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Autore: ellephedre    09/04/2016    5 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 10

Note: non è un vero nuovo capitolo, lo avevo già pubblicato nella raccolta Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò dall'altra storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la fanfic - dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Giugno 1997 - Weekend al mare

  

«Ami... questo fine settimana ti va di andare ad Izu?»

Sotto la luce delle plafoniere della biblioteca Ami sollevò gli occhi sgranati da libro, unendo a cuore le labbra.

God, cosa non avrebbe fatto lui a quella bocca. Ma alle undici di sera stava morendo di sonno, aveva bisogno di farsi una doccia e... Be', si trovavano in un luogo pubblico: non aveva senso alimentare una fiammella se poi non poteva spegnere il fuoco.

Neppure in un angolino nascosto?

«Ma i tuoi non hanno venduto la casa?» 

«Hanno cambiato idea. La tengono per l'estate.»

«Oh.»

Ami rivolse uno sguardo pensieroso al libro che teneva tra le mani. Le stavano venendo in mente le sue tabelle di marcia, poco ma sicuro. Aveva centinaia di obiettivi coscienziosi - ammirevoli - che si era prefissata da sola.

«Abbiamo...» Alexander si ricredette sulla strategia da usare: se la poneva come un'esigenza di lei, Ami avrebbe insistito per sacrificarsi e scegliere la strada della sofferenza. «Ho bisogno di un po' di svago. Restando qui in città mi sembra di rimanere intrappolato.»

Lei, anima candida e buona che non era altro, si arrese subito. «Va bene, andiamo via nel weekend.» Allungò una mano e gli accarezzò la testa. Un dito premette magnificamente contro la sua tempia. «Mi dispiace vederti così stanco.»

Be', lui lavorava, ma lei si uccideva di studio. Durante la settimana tutti e due si liberavano solo dopo le dieci di sera, ma almeno a lui davano già dei soldi per quella prigionia.

Damn, si sarebbe preso quel dannato bonus che avevano promesso a uno solo di loro e sì, prima di partire per gli Stati Uniti. Con ogni giorno che passava metteva mentalmente in conto al lavoro il costo fisico ed emotivo delle nottate passate in solitaria: cadeva stremato sul letto non appena rientrava a casa e a volte non aveva nemmeno la forza per fare una telefonata ad Ami. Gli dovevano milioni e milioni di yen.

«Neanche a me piacciono queste occhiaie meravigliose che hai qui.» La sfiorò con le dita. «Abbiamo bisogno di rilassarci entrambi.»

Avevano bisogno di passare più tempo insieme, ecco cosa: lui già soffriva al pensiero dei mesi di lontananza che sarebbero venuti dopo la sua partenza per gli Stati Uniti. Storia del relax a parte, aveva in mente un piano molto più interessante per il weekend: sarebbe stata la fiera dell'amorevole perversione.

Ami si stava perdendo in un'idea. «Magari vogliono venire anche le ragazze?»

No, questa volta non ci sarebbe cascato. Era finito il tempo dei sì a tutto, love, anche quando aveva in mente piani che avrebbero fatto faville per lei. «Stiamo da soli io e te.»

La delusione di Ami si trasformò in una punta di dolcezza, rosata sulle guance, che solo lei riusciva a tirare fuori con tanta sincerità.

«Hm... sì. Sarà bello.»

Bello era il limite tendente a zero di ciò che lui aveva in mente. «Porta quel tuo costume.»

«Cosa?»

«Il costume dell'anno scorso. Quello nero in due pezzi.»

La bocca aperta in una deliziosa O sparì nella furia dell'imbarazzo. «Non...» Lei si guardò rapidamente attorno, scrutando le sedie vuote della biblioteca. «Non parlare di queste cose in pubblico!» 

Lui si sporse in avanti e nascose le labbra tra i suoi capelli, a un soffio dal suo orecchio. «A cosa stavi pensando?» Rise piano ed Ami lo seguì. «Non ci sente nessuno, guarda. Ora prometti di portare quel costume.»

Alla fine il suono di assenso di lei fu giocoso, divertito.

Alexander ne fu certo: a differenza dell'estate scorsa, il fine settimana alle porte sarebbe stato epico.

  

Agosto 1996

  

Ami stava deglutendo. Il nodo alla gola scese giù tra le sue scapole, sparendo in mezzo alla scollatura più provocante che Alexander avesse mai visto in tutta la sua misera e patetica esistenza.

«Questo costume... l'ho comprato ieri in quel negozietto. È stata un'idea di Minako.»

Avrebbe ucciso Minako Aino, o forse l'avrebbe riempita di baci. Se Ami si fosse ingelosita, per scusarsi l'avrebbe portata in camera. A quel punto avrebbe sigillato la porta agli scocciatori e avrebbe commesso su di lei atti inimmaginabili che avrebbero fatto morire di piacere entrambi.

Nei miei sogni. Schioccò la lingua, svegliandosi.

Mentre camminavano, Ami stava guardando la sabbia. «Non mi sento molto a mio agio così.»

Lui sospirò mentalmente, gli occhi fissi sull'azzurro immenso del cielo. Concentrarsi sulla poesia della natura lo avrebbe aiutato a calmarsi. «Stai bene.»

Lei provò a stare meno curva. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Hm. Tanto non c'è nessuno qui.»

Perché lo sottolineava? Sì, non c'era nessuno in giro in quel pezzo di spiaggia. Ed era una meravigliosa giornata di sole, fatta per l'acqua e per le risate.

