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Autore: Love Your Sin    05/04/2016    3 recensioni
Magnus/Alec; Jace/Clary; Simon/Isabelle
Capitoli: 8/8
Neighbors!AU
Modern setting!AU
||TRADUZIONE||
[Alec non ha mai fumato. Ha sempre odiato il fumo e tutto ciò che lo riguarda, a partire dall’odore sino al sapore. Ma eccolo, alle dieci di sera, a comprare un pacchetto di sigarette nel piccolo supermercato alla fine della strada, con l’unico scopo di avere una scusa per poter uscire sul balcone e parlare con il suo bellissimo vicino senza ombra di dubbio impegnato. Alec si sente veramente stupido, in quel momento.]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Eccomi di nuovo con un'altra traduzione! Dovete sapere che io sono una grandissima fan di Shadowhunters e che, finalmente, dopo tre anni e mezzo di appartenenza al fandom sono finalmente riuscita a vedere su schermo un bacio Malec! Per cui, dopo l'uscita dell' 1x12 dell'omonimo telefilm, non ho potuto resistere alla tentazione di cimentarmi nella stesura di una fanfiction Malec. Purtroppo, però, ero a corto di idee e dato che ho trovato questa stupenda AU, ho deciso che, perchè no, avrei potuto tradurla! La storia è veramente stupenda, ha solamente 8 capitoli, ma sono piuttosto lunghi. Vi lascio link di storia originale e vari social dell'autrice alla fine. Non li ho ancora tradotti tutti, solo il primo a dire il vero ma hei, ho appena scelto di tradurla. Conto di pubblicare almeno un capitolo a settimana, anche se gli aggiornamenti potrebbero subire delle alterazioni (sia in meglio che in peggio, non si sa mai).
Come il solito io mi prendo i meriti solamente della traduzione, che non è stata poi una passeggiata, ma comunque abbastanza semplice, considerando che l'autrice è francese, l'inglese non è la sua lingua madre, pertanto usava un vocabolario piuttosto accessibile. 
Viva i Malec, che siano benedetti loro e Cassandra Clare che è il mio Dio e mi ha permesso di avere una ship, almeno una, che sia fonte di felicità e scleri interiori.]
  • La storia originale la trovate qui e invece qui trovate il permesso dell'autrice;
  • L'autrice è Lecrit e potete trovarla su AO3 e tumblr;
  • Il paring principale è Magnus/Alec, ma c'è anche la presenza di Jace/Clary, Simon/Isabelle e Luke/Jocelyn;
  • Il banner è mio e non dell'autrice;
  • I personaggi non mi appartengono. Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo. 



 

STEP ONTO MY BALCONY


“You had to deal every day with people who
were foolish and lazy and untruthful and downright unpleasant,
and you could certainly end up thinking that the world
would be considerably improved if you gave them a slap.”

(Terry Pratchett)

 
“Non ti ha informato nessuno del fatto che fossimo nel bel mezzo di una tempesta a New York, amico?”
Okay, probabilmente Magnus stava indossando una camicia bordeaux a malapena abbottonata, senza giacca, e un paio di pantaloni beige in chino stretti da una cintura in pelle che urlavano estate. Quando aveva lasciato Londra, quella mattina, la giornata era sorprendentemente calda per essere fine settembre e, poiché odia sudare in viaggio, si era vestito di conseguenza. Non aveva pensato di controllare come fosse il tempo a New York prima di partire. Perciò eccolo, vestito in modo completamente inadatto, quando l’autista del taxi lo aveva disturbato con quell’uscita poco scaltra. Non gli interessava, a dire il vero.
Guardando fuori dal finestrino, mentre attraversavano la città, tutto ciò a cui riusciva a pensare era quanto gli fosse mancata New York. Non se ne era reso conto fino a che non era atterrato, non aveva appoggiato i piedi a terra e aveva realizzato di essere, finalmente, a casa.
Erano passati cinque anni da quando aveva visto per l’ultima volta New York e sembrava quasi di aver rincontrato un vecchio amico; era famigliare e accogliente.
“Da dove vieni?” gli aveva chiesto l’autista, quando non aveva risposto alla sua prima domanda.
“Da qui” aveva risposto Magnus. “Ma sono stato via per un po’.”
“Oh, non esiste alcun posto come casa propria” era intervenuto l’uomo, con un largo sorriso genuino “Dove sei stato?”
“Asia, Europa, Africa, Perù¼un po’ qui e un po’ qua” aveva detto, alzando le spalle. “Una sorta di giro del mondo, immagino.”
L’uomo aveva annuito nello specchietto retrovisore, pensieroso e improvvisamente interessato. Magnus avrebbe potuto parlare per ore e ore di tutti i fantastici posti che aveva visitato, di tutte le magnifiche persone che aveva incontrato, di tutto il meraviglioso cibo che aveva provato. Al momento, però, voleva solo andare a casa, farsi una doccia e ritrovarsi con la sua famiglia su di giri. Si chiese se si sarebbe sentito di nuovo a casa, dopo così tanto tempo.

