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Autore: Selhen    09/04/2016    0 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era notte fonda, ad Atreia, e nei meandri più profondi del sottosuolo del Katalam, Araziel sedeva stancamente davanti alle rovine distrutte dell'ingresso di Katalamize.
Il Daeva era intento a fasciare con delle bende pulite una ferita al polso. Non appariva teso o guardingo, nonostante il combattimento appena concluso con un balaur, era consapevole che da quando Balaurea era stata sommersa da un'enorme massa d'acqua, gli accessi al sottosuolo del Katalam erano rimasti sbarrati, e così quel luogo era tramontato.
Nessuna lotta veniva più intrapresa sui suoi larghi gradoni, nessuno shugo si aggirava più per quei corridoi desolati. L'intero sottosuolo sapeva di abbandono. Solo pochi Daeva, per lo più solitari e temerari come lui, tendevano a girovagare per quei luoghi deserti alla ricerca di qualche insperata fortuna.
Araziel non desiderava nulla di tutto ciò. La sua era solo diventata un'abitudine malsana e senza senso. Girovagava intere notti per quei corridoi ripensando ai bei momenti che tra quei ruderi abbandonati aveva trascorso con la sua legione.
Già... la sua legione.
I Deads can Dance si erano sciolti da un pezzo. Galthun, Flamet, Pausania, avevano preferito cercare fortuna altrove dopo la catastrofe che aveva portato via l'intero Katalam. Lui li aveva lasciati liberi di scegliere, da buon capo sapeva che solo un obbiettivo comune avrebbe giovato all'intera legione e se loro avrebbero desiderato crescere e migliorarsi altrove, Araziel glielo avrebbe lasciato fare.
Da quel momento i Deads can Dance si erano fusi ai Prepotenti, una delle legioni più prestigiose di Asmodae. Araziel aveva seguito i suoi legionari ma, nonostante ciò, aveva ricominciato ad operare da solo.
Troppo spesso si lasciava prendere da reminescenze. Troppo spesso rimpianti o domande venivano a fargli visita e aveva sentito il bisogno ma allo stesso tempo l'impossibilità di gettarsi in mezzo alla battaglia.
La grandezza asmodiana aveva subito una dura battuta d'arresto durante i tempi dell'inondazione. Una nuova catastrofe aveva scoraggiato la fazione e gli elisiani sembravano essersi moltiplicati quando era stato il momento delle conquiste delle fortezze o delle nuove terre emerse. Akaron, Vengar, Signia.
Nessuno parlava più del Katalam, di Sarpan, di Tiamaranta. Perfino il sottosuolo era finito nel dimenticatoio finchè i Daeva non avevano trovato un modo geniale per ritornare nei suoi bui corridoi.
Era stato costruito apposta un grande portale per permettervi l'accesso a ore limitate del giorno, ma nonostante ciò il luogo non era tornato in vita così come si era sperato. Nessuno aveva ambito più a girovagarvi, nè c'era più alcuno shugo che avrebbe scambiato monete antiche per le cose che chiunque avrebbe potuto raccogliervi.
Araziel era uno dei pochi asmodiani che era rimasto legato a quei ruderi solitari.
La lucente porta d'etere di Katalamize mandava bagliori sinistri che gli illuminavano il viso mentre lui, aiutandosi con i denti, aveva stretto il nodo di una bianca fasciatura al proprio polso.
Quando il tiratore ebbe terminato quella che per un Daeva solo era un'impresa piuttosto ardua, si fermò a fissare il proprio operato. La fascia era stata sistemata in maniera piuttosto sciatta, però era abbastanza stretta da bloccare l'emorragia che la spada di quel balaur appena ucciso gli aveva inferto.
