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Autore: _unknown_    10/04/2016    2 recensioni
salve a tutti! torno alla riscossa con una seconda ff su questo fandom!
tutti noi sappiamo come finì il duello fra Sting e Rogue...e sappiamo anche cosa lo aveva originato.
ma le dinamiche? beh ecco una mia teoria....
Tratto dal testo: "Era un altro uomo. Uno che in preda alla disperazione si era venduto alle tenebre prostrandosi ad esse.
Per questo doveva combatterlo.
Si posero uno di fronte all’altro guardandosi negli occhi.
Sereno contro disperato.
Sano contro malato.
Luce contro buio."
buona lettura...
ATTENZIONE: potrebbe contenere Spoiler per chi non è arrivato ai Dai Matou Embu
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rogue Cheney, Sting Eucliffe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Ignovi tibi ipsi


"Ma un giorno la solitudine ti stancherà, un giorno il tuo orgoglio si piegherà e il tuo coraggio scricchiolerà. Un giorno griderai: “Sono solo!”
Un giorno non vedrai più la tua elevatezza e troppo da vicino vedrai il tuo scarso valore; il tuo stesso sublime ti incuterà timore come un fantasma.
Un giorno griderai: “È tutto sbagliato!"
- Nietzsche
 
È incredibile come una vita intera possa essere rasa al suolo dalla furia devastante di un solo momento.
Tutti gli obbiettivi raggiunti tra gli stenti, tutti i sorrisi, la gioia, gli amici, i legami: tutto spazzato via in un solo attimo.
E quel giorno era successo tutto così in fretta.
In un solo momento, una misera frazione di secondo, tutto era cambiato.
 Ogni cosa era andata distrutta
Il mondo aveva smesso di girare.
Il vento non scompigliava più le fronde.
L’aria era diventata sporca. Tossica. Irrespirabile.
Frosh era stato ucciso  e tutto sembrava così sbagliato.
Così finto, surreale. Così difficile da accettare.
Lo aveva visto barcollare, con la sua tutina ridotta a brandelli, guardarlo in faccia con i suoi occhietti  lucidi ormai svuotati dalla solita allegria che li accompagnava, per poi accasciarsi al suolo. E morire, dopo aver chiamato per l’ultima volta il suo nome tra le lacrime che avevano fatto in tempo a uscire per consumargli ancora un po’ il visetto.
E Rogue avrebbe potuto giurare di aver sentito qualcosa spezzarsi dentro di sé.
 Mentre quel corpicino cadeva con un tonfo sordo su quella terra scura, il mago aveva potuto udire chiaramente il proprio cuore incrinarsi. E aveva fatto male. Dannatamente. Togliendogli il fiato e le parole.
Dalle sue labbra non uscì neanche un suono. Non aveva nulla da dire. Le parole non sarebbero bastate.
Voltò invece di scatto la testa per guardarsi attorno, gli occhi sgranati all’inverosimile. Vide Sting poco più in là; in ginocchio, curvo su se stesso, prostrato, addolorato, ferito. Stringeva Lector al petto con tutta la sua forza cercando in qualche modo di calmarlo, di proteggerlo.
Come lui non aveva fatto.
Guardò gli altri suoi compagni che lo osservavano stralunati, come colpiti da quella sua non reazione.
E poi guardò lui. La causa di tutto. Quel degenerato mago della creazione che, invece, aveva distrutto. Una vita. Forse anche più d’una…
Ma non c’era odio nel suo sguardo. Non poteva esserci odio. Non poteva essere accaduto davvero.
Lo osservava con smarrimento, incredulità, con distacco: come se di tutto quell’accaduto, egli non fosse stato altro che un semplice spettatore piuttosto che lo sventurato protagonista.
Ma quell’apparente apatia celava in sé qualcosa di più cupo: un sentimento buio, subdolo, che aveva già iniziato a corrodere, a svuotare l’anima del drago d’ombra.
E lo stava facendo in silenzio; nessuno avrebbe potuto solo lontanamente immaginarsi la forza devastante di quell’oscurità che come un cancro aveva attaccato il suo cuore.
Tuttavia, in quel campo di battaglia, qualcuno sapeva.
Lui aveva già capito tutto.
Sting sentì  dentro di sé ogni singola goccia di quella tempesta che imperversava nell’animo del proprio gemello. Quell’estremo dolore sembrò impossessarsi di lui facendolo soffocare.
Per questo si mise in piedi, tenendosi stretto al petto Lector e si avvicinò barcollando per le gravi ferite riportate verso il proprio amico che era diventato l’ombra di se stesso
-Rogue…- sussurrò in modo che nessuno avrebbe potuto sentire
Il drago d’ombra, lo guardò con apatia; a tradirlo una sola lacrima che- bastarda- era corsa per la sua guancia. Poi si era mosso. Come risvegliatosi da quel torpore era corso verso il corpo del povero exceed, lo aveva raccolto come un bambino e, portandoselo in grembo, era corso via.
Via da quel luogo.
Via da Gray.
Via da tutti.
Persino da se stesso.
Corse senza una meta, senza sosta, fino a giungere alla riva di un fiume.
Si arrestò di colpo, poi cadde sulle ginocchia tra i ciottoli.
 Fissò intensamente il volto di Frosh per un tempo che parve infinito.
E pianse.
Pianse piano, senza un lamento. Nessuno avrebbe dovuto sentirlo.
Rogue portò al petto il cadavere dell’amico...così freddo… lo strinse ancora come a volerlo riscaldare, come a volergli dare ancora un po’ del proprio amore. Un po’ della propria vita.
Si era illuso, il povero drago. Quell’abbraccio. Quell’ultimo tentativo. Tutto inutile. Era stato tutto inutile.
