This Is A Rebel Love Song
-11.So
long time -
Si
stiracchiò lentamente, mentre aspettava che la
macchinetta del caffè finisse di preparare
quell’intruglio caldo che le serviva
per recuperare anche solo una parte di lucidità, giusto quel
poco per
ricordarsi come si chiamasse e in che paese vivesse.
Guardò
fuori della finestra, la tapparella non
completamente alzata creava dei fori di luce che tagliavano
l’aria, il sole
sorgeva sulla città degli angeli. Ogni volta che
ciò accadeva era un emozione
nuova: si sentiva tremendamente miserabile nella sua vita, ma
l’essere arrivata
li, essersi trasferita e essere in grado di vivere da sola, erano una
delle
poche cose che la rendevano viva e che la faceva ricredere sui suoi
pensieri
fissi di inadeguatezza verso il mondo.
La
suoneria del cellulare la risvegliò dai suoi
pensieri.
Avrebbe
dovuto cambiarla, la infastidiva così tanto
negli ultimi tempi che il suo smartphone viveva in modalità
silenziosa.
In
realtà erano anche fin troppe le cose che la
infastidivano negli ultimi tempi.
-Pronto-
affermò con una voce impastata che indicava
tutt’altro che il suono di qualcuno che fosse effettivamente
pronto, oltre al fatto
che aveva risposto senza neanche curarsi di chi fosse il soggetto che
aveva
emesso la chiamata.
-Ma
Buongiorno principessa- dall’altra linea una voce
roca e dal tocco ironico, rivelò prontamente chi fosse il
mittente di quella
telefonata.
-Oddio
scusami- esclamo Ashy-mi stavo facendo il caffè,
ma come al solito la macchinetta non vuole collaborare con me -
-Con
me collaborava invece- affermò Andy con tono
provocatorio.
-Allora
dovresti venire tu a farla funzionare- ammise,
con una vena di sensualità nella voce.
-Anche
se in profondo sonno, riesci comunque a
risultare tremendamente sexy-
-Biersack,
non ci credi nemmeno tu a quello che dici-
La
mora immaginò il cantante che, dall’altro capo del
telefono (e dell’America) stesse corrucciando il labbro in
quel sorrisetto
tanto fastidioso quanto emotivamente devastante
-Io
invece penso proprio di sì…- esitò-
…comunque non
pensavo che mi rispondessi, ma speravo vivamente che
l’avresti fatto, mi sto
annoiando tremendamente… quanto odio le procedure
aeroportuali –
Di
sottofondo, Ashy poté udire quelle voci metalliche
che richiamano i viaggiatori a avvicinarsi all’imbarco, suoni
che aveva sentito
forse un paio di volte nella sua vita.
-Lezione
al mattino- fece pensierosa- ma penso che
farò solo presenza, per il resto dormirò in piedi-
-Ieri
sera sei stata con il tuo amante? -
-Certamente.
In realtà ho passato la nottata
disegnando e cercando di studiare. –
-Lo
dici con un tono preoccupante, che hai? -
Il
cantante capiva che qualcosa non andava, ma la
mora, come da due mesi a quella parte, non parlava mai di se, se non
lasciando
trasparire il velo di tristezza che la accompagnava.
-Mi
manca l’ispirazione. Sono felice che oggi torni,
ne avevo bisogno- troncò il discorso
-Stasera
ne parliamo, davvero però…- una voce acuta in
sottofondo richiamò Andy – scusami principessa ti
devo lasciare, finalmente
partiamo-
-Non
mi chiamare principessa- un tono astioso e
amorevole allo stesso tempo uscì dalla bocca della ragazza.
-A
dopo principessa. -
Era
una guerra persa.
Erano cinque mesi che si frequentavano, e Ashy
ricordava ogni momento di quel lasso di tempo con estrema precisione.
Si
ricordava la prima sera che Andy l’aveva baciata
dopo il suo concerto, di come era tornata all’interno del
club dove avevano
suonato come se nulla fosse a chiacchierare con gli altri, ancora
stordita da
quell’esperienza idilliaca. Si ricordava di come lui, quando
l’aveva
riaccompagnata a casa la stessa sera, aveva aspettato pazientemente che
Kirsten
andasse a dormire per poi baciarla come poche ore prima.
A
quella sera erano seguiti due mesi che non si
sarebbe mai sognata di vivere: studiava, gli esiti degli esami avevano
picchi
che non avevano mai raggiunto, ogni sera Andy andava a trovarla, le
rallegrava
l’umore, la faceva sentire felice, davvero felice.