Era strano realizzare che, dopo cinque anni, l’appartamento di Luke fosse ancora casa, come se fosse stato via a malapena una settimana. La prima cosa che lo aveva colpito, non appena aveva aperto la porta, era stato l’odore dei vecchi libri sparsi tutt’intorno, di nuovo familiare e accogliente. Poi c’era stata la voce di Clary, che era giunta alle sue orecchie, risonante, dal soggiorno. Aveva sorriso, lasciando i bagagli sul pavimento il più silenziosamente possibile e si era mosso leggiadramente, quasi sulla punta dei piedi, per far loro una sorpresa. Si era fermato quando aveva sentito il suo nome, pronunciato da una voce corrucciata.
“E se ha cambiato idea?” stava chiedendo Clary, ad alta voce, una nota di apprensione nel tono che aveva fatto accigliare Magnus. “E se non tornasse a casa?”
Luke aveva risposto, il suo tono gentile e premuroso aveva attraversato la stanza come un colpo. “Certo che torna a casa, Clary.”
“Clary, Magnus è un idiota, ma è un uomo di parola. Se ha detto che sarebbe tornato a casa, lo farà sicuramente!” aveva detto un’altra voce, identificata con quella di Raphael.
“Lo so, lo so, ma avrebbe già dovuto chiamare, Raphael!” aveva protestato Clary. “Doveva farlo non appena sarebbe atterrato.”
“Giuro su Dio, Clary, che se non stai ferma ti lego al pavimento” aveva ringhiato un’altra voce, vagamente infastidita che, questa volta, Magnus aveva riconosciuto come Simon.
Aveva fatto un passo avanti, pronto a sorprenderli, ma nessuno lo aveva notato sulla soglia. Per cui era rimasto lì, fermo, con un sorrisetto sul viso, ad aspettare che qualcuno lo notasse. Non lo facevano ed era divertente.
Luke e Jocelyn erano seduti sul divano, i loro corpi a stretto contatto, mentre Clary camminava avanti e indietro, mordicchiandosi le unghie. Accanto a lei, Simon la guardava disperato, come se non sapesse più cosa fare per calmarla. Vicino a lui, più o meno con la stessa espressione, c’era Raphael, i capelli tirati indietro, gli occhi neri lampeggianti di preoccupazione, affetto e irritazione, perché non sarebbe stato Raphael se non fosse sembrato almeno un po’ infastidito nel trovarsi lì.
“Vorrei solo che fosse puntuale” aveva sospirato Clary.
“La puntualità non è mai stata il suo forte” era intervenuta Jocelyn, con un sorriso che voleva dire tante cose, una tenerezza che le aveva visto nello sguardo solo quando parlava di Clary o Simon. Gli aveva riempito il cuore con un calore immenso.
“Oh, ma ho altre magnifiche qualità per compensare a quella mancanza” aveva detto, finalmente, divertito.
Cinque teste erano scattate a guadarlo sulla soglia.
A Magnus era sempre piaciuto fare grandi entrate e questo non sarebbe cambiato, almeno non così presto. Raphael e Ragnor, solitamente, alzavano gli occhi al cielo quando succedeva, per cui era molto meglio avere un pubblico sveglio e ricettivo. Il silenzio non era durato a lungo, ma abbastanza perché potesse ringraziare per la sua originalità, prima che Clary si gettasse tra le sue braccia.
“Magnus!” aveva gridato, quando quel momento di perplessità era finito.

Aveva corso attraverso la stanza per avvicinarsi a lui, per poi stringerlo forte tra le sue braccia, come se avesse paura che potesse sparire. Magnus l’aveva stretta, le braccia a circondarle la vita e una risata felice. Non la vedeva da due anni, da quando gli aveva fatto visita a Parigi con Simon, e le era mancata immensamente.
Non aveva realizzato quanto velocemente il tempo fosse passato. Quando aveva lasciato New York, Clary aveva diciotto anni, si era a malapena diplomata. E ora stava per laurearsi all’istituto artistico. Sembrava essere passato in un batter d’occhio e, mentre si allontanava da Clary per abbracciare Jocelyn e Luke, che lo avevano raggiunto, aveva pensato che, in fondo, lo scorrere di quei cinque anni lo aveva percepito. Gli sorridevano e lui ricambiava, felice, il cuore che si gonfiava alla vista di tutti i suoi cari. Dopo essere sfuggito alla stretta spacca-ossa di Luke, aveva osservato la stanza, per visualizzare Simon a pochi metri di distanza da lui.
“Sherwin!” aveva esclamato, allegro. “È bello vederti di nuovo.”
Simon aveva alzato gli occhi al cielo e sbuffato, avanzando per poterlo così abbracciare.
“Te ne vai per cinque anni e ti dimentichi persino il mio nome?” aveva detto, con tono derisorio, picchiettando gentilmente con la mano sulla schiena dello stregone. “Mi fa piacere sapere di esserti mancano, Magnus.”
“Ovvio che mi sei mancato, Sherwin.”
Il tono era indifferente, ma in netto contrasto con il sorriso gioioso che illuminava entrambi i loro volti. Magnus si era poi voltato verso l’ultima persona presente nella stanza. Raphael si era avvicinato per stringergli la mano, sempre il più distaccato tra tutti, e Magnus lo aveva sbeffeggiato, afferrando la mano che gli aveva porto per tirarlo in un abbraccio.
“Cosa ti serve a fare il cellulare se poi non lo usi per chiamare e farti dare un passaggio dall’aeroporto?”  aveva riso Raphael.
“E perdere l’occasione di fare un ingresso del genere?” aveva risposto, argutamente. “Dove sarebbe stato il divertimento?”
Raphael aveva alzato gli occhi al cielo. “Non ti ha avvisato nessuno che qui a New York fa freddo? Che cavolo hai addosso?”
“Sta’ zitto, Raphael” lo aveva zittito Magnus con un movimento esagerato della mano. “Faceva caldo a Londra, quando me ne sono andato. Vi voglio bene, davvero, ma ora ho bisogno di una doccia, poi ci possiamo aggiornare.”
“Conosci la casa” aveva risposto Luke gentilmente, un piccolo sorriso paterno a incorniciargli le labbra.
Magnus aveva annuito per poi dirigersi verso il bagno. Conosceva la casa. Era stato cresciuto in quell’appartamento.

