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Autore: lapoetastra    09/04/2016    3 recensioni
John Watson ha appena rischiato di morire.
Sherlock Holmes lo ha salvato.
La strada verso casa, buia e solitaria, permetterà ad entrambi di rivelare ciò che è sempre rimasto celato nelle loro menti e nei loro cuori, ma che non è mai giunto alle labbra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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John si sente ancora molto spaventato, mentre percorre con passo leggermente malfermo la lunga strada solitaria che nel giro di pochi minuti lo avrebbe condotto a Baker Street.
È al sicuro, ora, eppure la paura, infida e viscida, si ostina a non abbandonare il suo corpo.
Ha appena rischiato la vita, dopotutto: se Sherlock non lo avesse salvato, a quest’ora sarebbe sicuramente nient’altro che polvere, bruciato vivo dai terroristi.
Già, Sherlock.
L’investigatore cammina accanto a lui in silenzio, con la testa bassa per proteggersi dal freddo vento invernale che sferza la pelle come tante piccole spine ed il respiro che si condensa in caldo vapore non appena abbandona le labbra semiaperte.
John vorrebbe ringraziarlo.
Sa che deve farlo.
Gli ha salvato la vita, in fin dei conti.
< Sherlock, io… io devo dirti grazie >, esordisce di colpo. < Se non fosse stato per te, a quest’ora io non sarei qui. Ma non è solo per questo. Tu mi hai reso una persona migliore, anche se lo hai fatto inconsapevolmente. Da quando sono con te, io sono… diverso. Mi interesso di più a ciò che mi circonda, sono più curioso, mi sento persino più intelligente, anche se a tuo confronto non valgo nulla, ovviamente. Grazie, Sherlock. Grazie per avermi accettato come tuo coinquilino e compagno di lavoro. Per avermi fatto lo straordinario e preziosissimo dono della tua amicizia, che è il più bello che potessi ricevere. Grazie per i tuoi splendidi sorrisi che anche se rari sono in grado di rischiarare una stanza intera e di scaldarmi il cuore. Per… sì, grazie anche per tutte le volte che suoni il tuo violino nel cuore della notte, impedendomi di dormire ma facendomi anche sorridere, perché grazie alle sue note stridule io ti sento vicino a me nonostante sia da solo nella mia stanza buia. Grazie semplicemente per essere così… così te, Sherlock. >
John pensa a tutto questo, ma non tramuta nulla a parole.
L’imbarazzo è troppo forte, e sa che se provasse a parlare la lingua si attorciglierebbe su se stessa facendogli fare la figura dello stupido.
< Grazie >, dice allora semplicemente, e subito quella parola si disperde nell’aria della sera.
La gola si è seccata, ora, e non può aggiungere altro.
Si limita a stare in silenzio, ed a continuare a camminare, ma dentro di sé spera, prega, che Sherlock capisca.
 
 
Mettere i piedi l’uno davanti all’altro: ecco su cosa bisogna concentrarsi.
Se solo si distraesse per anche solo un attimo da quell’azione ripetitiva e meccanica, Sherlock penserebbe, ed in questo momento non è esattamente la cosa migliore.
Se lo facesse, infatti, la paura lo immobilizzerebbe come una statua di sale, impedendogli di camminare e togliendogli il respiro.
Ha rischiato di perdere John – il suo John - appena pochi minuti prima, di vederlo morire di fronte ai suoi occhi, di non riuscire a fare niente per salvarlo.
Non è successo, grazie al cielo e grazie alla sua mente geniale, ma se fosse accaduto… no, Sherlock non ci vuole neanche pensare.
Sarebbe morto con lui, probabilmente, a causa del dolore e della disperazione.
Ma ora Watson è lì vicino che cammina con passo appena un po’ malfermo, ed è vivo, e sta bene.
Solo questo importa.
Sherlock lo osserva con la coda dell’occhio, e solo quella vista gli scatena nel cuore un’emozione nuova, indescrivibile, che mai avrebbe creduto di poter provare.
< Grazie >, ode di colpo.
L’investigatore si ferma.
John lo ha appena ringraziato.
Per cosa? Per averlo salvato da una morte altrimenti certa, sicuramente.
Holmes cerca di incrociare il suo sguardo, di scrutarlo con il suo solito fare investigativo, ma gli occhi dell’altro scappano, sono sfuggenti.
Sorride, allora, e trae un profondo respiro.
< No, caro dottore. Non ci siamo >, dice piano. < Sono io che devo ringraziare te. Se non ci fossi tu, io… io mi sarei fatto già ammazzare tante e tante volte. Tu sei l’unico che mi tiene con i piedi per terra anche quando il mio ego raggiunge dei livelli esorbitanti. Sei l’unico amico che abbia mai avuto e che mai avrò, e non c’è giorno in cui non mi domandi cosa ho fatto di buono nella mia vita per meritarti. Grazie, Watson, davvero. Per essermi rimasto accanto in tutto questo tempo, anche le volte in cui sono antipatico persino a me stesso. Per avermi permesso di diventare una persona nuova, addirittura migliore, forse. E scusa. Scusa per tutte le volte che ti ho impedito di dormire suonando il violino. Non so come fai a sopportarmi, davvero. Per questo sono io che devo ringraziare te, John. >
Ma tutto questo Sherlock non lo dice.
È facile pensarlo, ma dirlo… no, non ci riesce proprio.
Che cosa penserebbe Watson, poi?
Che è una femminuccia, sicuramente, e lo deriderebbe per sempre.
< Figurati >, risponde dunque.
Non dice altro, ma dentro di sé desidera con tutto il cuore che John capisca.
 
I due amici, l’investigatore ed il dottore, si guardano per un attimo. Sorridono impercettibilmente, ma non parlano.
Si limitano a continuare a camminare, nella notte sempre più scura e fredda.
Le parole non servono, in fondo.
Quel sorriso, timido, appena accennato, ha rivelato tutto ciò che è nascosto nei loro cuori e nelle loro menti da sempre, ma che mai è giunto alle labbra.
Ed entrambi, d’improvviso e finalmente, capiscono.
   
 
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