Il Daeva girò lo sguardo sul cadavere ancora immobile ai suoi piedi. Lo insultò poco decorosamente e assestandovi un calcio con disprezzo si alzò in piedi lanciando un ultimo sguardo al grande ingresso circolare di Katalamize. Tentò di decifrare con scarso risultato le antiche rune annerite che erano incise nella pietra chiedendosi chi avesse abitato quei luoghi prima che i Daeva lo popolassero... e lo dimenticassero.
Mentre si abbandonava a questi pensieri, il tiratore dai capelli rossi aveva tirato fuori dai foderi entrambi i revolver e si era avviato verso l'uscita del sottosuolo. Era sicuro che non avrebbe incontrato nessun elisiano ma l'esperienza gli insegnava che la prudenza non era mai troppa.
Lasciandosi alle spalle il cadavere del Balaur Araziel si avviò nuovamente nel buio sottosuolo. Udì per alcuni istanti solo il suono delle gocce di condensa che si infrangevano sulla superficie di piccole pozzanghere, poi, all'improvviso uno lembo di stoffa che spariva dietro l'ingresso al corridoio centrale catturò la sua attenzione.
Il tiratore balzò sull'attenti. Era sempre piacevole confrontarsi in un faccia faccia con un elisiano, benchè negli ultimi tempi quelli vaganti nel sottosuolo fossero pochi e perfino inoffensivi.
Le sopracciglia rosse di Araziel si incurvarono verso il basso. Il cipiglio selvaggio del suo volto affilato divampò di furia asmodiana quando i suoi occhi azzurri sfavillarono.
Il caricatore scattò con un rumore che gli parve riecheggiare nell mura deserte poi Araziel accelerò precipitosamente il passo puntando uno dei suoi revolver alla schiena della presunta elisiana. La giovane sembrava essersi nascosta nel momento in cui aveva udito i suoi passi.
Indifesa, per l'appunto... si disse.
"Mani sopra la testa, elisiana...", ghignò spingendo la canna della pistola con più forza contro la spina dorsale della donna.
I suoi capelli erano lunghi fino alla vita, argentei, quasi bianchi.
La ragazza sollevò le mani in alto in segno diresa. Ma prima che Araziel potesse far caso al colore della sua pelle un tono brusco e altezzoso lo sorprese. "Sei forse cieco, tiratore? da quando confondi i tuoi simili per nemici?".
Il tiratore si accigliò per un momento. I suoi occhi corsero a cercare una conferma sul dorso pallido delle mani dell'asmodiana, ma si accorse con perplessità che non c'era traccia di artigli su quelle morbide dita tozze e delicate.
Araziel abbassò comunque la pistola permettendo alla ragazza di voltarsi.
"Che razza di asmodiana è una che non possiede neanche gli art...". La voce gli si spezzò in gola nel momento in cui il tiratore potè scorgerne il viso.
Quei tratti... quegli occhi.... li avrebbe riconosciuti dovunque.
L'Asmodiana si era voltata di scatto evocando una barriera di protezione. Una fattucchiera, dunque, si disse Araziel.
"Ti stai chiedendo che fine abbiano fatto i miei artigli? Ho appena finito di limarli stamattina", disse la giovane fattucchiera con un sorriso mellifluo allontanando l'arma di Araziel con un gesto sprezzante della mano. "E ora se non ti dispiace...".
Il tiratore colto per un momento alla sprovvista si era fatto da parte per lasciare passare la bella ragazza dai capelli fluenti.
Soppesò le possibilità nel valutare la somiglianza. Era possibile che quell'asmodiana c'entrasse qualcosa con Selhen?
E di Selhen? Che ne era stato?
"Decisamente strano... un'asmodiana che lima le unghie...", la apostrofò con tono provocatorio mentre infilava nuovamente il revolver nel fodero.
"Questioni di moda".
Araziel inarcò un sopracciglio. "Moda?".
"A Sanctum è molto in voga, non lo sapevi?", stava dicendo la fattucchiera divertita dopo aver ripreso a camminare.