Luke e suo padre erano stati amici per anni, da quando erano stati compagni di stanza al college al giorno in cui suo padre era morto, anni prima. Luke era stato il suo padrino e la cosa più vicina ad una famiglia che avesse mai avuto. Perciò, quando suo papà era morto a causa del cancro, dato che sua madre li aveva abbandonati poco dopo la sua nascita, Luke lo aveva adottato e si era preso cura di lui. Magnus era un uomo adulto, ora, ma lo guardava ancora come il bambino orfano che aveva preso con sé. Si chiedeva sempre se fosse doloroso riconoscere suo padre in molti suoi tratti. Si assomigliavano molto, ma non erano le somiglianze fisiche le più impressionanti. Sapeva di essere molto simile a suo padre anche nel carattere, nella sua eccentricità, nel suo animo premuroso. Anche se i suoi ricordi di lui erano sfocati, perché era molto piccolo quando era morto, Magnus ricordava abbastanza di suo padre per essere consapevole di ciò.
Luke aveva sposato Jocelyn, il suo lungo e perso amore giovanile, quando Magnus aveva nove anni. Con lei era arrivata anche Clary, che aveva solamente quattro anni all’epoca, e con Clary era arrivato Simon, il bambino dell’asilo che lei aveva praticamente deciso di adottare. Formavano una famiglia strana, ma non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.

Aveva fatto una doccia e cambiato gli abiti, mettendo via scorbuticamente il suo outfit estivo e indossando qualcosa di più caldo, prima di tornare in soggiorno. Si era affacciato sulla cucina, dove Jocelyn e Luke si muovevano silenziosi, tagliando della verdura e mescolando una zuppa con un cucchiaino a ritmo lento: erano davvero armoniosi quando lavoravano insieme. Clary era seduta sul divano con Simon e gli stava mostrando una foto sul cellulare che Magnus le aveva inviato due giorni prima. Rappresentava Saint Katharine Docks alle prime luci del mattino. Raphael, invece, era seduto di fronte alla coppia intenta a cucinare e rubava furtivamente del cibo quando i due non guardavano.
“Quindi” aveva esclamato Magnus, sfregandosi le mani e guardando verso Luke e Jocelyn. “Dove sarebbe il mio appartamento?”
Quando aveva annunciato loro che, dopo cinque anni, sarebbe finalmente tornato a casa, Luke ne era stato felicissimo, ma niente a che vedere con Jocelyn e Clary, che avevano iniziato a programmare tutte le cose che avrebbero fatto per farlo sentire nuovamente a suo agio. Erano rimaste leggermente deluse quando aveva detto loro che aveva bisogno di un appartamento proprio, perché aveva ventotto anni e bisogno di indipendenza, ma lo avevano capito. Quindi le due avevano cercato il posto perfetto per lui, rifiutandosi di dargli qualsiasi informazione, chiedendogli di fidarsi di loro. Aveva solo mandato loro dei soldi e poi le due donne si erano occupate di tutto. Ovviamente si fidava, sapeva che avrebbe amato il nuovo appartamento per il semplice motivo che lo avessero scelto loro per lui. Però era comunque eccitato all’idea di vederlo.
Clary era scoppiata a ridere felice, scuotendo la testa come se fosse uno scherzo, e poi si era avvicinata, incrociando le sue braccia con quelle di Magnus.
“Mi sei mancato” aveva detto, gli occhi scintillanti di gioia.
“Mi sei mancata anche tu, biscottino.”
La nostalgia di New York non era niente in confronto a quella provata per tutti loro.
 
