La
rapina
Capitolo uno: Sulla
sponda del lago
Se
c’era una cosa che
Luke Duke proprio non tollerava, era il chiacchiericcio sterile della
gente.
Persone che con ogni probabilità pensavano fosse
indispensabile mantenere una
conversazione sempre viva quando in realtà non
c’era assolutamente niente da
dire. Odiava le pacche di conforto sulle spalle e non sopportava gli
venissero
rivolti sguardi tristi e compassionevoli. Aveva abbastanza
dimestichezza col
dolore da saperselo gestire da solo. Non aveva bisogno di compagnia,
voleva
solo starsene per conto suo. Non c’era modo, altrimenti per
lui, di elaborare
quanto era successo.
Aveva
lasciato la
fattoria quando si era reso conto che non avrebbe trovato quel silenzio
a cui
tanto anelava. La cucina, il salotto e perfino il granaio erano colmi
di
persone le quali volevano offrire il proprio appoggio alla famiglia
Duke.
Apprezzava il gesto, ma ne faceva volentieri a meno. Era saltato nel
Generale
Lee e si era diretto verso il laghetto di Hazzard. Nel bagagliaio erano
rimaste
le canne da pesca che lui e Bo avevano utilizzato solo qualche giorno
prima,
magari si sarebbe seduto sulla sponda aspettando che qualche pesce gli
si fosse
offerto spontaneamente. Amava pescare perché era un sport
silenzioso. Poteva
provvedere alla cena per la sua famiglia e nel contempo poteva
occuparsi dei
suoi pensieri. E di pensieri ne aveva tanti quel giorno. Sapeva che se
fosse
riuscito a radunarli in maniera coerente, avrebbe cominciato a vedere
l’intera
faccenda sotto un’ottica completamente diversa.
Sistemò
la lenza e
posizionò l’esca sull’amo. Si sedette su
un grosso tronco d’albero sbattuto a
terra dall’ultimo nubifragio invernale. Distese il braccio ed
effettuò il
lancio con quanta forza aveva in corpo. Rimase a fissare per qualche
minuto il
galleggiante danzare irregolarmente sul pelo dell’acqua.
Ripercorse
mentalmente ancora
una volta, gli eventi di quella giornata. Qualcuno avrebbe pagato per
quello
che era successo, ne era sicuro. Chiuse gli occhi e lasciò
che la testa gli
cadesse sulle ginocchia. Odiava sentirsi inutile, odiava sentirsi
impotente. Ed
era proprio così che si era sentito quella mattina.
Abbandonò
la canna da
pesca sul prato e si strinse le gambe al petto.
Se
solo fosse entrato
lui in banca.
Se
non avesse preferito
aiutare Cooter a sistemare uno stupidissimo motore nel cofano di una
vecchia Mustang.
“Se
fossi stato al tuo
posto Bo…” sussurrò a fior di labbra.
“Saresti
morto.” La
risposta giunse inattesa da dietro gli alberi che aveva alle spalle.
Luke
si alzò di scatto
e si girò in direzione della voce: “chi
c’è? Enos? Che ci fai qui? Come
sapevi dove trovarmi?”
“Perdonami
Luke, non
volevo spaventarti né tanto meno volevo essere
invadente.” Il vice sceriffo
mosse pochi passi in avanti e si sedette sul tronco. Non indossava la
consueta
uniforme, ma dei semplici jeans e una camicia quadrettata bianca e
rossa. “Ti
ho visto allontanarti dalla fattoria e ti ho seguito.
Ero un po’ preoccupato per te, tutto
qui.”
“Ti
ringrazio Enos, ma
non hai motivo di essere in pensiero per me. Sto benissimo.”
Rispose Luke
recuperando la sua canna da pesca e sforzandosi di apparire tranquillo.
“Amico
mio, da quanti
anni ci conosciamo? Da quando siamo nati più o meno? Posso
sembrare ingenuo a
volte, ma non sono stupido. Non rifilarmi la tua solita solfa:
‘sto benissimo’.
Non stai bene affatto e la frase che ti ho sentito pronunciare pochi
istanti fa
ne è una prova lampante.” Enos, insolitamente
determinato, non era disposto a
lasciar correre. “Tu e Bo mi avete aiutato
un’infinità di volte senza che io ve
lo chiedessi. Se adesso posso fare qualcosa per te e per la tua
famiglia, ne
sarei felice. Soprattutto perché mi ritengo in parte
responsabile di quello che
è successo.”
