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Autore: shimichan    05/04/2016    5 recensioni
[Post Organizzazione] [ShinShiho paring]
Se è vero che nessun paradiso può durare a lungo se vi convivono un uomo e una donna come se la caveranno lo Sherlock Holmes del Terzo Millennio e l'ex donna in nero a condividere lo stesso tetto?
#1. Trasloco [ovvero quando la distanza non conta ]
#2. Scatoloni [il segreto di una relazione sta nel compromesso]
#3. Risveglio [nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
#4. Cinema [ovvero mai fidarsi dei poliziotti felicemente sposati]
#5. Gelosia [di diete, tradimenti e bruciante passione]
#6. Detective Boys [di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
#7. Amici [metti una sera, a cena...]
#8. Agasa [di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
#9. Esperimento [pronto a tornare cavia, Kudo?]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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#8. Agasa
[di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
 
 
I minacciosi borbottii del bollitore si spensero nell’aria quando Agasa ne schiacciò il tasto alla base, afferrando la tazza con le bustine di thè già aperte per versarci dentro un’esigua quantità d’acqua. Lo voleva forte per renderlo un degno surrogato della caffeina cui Shiho l’aveva costretto a rinunciare. «Motivi di salute» aveva detto, squadrandolo con uno sguardo tanto serio che sembrava essergli rimasto appiccicato addosso.
Si girò di scatto, come ad assicurarsi di essere solo, e sospirò alla vista degli sgabelli desolatamente vuoti.
Era strano scendere le scale, la mattina, e non trovarla in cucina, intenta a sfogliare una rivista con la classica espressione imbronciata e l’immancabile tazza di caffè sotto il naso, ma, allo stesso tempo, questo gli permetteva di farla franca e bere l’infuso nero e corposo di ben due (!) bustine. Shiho, infatti, che aveva accettato quel nuovo metodo controvoglia perché riteneva l’infusione più salutare, non glielo avrebbe mai concesso.
«Professore, sa che il 30% delle morti naturali avviene perché si trascura la pressione alta?» mormorò tra sé e sé, dentro un sorrisetto soddisfatto, che mantenne più o meno tre secondi, il tempo impiegato dall’eco di quella scialba imitazione ad esaurirsi.
Si sentì triste all’improvviso. La verità era che, per quanto l’assenza di Shiho avesse i suoi risvolti positivi, ad Agasa mancava qualcuno di cui occuparsi e che si occupasse di lui a sua volta. Scosse la testa per scacciare quei ridicoli pensieri.
Aveva sempre rifiutato l’idea di diventare un vecchio piagnucolone; e poi il rimedio ai propri malumori era a portata di mano, o meglio di occhio. Gli bastò, infatti, volgere lo sguardo al lato visibile villetta confinante per avvertire una risatina divertita salirli in gola.
Le tende del secondo piano era già scostate e questo significava che la pazienza di Shiho sarebbe durata ancora quanto un fiammifero acceso. Non occorreva compiere un grande sforzo di fantasia per immaginare che, dopo svariati tentativi di far alzare il fidanzato dal letto, la ragazza sarebbe ricorsa a metodi più drastici. Infatti, poco più tardi, la finestra si aprì e, seppur attenuato dalla distanza, Agasa udì distintamente l’urlo di Shinichi.
Non cambierà mai, pensò mortificato dall’idea che, nonostante un’intelligenza superiore alla media, il giovane detective non avesse ancora imparato come evitare i risvegli violenti, cui Shiho era costretta a ricorrere per impedire ad entrambi di arrivare in ritardo a lavoro.
Questo gli ricordò che anche lui aveva le proprie mansioni da sbrigare.
Da buon abitudinario, quindi, terminò la colazione e indossò una vecchia giacca, logora, ma perfetta per il compito che doveva assolvere: proteggerlo dalla fastidiosa aria mattutina mentre abbeverava i fiori. Il giardinaggio era un hobby imposto perché Shiho aveva insistito nel voler piantare dei fiori lungo il vialetto al fine di rendere quella casa meno fatiscente, promettendogli che se ne sarebbe presa cura lei stessa. Poi, però, si era trasferita e, sebbene gli avesse rinnovato le sue buone intenzione, alla fine gli impegni le impedivano di assolverle.
Tuttavia Agasa doveva ammettere di non trovare affatto gravoso quel compito, anzi: passare un’oretta all’aperto gli metteva allegria e giovava anche alla sua schiena . 
