Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: JulyChan    06/04/2016    10 recensioni
Innumerevoli volte si era posto davanti uno specchio e aveva scrutato la propria immagine.
E ora aveva imparato a riconoscersi e a discernere la propria figura da quella che si stava avvicinando.
Quando Lucius Malfoy gli si fermò davanti, un leggero brivido si insinuò lungo la spina dorsale del ragazzo, ma nulla all'esterno mutò. Nessuna reazione. Nessun battito di ciglia; nessun battito, o sei morto.
[Prima classificata al contest "Not so Bad, Not so Mad" di onlyfanfiction]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo, Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 





TIME TO ERASE 
a i m,   s h o o t,   o p p o s e   a n d   d i s a g r e e





 

    Starsene ai piedi della grande quercia doveva offrirgli una parvenza di sicurezza, seppur i lunghi rami rinsecchiti che cingevano la sua ombra sembravano arti inquietanti e scheletrici, le cui ossa appuntite si conficcavano nella carne, squarciandola. Eppure, tale prospettiva dolorosa poteva apparire particolarmente accogliente a un corpo le cui membra erano state a lungo private dell’integrità e dell’arrendevolezza di un vero abbraccio.
    I tratti del viso scavati come i solchi discontinui di un fiume in secca, la sottile ruga precoce a lambirgli la fronte; una cicatrice pallida, ma profonda, che discendeva dalla tempia sinistra; le labbra secche e sottili, strette fra di loro come a voler trattenere dietro più parole di quanto la mente riesca a concepire. Il corpo sottile e dritto come un fuso, le spalle rigide sorrette dal tronco ruvido dell’albero – l’acciaio nella sua spina dorsale, il granito contro cui sfregarsi fino a grattare via la stoffa, via la pelle.
    E gli occhi, a fare da contraltare. Gli occhi aperti, le palpebre spalancate, le iridi fulgide e accese, come quando la luce si espande sull'argento e il riflesso riesce ad accecarti. Gli occhi attenti al minimo movimento, al minimo rumore, al minimo spostamento d’aria causato dalla più piccola particella di polvere. Nessun battito di ciglia. Nessun battito, o sei morto.


    Il motivo primo per il quale, il più delle volte, si opera una scelta, è perché se ne ha una. Era ciò che si ripeteva oramai da giorni, da mesi, da tempo. E tempo, e mesi, e giorni erano stati necessari per realizzarne il vero significato, per metabolizzare tutte quelle parole e tramutarle in gesti.
    E ora, davanti a lui – lui, che una scelta non l’aveva mai avuta – si schiudeva un ventaglio di possibilità che aspettavano solo di esser selezionate, sventrate, scandagliate e, infine, colte.
    Poteva nascondersi, con un po’ di fortuna ce l’avrebbe fatta. Possedeva abbastanza conoscenza e potere da sopravvivere da solo, rintanato in qualunque fenditura il mondo potesse offrirgli, come un animale selvatico che va in letargo ed esce fuori solo alla fine dell’inverno.
    Quell’inverno, però, avrebbe spirato il suo ultimo respiro in un tempo ancora ignoto.
    Poteva fuggire e chiedere aiuto. Avrebbe strisciato, pregato, si sarebbe piegato, si sarebbe venduto offrendo informazioni, pentendosi e prostrandosi. Poteva elemosinare una libertà ben lungi da sembrare tale, ma che ne avrebbe avuto le sottili sembianze.
    Quella libertà, però, avrebbe poi assunto le fattezze di una gabbia.
    Poteva rimanere, eseguendo ordini e direttive provenienti dall'alto, fingendosi sottomesso, continuando a essere manovrato alla stregua di una marionetta, attendendo in silenzio una fine, qualunque essa sarebbe stata. Pur essendo consapevole che, questa volta, chi avesse mosso i suoi fili e guidato le sue scelte, avrebbe fatto solo il suo gioco.
    Quei fili, però, avrebbero finito per strozzarlo.
    Poteva finire tutto, ma a modo suo. Rimanere, sì; ma solo brevemente, solo fino alla resa dei conti. Fuggire, sì; ma lasciandosi dietro la soddisfazione di aver ottenuto una chiusura. E poi nascondersi, sì; o forse no, forse non sarebbe servito nascondersi, ma avrebbe affrontato tutto - la vergogna, le conseguenze, il mondo - alla luce del sole.


