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Autore: JustAGuyWithNoVoice    05/04/2016    0 recensioni
Seconda metà del XIX secolo, Asia. Le acque dell'oceano indiano sono solcate da migliaia di vascelli, mercantili, per lo più di origine inglese; insieme ad innumerevoli navi di pirati malaysiani, bangladesi, filippini ed anche inglesi, molti dei quali corsari al soldo di Vittoria. Tra queste, però, una nave in particolare riesce a terrorizzare qualunque marinaio solo al sentir pronunciarne il nome: la Royal Serpent. Quella nave, la sua ciurma e il suo Capitano sono il terrore di ogni mercantile inglese, di ogni corsaro tanto stolto da farsi corrompere dalla corona.
E quando una nave, una ciurma, un Capitano del genere decidono di mettersi a caccia di una leggenda, allora anche i demoni si destano dal loro sonno eterno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Capitano provò a nuotare verso la superficie, ma le forze lo abbandonarono quasi subito. Senz’aria e senza speranza, nemmeno la fioca luce della luna riusciva ad illuminare quel fondale così profondo ed oscuro. Ismael si trovò in fin di vita, come già gli era successo molte volte in passato; l’unica differenza era che le altre volte aveva sempre avuto una via di fuga. O una qualche possibilità di sopravvivere. Così, mentre i polmoni pieni d’acqua salata continuavano a bruciare come metallo fuso dentro il suo petto, il Capitano chiuse gli occhi e allargò le braccia. La Mietitrice di anime in fondo aveva ragione, e tra poco sarebbe arrivata a riscuotere il suo premio. L’anima dannata di un pirata troppo pieno di sé, troppo temerario, che non seppe mai stare al suo posto.

E per quanto la Mietitrice avesse una gran fretta di accaparrarsi quell’anima, quella sera decise di aspettare ancora un po’.

Ismael era ormai pronto a lasciare quella vita e discendere nelle profondità dell’inferno, quando sentì qualcosa avvolgergli il ventre, ed iniziare a stringerlo come le spire di un serpente. La morsa si fece più stretta ogni secondo, ed il Capitano sentì i polmoni comprimersi fino ad esplodergli nel petto, gli occhi quasi gli schizzarono via dalla testa, le ossa si frantumarono e i muscoli si lacerarono. Per un attimo credette di essere morto, ma ciò che lo aspettava era molto peggio.

Si ritrovò, dopo qualche secondo, a fluttuare nel vuoto, ansimando. Teneva gli occhi chiusi e stringeva i pugni, mentre prendeva a fatica grandi boccate d’aria. Aria molto densa. Aria salata, umida.

Acqua. Stava respirando acqua. Prima di poterlo realizzare, però, un’ombra cupa oscurò gli ultimi flebili raggi lunari che filtravano dalla superfice.

«Dove lo hai nascosto!? » Tuonò una voce profonda, che costrinse il Capitano ad aprire gli occhi e guardare di fronte a sé. Nient’altro che buio. «Ho rivoltato la tua dannata bagnarola da cima a fondo!! Dove lo hai messo!?! » Urlava spazientito, l’essere nell’ombra, mentre Ismael si trovò incapace di rispondere. «Cosa c’è, il pesce gatto ti ha mangiato la lingua?! Parla!! » Continuò a sbraitare, per poi aspettare una risposta. Però Ismael, con la bocca spalancata, non riusciva ad emettere un solo suono. Rimasero nel silenzio per svariati secondi, finché l’altro non parlò di nuovo. «Mh. Già, a voi umani serve l’aria per parlare… Che esseri inutili. » Sospirò pesantemente, esalando dalle fauci una corrente che spinse  Ismael indietro di svariati metri. Dopo qualche attimo, una bolla d’aria emerse dal fondale ed avvolse il Capitano, che iniziò a tossire, annaspando. «Chi… Chi sei tu? » Mormorò piano, rivolgendo uno sguardo verso il buio davanti a sé.

«Hah! Io ho molti nomi, mortale. Alcuni mi chiamano mostro, altri demone, ma non sono nulla di questo. » Parlò lentamente, mentre nel buio due punti rossi iniziarono a brillare sinistri. «Io sono Wheke Ka Wata, il dio del mare. » I due punti sembrarono avvicinarsi al Capitano. «E tu… hai qualcosa che mi appartiene. »

Il dio del mare, dicendo queste parole, aveva deciso che si era stancato del buio; così dal nulla evocò un pesce vipera, che brillò come una lucciola in mezzo ai due. Ovviamente un solo pesce non sarebbe stato capace di illuminare il fondale marino, ma l’onnipotente dio del mare, Wheke Ka Wata, a questo non ci aveva pensato.