***
 
A volte, Alexander Lightwood avrebbe voluto scambiare i suoi fratelli con alcuni più onesti e di supporto. Quando aveva comprato un appartamento a Brooklyn, lasciando finalmente la casa dei suoi genitori, si erano gentilmente offerti di aiutarlo con il trasloco. Avrebbe dovuto sapere cosa ciò avrebbe comportato.
Ciò che avrebbe comportato è il fatto che i due, prima di tutto, avrebbero passato tutto il tempo a riflettere riguardo il suo andarsene di casa e non avrebbero affatto aiutato con gli scatoloni. Isabelle era seduta sul divano del soggiorno da quando lui e Jace lo avevano portato su dalle scale, a fissarsi le unghie con nonchalance e a fare commenti irriverenti riguardo loro due. Almeno Jace lo aveva aiutato con le scatole, ma aveva un cipiglio sul viso, da quando avevano lasciato la casa dei loro genitori, che i capelli biondi scompigliati non riuscivano a nascondere.
“Perché hai così tanti libri?” aveva ringhiato Jace, lasciandosi cadere sul divano vicino ad Isabelle, i capelli appiccicati alla fronte a causa del sudore.
“Non abbiamo finito” lo aveva informato Alec, approfittandone per svuotare una bottiglietta d’acqua.
Era estremamente sudato e i suoi capelli neri erano un casino, con ciuffi che sparavano ovunque.
“Mi prendo cinque minuti, capo” aveva grugnito Jace in risposta.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo, borbottando qualcosa che assomigliava molto a ‘stronzi pigroni’, ed era tornato all’ascensore. La sua macchina era parcheggiata sulla strada, il baule aperto per facilitare i viaggi verso l’appartamento, proprio vicino al camioncino che i genitori gli avevano prestato per l’occasione. Aveva preso uno scatolone e si era diretto nuovamente verso l’edificio. Jace e Isabelle non si erano spostati, per cui lo aveva lasciato sul pavimento e si era voltato per affrontarli, un’espressione esasperata a colorargli il viso.
“Okay, ragazzi. Se non avete intenzione di aiutarmi almeno iniziate a cucinare o fate qualcos’altro. Sto morendo di fame ed è quasi ora di pranzo.”
“Ho già ordinato la pizza” aveva risposto Isabelle con un sorriso.
“Ottima idea, non avremmo voluto essere nuovamente le cavie dei tuoi esperimenti in cucina” aveva sbuffato Jace.
Era stravaccato sul divano, le gambe distese e i piedi appoggiati sul suo nuovo tavolino da caffè. Alec gli aveva lanciato un’occhiataccia, ma Jace non era sembrato molto colpito.
“E va bene” aveva sospirato alla fine, alzandosi dal divano. “Vengo con te.”
“Beh, è per questo che sei qui” aveva borbottato Alec in risposta, uscendo di nuovo dall’appartamento, seguito dal fratello.
“No, sono venuto perché avevi detto che ci avresti offerto una birra” aveva risposto Jace, con forte sarcasmo. “E con ‘una birra’, intendo dieci.”
“Quando avremo finito” aveva detto Alec, alzando gli occhi al cielo, esasperato. “Smettila di lamentarti.”
“Disse il più grande piagnucolone della storia” lo aveva deriso Jace, scompigliandogli i capelli, più di quanto già non lo fossero.
Alec aveva protestato, allontanandogli la mano.
“Ti odio” aveva sospirato, uscendo dall’ascensore.
“Non è vero” aveva esclamato Jace, allegro.
 
***
 
Magnus si sentiva molto meglio dopo una nottata di sonno profondo. Il fuso orario tra Londra e New York lo aveva colpito la notte precedente: mentre stava raccontando una delle sue avventure in Perù alla famiglia, gli occhi gli si erano quasi chiusi in automatico. Nemmeno il temporale era riuscito a svegliarlo.
Aveva ritrovato la sua cameretta proprio come l’aveva lasciata, le pareti ricoperte di foto e mappe di paesi del mondo. Aveva sorriso quando aveva notato i paesi che aveva meticolosamente cerchiato con un pennarello rosso probabilmente quando aveva diciassette anni. Ora aveva visitato tutti quei luoghi e questo pensiero lo aveva riempito di soddisfazione.

La mattina successiva, Clary lo aveva svegliato all’incirca alle dieci e mezza, affermando che il jet lag sarebbe stato ancora peggio se avesse dormito a lungo. Aveva annuito scorbuticamente, alzandosi dal letto con quanta più grazia il corpo ancora assonnato gli aveva concesso.
Il piano del giorno era di pranzare con Jocelyn e Luke, che avevano entrambi lasciato l’appartamento per diversi appuntamenti, e poi Clary lo avrebbe portato nella sua nuova casa. Quindi, dopo pranzo, se ne erano andati e avevano deciso di raggiungerla a piedi perché il temporale si era fermato e un sole pallido si era affacciato su New York.