Alle undici del mattino non era piacevole disperarsi per tentare di mandar giù un'erezione nascosta dietro una tavola di plastica stretta allo stomaco.

Camminava come un idiota da dieci minuti.

«Andiamo di là?» Ami stava indicando il piccolo molo deserto. Lui si limitò ad annuire e ad andarle dietro.

Il riflesso del sole sulla schiena arrossata di lei produsse un brillio perlaceo sugli strati di crema solare non ancora assorbiti dalla pelle.

«Magari puoi spalmarla meglio tu?»

Il consiglio di Aino lo aveva portato vicino all'omicidio-suicidio. Kumada era intervenuto in tempo.

«Tieni questa.» Gli aveva dato la tavola da surf che aveva trovato in un ripostiglio. Sotto il braccio aveva preso una palla. «Oggi è l'ultimo giorno, dividiamoci per la mattina. Io vado a giocare con Rei e le ragazze nell'altra spiaggia. Non siamo ancora andati là.»

Aino aveva sfoggiato un sorriso crudele. «Chi dice che anche io non abbia voglia di imparare a fare surf?»

Alexander era ancora dell'idea di imbracciare un fucile a canne mozze, per mettere fine alle proprie sofferenze e a quelle che Aino infliggeva al resto dell'umanità. Ma poi come avrebbe potuto ringraziarla? Passato il giorno di atavica agonia - quello - lui avrebbe avuto talmente tante nuove immagini a cui appellarsi quando... be', nei momenti in cui faceva di necessità una perversa virtù.

Aino era crudele, ma necessaria. Chi altro avrebbe potuto convincere Ami a mettere un bikini nero tranquillo, carino, che in una spiaggia deserta avrebbe fatto venire in mente perversioni del peggior genere solo a lui e a nessun altro?

Era combattuto.

Mentre pensava, avevano cominciato a percorrere il molo.

Ami si era riparata gli occhi con una mano. «Hai mai visto barche che attraccavano qui?»

«No. La casa prima apparteneva a un tizio che aveva uno yacht. Quando c'era gente lui ci saliva da questo punto con una barca a remi, credo.» Le indicò una casupola in legno, diroccata. «Durante l'inverno lasciava lì la barca.»

Ma Ami era rimasta sorpresa da un particolare. «Uno yacht

«Era un tizio strambo tutto abbronzato, pieno di soldi. Non so che lavoro facesse.» Alexander ricordava di averlo incontrato da bambino, quando avevano comprato quella villa. «In relazione a quanto valeva, ci ha venduto la casa quasi per niente. C'era una brutta storia dietro: uno dei suoi amici era morto affogato poco lontano da qui, vicino a quegli scogli.»

Ami sussultò e lui scosse la testa. «Queste acque non sono più pericolose di altre. Quell'uomo aveva avuto un malore perché era entrato in mare ubriaco.»

«Oh.»

Alexander le accarezzò una spalla: parlare della dipartita di un tipo sconosciuto lo aveva riportato alla propria sanità mentale. Riuscì a spostare la tavola da surf di lato. «Non pensarci. Vuoi provare a entrare in acqua e a stare in piedi su questa tavola?»

In fondo lui era abbastanza adulto - e allenato - da riuscire a comportarsi normalmente da quel momento in poi. Bastava solo pensare ai cadaveri.

Ami era pensierosa. «Tu sai andarci?»

«No» sorrise lui. Sapeva starci in piedi, ma non era in grado di affrontare onde più alte di trenta centimetri. A dieci anni suo padre aveva pagato una persona perché gli insegnasse, ma il sale che si attaccava alla gola, l'acqua che gli scendeva nei polmoni e la corrente che lo sballottolava come una trottola sotto le onde, erano state troppo per lui.

Posò la tavola a terra e con un passo in avanti si lasciò cadere in mare.

God, sarebbe dovuto entrare in acqua prima. Era fresca, magnifica.

Ne uscì con nuova fiducia nel mondo. «Vieni!»

Sopra il molo Ami annuì, felice col suo costume nero che formava tre triangoli, tutti troppo invitanti per non essere ammirati. C'era quello tra le gambe - e Alexander lo saltò per non schizzare di sangue dal naso tutto il mare - e c'erano quelli sopra i seni, rotondità che lui aveva già visto sotto ogni costume possibile, o così aveva pensato fino a quel giorno.

I costumi interi della piscina si bagnavano e aderivano, dando idee fantasticamente lascive, ma non... Non impreziosivano? Quel bikini creava curve rotonde, lasciava vedere quelle che c'erano sempre state e accarezzavano - dannazione - quello che lui avrebbe dovuto poter toccare con le mani. O con le dita, con la bocca. Con la lingua...

Splash!

Ami entrò in mare con un tuffo a braccia unite che lasciò dietro di sé solo due schizzi. Alexander aspettò che riemergesse. Fu accolto da un sorriso gigante.

«Wow!»

Be', per questo lui riusciva a dirsi sempre 'sono contento anche così'. Esplodeva di felicità quando Ami era contenta. 

Lei tornò vicino al molo. «Okay, provo a stare sopra la tavola.»

«Va bene, ma stai attenta a...»

 

Alexander ricordava ancora quella mattina. Si era divertito come un bambino con Ami al mare, loro due soli.

Aveva pensato di essere stato uno stupido a focalizzarsi sulle medesime ossessioni di sempre; stando in coppia con Ami lui era felice in tanti altri modi.