Il tiratore tralasciò volutamente il tono provocatorio dell'ultima insinuazione. "Cosa ci fa una donzella come te soletta per il sottosuolo?".
"Attendevo la protezione d'un Daeva tutto d'un pezzo come te!", rispose prontamente la ragazza soffermandosi davanti alla miniera di ID. Araziel la studiò mentre con incantesimi e concitati movimenti della mano iniziava a far fuori una serie di klaw saccheggiatori.
"Non sei un po' fuori tempo per sterminare klaw?", domandò il tiratore con una punta di ironia nel tono della voce.
"Ho bisogno di una piccola quantità di ID da portare alla mia mentore. Ne necessita per alcuni esperimenti".
Araziel sollevò le sopracciglia con l'aria d'aver compreso. "Mh, capisco!", disse in tono grave.
La ragazza aveva appena folgorato un klaw con un nuovo incantesimo  "Beh tiratore, hai l'aria del lupo solitario tormentato, capisco che avrai dimenticato quali sono le buone maniere ma... non mi hai neppure detto come ti chiami".
Il tiratore esitò per un momento, poi disse sospirando. "Araziel".
La ragazza si fermò nell bel mezzo di un incantesimo tenendo una mano sospesa a mezz'aria. "Quell'Araziel?", chiese cercando la conferma negli occhi dell'asmodiano.
"Capo dei Dead Can Dance... uno dei tiratori più forti della fazione asmodiana e via dicendo... sì quello!", aveva concluso incrociando le braccia con aria compiaciuta.
Le piccole labbra rosee della fattucchiera si schiusero in una piccola o perfetta, poi un sorriso le animò il visetto di porcellana.
"Ho sentito molto parlare di te...".
"Già" stava dicendo il tiratore con un mezzo sorriso accostandosi a lei per sparare due colpi precisi su un grosso klaw saccheggiatore.
"Grazie", aveva detto la fattucchiera chinandosi a saccheggiare il piccolo cadavere.
"Tu... mi ricordi qualuno". Aveva ripreso il tiratore pensieroso indicandola all'improvviso con un indice accusatorio a un palmo del naso di lei.
"Davvero?", le sopracciglia chiare della giovane si inarcarono sugli smeraldini occhi verdi. Era pallida, molto pallida, ma senza artigli, e la coda doveva essere celata dal vestitino che indossava.
"Mi ricordi Selhen".
Per quanto Araziel sapesse che era severamente vietato pronunciare il nome della più conosciuta traditrice di Atreia non si fece alcun tipo di problema a usarlo davanti quella sconosciuta.
La fattucchiera per tutta risposta rabbrividì a quel nome. Per un attimo la sua maschera fatta di sicurezza e alterigia parve vacillare poi il suo viso tornò a riacquistare la sicurezza di sempre.
"Prima mi scambi per un'elisiana e quasi mi ammazzi, adesso stai anche osando paragonarmi alla storica traditrice di Atreia... bene! E ne parli perfino come se l'avessi conosciuta...".
Araziel notò che c'era una punta di morbosa curiosità nel finale del discorso della ragazza.
"Come ti chiami asmodiana?".
La ragazza che ormai aveva smesso di saccheggiare i corpicini dei klaws carbonizzati adesso era tornata ad osservarlo guardinga. "Perchè ti interessa?".
"Pura curiosità".
Araziel la scorse titubare per un altro momento, poi con voce spezzata disse... "Azariel".
Bingo! Azariel! Un nome così simile al suo ma che sapeva avere ben altro significato.
"Azariel... l'angelo della luna, proprio come Selene voleva essere un tributo a quel corpo celeste".
La ragazza abbozzò un tenero sorriso che non sfuggì al tiratore, ma presto la sua espressione si trasformò in un broncio.
"Che ne è stato di Selhen?", domandò infine Araziel con aria spiccia. Non c'era rabbia nella sua voce, nè sdegno, solo curiosità.
"Cosa?", l'asmodiana continuava a far finta di non comprendere.