    Innumerevoli volte si era posto davanti allo specchio e aveva scrutato la propria immagine.
    La prima volta, era stato con terrore: gli occhi socchiusi, la testa pronta a voltarsi per non dover sottostare alla terribile tortura di non riconoscersi, ma di, piuttosto, riconoscere qualcun altro.
    La seconda volta, si era avvicinato con un timore un po’ deferente: un occhio chiuso e uno aperto, proprio come aveva trascorso le sue ultime notti - dormi con un occhio solo e la bacchetta sotto il cuscino, Draco. Ed erano aperte anche le sue labbra, un sospiro spezzato, un alito di stupore nel constatare che forse, alla fine, c’era ancora un po’ di sé stesso in quella lastra di vetro.
    Le volte successive, entrambi gli occhi erano spalancati, e lui si fissava, senza incrociare lo sguardo che aveva davanti, tuttavia attento: non tutto era perduto, poté constatare, non tutto era dimenticato. Riusciva ancora a ricordarsi della figura dinnanzi a sé, riusciva ancora a riconoscerne i contorni, i tratti un po’ spigolosi, lo zigomo sinistro leggermente più sporgente dell’altro, la mascella pronunciata nella sua delicatezza, i fili argentei che gli accarezzavano le tempie.
    La volta buona, infine, era arrivata: quel giorno, uno squarcio ancora insanguinato gli sfigurava una metà del viso. La guancia sinistra era striata da rivoli scuri, macabre carezze d’inchiostro velenoso a insozzare la pelle candida e liscia come il marmo. Ma, poi, la parte destra del volto era parsa rassicurata, l’angolo della bocca leggermente sollevato, quasi a voler modellare la caricatura di un sorriso, sebbene funesto.


    Un tragico paradosso vuole che bisogna perdersi, prima di ritrovarsi del tutto, bisogna sbilanciarsi, prima di trovare un equilibrio sulle punte, bisogna sfiorare il limite della resa, prima di fare un passo avanti: lui aveva dovuto rinnegarsi davanti all'orrido spettacolo del suo viso martoriato, davanti alle macerie della sua identità, prima di scrutare i propri occhi e riconoscersi nella persona che era davvero.
    Sollevò una mano e il riflesso fece lo stesso, le dita lunghe e affilate, le unghie dritte e curate nonostante tutto. Tentò di spostare indietro un ciuffo, un po’ più lungo, un po’ più sporco, il quale, ostinato, gli ricadeva sulla fronte, e il quale, ostinato, tornò invece al suo posto. Mantenne il contatto visivo con quelle iridi gemelle finché, con la coda dell’occhio, non vide la stoffa nera della manica scivolare leggermente e scoprire il polso, la carne bianca solcata da venature azzurrine che si rincorrevano tra le spire nere di un serpente impresso a fuoco.
    Non la conosci mai fino in fondo la strada da seguire, finché non decidi di specchiarti nell'abisso per banchettare con i mostri al suo interno: pochi passi timorosi verso di loro, qualche convenevole, qualche frase di circostanza, porgi gentile il tuo braccio e aspetti che qualcuno lo afferri; un giro della sala, un passo di danza, stringi la mano per salutare, stringi il polso per minacciare, stringi le ossa per esultare. Ed è lasciando scivolare tra le dita gli ultimi frammenti polverizzati che te ne vai, noncurante di quelle poche schegge conficcate nel palmo rapace, piccoli bottini di guerra da custodire gelosamente.


    Innumerevoli volte si era posto davanti uno specchio e aveva scrutato la propria immagine.
    E ora aveva imparato a riconoscersi e a discernere la propria figura da quella che si stava avvicinando.
    L’andatura fluida e sfuggente, i passi felpati attutiti dal manto di neve posatasi la sera prima, i lembi del mantello concitati come uno turbinio di corvi svolazzanti, le lucenti ciocche opaline a fare da contrasto. Il cappuccio scuro era calato sugli occhi, ma non gli sarebbe servito un veggente per indovinarne il colore.
    Quando Lucius Malfoy gli si fermò davanti, - le braccia che si sollevavano pigramente per scoprirsi il volto - un leggero brivido si insinuò lungo la spina dorsale del ragazzo, ma anni e anni trascorsi nella morsa della dissimulazione e dell’impassibilità gli permisero un assoluto autocontrollo: nulla all'esterno mutò, nessuna reazione, nessuna alterazione nei suoi tratti, nessun lampo nei suoi occhi, nessuna ombra sul suo viso. E vinse in breve tempo la tentazione di stringere istintivamente la mascella, sfregare i denti fino a farli stridere, fino a polverizzarli.
    Impiegò, invece, un tempo più lungo per vincere il desiderio di battere la ritirata. Maledetta e molesta tentazione, si era infilata, sinuosa e traditrice, avviluppando la sua mente tra le sue spire tossiche, come un capriccio covato sin da piccolo e ormai saldamente radicato, come una lusinga affettata capace di contaminarti anima e corpo dopo anni di astinenza.
    La voglia di tornare indietro, accettare acquiescente ogni cosa, prendersi ogni maledizione, inghiottire ogni bestemmia che tentava di corrodergli la gola per trapelare, scuotere la testa, abbassare il capo, sopportare gli spergiuri, le sferzate di odio, valvola di sfogo di ogni insoddisfazione paterna.
    Tornare bambino – onora tuo padre -, piangersi addosso, piangere di nascosto, piangere mentre dita gentili gli accarezzavano il capo – sii come tuo padre.
    Aggrapparsi alla speranza, per poi dimenticarne il significato; credere in un angelo custode, per poi scoprire che il suo giocava a freccette e lui ne era il bersaglio; travestirsi da cacciatore, per poi cadere lui stesso nella trappola scavata per la preda di turno. Gridarsi in silenzio che mancava poco, che prima o poi tutto sarebbe passato, per poi imparare che, alla fine, quel giorno era arrivato, ma a passare era stata solo sua madre.