Le strade erano piuttosto calme, per quanto lo potessero essere a New York, una città sempre in movimento. Magnus aveva circondato le spalle di Clary con un braccio, mentre camminavano, ascoltando attentamente gli aggiornamenti su ciò che si era perso negli ultimi cinque anni. Si erano scambiati email praticamente ogni settimana, quindi, bene o male, le cose le sapeva, ma era dieci volte meglio sentirle dire ad alta voce, guardando i suoi occhi verdi brillare eccitati o feroci a seconda dell’episodio.
“Eccoci!” aveva esclamato, felice, non appena si erano fermati di fronte a un nuovo edificio nel cuore di Brooklyn.
Simon e Raphael li stavano già aspettando là, ovviamente discutendo – se le loro posture potevano essere di qualsiasi indicazione. Simon stava facendo ampi movimenti con le braccia, gli occhiali gli scivolavano sul naso e Raphael sembrava voler essere ovunque tranne che lì. Magnus sospettava fosse proprio così.
“Piccioncini” era intervenuto, quando si erano fermati di fronte a loro. “Basta con queste dimostrazioni pubbliche di affetto.”
Raphael aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva lanciato un oggetto scintillante che aveva preso al volo. Era un mezzo di chiavi. Magnus gli aveva sorriso, felice, ed era entrato, per poi chiamare l’ascensore. Erano entrati e avevano osservato Clary premere il tasto cinque, l’eccitazione a crescergli nello stomaco. In tutta onestà, si era un po’ preoccupato quando Jocelyn e Clary gli avevano detto che avrebbero pensato a tutto loro, ma ora non riusciva a stare fermo per l’aspettativa. Sapeva che non l’avrebbero deluso.
L’ascensore si era fermato con un debole ding e si era aperto su un piccolo corridoio con quattro porte.
“È un edificio nuovo” lo aveva informato Clary. “Hanno terminato i lavori nemmeno un mese fa, per cui molte persone stanno ancora finendo il trasloco.”
Magnus aveva annuito, mentre avanzavano lungo il corridoio. Clary si era fermata di fronte a una porta, indicandola con un largo sorriso e stava per girare la chiave nella serratura quando una voce era risuonata alla loro destra. Si erano girati tutti in sincrono.
“Non posso credere che tu abbia mangiato tutta la pizza!”
Era la voce di una donna e sembrava realmente arrabbiata. Magnus stava per voltarsi di nuovo, quando quella uscì da una porta chiusa. Aveva lunghi capelli nero inchiostro che circondavano un bellissimo viso pallido. Gli occhi marrone scuro scintillavano rabbiosi, se ne stava in piedi, la testa in alto per mostrare il suo orgoglio e la sua rabbia. Indossava un vestito blu corto e succinto, con dei collant neri e dei tacchi vertiginosi. Magnus approvò il suo stile immediatamente.
“Stavo morendo di fame” aveva protestato un’altra voce, un uomo questa volta, che si stava avvicinando al corridoio.
Magnus era vagamente consapevole del fatto che stessero tutti ascoltando la discussione, ma non gli interessava più di tanto. Era divertente.
“Alec ti ucciderà” aveva risposto la donna, con una risata quasi perfida. “È meglio se ne ordini un’altra, subito.”
Aveva sentito l’uomo sospirare dall’interno dell’appartamento e poi era uscito, ponendosi di fronte a lei.
“Vado a prenderne un’altra” aveva borbottato, di cattivo umore.
Magnus si era chiesto se tutti in quell’edificio avessero quel fantastico stile. Se così fosse stato, lo avrebbe approvato al cento per cento.
Era anche lui alto, più della donna, ed era vestito bene, i capelli biondo oro sistemati in modo disordinato. Gli occhi erano probabilmente color nocciola, ma a causa della distanza e della luce fioca sembravano dorati. Il braccio destro era coperto da un tatuaggio nero e Magnus aveva appena notato che la donna con cui stava litigando ne aveva uno uguale.
Non appena era spuntato nel corridoio, Magnus aveva percepito la tensione di Clary farsi vivida. Si era accigliato, spostando lo sguardo verso il basso per osservarla, ma lei non lo stava guardando, completamente assorta dalla coppia.
Tutto ciò che era successo dopo era accaduto così velocemente che Magnus non ci aveva capito più niente.
I due ragazzi che stavano litigando, essendosi probabilmente accorti di essere fissati, si erano voltati verso di loro e il ragazzo biondo aveva spalancato la bocca e gli occhi, scioccato.
“Clary?” aveva esclamato.
Magnus si era guardato intorno, proprio nell’attimo in cui le porte dell’ascensore si erano aperte e un ragazzo alto dai capelli neri ne era uscito, trasportando quello che sembrava essere uno scatolone davvero pesante. Il biondo aveva fatto un passo avanti, quando i suoi occhi dorati si erano spostati sul braccio di Magnus, ancora appoggiato sulle spalle di Clary.
“Chi è questo?” aveva chiesto, meravigliato. Era ben percepibile una nota di gelosia mal nascosta nel suo tono, ma anche del dolore, che aveva costretto Magnus a concentrarsi di nuovo su di lui, giusto per scoprire che lo stava indicando con un dito.
Clary non aveva risposto. Invece, era andata verso di lui e gli aveva tirato una sberla tanto forte da fargli girare il viso dalla parte opposta.
“Wow!” aveva esclamato Simon, posto dietro Magnus.