"Sei sua figlia... te lo leggo in faccia, sputa il rospo Azariel!".
"Non so di cosa parli", disse la fattucchiera dandogli le spalle per dirigersi verso l'uscita.
Araziel fu più svelto, la bloccò per un polso costringendola a voltarsi, ma lei gli sfuggì, perdendosi nel buio di qul luogo sotterraneo. Araziel rimase in piedi, dubbioso. Le pistole gli sfavillavano ancora ai fianchi illuminando il luogo circostante.
Selhen gli aveva chiesto di restare, ripensò. Lo aveva fatto? No, quindi che diritto aveva di pretendere l'attenzione di sua figlia?
Ripensò all'ultimo incontro di lui e Selhen in cella. A quei tempi il suo orgoglio asmodiano era troppo grande per lasciare spazio ai sentimenti. A quei tempi era il capo di una legione, e se volevi avere pugno fermo sui tuoi uomini dovevi mettere da parte i sentimentalismi.
Il tiratore si lasciò cullare per un momento dal ticchettio delle zampette dei klaw, poi decise che per quella notte sarebbe tornato a casa. Aveva bisogno di riposare.
La stanchezza lo sorprendeva sempre più spesso, negli ultimi tempi. Araziel sapeva che non si trattava di stanchezza fisica, eppure la sentiva gravare sulle sue membra come veleno.
"Sei ancora convinto di conoscere la mia storia?".
Una voce femminile rimbombò tra le pareti rocciose del corridoio. Un mucchio di klaw si diedero alla fuga quando quella voce ruppe la loro laboriosa quiete.
Araziel si voltò e la vide all'entrata del corridoio. In una posa fiera ed eretta, con la compostezza e l'arroganza di un elisiano, si disse.
"Sì", proferì il tiratore accomodandosi su un masso lì vicino.
Azariel fece un passo riluttante verso di lui.
"Solo se mi prometti che sai mantenere i segreti".
 
 
Saephira trafficava nelle sue cucine con aria assorta. Per quel giorno si era congedata dalle missioni molto presto e aveva deciso di dedicarsi alle mansioni domestiche al posto del proprio shugo servitore. Qualche tappeto colorato qui, qualche tendaggio stravagante lì, la sua abitazione si era trasformata decisamente in quella che il suo amico Dahnael avrebbe definito una casa bardosa.
A quel pensiero abbozzò un sorriso che si spense nel momento in cui i sui occhi scorsero la cassettiera contenete tutti i vestiti di Selhen.
Quando lei era comparsa e la sua casa era confiscata tutti i suoi averi erano stati bruciati. Eccetto quella cassettiera.
Avevano comperato la maggior parte di quegli abiti insieme e ad ognuno di esso era legato un ricordo che aveva di lei.
Aveva supplicato Araziel, che ai tempi era il capo della loro legione, di trafugarla per lei mentre ne svuotavano l'appartamento. Lui all'inizio aveva titubato un istante, e in quel momento Saephira era stata consapevole di come nominare Selhen costituisse per lui la riapertura di una profonda ferita.
Non lo aveva mai saputo con certezza ma la barda supponeva che Araziel avesse vissuto il tradimento di Selhen come un fallimento.
All'inizio la daeva aveva pensato che un po' Araziel se lo meritasse, era stato lui a lasciare in accademia, da sola, una Selhen ancora innamorata di lui, poi aveva rivalutato la propria opinione perchè Selhen gli era cominciata a mancare ogni volta che quella  cassettiera si parava di fronte al suo sguardo.
Toc toc. Qualcuno aveva compostamente bussato alla porta.
Lo shugo servitore si era precipitato all'ingresso finchè non era rispuntato con l'ospite.
"Araziel?".
Araziel era un lupo solitario. Non lo si vedeva più in giro da un pezzo e il suo comportamento era tornato quello schivo di sempre.