    Solo in quel momento si accorse di essersi perso tra i vortici senza sosta della sua mente, di essersi lasciato andare, alla deriva in un mare senza fine, cullato da ricordi che, seppur dolorosi, erano l’unico luogo in cui lei poteva ancora esistere.
    E fu solo in quel momento che si accorse che suo padre lo fissava, il mento alto in senso di sfida, un sorriso a tagliargli il volto in una smorfia trionfale, lo sguardo famelico di una belva che, già pregustando la propria vittoria, si lecca la bava dagli angoli della bocca, con la prospettiva, di lì a pochi istanti, di leccare il sangue grondante della propria vittima.


    Suo padre gli era entrato dentro con la stessa facilità con cui si tira uno schiaffo, con la sola differenza che quest’ultimo fa male solo in superficie e i capillari li vedi esplodere uno per uno. Il suo insinuarsi nella mente era stato più un artigliare irruente sulle membra, per poi rallentare, dopo aver superato il primo strato, scavando dolcemente nella carne e nelle viscere, strappando con le unghie e con i denti ogni lembo, ogni tessuto, buttando ogni tanto un po’ di sale, ricucendo il tutto alla buona, per poi strappare di nuovo le cicatrici e ricominciare la lenta tortura, senza perdersi nessun attimo.
    Avrebbe potuto porre fine a tutta quella sofferenza: gli sarebbe bastato piegarsi, insozzarsi le ginocchia, baciargli le vesti, implorare il suo perdono, subire l’ennesima tortura, tornare devotamente al proprio posto, lo sguardo abbassato e riverente, la bacchetta rinfoderata fino a nuovo ordine.
    Avrebbe potuto, ma non lo fece.
    Perché, alla fine, si scopre che è tutto inutile, che è tutto lì: che i mi dispiace e i non volevo non sono altro che le patetiche scuse dei vinti, uno specchio sul quale ci si continua ad arrampicare, sapendo di scivolare, cullandosi del fatto che non si scoprirà mai cosa c’è dall'altra parte. E, allora, piuttosto che invocare pietà a furia di farsi sanguinare la bocca, la si fa sanguinare a furia di masticare quei sassi che si è deciso di nascondere, piuttosto che lanciarli da dietro le spalle e fuggire; e, al loro posto, lanciare una mano, sperando si tratti di quella buona.
    Abbandonò l’idea di fare marcia indietro e, invece di aggirarla, fece un balzo in avanti superando la voragine di inquietudine che si era spalancata, aggrappandosi al ciglio, conficcando le unghie, graffiandosi i polsi, aiutandosi con le gambe per superare il precipizio. E, quando se lo trovò davanti, prese a calci e pugni la sua coscienza con lo stesso fervore con il quale si brama qualcosa, a tal punto da sentire il paradossale bisogno di chiedere perdono per l’intensità con la quale lo si è desiderato.


    E il viaggio all'inferno ora fallo da solo.
    «Avada Kedavra!».

 












 



NOTE:
Non è facile tornare a scrivere e, soprattutto, a pubblicare dopo DIECI anni.
Idem, tornare a litigare con l'HTML.
Eppure, at last, I did it.
Ritengo inutile sprecarmi in sproloqui su quanto la cosa mi metta ansia; su quanto abbia storto il muso rileggendo le mie Fanfiction da sedicenne; su quanto questa One-Shot sia stata frutto di elucubrazioni durate due mesi, per poi esser stata scritta nero su bianco in appena tre ore (ore notturne, ci tengo a specificare: la notte porta davvero consiglio).
O su quanto sia prevedibile il fatto che, dopo dieci anni, abbia ricominciato a scrivere proprio su Draco Malfoy. Detto questo, è un’emozione e un onore ritornare qui. Enjoy it.

Questa storia si è classificata prima al contest "Not so Bad, Not so Mad" di onlyfanfiction; la valutazione e il giudizio sono tutti merito della giudicia sostituta _Sherazade_, la quale ha creato, per l'occasione, anche questo fantastico banner: Time to Erase
Seconda classificata al contest "Ordine VS Mangiamorte - Chi riderà per ultimo?" indetto da E.Comper.




CITAZIONI e RIFERIMENTI:
  • Time to Erase - aim, shoot, oppose and disagree (“Assassin” - Muse);
  • L'acciaio nella sua spina dorsale (La Storia di Lisey- Stephen King);
  • Finché non decidi di specchiarti nell’abisso... (rielaborazione molto libera da "Al di là del bene e del male" - Friedrich Nietzsche);
  • Credere in un angelo custode... (anche qui rielaborazione libera da “Il mio angelo custode giocava a freccette” - G. B. Musante)
  • Masticare i sassi che si è deciso di nascondere... (dal detto “Lanciare il sasso e nascondere la mano”)
  • E il viaggio all'inferno ora fallo da solo (“Al ballo mascherato” - Fabrizio De André)
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: JulyChan