Felice
come era stata forse solo da piccola, quando
mamma Lauren le aveva regalato un micetto nero con gli occhietti
azzurri e
aveva scatenato l’amore per i gatti che la contraddistingueva
da una decina
d’anni.
Poi
di colpo era cambiato tutto, Andy era partito per
promuovere il nuovo album ed erano tre mesi oramai che non lo vedeva,
Kirsten
si era trasferita lentamente da Luke. Inizialmente
era stata qualche sera, quella che passava con il suo principe azzurro,
che si
era trasformato in qualche fine settimana e che infine era diventato un
trasferimento definitivo.
Ashy
non glielo aveva fatto pesare, l’amica aveva da
sempre espresso il desiderio di convivere con Luke e non
l’avrebbe fatta
sentire in colpa.
Ma
si era sentita abbandonata.
Di
colpo era di nuovo sola.
Il
suo ragazzo (anche se ancora faticava a definirlo
tale) era lontano, quella che era stata la sua migliore amica aveva
deciso di
vivere la sua vita e se ne era andata.
Era
tornata una ragazzina di sedici anni che non aveva
nessuno, vedeva tutto ciò come un abbandono da parte di
quella persona che era
stata l’unica che le volesse davvero bene. Era felice che
l’amica finalmente
aveva raggiunto ciò che voleva, dall’altra parte
si crogiolava nella
disperazione che la sua mente le portava: voci che le ripetevano quanto
fosse
inutile e che fosse colpa sua se l’unica persona che le
voleva bene se ne era
andata, che Andy sarebbe stato come chiunque e che forse non si sarebbe
mai
ripresentato a casa sua, se non per recuperare le cose che aveva
lasciato in
casa sua tre mesi prima.
Non
aveva detto nulla a Andy di Kirsten, non voleva
farlo preoccupare, ma il moro se ne era accorto che qualcosa non
andava: era
distante, quasi apatica, si lasciava andare a qualche manifestazione
affettuosa
solo dopo ore di telefonate e spesso quelle che si permetteva erano
frasi
simboliche.
Era
prosciugata da ogni emozione, non riusciva ad esprimersi
e aveva una paura immensa di lasciare intravvedere troppo, anche se,
analizzando ogni cosa, non aveva più nulla da perdere.
Lui
sarebbe tornato e l’avrebbe trovata in condizioni
considerevolmente pietose, le occhiaie le arrivavano a terra, non
dormiva
decentemente da settimane e non si ricordava quando era stata
l’ultima volta
che aveva messo qualcosa sotto i denti.
Lui
gli mancava tremendamente, e spesso, dopo ogni
chiamata, scoppiava in lacrime. Gli mancava anche dopo pochi secondi
che la
chiamata era stata chiusa.
E
piangeva per ore, ripetendosi che era una cretina
per quello che stava facendo. Alla fine lui sarebbe tornato, doveva
solo
aspettare.
Ma
la paura di perderlo era così forte che non poteva
zittirla, quello che aveva nella testa tornava prepotente a farsi
sentire,
insieme a tutti le emozioni legate al trasferimento di Kirsten.
Durante
le telefonate
cercava di carpire il più possibile della sua vita, sentiva
il forte bisogno di
ascoltare la sua voce e di farsi raccontare anche le cose
più inutili, e spesso
erano le uniche cose che la cullavano finché non crollava
per inerzia nel sonno
più profondo.
-Tornerai
da lei stasera? - chiese Chris, con fare
curioso e gli occhi di chi aveva bisogno decisamente di dormire nel
letto della
propria casa.
-Eh?
– mugugnò il cantante, in un dormiveglia non ben
definito a causa di un jet- lag fastidioso –Penso proprio di
sì, mi preoccupa,
la sento strana-
-Ashy?
- intervenne Ashley, dal posto dietro?
-Si,
lei-
-Ma
è successo qualcosa tra voi? - fece con fare
ammiccante il bassista.
-No,
Ash- rispose Andy con tono leggermente scocciato
–non è il caso, non ci ho mai pensato,
è tremendamente fragile…non la ho nemmeno
mai vista indossare qualcosa che non la coprisse dalla testa ai piedi-
-Davvero?
-
-Davvero
Ash, basta. -
-Io
credo che lei sia speciale, insomma è strana, nel
senso più positivo del termine- si intromettè
Chris -… e poi sai che piena di
tatuaggi? Una volta ne abbiamo parlato, quel giorno che stavamo
registrando-
-DAVVERO?
- esclamarono in coro Andy e Ash, stupiti.
Il
cantante non aveva idea che quella che poche ora
prima aveva chiamato “principessa” fosse tatuata.