Poi lei era uscita dall'acqua, e precedendolo si era tirata su sul molo, mettendogli involontariamente davanti le natiche. E il costume, e il modo in cui era incredibilmente morbida e bagnata per l'acqua proprio tra le cosce...

Quella notte avrebbero dovuto sedarlo con un calmante.

Svegliandosi nel presente - tempi in cui fare l'amore con Ami era diventata una assodata realtà - sorrise.

Sì. Fine settimana leggendario in arrivo.

 


 

«E così preferisci il fresco mare di Izu alle acque della piscina comunale?» Rei guardò sognante il cielo. «Come ti capisco.»

«Sono io che non capisco voi.» Usagi sospirò sconsolata. «State qui a lamentarvi di non poter andare al mare quando, volendo, potreste andarci tutte. Sono solo io quella bloccata in città! Ami! Io e Mamo-chan non potremmo unirci a voi? Izu è vicino vicino, magari Mamoru riesce ad ottenere un pomeriggio libero per-»

Makoto scosse la testa. «Non disturbarli, Usagi.»

Sconsolata, Usagi desistette senza nemmeno protestare. «Hai ragione.»

Ami si sentì in colpa. «Scusate se non vi sto invitando. L'estate è lunga. Forse la settimana prossima...»

Rei evitò a stento una risatina. «Di cosa ti stai scusando? L'anno scorso ci hai fatto ottenere una vacanza favolosa, io ancora ti ringrazio. Se quest'anno si potrà ripetere, bene, ma non forzare Alexander.»

Makoto concordò. «Poveraccio. La scorsa estate ha sofferto come un cane.»

«Eh?»

Usagi guardò di traverso Rei. «Scusa, spiega di nuovo perché tu non puoi muoverti da Tokyo? Chi glielo fa fare a Yuichiro di lavorare?»

«Lo chiedi a me? Nessuno, si costringe da solo. Ma non è solo un problema di tempo, il fatto è che...» Rei aggrottò la fronte, frustrata. «Si rifiuta di spendere qualcosa di quello che guadagna. Dice che non gli spetta. Ho deciso di trovarmi un lavoro io: pagherò una vacanza per entrambi a fine agosto. Mi sono stancata di litigare con lui per soldi, è assurdo. Faccia come vuole.»

Makoto si piegò in avanti. «State litigando?»

«Hmm... Siamo stressati. Discutiamo in continuazione, ma sono io che inizio, senza volerlo. Non è periodo per parlare di cose serie con Yu.» Rei si appoggiò al palo del corridoio di casa sua. «Stasera non parlo più. Magari gli faccio un messaggio alle spalle. È tutta la settimana che ne vorrei uno anche io.»

Makoto andò dietro la sua schiena. Le fece segno di mettersi in posizione. «Io ho troppa richiesta nel negozio, non voglio deludere i clienti. Non è un buon momento per andare in vacanza. Inoltre Gen è occupato. Fra un mese decidiamo.»

Usagi iniziò a piagnucolare. «Con Mamo-chan non potremo decidere niente! Tuo padre è un orco, Rei!»

«Non sarò io a contraddirti» Con le mani di Makoto che le sciogliavano i muscoli delle spalle, Rei rilasciò un sospiro di godimento. «Però sembra che Mamoru lo sappia trattare, no?»

«Non riesce a farsi dare una vacanza» obiettò Usagi.

«Forse non è il momento di chiederla ora, a giugno. Vedrai che per agosto si inventerà qualcosa. Andrete da qualche parte per il tuo compleanno?»

«No, per quello ci vuole una mega-festa! Dovrete esserci tutte, ho richiamato persino Minako!»

«Ehm, scusate...» Ami tossicchiò. Ottenne l'attenzione delle altre e proseguì. «Prima stavate parlando di Alex, solo che poi siete passate a un altro discorso...»

«Hm?»

Gli sguardi interrogativi la fecero sentire sfacciata nell'insistere. «Cosa intendevate dire quando... Quando lo compativate per l'estate scorsa? Perché, cosa c'era che non andava?»

«Ahh» sorrise Usagi. «Ma niente. Poverino, aveva una voglia pazza di stare solo con te.»

«A fare sesso» dichiarò lapidaria Makoto.

Ami avvampò e Rei scosse la testa. «La solita cima di raffinatezza.»

Makoto premette due dita sui muscoli di Rei, strappandole un gridolino. «Ma scusa, Ami ora sa. Perché essere ancora delicate? Il concetto è quello.»

«È un concetto che si può esprimere in tanti modi. Fare l'amore, stare in intimità, passare la notte insieme...»

«Facendo sesso» canticchiò Makoto. «Ami-chan.... Non siamo più bambine, possiamo chiamare le cose col loro nome e parlarne, no?»

Nel tentativo di offrirle un sì, Ami buttò fuori una serie di smorfie.

Makoto non si impietosì. «Dico solo che lui vorrà rifarsi questo fine settimana. Accontentalo.»

«Sai che sacrificio» ridacchiò Usagi. Si intristì immediatamente. «Che invidia. Una notte al mare, con la spiaggia sotto i piedi e lo scroscio delle onde in sottofondo...»

«Andremo in bicicletta» la interruppe Ami. «Abbiamo programmato una gita sabato mattina. Giriamo tra le colline dei dintorni mangiandoci un panino, poi la sera magari facciamo un tuffo in acqua prima di cenare e poi-»

«Farete sesso.» Fu un coro di tre voci ridenti.

