzo. Ma mentirei. La verità è che non ha pianificato la sua giornata e nella fretta si è lasciato trasportare dalla convinzione del suo pensiero. Signore, la verità è che in una frazione di secondo un NO può distruggere tutto quanto. E perché abbandonarsi e lasciarsi condizionare da se stessi o da un banale pensiero?
Provi con me, prenda questo pezzo di carta e scriva la parola NO. E si volti.

- Dietro di me lo specchio dell’ascensore, mi rivelò che la parola NO era soltanto l’anagramma di ON. Continuavo a non capire cosa volesse dirmi il portiere.

Mi guardò e mi disse: Vede? Un banale NO, può diventare qualcosa di positivo. Di tanto in tanto bisogna sfogarsi su un foglio di carta, guardarlo allo specchio e scorgere tra le tante parole quella più negativa e vedere che anche quest’ultima ha un suo lato positivo.
Il portiere mi scosse, scesi le scale e andai via. L’appuntamento era ormai saltato e qualsiasi cosa avessi dovuto fare da lì in poi non avrebbe avuto senso. Il signore mi diede una scossa così forte tanto che la negazione non visse più dentro me e ON divenne il mio nuovo si.
 

GiorON 5
La verità è che tutto questo è stato un sogno. Un sogno che ho vissuto ad occhi aperti e che ho condiviso insieme a voi. Il senso di tutto ciò lo lascio alla vostra libera interpretazione, perché non c’è nulla di più originale che interpretare qualcosa mettendoci del proprio, senza lasciarsi condizionare da ciò che viene detto.
L’unica cosa che mi sento di dire è il tempo è solo monodirezionale, sfruttatelo a dovere. Siate positivi e fate del bene a voi stessi impegnandovi e raggiungendo gli obiettivi preposti, il resto è solo insalata di contorno.

Pedio.
  
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