Non che per lui fosse un
problema, ma la cosa lo attraeva.
Dopo
il breve intervento di Ash, la sua mente si
riempi di pensieri decisamente poco casti.
Lo
intrigava vedere le decorazioni d’inchiostro che i
tatuaggi aveva formato sulla pelle candida della giovane.
Sapere
in quali punti essi arrivavano.
Scacciò
immediatamente il pensiero. Era troppo fragile
per un pensiero come questo. Non aveva mai parlato con Ashy di qualcosa
di
concreto ed era sicuro di cosa avrebbe potuto pensare la ragazza in
merito.
Si
era decisa a interrompere il suo ozio emotivo per
farsi una doccia e ricomporsi.
Aveva
salito le scale pesantemente, percorso il
corridoio ancora più lentamente, curandosi bene di non
guardare la porta chiusa
dove qualche tempo prima dormiva la coinquilina.
Angel
l’aveva seguita zampettando qua e là,
aspettandola tranquillamente davanti la porta che la sua padrona dalla
dubbia
sanità emotiva arrivasse alla porta.
Ashy
aprì la porta e si svestì, perdendosi ad
osservarsi nello specchio mentre aspettava che l’acqua
raggiungesse una
temperatura decente: nonostante quello di essere così magra
era sempre stata uno
dei suoi sogni più lampanti, una luce nella sua testa le
sussurrava che stava
raggiungendo un punto di non ritorno e non nel senso positivo che aveva
sempre
sognato.
Osservava
come le ossa spuntavano violentemente da
sotto la pelle, cambiandone l’anatomia, modificando la forma
dei disegni che
portava sulla pelle da due anni. Le faceva senso tutto ciò.
Si
infilò nella doccia, lasciandosi crollare sul muro,
facendo sì che l’acqua bollente, nonostante la
temperatura esterna del mese di
agosto, le corresse sulla pelle pallida fino ad arrossarla. Chiuse gli
occhi,
sperando che i pensieri se ne andassero con quel gesto, come se
chiudendo la
sua finestra sul mondo potesse chiudere ogni collegamento ai suoi
ricordi.
Uscì
dalla doccia solo quando sentì Angel grattare con
le zampine sul vetro opaco, si raccolse i capelli e si
asciugò sommariamente.
Percorse
la distanza tra il bagno e la sua camera più
rinvigorita di prima, ma sempre con una lentezza innata.
Fisso
per dieci minuti buoni l’armadio, per poi
rinunciare e indossare i pantaloncini corti e la canottiera che aveva
buttato
alla rinfusa sul letto qualche giorno prima. Si lasciò
sfuggire un verso di
disapprovazione verso lo stato in cui era la sua camera, guardando
astiosamente
dagli abiti sui mobili fino ai fogli riguardanti qualche quadro di
Monet caduti
per terra.
Scese
le scale al buio, senza perdersi ad accendere la
luce come da sua consuetudine, e uscì sul balcone con un
pacchetto di sigarette
appena iniziato.
Era
appena riuscita ad accenderla, dopo dieci minuti
buoni grazie al vento immotivato per una giornata di giugno, quando il
rumore
odioso del campanello protestò per essere stato usato con
troppa enfasi.
Ashy
lanciò un veloce sguardo all’orologio.
23.59.
Il
pensiero di Andy le attraversò la mente tanto
velocemente quanto ci mise a attraversa la casa, per poter aprire la
porta
d’ingresso, mentre un sorriso da parte a parte gli
spuntò sul viso
fulmineamente.
Girò
velocemente la chiave, ritrovandosi davanti il
cantante moro che aveva sognato insistentemente negli ultimi mesi, nel
suo
metro e novanta di altezza, radioso come il sole e bello come una
divinità
greca.
-Bentornato-
asserì Ashy timidamente.
Lui
non rispose, entrò in casa lentamente, chiudendo
la porta dietro di sé e lasciando cadere la valigia con un
tonfo sordo al suolo
per poi avvicinarsi e stringendo istintivamente la ragazza che aveva
davanti a
se.
-Bentornata
a te- proferì.
"Fu
un attimo, ma
l’eternità."
L.
Pirandello, Uno, nessuno e
centomila
Angolo
dell’autrice:
Bene,
non scrivo, non pubblico e non
aggiorno dal maggio 2014.
Ultimamente
ho sentito urgentemente
il bisogno di concludere questa storia, anche se ne ho poca fiducia
perché ho
totalmente la mano con la scrittura, rispetto a un paio di anni.
Sarebbe
carino se mi faceste sapere
con una recensione cosa ne pensate c:
Knives.