Ami non seppe più sotto che ombra nascondersi. «Sì, forse.» Si morse le labbra. «Ma non sono faccende di cui bisogna per forza parlare, no?»

Makoto non ebbe nemmeno bisogno di rifletterci. «Mah, secondo me parlarne è un'ottima cosa. Soprattutto se lo fai col tuo lui.»

«E con le amiche!» aggiunse Usagi. «È troppo divertente!»

Rei rannicchiò le gambe contro il petto. «A volte sarebbe stato meglio, Usagi, se tu avessi ritenuto un po' della discrezione degli inizi. Ormai su te e Mamoru so più cose io-»

«Anche tu mi hai detto tutto di te e Yuichiro!»

«Non tutto!» arrossì Rei, indicandole di abbassare la voce.

«Be', mi hai detto tante cose utili. Io le ho sfruttate, e secondo me tu hai fatto la stessa cosa!»

«Ehi!» L'indignazione felice di Makoto fu reale. «Perché non avete coinvolto anche me? Io non leggo libri come Ami, imparo per sentito dire. Se potessi ancora sorprendere Gen-»

«Eh-ehm!» Ami interruppe il discorso prima che degenerasse. «Io...» Sotto gli occhi delle sue amiche si sentì sotto una lente di ingradimento. «Io sono ancora riservata. Per adesso.» Fece quella piccola concessione.

Makoto non si lasciò convincere. «Allora parlo io, come amica. Hai mai fatto...?»

Rei si esibì in una smorfia. «Non fare gesti con le mani!»

«Okay okay, scusa.» Makoto si sporse in avanti, una mano accanto alla bocca. «Avvicinati, Ami.»

Ami fu ancora una volta cosciente di un grosso problema che l'affliggeva: era eccessivamente curiosa. Mandò avanti l'orecchio.

Makoto cominciò a sussurrare. «Allora... psst pssst pst. E poi pst pssst pst pst.»

«Interessante» ridacchiò Usagi, che non aveva sentito nulla.

Sorridendo, Rei le fece segno di sedersi vicino a lei. «Vuoi un massaggio anche tu? Quello di Makoto mi ha sciolta, voglio diffondere il relax. Lasciamo che Ami impari qualcosa di nuovo in segreto.»

Ami saltò indietro, porpora in volto. «Ho imparato abbastanza.»

Makoto incrociò le braccia, pensierosa. «Visto come hai reagito, per te è ancora una cosa nuova. Non capisco come sia possibile.»

«Alexander è...» Di fronte al silenzio delle altre, Ami preferì non sbilanciarsi. «Non è successo, tutto qui.»

Makoto si fece tenera. «Può essere una cosa molto bella. Come qualunque cosa, se la fai...» Ci pensò su. «Per l'altra persona. Solo per questo.»

Usagi si intromise con cenni di assenso entusiasti. «Confermo!»

«Come fai a sapere di cosa stanno parlando?» Rei disegnò la linea della sua colonna vertebrale.

«Ahhh! Uh... cosa? Ah, sì, figurati se non ho capito. Ami, poi chiedi di ricambiare. O fallo prima. Bah, prima o dopo non conta, provalo!»

Ami chiuse gli occhi e respirò a fondo. «Credo che tu abbia frainteso.»

Usagi aguzzò lo sguardo e ridacchiò. «Però siccome tu sei intelligentissima adesso non stai facendo confusione su quello che intendo. Dai retta anche a me! Mako-chan, ma tu allora che cosa le stavi dicendo?»

«Per oggi abbiamo imbarazzato Ami abbastanza. Andiamo a prenderci un gelato?»

«Sììì!» Balzando in avanti Usagi si trascinò dietro Rei - a cui si era impigliata con la clip della gonna - Makoto - a cui fece un involontario sgambetto - ed Ami - a cui finì addosso con tutte le altre.

«USAGI!!!»

«Scusate...» fece mesta lei.

Sdraiata in mezzo al mucchio, Rei sospirò. Quattordicenne o donna sposata che fosse, Usagi non era mai cambiata.

 


 

Di venerdì sera, ormai a mezzanotte, Ami si profuse in un inchino di fronte a Minato-san, che era rimasto ad attendere il loro arrivo alla casa di Izu fino a quell'ora.

«Grazie infinite.»

Lui - un signore di sessant'anni basso e amichevole - le sorrise benevolo. «Non si preoccupi. Per me è un piacere sapere che avrò ancora questo lavoro per l'estate.»

Alexander le aveva spiegato che i suoi genitori pagavano molto bene Minato-san per occuparsi della casa, ma la sua presenza a quell'ora tarda era comunque un grosso favore.

«Devo ridare la chiave all'agente immobiliare questo lunedì?» le domandò lui.

Ami dovette ammettere la propria ignoranza. «Non lo so. Alexander mi ha detto che non hanno intenzione di venderla fino a settembre, ma...» Scosse la testa. «La chiamiamo domani, così si può organizzare. Se dobbiamo darle le chiavi, passiamo noi da lei.»

Minato-san annuì. «Dov'è Alexander-san?»

Ami indicò l'interno buio della macchina. «Sta dormendo. Ora lo sveglio per entrare.»

«Ha lasciato guidare di notte una signorina come te?»

Tanta premura era esagerata. «Lui ha lavorato fino alle dieci e siamo partiti appena ha finito. Ero più in forma io.»

«Fino alle dieci di sera? Voi ragazzi di Tokyo vi uccidete di lavoro. Avete fatto bene a venire qui a rilassarvi, ogni tanto ci vuole.» Le offrì un inchino del capo. «Vi auguro un buon fine settimana.»