Anche Raphael sembrava sorpreso. Il biondo era tornato a guardare Clary, gli occhi spalancati e visibilmente scioccato. Come anche Magnus, per dirla tutta. La donna con cui stava litigando fino a qualche attimo prima si era unita a loro, la postura rigida come se fosse pronta a litigare, se fosse stato necessario.
Il ragazzo che aveva appena lasciato l’ascensore li aveva raggiunti, abbandonando la scatola sul pavimento e aveva posto una mano sulla spalla del biondo.
“Jace, non ho nemmeno finito di traslocare e già infastidisci i miei vicini?” aveva borbottato, con voce profonda e rauca, causa di pensieri osceni in Magnus.
Nonostante l’intensità dell’intera situazione, ora tutta la sua attenzione era stata catturata da quello sconosciuto bello da togliere il fiato. Non era eccessivamente magro, ma dal fisico atletico, anche se era sicuramente un bonus, soprattutto per gli stupendi occhi blu e i capelli nero corvino. Quella combinazione era sempre stata la sua peggior debolezza. Indossava una canottiera nera, che faceva miracoli per le sue spalle e i bicipiti, che Magnus si era ritrovato a fissare. Sul braccio ostentava lo stesso esatto tatuaggio degli altri due. Si era chiesto che cosa fosse.
“Mi dispiace, per lui” aveva affermato, calmo.
“Sei mio fratello, dovresti supportarmi quando vengo schiaffeggiato, non buttarmi sotto il bus!” aveva sputato Jace, indignato.
“Non so cosa tu abbia fatto, ma sono sicuro che te lo meritavi” aveva risposto il bellissimo sconosciuto, il tono traboccante di sarcasmo.
“Infatti, se lo meritava” aveva confermato Clary, una rabbia incontrollata a ballarle nelle iridi.
Jace stava per controbattere, quando la donna con cui stava litigando riguardo della pizza era avanzata, alzando una mano per zittirlo. Poi aveva riportato lo sguardo fiero su Clary e Magnus, fermo di fronte a lei come se fosse sulla difensiva. Non sembrava sorpresa.
“Mi piaci” aveva constato alla fine con un sorriso “Sono Isabelle Lightwood, ma mi puoi chiamare Izzy.”
Aveva sporto una mano e Magnus aveva cercato di trattenere una risate perché, davvero, l’intera situazione era comica.
“Clary” aveva risposto la rossa, stringendole la mano.
“Vivi qui?” aveva chiesto Isabelle, offrendo un sorriso gentile al resto del gruppo.
Clary aveva scosso la testa, girandosi per indicare Magnus.
“No, mio fratello si trasferisce oggi” aveva affermato, calcando su quella parola e guardando Jace, che aveva spalancato la bocca.
“Tuo fratello?” aveva sputato quello. “Ma non vi assomigliate per niente!”
Magnus aveva riso, alzando gli occhi al cielo. Non conosceva la storia ma Clary doveva fare senza dubbio qualcosa riguardo il suo gusto in ragazzi.
“Sì, perché tu e tuo fratello siete gemelli invece” era intervenuto, con un sorriso canzonatorio, indicandoli con un dito.
“Sono stato adottato” aveva risposto, con un filo di voce. Le sue guance stavano cominciando a colorarsi di rosso.
“Beh, pure io” aveva controbattuto Magnus, con un sorriso. “Abbiamo già così tante cose in comune” aveva aggiunto sarcasticamente.
C’erano stati secondi di silenzio, mentre i tre lo guardavano come se fosse stato una preda, ma Magnus non si era scomposto un attimo, fissandoli a sua volta.
“Mi piaci anche tu” aveva detto alla fine Isabelle, sorridendo.
“Grazie, tesoro. È reciproco.”
Lo era davvero. A Magnus erano sempre piaciute le persone focose e lei era un drago.
La ragazza aveva sorriso di nuovo, voltandosi verso Occhi Blu. “Non fare il maleducato! Presentati al tuo nuovo vicino” lo aveva rimproverato.
“Scusa” aveva balbettato quello, guardandolo dritto negli occhi. “C-ciao, uhm. Sono Alec, Alec Lightwood.”
Era un bellissimo nome, aveva considerato Magnus tra sé e sé, e si abbinava benissimo a un bellissimo volto.
“Magnus Bane” aveva detto in un sospiro, come se non riuscisse in un qualche modo a flirtare, stringendogli la mano.
“Magnus, no” lo aveva ripreso Clary a bassa voce, così che potesse sentirla solo lui.
Aveva capito che probabilmente lo stava fissando e che una stretta di mano non dovesse durare così a lungo, ma non gli sarebbe potuto importare di meno dal momento che Alec lo stava guardando a sua volta con quei fantastici occhioni.
Aveva alzato gli occhi al cielo al commento di sua sorella, allontanandosi riluttante dal suo vicino. Alec aveva poi fatto un cenno con la testa al resto del gruppo.
“È stato bello conoscervi, tutti quanti, ma dobbiamo restare in corridoio tutto il giorno?” aveva borbottato Raphael, sempre un raggio di sole. “Perché preferirei piuttosto passare l’eternità a mangiare schegge di vetro.”
Magnus aveva sbuffato, voltandosi leggiadramente per inserire la chiave nella porta.
“Ecco fatto, raggio di sole.”
Raphael lo aveva guardato, prima di entrare, seguito da Simon. “Non mi chiamare in quel modo.”
Magnus aveva riso e si era girato nuovamente verso i Lightwood. “Mi ama” li aveva poi informati, con un sorriso divertito. “Ci vediamo” aveva aggiunto, facendo un occhiolino ad Alec, ridendo sommessamente quando la sua pelle pallida si era leggermente imporporata.
“Ma...” era intervenuto Jace, quando Magnus aveva però già chiuso la porta dietro sé e Clary.