Cosa ci faceva il suo ex capo legione alla sua porta?
"Ciao Saephira".
"Qualcosa... non va?", aveva detto la barda sbattendo le lunghe ciglia sugli occhi azzurri, vagamente perplessa.
"Sono venuto in possesso di notizie alquanto riservate, ma pensavo che tu volessi esserne messa al corrente".
Saephira accarezzò lo schienale di una delle sedie che circondavano il tavolo. "E' necessario che io mi sieda?".
Il tiratore fece spallucce.
"Allora...", sospirò Saephira sedendosi sulla comoda e confortante superfice legnosa. "Di quali notizie riservate si tratta?".
La cicatrice di Araziel parve inspessirsi ombreggiandogli una parte del viso. "La figlia di Selhen è a Pandaemonium", annunciò il suo tono fermo.
 
 
Da quando la maledizione di Dahnael era stata spezzata tutto sembrava essersi risolto per il meglio. Il giovane Daeva era rimasto per un po' di tempo lontano dalla scena, a smaltire i fastidiosi sintomi che la dipendenza dall'odella gli aveva provocato.
La costante compagnia di Lacie l'aveva incoraggiato così tanto che i due, alla fine, avevano deciso di iniziare a convivere insieme nella stessa villa a Pernon. Del resto, il fatto che Dahnael avesse cominciato a diventare una personalità di spicco a Pandaemonium gli aveva permesso di acquistare un'abitazione in uno dei quartieri più ricercati di Pernon.
Pochi mesi dopo la scomparsa di Selhen tutto era sembrato così irreale che l'isolamento per astinenza non gli era neanche dispiaciuto. Più volte era tornato a chiedersi cosa fosse successo veramente e che fine avesse fatto la sua amica Selhen. Era grazie a lei e in parte anche al tizio elisiano, che la sua maledizione era stata spezzata.
Era un pomeriggio buio e freddo nella monumentale Pandaemonium.
Dahnael si era recato al tempio dell'oro per riscuotere alcuni pagamenti ottenuti dalla vendita dei mobili della vecchia casa quando nel centro della piazza un candido baluginio attirò la sua attenzione.
Il ragazzo sollevò la testa fulmineo e assottigliò lo sguardo cercando di mettere a fuoco quella candida figura nel buio.
La piazza, di solito gremita di gente, quella notte era deserta e buia. Le notti senza luna erano tra le più spettrali nella cittadella di Pandaemonium.
Dahnael aguzzò la vista. L'esile figura si stava dirigendo risoluta verso la piazza retrostante alla famosa taverna Apellbine.
Il tiratore si accigliò. Conosceva bene le retrovie di Pandaemonium, e sapeva bene i tipi di Daeva che li frequentavano visto che lui, fino a qualche tempo prima, era stato uno di quelli.
Il ragazzo scese con passo celere e felpato i gradini del tempio, risoluto a pedinare a debita distanza quella figura.
Potè scorgere un'ampio gonnellone svolazzante e il ticchettio delicato di tacchi contro il pavimento in pietra.
La ragazza dai lunghi capelli albini si guardò indietro furtivamente prima di addentrarsi in un buio corridoio.
Dahnael approfittò per studiarla un momento. I suoi capelli erano così bianchi che non aveva mai visto nessuna Daeva averli di quella gradazione di colore... nessuno tranne...
"Selhen?", mormorò il tiratore accelerando il passo.
Possibile che Selhen fosse tornata a Pandaemonium?
Con il cuore che batteva un po' più forte per l'ansia Dahnael si tirò il cappuccio di pelle sopra la testa e si lanciò al silenzioso inseguimento della misteriosa Daeva.
Non l'aveva mai vista prima, ne era certo.
Vide la giovane fermarsi in un angolino buio della piazza dove anche lui, un tempo, usava spesso sostare in attesa dello shugo contrabbandiere. Questa si guardò intorno alla ricerca di qualcuno ma riconoscendosi sola si appoggiò stancamente alla parete.