«Anche a lei» lo salutò Ami. Scendendo dal portico illuminato della casa tornò verso la macchina e aprì la portiera. «Alex...» mormorò, sporgendosi verso di lui. «Siamo arrivati.»

«Hm?»

«Siamo arrivati. Entriamo in casa, così puoi dormire sul letto.»

Lui si allontanò dallo schienale con uno scatto. «Diavolo. Dovevi guidare solo per metà strada.»

Lei ridacchiò. «Non importa. Siamo arrivati. Minato-san mi ha dato le chiavi ed è già andato via.»

Alexander si strofinò gli occhi con una mano. «Non volevo dormire tanto.» Cominciò a scendere dalla macchina, massaggiandosi forte il collo provato. Ami lo precedette verso il bagagliaio, ma alla fine tirarono fuori insieme le poche cose che si erano portati dietro.

Mentre Alexander infilava le chiavi nella porta d'ingresso, lei respirò a pieni polmoni la brezza del mare. «Già l'aria mi fa sentire diversa.»

«Io la sentirò meglio domattina» commentò lui, facendo scricchiolare le spalle. «Adesso mi faccio una doccia.»

«Non dormi?»

«Dopo la doccia.»

In preda agli effetti del sonno interrotto lui era quasi sempre di cattivo umore, come mai in altri momenti. Per lei quell'atteggiamento burbero era fonte di divertimento.

Dopo essere entrati, Alexander andò dritto in bagno. Lei sistemò le loro cose nella stanza da letto del piano inferiore, l'unica che avevano chiesto di preparare. Mise come pigiama una lunga maglietta, larga e comoda, e si sistemò sul letto. Accese la piccola televisione appoggiata su un comò sistemato sulla parete opposta.

Il notiziario le fece da sottofondo mentre appoggiava la testa sul cuscino e rilassava i muscoli. Sentì la loro tensione proprio mentre si scioglievano.

Nella stanza solo l'abat-jour faceva penombra.

Le sarebbe sembrato di stare a Tokyo se, dalla veranda semi-aperta, non avesse sentito l'assenza di rumori all'esterno. Era un silenzio che non esisteva in città.

Che pace.

Il peso di mesi di studio ininterrotto le sarebbe sembrato più leggero se la sera, a giornata finita, fosse potuta tornare sempre in un posto come quello. L'idea della casa al mare era bella, ma lei ora vi si trovava bene perché non era sola. C'era Alexander, che sapeva la ragione per cui lei stava studiando così tanto. Lui stava facendo i suoi stessi sacrifici, con lo stesso scopo... Quello di cui non parlavamo più molto. Era un accordo implicito tra loro, forse una maniera per non programmare anche la felicità.

Alexander uscì dal bagno, la bocca aperta in uno sbadiglio sfacciato.

Lei spense la televisione. «Forse è meglio se non metto la sveglia? Possiamo fare la nostra gita anche dopodomani.»

Lui si sdraiò sul letto. «Vediamo come ci svegliamo. Sì, lascia stare the alarm.» La abbracciò, poi per il troppo caldo si allontanò e si limito a rimanerle vicino. «Good night.»

Lei lo baciò sulla fronte. «Buonanotte.»

La mattina seguente Alexander si svegliò col sole negli occhi e una sensazione che si fece pensiero. Si voltò.

Eccoti qui.

Si trattenne dal toccare Ami e la lasciò dormire.

I missed you..

Oh, se gli era mancata. Aveva nostalgia di quando si svegliava con lei in un giorno di settimana qualunque - alle sei magari, dopo una sera in cui avevano deciso di non farsi scoprire da Saeko-san. Ami dormiva da lui e si teletrasportava a casa di mattina presto, prima che sua madre tornasse. Giusto da un mese avevano scoperto che non era più possibile.

Alexander cercava di sentirla tutti i giorni al telefono, nei venti minuti di pausa pranzo effettiva che aveva a disposizione. A volte entrambi erano così mentalmente impegnati ed esausti che riuscivano a parlare solo di lavoro e di studio. Alla fine lui rimaneva col telefono in mano, sentendo che era mancato qualcosa.

Parlavano meglio di sera, quando Ami aveva smesso di studiare, ma a quell'ora era il sonno il loro nemico.

Gli mancava uscire con lei, o divertirsi un martedì o giovedì qualsiasi, solo perché lo aveva deciso. Il weekend era sacro solo di domenica, anche se gli avevano detto - assicurato - che da quella settimana gli avrebbero lasciato libero anche il sabato. Solo per dargli il tempo di studiare per gli esami di luglio, naturalmente, ma per fortuna sua si era già portato avanti su quei libri. Altrimenti... Non volle pensarci.

Era una persona pigra?

Forse si sarebbe sentito costretto anche se avesse lavorato solo dalle nove alle cinque, come le persone normali. Ma quelle stavano lontane mille miglia dai reparti interni di banche d'affari che strapagavano poveri deleritti che davano l'anima ogni giorno - ufficialmente con orari umani, officiosamente dalle otto del mattino fino alle dieci di sera - per scoprire in quali titoli fosse meglio investire, armati di approfonditi e variegati studi statistici. Giusto perché mi pagate, pensò. Gli era piaciuto - troppo, a conti fatti - scegliere come disporre liberamente della propria giornata.

Sacrifici.