«Hm. Non so davvero cosa mi aspettassi. » Brontolò il dio con la sua voce rauca, mentre Ismael, nella sua bolla, scuoteva il capo incredulo. Sperava che fosse solo un brutto sogno, e in quel momento si ripromise di non mangiare mai più stufato di granchio andato a male. Intanto, davanti agli occhi del Capitano si presentava una scena incredibile.

Dal fondale, una dopo l’altra, iniziarono a spuntare le flebili luci prodotte da delle sottili alghe, che puntellarono il buio dell’oceano come migliaia di stelle su un cielo notturno. Insieme alle alghe, però Wheke aveva evocato rane pescatrici, piovre giganti e migliaia di minuscoli plankton luminosi, per far compagnia al pesce vipera di prima. In un attimo, il buio fondale venne illuminato a giorno dai lumi sommersi che popolano l’oceano. Ismael non poteva credere ai suoi occhi pieni di stupore e meraviglia. Ed orrore e disgusto. Al di là delle rane pescatrici, i plankton ed il solitario pesce vipera, una creatura lo stava fissando con i suoi occhi di fuoco. Era alto due volte e mezzo l’albero maestro della Royal Serpent che gli giaceva accanto insieme al relitto del veliero: una creatura alta più di sessanta metri. La sua pelle era spessa, squamosa, di color verdastro, ed era ricoperta da innumerevoli creature marine, coralli, alghe, piccoli pesci. Almeno venti tentacoli uscivano dalla parte inferiore del suo corpo, come un fascio compatto, e si dividevano al contatto con il fondale per sostenere il suo immenso peso; nella parte superiore, altri cinque tentacoli s’intrecciavano su ogni lato, e formavano delle lunghe appendici simili a braccia. La sua testa deforme sembrava quella di uno squalo, con piccoli denti aguzzi, seghettati, che incutevano terrore solo a guardarli. E quegli occhi che fissavano Ismael, sembravano essere piccole sfere di fuoco pronte ad incendiare l’intero oceano.

Wheke Ka Wata riuscì in un secondo a far provare ad Ismael qualcosa che aveva ormai aveva dimenticato da tempo. Gli occhi continuavano a fissare il mostro e le mani non smettevano di tremare, le gambe cedettero ed il Capitano cadde in ginocchio sulla robusta parete della bolla. Annaspava, gli venne voglia di urlare ma riuscì ad emettere solo un flebile gemito. Rimase immobile, pietrificato, mentre il mostro allungava uno dei suoi tentacoli per sfilarlo da dentro la sua comoda bolla e portarlo più vicino a sé. L’arto penetrò dentro la membrana con facilità, e con un veloce movimento provò ad avvolgere il torso dell’uomo. Ancora una volta, Ismael si sentì impotente di fronte al destino, e decise che forse quello era il giorno in cui avrebbe smesso di combattere contro il fato.

O forse, forse quel giorno era ancora lontano.

Strinse i pugni e chiuse gli occhi, prese un profondo respiro. Sentì il petto bruciare come roccia fusa, ed il calore iniziò a riscaldargli le membra. No, non era il petto. Era qualcosa nel suo petto. Il tentacolo si ritirò, scottato da quel calore che fece sfrigolare l’acqua attorno al capitano, in una miriade di bollicine. La sua giacca prese fuoco, e così anche il resto dei suoi abiti sbrandellati, che si vaporizzarono in un istante. Nello stesso istante, Wheke Ka Whata capì il suo tremendo errore di valutazione. «Non l’hai nascosto! Ce l’hai tu! » Urlò tanto forte da spazzare via ogni alga, ogni plankton ed ogni pesce attorno a sé; l’unica fonte di luce, adesso, era il piccolo sole sommerso che una volta era stato il Capitano Ismael. «Dannato umano!! Non è finita qui!! » Urlò più forte, indietreggiando sempre di più, mentre il fuoco dei suoi occhi svaniva nel fuoco di Ismael, mille volte più brillante di qualsiasi stella e cento volte più caldo di qualsiasi sole.

Wheke Ka Wata svanì nell’ombra, da dove era venuto. Pochi secondi dopo, il fuoco si spense ed Ismael svenne.

Nel buio del fondale, il suo corpo venne trascinato via dalla marea.

   
 
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