Uscì, quindi, dal retro, riempì l’innaffiatoio e si avviò verso il vialetto giusto in tempo per incrociarla.
«Buongiorno».
«Buongiorno, profess-» s’interruppe nel vederlo dar acqua alla bordonata e contrasse il volto in un’espressione rammaricata. «Ma non deve…ci avrei pensato io questa sera».
Agasa inarcò le sopracciglia in una forma tale da renderle eloquenti. Ciò non sarebbe accaduto, lo sapevano tutti e due, e Shiho, che per sua natura non amava essere di peso agli altri, si crucciò ancor di più. Il dottore si sentì in dovere di rassicurarla.
«A me non dispiace e poi c’è molto altro da fare qui».
Shiho sospirò, non trovando nulla da obiettare davanti ad una motivazione tanto semplice quanto inattaccabile.
«Se ha bisogno, comunque…».
«…non esiti a chiamare» terminò Shinichi, comparendo alle sue spalle.
Uno sbuffo dal naso, la mano serrata attorno le stringhe della borsa, il modo di acconciarsi i capelli dietro un orecchio: una sequenza di piccole manifestazioni d’irritazione che Shiho mise in atto, forse involontariamente, di cui il professore si accorse a differenza del detective.
Shinichi, infatti, era troppo concentrato a sistemarsi la camicia, che nella fretta aveva abbottonato male, per notare anche l’occhiataccia rivoltagli da Shiho.
«Dormito bene?».
«Splendidamente. Peccato non possa dire di aver avuto un risveglio altrettanto dolce».
«Non hai gradito la brezza mattutina?».
Ridusse gli occhi a due fessure e li puntò in quelli di lei, sempre difficili da sfidare indipendentemente da cosa ci vedeva bruciare dentro. Stava sorridendo, un sorriso furbo che le occupava metà della bocca ed era destinato a non completarsi mai.
«Magari ci sarei riuscito se mi avessi lasciato almeno il lenzuolo!».
«Senti se-».
«Ragazzi!».
Entrambi si voltarono verso il professore che, vistosi costretto ad alzare la voce per placare quel rapido scambio di battute, aveva abbandonato l’annaffiatoio a terra e teneva le mani protese in avanti come se potesse afferrare la tensione e spezzarla. Sorpreso dal esser riuscito ad attirare la loro attenzione, Agasa si ritrovò a fissarli in silenzio, preoccupato al contempo di venir coinvolto nella discussione.
Fu Shiho a rompere gli indugi. «Meglio che vada. Si è fatto tardi» sentenziò, salutando con un cenno del capo il dottore e ignorando del tutto il fidanzato, cui suggerì solamente di allacciarsi le scarpe.
«Non vorrai che i criminali ti sfuggano perché inciampi sui lacci, vero Kudo?».
Shinichi trasse un profondo respiro, preparandosi a replicare, ma il professore tossicchiò denegando il capo, in un tacito consiglio a lasciar perdere, così si limitò a premere un dito sotto l’orbita e a tirare la pelle dello zigomo verso il basso, mostrando la lingua, mentre la figura di Shiho si dileguava dal quartiere.
Agasa lo fissò, accigliato da quella prova d’immaturità. «Shinichi, dovresti essere più accondiscendente nei suoi confronti».
«Io?!» ribatté, ferito dall’ennesimo alleato che gli voltava le spalle e lo colpevolizzava di essere causa dei malumori della compagna.
«Se la smettessi di passare intere notti sui casi, invece di riposare, la mattina non avresti difficoltà a svegliarti» suggerì, massaggiandosi le tempie, esasperato dalla scarsa propensione del giovane a comprendere non solo la psicologia femminile, ma anche l’intero ecosistema lavorativo. La reazione di Shinichi fu inattesa.
Si limitò, infatti, ad appiattire labbra e sopracciglia poiché il vecchio aveva completamente frainteso.
«Guardi che non è sempre colpa dei casi se non dormo la notte».
Ecco. La spiegazione che Agasa non si aspettava e di cui avrebbe preferito non esser reso partecipe. Per il professore lui era sempre il piccolo Shinichi, che si presentava puntualmente al suo cancello con le ginocchia sbucciate a chiedere indietro il pallone finito sulle sue aiuole, e Shiho era sempre la piccola Ai, che teneva sotto controllo la sua dieta e gli avvolgeva le spalle in una coperta quando si addormentava davanti al computer. E nella sua mente, il piccolo Shinichi e la piccola Ai si addormentavano presto e su letti rigorosamente separati.
«Si sente bene?».
Agasa annuì distratto, consapevole che il colorito del viso fosse evaporato e avesse fatto spazio ad un rosso acceso.
«Io…beh…è…è meglio che rientri».





 
  
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