Per un fine ultimo ne valeva la pena. Aveva poco tempo, solo pochi mesi, per preparare la sua vita ai cambiamenti che aveva in mente. Il denaro era necessario, triste ma vero.

Per lui era sempre stato troppo facile averne. Due giorni addietro aveva ricevuto il primo stipendio serio della sua vita e... era soddisfacente sapere che quei soldi non erano stati un regalo. Li aveva guadagnati, erano davvero suoi.

Sono grande sul serio. Era ora che lo diventassi.

Mancavano meno di tre anni all'arrivo dello sconvolgimento finale che avrebbe cambiato l'esistenza del mondo intero. Cercava di non pensarci troppo. Meno che mai, se era possibile.

Aveva problemi più immediati da risolvere. Una cosa alla volta.

Inspirò e si beò della ragione per cui lavorava tanto. Era Ami, e anche quell'odore dolce di sudore appena accennato che aveva lei quella mattina, mentre ancora dormiva.

Il sole la colpiva sulle palpebre. Un suo occhio si aprì.

«Morning» mormorò lui.

Ami aggrottò la fronte. «Hm...mmuaaa!»

Il suono dello sbadiglio lo fece ridere.

«'ngiorno» lo salutò lei, nascondendo il viso contro il cuscino.

Che ore sono? Fu una domanda a cui nessuno dei due ebbe voglia di dare voce.

Lei lo spiò con un occhio sereno, semi-aperto. «Qui ti sveglia il sole...» Si mosse indolente sotto le lenzuola.

«È piacevole.»

Ami allungò una mano, posandola sui suoi capelli. Tracciò piccole linee con le dita. «Stai meglio?»

Lui annuì.

Lei lo raggiunse con un movimento improvviso: incastrò le braccia attorno al suo corpo - una contro il suo petto e l'altra attorno alla sua schiena. «Non ci sono uccellini che cantano.»

Un suono acuto, roco e lontano, la smentì.

«Oh.» Ami si sorprese. «Un gabbiano?»

«Credo di sì.»

Lei nascose il viso contro il suo petto. Dove la maglia di cotone leggero lo lasciava scoperto, posò un bacio.

Alexander le infilò una mano tra i capelli. Ne sentì l'assoluta morbidezza mentre lei continuava a strofinare il naso contro la sua pelle. Lo baciò di nuovo, piano. «Ti voglio bene.»

«Me too.» Talmente tanto che, a volte, pensava di sapere perché era stato giusto non fare l'amore con lei prima dell'inverno scorso.

Come avrebbe potuto, senza capire? Come avrebbe potuto, senza amarla come l'amava adesso? Ormai non gli importava più niente di spingersi oltre, gli bastava... stare. Così.

Ami salì con le labbra, carezze umide che lo percorsero sul collo, provocandogli brividi. Li chetò una piccola folata d'aria, entrata dallo spiraglio aperto della veranda. Ami si strinse a lui, cercando la sua bocca, e neppure il vento bastò più.

I suoi propositi di casta serenità si evolsero fino a sparire, la mano di lei che saliva e poi scendeva dal suo petto fino allo stomaco.

«Sai?»

No, la baciò lui, assaggiandola sul collo. 

«Tu sei davvero... bello.»

Stranito, ne rise senza guardarla. «Grazie?»

«Non il tuo viso, il...» Ami lo accarezzò con più fermezza sullo stomaco, la mano che non si staccava da lui. «Mi piaci molto.»

Be', allora in quel senso a lui piaceva piacerle molto. E stava cominciando a diventare colpa di Ami se gli stavano tornando in mente tutte le idee lascive che aveva elaborato in quella settimana. Ma in fondo... che male c'era? Sarebbe stato davvero amorevole nel proporgliele, e poi nell'attuarle. Le avrebbe amate anche lei e si sarebbero amati a vicenda.

Cercò di accarezzarla sul fianco, ma Ami scivolò via. «Aspetta.»

Che cosa?

Ami sollevò maglia del suo pigiama. Tracciò piccoli cerchi con le mani, un sorriso lasciato a guardarlo. Si chinò di nuovo, a baciare la pelle che stava accarezzando. «You smell good

Anche lei aveva un buon profumo, ma, per una volta, lui non sentì tanto l'ardore di averlo sotto il naso quanto di guardare, sentire. L'inglese di Ami era il preludio a momenti di abbandono che lei percepiva come profondamente romantici. Lui non riusciva a immaginare cosa avesse in mente ora.

Stava per sedersi su di lui e...? Quello sarebbe stato un ottimo modo di cominciare quell'epico fine settimana.

I baci di Ami sul stuo stomaco si erano fatti... timidi. Teneri, a ben vedere. La sensazione gli ricordò di quando da bambino qualcuno - sua madre, Nanny Shoko? - aveva fatto la stessa cosa. Se ne dimenticò e chiuse gli occhi, passando una mano tra i capelli soffici di lei. Ami lasciò scorrere le mani su entrambi i suoi fianchi, salendo sino all'altezza della vita come a... prenderlo.

Il gesto gli diede idee perverse che lei non aveva cercato, ma che ebbero un effetto immediato.

Ami salì con la bocca e scese con la mano, tanto inequivocabilmente che la infilò sotto i boxer del suo pigiama. Li tirò giù.

Lo choc più grosso dell'esistenza di Alexander durò giusto un secondo, perché quello dopo... Sobbalzò e si tirò su per metà, evitando a stento di mordersi la lingua mentre stringeva i denti.

Ami lo guardò, rosa in viso appena un po' più del normale, troppo tranquilla per il resto.