Da buon asmodiano i suoi occhi misero chiaramente a fuoco la figura della ragazza nella semioscurità, e quando questa si fu appoggiata al muro con la schiena Dahnael non ebbe più dubbi.
Stessi tratti, stessa forma delle labbra. L'inconfondibile colore dei capelli bianchi ormai lunghi fin quasi alla vita e troppo cresciuti.
Raggiunse la ragazza ancora col cappuccio sollevato sulla testa. Se si fosse sbagliato e lo avessero riconosciuto avrebbe potuto incorrere in pesanti sanzioni solo per aver proferito il nome di una delle peggiori traditrici di Atreia.
"Selhen", chiamò.
Non ebbe il risultato sperato, ma di certo ci fu una reazione nella Daeva poco lontano da lui che non gli sfuggì.
La ragazza si guardò intorno spavantata prima di cercare rifugio nell'angolo più buio e recondito del vicolo.
Quando Dahnael svoltò quell'angolo se la ritrovò davanti e la immobilizzò tappandole la bocca per soffocare il suo urlo di terrore.
Un'essenza profumata invase le narici di Dahnael nel momento in cui la strinse. "Dimmi che sei tu... dimmi che sei tornata!", supplicò Dahnael trascurando tutti gli iniziali propositi di anonimato.
"Chi sei? Lasciami andare", disse la ragazza terrorizzata.
La voce che avrebbe voluto udire sembrava essere salita di qualche ottava, eppure il tono imperioso era lo stesso di quello che tanto tempo prima Selhen rivolgeva a lui.
Era lei... doveva essere lei. Non poteva essersi volatilizzata nel nulla!
Quando la giovane Daeva si voltò i suoi occhi erano fiammeggianti. Sembrava pronta ad attaccare ma qualcosa la trattenne dal farlo. Le sue piccole labbra si schiusero mentre i tratti duri della furia asmodiana abbandonavano a poco a poco il suo viso.
"Dahn... Dahnael?", domandò incerta.
Dahnael scorse il colore delle iridi con un certo sgomento. Erano verdi. E gli occhi di Selhen non erano mai stati verdi.
Non rispose.
"Tu sei Danhael... quel Dahn!". Esultò la ragazza sorridendo. "La mia mentore ti liberò dalla maledizione".
Dahnael corrugò la fronte incerto.
"Silyssa", disse ancora, risoluta.
Ad un tratto quel nome risvegliò in lui dei ricordi sopiti. Annuì scettico. "Come fai ad essere a conoscenza...?".
"E perchè tu hai proferito quel nome?".
Dahnael sorrise abbassando il cappuccio dalla testa per rivelare completamente il proprio aspetto.
"Ciao Dahnael", sorrise la sconosciuta studiandolo con maggiore interesse. "Sono felice di conoscere l'unica persona di cui veramente io possa fidarmi".
Il Daeva guardò quella che era la copia sputata di Selhen con gli occhi verdi e sorrise scettico. "Che ne è stato di Selhen?".
"Lei... non ti ha mai dimenticato e mi ha parlato tanto di te". La sconosciuta sorrise.
"Potrò avere delle risposte, finalmente?", chiese Dahnael incerto.
La ragazza annuì e aprì un portale. "Silyssa ti darà tutte le risposte che cerchi", disse indicandogli il varco luminoso con una mano dalle dita tozze e delicate.
Solo in quel momento Dahnael realizzò chi fosse. Il perfetto mix tra un'asmodiana dai capelli candidi e un elisiano dagli occhi verdi e senza artigli. Quella Daeva era la figlia di Selhen.
 
[Non vi avevo parlato di quelli che erano stati tre dei personaggi più importanti della storia, quindi ho deciso di scrivere uno speciale. Mi mancava scrivere di loro quindi ho voluto farlo. Spero che la cosa sia stata di vostro gradimento!]
  
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