“Oh
smettila Enos. Non
hai niente di cui rimproverarti. Non pensarci neanche a farti venire i
sensi di
colpa.”
“Se
lo dici tu… e va
bene. Io smetterò di sentirmi in colpa se tu farai lo
stesso. Non puoi
accusarti di qualcosa che non è dipeso dalla tua
volontà. In fin dei conti…”
Luke
interruppe
bruscamente il vice sceriffo: “altroché se posso
accusarmi! Si suppone io sia
il maggiore dei tre, il più responsabile, il protettore.
Dovrei essere io
quello che veglia sui miei cugini più giovani. E invece
guardami ora. Cosa ci
faccio qui senza Bo?”
“Vecchio
mio, ammetto
che sia difficile per me vedervi l’uno lontano
dall’altro, ma ormai è successo
e non possiamo cambiare le cose. Capisco che tu ti senta in dovere di
vegliare
sui tuoi cugini, ma non dimenticare che ormai sono adulti e non hanno
bisogno
di avere una balia continuamente alle calcagna.” Enos aveva
poggiato la sua
mano sulla spalla di Luke tentando così di rassicurarlo.
Il
conforto arrivò
tutto e Luke non poté negare di sentirsi rincuorato dalla
presenza di quello
che considerava a tutti gli effetti, un amico fraterno. Dovevano essere
i
postumi di quella giornata. Si sentiva completamente sfasato. Eppure
credeva di
odiare le persone che cercavano in tutti i modi di alleviare le sue
pene. Ma
come si poteva odiare qualcosa che arrivava da uno come Enos? Era tra
le
persone più buone che avesse mai conosciuto. Retto, onesto,
ligio al dovere,
affidabile.
Tanto
prezioso da
rendersi conto dell’incolmabile perdita, soltanto il giorno
che era volato via
alla volta di Los Angeles.
Decise
che avrebbe
accettato volentieri la sua compagnia, si rese conto di essersi preso
in giro
da solo. Non aveva nessuna voglia di starsene per conto suo a
lambiccarsi il
cervello. Gli erano bastati quei pochi minuti in solitaria sul tronco.
La sua
mente aveva cominciato a vagare ed era arrivata dove non avrebbe mai
voluto. Nel
giro di pochi istanti si era creato da solo scenari tanto drammatici da
farsi
drizzare i peli sulla nuca.
“Dimmi
una cosa, Enos…
perché non hai sparato?” Voglio dire... ne hai avuta
l’occasione e ne avevi tutto il diritto.”
Domandò all’improvviso Luke.
“Pensi
non l’abbia
fatto perché sono un codardo, non è
vero?” Rispose Enos incurvando le labbra in
un mesto sorriso.
“Niente
affatto! Non
penso assolutamente una cosa del genere. Voglio saperlo davvero, Enos.
Perché
non hai premuto il grilletto?”
“Perché
non è facile
Luke. E tu dovresti saperlo meglio di me. Si tratta di un semplice
gesto in realtà, il
cervello non deve far altro che inviare il comando giusto al dito
indice ed è
fatta. E’ sufficiente flettere una falange e ti ergi a
supremo giudice, decidi
della vita o della morte di chi ti sta davanti.”
“Si,
penso tu abbia
ragione. Non è affatto facile premere un
grilletto.”
“Ad
alcuni basta
stringere una pistola tra le mani per credersi invincibili, immortali.
A me non
è mai piaciuto portare armi addosso. Lo faccio solo
perché me lo impone il mio
lavoro ed è una fortuna che qui ad Hazzard non sia mai
successo niente di tanto
grave da costringermi a lasciare la mia fondina vuota.”
“Non
è mai successo
niente, fino ad oggi.” Aggiunse Luke sospirando.
“Già.
Ecco che torna a
galla il mio senso di colpa. Non posso proprio fare a meno di pensare
che a
causa del mio scrupolo di coscienza e della mia esitazione, a
rimetterci è
stato il povero Bo.” Riprese Enos alzando gli occhi al cielo.
“Caro Bo, non
vedeva l’ora di tornare a casa e prepararsi per uscire con
Melinda Sue Robbins.
Era eccitato come uno scolaretto. Era allegro e gioviale come al solito. Sorrideva
perché non
poteva ancora sapere che presto sarebbe finito con la faccia a terra
sul freddo
pavimento della banca.” Concluse Enos alzandosi in piedi e
scalciando con forza
una pietra in direzione del lago.