Lui la guardò di rimando, mentre stava inginocchiata davanti a lui, le mani che stringevano la sua carne.

Non ebbe il cervello per produrre una sola espressione sensata.

Stava sognando. Per forza. Non si era ancora svegliato.

La mano di Ami si mosse sulla sua erezione in una carezza delicata, determinata, che distrusse quell'idea e gli strappò un ansito soffocato. Chiuse gli occhi e fu costretto a riaprirli subito, perché Ami aveva- Oh God, con la bocca lei stava-

Al pensiero si sostituì l'assolutezza della sensazione e dell'immagine, che fu talmente onirica, assurda e - diavolo - la cosa più erotica che lui avesse mai visto in vita sua.

Annichilito, si dimenticò della vista.

Ami baciava come baciava sempre, con passione innocente e curiosità, sentendo, assaggiando e... gustando.

Lui non ebbe la forza di gettare la testa all'indietro, ma come problema sparì subito anche quello: Ami lo aveva chiuso interamente tra le labbra umide e calde, e lui...

Facendo violenza al proprio corpo la spostò di lato. A bocca aperta si sollevò sulle ginocchia, cercando di rannicchiarsi e di non sporcarla mentre provava l'orgasmo più... più...

Rimase miracolosamente in silenzio. Poi dondolò come un pupazzo, svuotato anche della logica.

Alzando gli occhi trovò Ami con lo sguardo basso che... osservava. Solo poi lei passò a guardare lui, in faccia. Avvampò e perse il rossore in un secondo, senza dire niente.

'Non guardarmi così.' Lei lo pensò solo per un attimo e non lo disse. Si vergognò un poco, questo sì, poi deglutì e... accennò un sorriso. «Ho capito.»

... ah?

Lei sorrise, pregna di un imbarazzo mite. Indicò la porta accanto al letto. «Vado in bagno.»

Scese dal letto, e a passo calmo andò dove aveva detto, senza chiudere la porta.

 

Oh.

Oh, arrossì Ami.

Oh, capì.

Capì tante cose.

Si sentì così accaldata che guardando la doccia non resistette. Si spogliò, aprì l'acqua ed entrò sotto il getto che la colpì allo stomaco, chetando i suoi bollori.

Oh.

«Aspetta!»

Alexander entrò in bagno tanto rapidamente da non darle nemmeno il tempo di coprirsi con le mani.

«Non fare la doccia» le disse lui, indicando la stanza da letto, perso. «Torniamo di là.»

«Ehm...» Lei cercò di nascondere seni e ventre come meglio poteva, poi si spostò dietro il vetro opaco della cabina. «... Perché?» Non le venne in mente una domanda più intelligente da porre.

«Devo... Voglio... Vieni di là, Ami.» Quando Alexander riuscì a sorridere, il mondo tornò a essere un pochino più normale. «Non bagnarti la testa, torna ora di là con me.»

«... va bene, ma...» Le sfuggì una risata nervosa. «Aspetta un attimo, mi rinfresco e vengo fuori.»

Senza ascoltarla, Alexander allungò le mani per prenderla, entrando con metà corpo nella cabina.

«Ti bagni!» rise lei, ma la disarmò l'esultanza muta di lui, che la strinse senza lasciarla.

«Non importa. Esci.»

Lui abbassò la bocca verso la sua. Appena prima di abbandonarsi al bacio lei scattò all'indietro con la testa. «Ah.» A labbra serrate cercò di assaggiare da sola la propria lingua.

Lui esitò un momento a sua volta, poi la baciò sull'angolo delle labbra e tra le labbra, incurante di qualunque altra cosa.

Senza uno straccio di vestito addosso e con l'acqua che la rinfrescava sulle gambe, lei si sentì ugualmente come dentro un vulcano. Gemette piano nel bacio e cercò di calmarsi, di smettere. «Adesso esco» riuscì a dire, dolce nel tono: quando parlava così Alexander la ascoltava sempre.

Ma lui non si allontanò. Si mosse anzi in avanti, di quel poco che bastava perché l'acqua iniziasse a bagnargli una spalla sopra la maglietta del pigiama. La lasciò con una mano, solo per mandare a scorrere quelle stesse dita su un suo seno, facendole quasi perdere l'equilibrio sul piatto della doccia.

«Esci, Ami» le ripeté, docile. «Voglio ricambiare.»

Ricamb- Le esplose il cervello. «No!» Si colorò di rosso persino sulla punta del naso. «Voglio dire, io devo... Allora mi serve fare la doccia.» Non credette a quello che aveva detto - a quello che aveva concesso - ma si ritrovò con un altro bacio e non ebbe la testa o il desiderio di ritrattare. Non aveva chiuso gli occhi per l'imbarazzo - perché voleva vedere Alexander - e notò di sfuggita lo strano movimento di lui. Alex aveva messo la mano sotto il getto diretto dell'acqua, per prendere qualcosa dai piccoli ripiani sull'angolo opposto. Del sapone, capì lei, quando sentì la sensazione scivolosa contro lo stomaco. Sobbalzò piano, non troppo perché era ancora stretta forte.

«Okay» lo sentì dire, e sorridere. «Ti serve qui, vero?»

Lei scivolò per davvero quando la barra di sapone prese a scorrerle tra le gambe. Raddrizzò le ginocchia solo per guardare Alexander in faccia.

Aouhm? Il suono muto della sua domanda sconnessa non incontrò risposta.