Una volta dentro, si era preso un minuto per guardarsi intorno. L’ingresso era piccolo e c’era un attaccapanni in legno sul quale Simon e Raphael avevano già abbandonato le loro giacche. Il muro si apriva su un ampio salotto. I due ragazzi erano già stravaccati sui due divani in pelle posti nel centro della stanza. Uno era sistemato di fronte alle finestre, che inondavano il luogo di luce, mentre l’altro di fronte alla televisione al plasma, appoggiata a una parete di mattoni rossi. Era già accesa su una partita di basketball, così né Simon né Raphael si erano accorti di loro, troppo assorti da essa. Il tavolino da caffè che li separava da loro sembrava essere in mogano e Magnus aveva quasi rimproverato Simon per averci appoggiato i piedi, ma sapeva che lo avrebbe fatto anche lui di lì a poco.
Non era riuscito a concentrarsi per molto su di loro, perché la sua attenzione era poi stata attirata dal panorama, che era possibile ammirare dalle portefinestre. Le aveva aperte immediatamente, uscendo sul balcone e Clary lo aveva seguito con un soffice sorriso, ovviamente felice, vedendolo camminare per l’appartamento che lei stessa aveva attentamente scelto per lui.

Magnus aveva sempre amato New York. Era la città in cui era cresciuto e c’era qualcosa di attraente in ciò, ma non era solo quello. Era anche il fatto che sembrasse essere sempre in movimento, che sembrasse cambiare continuamente, un misto di moderno e antico che creava un’atmosfera che non era riuscito a ritrovare in nessuno dei magnifici luoghi in cui era stato. New York era inimitabile e, ai suoi occhi, senza eguali. Per cui era magnifico poter vivere in un appartamento con una vista del genere.
Il balcone si affacciava sull’East River. Da lontano, riusciva a vedere le meravigliose strutture architettoniche della città, un insieme perfetto di monumenti storici, grattacieli gloriosi e palazzi affascinanti. Era mozzafiato e si era ritrovato, non per la prima volta, ad essere molto più che felice per aver deciso di tornare a casa. Non pensava che sarebbe mai più voluto partire, se era questa il luogo a cui sarebbe dovuto tornare.

“Quindi, che ne pensi?” aveva chiesto Clary, ansiosa, un sorriso a illuminarle il volto.
Magnus si era girato verso di lei solo per realizzare di essere senza parole. Aveva sorriso, felice, sincero e genuinamente e le aveva circondato le spalle con un braccio, lasciandole un bacio sulla tempia.
“È perfetto” aveva mormorato, contro i suoi capelli.
Il resto dell’appartamento era tanto bello quanto il salotto. La cucina era separata dal soggiorno da un tavolo da bar e due colonne in ghisa, che creavano un equilibrio perfetto tra stile e praticità, e Magnus lo adorava. Vicino alla cucina, un lungo corridoio conduceva a tre camere da letto e un grande bagno.

La sua camera era la più grande, ovviamente,  ed era illuminata da una finestra sul soffitto e da una posta sulla parete, vicino a una porta che portava ad un bagno più piccolo. Aveva quasi perso la testa quando, aprendo una porta di fianco al letto matrimoniale, aveva trovato una cabina armadio, già riempita con tutti i vestiti che non aveva portato con sé quando era partito, cinque anni prima. Clary aveva riso della sua eccitazione, alzando gli occhi al cielo.
“Sapevo che sarebbe stata la tua parte preferita” lo aveva deriso, con gentilezza.
“Oddio” aveva esclamato, gesticolando entusiasta. “Sistemerò tutto in base al colore, sarà fantastico!”
Lei aveva ridacchiato e ci aveva messo quasi cinque minuti a convincerlo a lasciare la cabina armadio. Tutto sommato l’appartamento era perfetto e non era mai stato tanto grato a qualcuno in vita sua come in quel momento.
Quando erano tornati nel salotto, si era lanciato sul divano, stravaccandosi vicino a Simon, un sorriso felice perennemente impresso sulle sue labbra.
“Quindi, ti piace?” aveva chiesto Simon, quasi disinteressato. “Ti prego dì di sì. Non ho aiutato per settimane ad imbiancare, scegliere colori ed elettrodomestici per niente. Se non ti piace, ti rispedisco in Islanda.”
“Reykjavik è stupenda in questo periodo dell’anno” aveva risposto Magnus con un sorriso. “Ma non ti preoccupare, Samuel. Mi piace.”
Simon aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo. “Dopo tutto quello che ho passato per il tuo bene, potresti smetterla, almeno per un giorno, di fingere di non sapere come mi chiamo.”
“Affare fatto. Ti farò sapere quando avrò scelto il giorno. Forse Natale? Potrebbe essere il tuo regalo” aveva scherzato Magnus, divertito.
“Sei un’idiota” aveva controbattuto Simon, ma un sorriso gli giocava sulle labbra.
Clary si era seduta vicino a Raphael, troppo assorto dalla partita per potersi accorgere di loro. Aveva una lattina in mano e Magnus si era chiesto da dove arrivasse, prima di realizzare che molto probabilmente Jocelyn aveva riempito frigo e armadietti con cibo e bibite, perché questo era il genere di cose che faceva, nonostante avesse ventotto anni e fosse in grado di fare la spesa da solo.
Si era avvicinato per bere un sorso dalla lattina, per poi restituirgliela.
“Allora, che è successo tra te e quel Jace?” aveva chiesto, come se fosse un dato di fatto, lasciandosi ricadere sul divano.
“Già” si era unito Simon. “Non l’ho mai visto, che ti ha fatto?”
“Piuttosto cosa non ha fatto” aveva risposto Clary e si poteva ben percepire una nota di amarezza nel suo tono solitamente dolce. “Ricordi quella festa che ha dato Eric più o meno lo scorso mese, quando i suoi genitori erano fuori per il weekend?”
Simon aveva annuito. Magnus, invece, non aveva potuto far altro che alzare le spalle. Sapeva che Eric fosse il migliore amico di Simon e uno dei suoi compagni di band e che li portava sempre a concerti strani o feste caotiche. Però non ricordava che Clary gliene avesse menzionata una, di recente.
“Beh, ho incontrato Jace quella sera e...”
Aveva smesso di parlare, arrossendo.
“Siamo stati insieme” aveva ammesso, prima di accorgersi del sorrisino di Magnus e correggersi frettolosamente. “Non in quel senso! Ci siamo baciati e abbiamo parlato...molto. Era così carino e ci siamo trovati bene, quindi ho deciso di dargli il mio numero, ma, ovviamente, non mi ha mai richiamato. Ed ecco lo schiaffo.”
“Permettimi di dire che sono rimasto piuttosto colpito” aveva riso Magnus. “Hai fatto boxe mentre non c’ero?”
“No, ma immagino di aver avuto motivi validi per farlo” aveva risposto Clary, con un sorriso.
“Hai fatto bene!” era intervenuto Simon.
 