Lui aveva chiuso gli occhi, teneva la fronte appoggiata sulla sua. «Voglio toccarti così dappertutto, Ami.» Lasciò cadere il sapone e continuò con le dita, costringendola a reprimere un ansito. Alla fine lei non resistette e liberò la voce, stringendogli un braccio tanto forte da graffiarlo con le unghie.

«Voglio baciarti così dappertutto. Per favore.»

Ami nascose il viso contro il suo collo per non ascoltarlo più, per ascoltarlo meglio. Premette il bacino contro la sua mano, dondolando contro le sue dita.

Piano piano, ancora.

Stava andando a pezzi, in fiamme,.

Lui la baciò forte sulla tempia. «I love you

«Hmm» gemette indecentemente lei. «I love you too.»

Alexander si tirò indietro. Bagnandosi di nuovo, prese il manico della doccia.

Attonita, lei si appoggiò con le mani alle pareti della cabina, per rimanere in piedi da sola.

«Ti sciacquo» spiegò lui.

«Ma...»

«Di là, Ami.»

Lei si fece lava di miele e non disse più niente. Accompagnò la mano di lui mentre dirigeva il getto dell'acqua contro il suo corpo, per lavare via le tracce di sapone. A risciacquo terminato, decise di smettere di essere solo una marionetta, felice di subire carezze. Inspirò e afferrò l'asciugamano grande che le passò lui. «Togli quella maglietta bagnata» gli disse.

Alexander lo fece senza protestare. Non era timido come lei. Lui aveva sempre il controllo.

Si ricordò di come glielo aveva rubato solo poco prima e camminò verso l'uscita del bagno, avvolta da un asciugamano, aspettandosi da un momento all'altro, con timore e trepidazione, che anche quello le venisse tolto di dosso, al pari di ogni altra difesa.

Arrivò invece al bordo del letto senza sorprese, con Alexander che si sedeva davanti a lei.

«I love you so much, Ami love

Lei si sporse in avanti, su di lui, lasciando andare l'asciugamano. Lasciò andare tutto, pudore e imbarazzo. Si aggrappò alla persona che amava e nel bacio che ricevette - che diede - bruciò tutte le ragioni che le erano d'ostacolo. D'amore avvampò e per amore si lasciò sdraiare sul materasso, rimanendo ad ascoltare il pulsare del proprio ventre che agognava un contatto. Cercò le mani di lui, sorridendo nel trovarle. «Ti amo» sussurrò ancora. Più di qualunque cosa.

Preparata com'era a vibrare, si inarcò nel ricevere la carezza di un dito tra le gambe, riprendendo a salire la china di sensazioni da dove l'aveva interrotta.

Si sentiva turgida, troppo sangue a dare energia ai recettori che costruivano la sensazione innominabile che voleva con tutta se stessa.

Altri due tocchi studiati la spinsero verso quell'orlo, in caduta libera. Erano carezze meravigliosamente umide - come il sapone, pensò alla lontana. Poi sentì un sapone che era bollente e ruvido, umido, e si muoveva. Strinse le gambe - troppo, ma non bastò. Portò la mano alla bocca e baciò come stava facendo lui, ad occhi chiusi e senza ragione.

Perché ti amo, ed era meraviglioso, tutto.

Sussultò a scatti, a singhiozzi, e pulsò, strappandosi il respiro in ondate - tutto dentro di lei che rispondeva all'unisono, muovendosi per l'eccessivo piacere. Non aveva ancora finito che ricominciò daccapo, senza un momento di tregua. Quando terminò realmente, scoprì che era montata in lei un'euforia che la stava facendo sorridere al soffitto, al nulla.

Alexander si sollevò in tempo per vederla. «Oh, damn. So beautiful now.»

Provarono un bacio, ma lui si fermò con una risata bassa e strofinò la bocca contro il dorso della mano. «Be right back.»

Lei se ne rimase sul letto, a respirare stremata di contentezza. Fu invasa da un'ondata di torpore che si posò sulla sua mente come una coltre amorevole.

«Non dormire.»

Spalancò gli occhi. «Sorry.»

Alexander era tornato e si era messo a carponi sul materasso. «Chi ha detto che ho finito?»

Lei, che era talmente allegra che riconobbe subito che lui era tornato quello di prima - il ragazzo che conosceva e che non era più tanto meravigliosamente determinato ad avere tutto di lei.

«Non sei stanco?»

«Prima sono durato dieci secondi. Che vergogna.»

Lei scoppiò in una risata alta e venne travolta da un abbraccio. Sentì un bacio sotto l'orecchio. «Sono contento di essermi rifatto.»

«Si dice così?»

«Sto solo cercando di vantarmi, così ti do un minuto per recuperare. Ti prego, rimani sdraiata così, my love

«Vuoi approfittarti di me.»

«L'idea è questa. Concedimi la grazia.»

Lei smise di scherzare, sfiorandogli la guancia con le labbra.

, fu la sua risposta.

La grazia di aversi - a vicenda - era un dono.

Lo avrò adesso, e con me tu lo avrai in eterno.

  

Giugno 1997 - Weekend al mare -  FINE

  


  

Note: dopo aver riletto i precedenti capitoli sono stata molto contenta di vedere che questo si incastra bene nella storyline che ho creato, nonostante lo avessi scritto prima di tutti gli altri. Ora finalmente posso proseguire verso la parte clou di questa raccolta. Aspettatevi un po' di tempesta tra Ami e Alexander ;)

 

Grazie di aver letto! 

 

ellephedre

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

   
 
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