***
 
“Non ci credo che mi ha colpito!” aveva urlato Jace, quando avevano finalmente finito di portare tutte le scatole nell’appartamento, fermo di fronte ai due fratelli, stravaccati sul divano, esausti.
“Guardami negli occhi e dimmi che non te lo meritavi” aveva borbottato Alec, dubbioso.
“Non è vero!” aveva continuato Jace. “Ho provato a chiamarla e a scriverle, ma non mi ha mai risposto.”
“Forse hai fatto qualcosa che le ha dato particolarmente fastidio, alla festa” aveva provato Isabelle, alzando un sopracciglio, sospettosa.
“Cosa? Avanti, crediate un po’ in me, però!” li aveva implorati, la voce troppo alta a causa dell’irritazione. “Non ho fatto niente di male! Abbiamo limonato, ho passato tutta la notte con lei e le ho chiamato un taxi, quando mi ha detto che doveva andare. L’ho persino pagato! Sono stato gentilissimo!”
“Beh, devi aver fatto qualcosa di sbagliato!” aveva risposto Alec. “Sono sicuro che non vada in giro a prendere a sberle chiunque.”
“O forse sì” aveva scherzato Isabelle. “Forse è una schiaffeggiatrice seriale.”
“Una schiaffeggiatrice seriale?” aveva ripetuto Jace, completamente attonito. “Izzy, non esiste nemmeno!”
“Beh, potrebbe. Clary potrebbe essere un pioniere. Sono sicura che molti uomini meritino delle sberle gratuite. Forse non le hai fatto niente, ma sono sicuro che più volte, nella tua vita, hai meritato uno schiaffo senza però riceverlo. Quindi, in sostanza, è il karma.”
“Isabelle, non so nemmeno di cosa stai parlando” aveva borbottato Jace, prendendo la testa tra le mani.
“Io sì” era intervenuto Alec. “Ed effettivamente ha senso.”
Jace li aveva guardati, sentendosi tradito, sconvolto e impotente. Aveva socchiuso gli occhi dorati, prima di mostrare ad entrambi il dito medio e girarsi, prendendo il cellulare.
“Ordino la pizza. E ordinerò acciughe extra solo perché so che non vi piacciono.”
Alec aveva alzato gli occhi al cielo. “Molto maturo da parte tua, Jace.”
“Vaffanculo.”





Nda.
Eccomi qui, con il primo capitolo. L'ho appena revisionato, ma in ogni caso, mi scuso per eventuali errori/orrori. 
Detto questo, l'inizio potrebbe sembrare poco intrigante, l'ho pensato anche io leggendolo, ma già dal secondo capitolo la storia comincia a farsi più accattivante e avventurosa. A proposito, l'autrice, alla fine di ogni capitolo, lascia sempre un piccolo spoiler di quello successivo. 
Lo metterò anche io, alla fine delle note, per cui se non volete sapere nulla, non leggetelo. Come detto anche prima (note sopra) non ho ancora tradotto gli altri capitoli, ma spero di riuscire a pubblicarne almeno uno a settimana e probabilmente il giorno di pubblicazione sarà il giovedì, perchè è quello in cui ho meno impegni. Ovviamente questo giovedì è escluso! 
Vi lascio con una bella gif del bacio Malec.
I. xx



(SPOILER)

"Non scavalcherai proprio niente con tutto l'alcool che hai in corpo ora" aveva affermato Alec, irremovibile.
"Oh andiamo, sono sicuro che sarà divertente" aveva contestato Magnus, indicandolo con un dito con dello smalto blu. 
"Non lo sarà quando cadrai e io dovrò spiegare alla tua famiglia come sei morto." 
"Devi solo dire loro che voglio che il mio epitaffio dica 'I believe I can fly'" aveva risposto Magnus, del tutto ubriaco.



 
  
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