Con quella consapevolezza trovò la forza di staccarlo da sé.
Ma fece un errore madornale.
Si soffermò un’istante di troppo su quel faccino martoriato.
Una maschera di sangue ormai rappreso, faceva da patina e stava come a preservare quell’espressione.
Rogue l’avrebbe sognata tutte le notti.
Smarrimento. Paura. Ma soprattutto delusione.
Fu allora che Rogue realizzò la sua più grande colpa. Lo aveva tradito. Lui era convinto che lo avrebbe protetto e non lo aveva fatto. Lo aveva lasciato solo. Lo aveva ucciso.
Colpa sua. Era soltanto colpa sua. Non era stato abbastanza forte per difendere quanto di più caro avesse al mondo.
E fu solo dopo aver realizzato questa dura verità che sentì l’aria come appesantirsi, diventando irrespirabile.
Si tirò in piedi reggendosi affannosamente a un tronco con ancora l’amico fra le braccia mentre ansimava pesantemente.
La testa gli vorticava furiosamente, la vista gli si annebbiava, le ginocchia martoriatesi tra i ciottoli avevano preso a sanguinare  e tutto quanto attorno a sé diveniva piano piano così inutile…così vuoto.
Si avvicinò ancora un po’ al fiume barcollando e si immerse fino alle ginocchia.
Quell’acqua gelida che ripuliva le sue ferite del corpo, ma nulla poteva per il suo cuore devastato.
Tenendolo sul suo braccio il giovane drago sfilò quella tutina cenciosa dal suo piccolo amico. Poi ne ripulì il corpo da tutto quel sangue rappreso che lo ricopriva riempendolo di carezze sottili, delicate, come se avesse paura di romperlo.
Una volta che ebbe finito di lavare il gattino, uscì a fatica dal fiume trascinandosi ancora una volta tra gli alberi; vagò a lungo, come in cerca di qualcosa, poi d’un tratto si arrestò: vicino ad un cespuglio di rose bianche.
Cadde ancora sulle ginocchia sporcandosi di fango.
Poi iniziò a scavare…
Ricavò una fossa non troppo profonda, vi depose dentro il corpicino gelido di Frosh. Lo osservò ancora.
Un ultima volta.
Poi, un pugno di terra alla volta, ricoprì quella buca. Seppellì il suo più grande amico.
Ne scrisse il nome incidendolo su una corteccia, poi prese una di quelle rose e ne sparse i petali sulla terra.
E infine accadde l’irreparabile.
Inginocchiatosi alla tomba dell’exceed e stringendosi con rabbia lo stelo della rosa fra le mani fino a conficcarsi le spine sui palmi si lasciò andare.
E urlò.
E fu disumano.
Sentì la propria gola graffiarsi per lo sforzo, le ossa della mandibola scrocchiare improvvisamente si sentì esplodere dal dolore.
Non credeva se ne potesse provare così tanto… solo in quel momento aveva capito così bene Sting durante i Dai Matou Embu.
Era una sofferenza così forte che riusciva a intorpidire i sensi e cancellava la natura circostante.
Se è morto è colpa di qualcuno.
Perché era accaduto? Perché proprio a Frosh? Lui lo amava così tanto…così tanto.
È colpa mia.
Perché non aveva mosso un dito? Perché non aveva ucciso quel ghiacciolo? Perché lo aveva fatto succedere?
Frosh è morto per colpa mia. Sono stato debole
Cosa avrà pensato cadendo sulla terra bruna, morto per mano nemica?
Lui aveva solo me. Io l’ho abbandonato.
Cosa avrà pensato quel tenero gattino del suo amato drago?
Non lo ha ucciso Gray…io l’ho fatto.
Ripeteva questo la sua testa, come fosse un mantra, mentre il suo corpo, come impazzito aveva iniziato a distruggere qualunque cosa incontrasse sul suo cammino.
Urlava il nome di Frosh mentre aggrediva gli arbusti, mentre si gettava tra i rovi, mentre colpiva con forza i tronchi degli alberi.
Urlava e piangeva. E si tormentava. Certo di una sola cosa.
Non si sarebbe mai perdonato.
Per questo iniziò ad accanirsi ancora. Stavolta su se stesso.
Prese a graffiarsi: il volto, le braccia, le mani.
Si strappò i capelli e picchiò più volte la propria testa contro gli alberi.
Poi staccò da un albero della corteccia e senza pensarci due volte, a sangue freddo se la passò con forza sul volto, incidendo quella sua pelle chiara; il suo viso divenne in breve tempo una maschera di sangue, ma il suo dolore sembrò acquietarsi un poco, soppiantato da quella ferita. E fu per questo che tra le lacrime che ancora sgorgavano dai suoi occhi scarlatti con prepotenza lanciò una risata isterica resa macabra da quella voce divenuta così roca: si stava punendo. Non era abbastanza ma avrebbe continuato a farlo per l’eternità.
Impazzì Rogue Cheney, in un attimo-un solo fottutissimo attimo- tutto era finito e la follia si era impossessata di lui. Aveva già deciso come scontare la sua stessa pena, aveva già capito cosa fare…
Per questo si avvolse nella sua stessa ombra
***
Erano trascorsi già tre giorni da quando tutto era cambiato e Rogue non aveva ancora fatto ritorno facendo preoccupare chiunque a Sabertooth: Yukino, Orga, Rufus…persino Minerva!
La gilda era stata gettata nello scompiglio più totale; tutti erano sconvolti e devastati dalla perdita di Frosh, quel loro piccolo amico: perderlo era stato un fulmine a ciel sereno, un duro colpo per tutti.
Si respirava un’aria carica di tensione fra quei maghi, tutti con i nervi tesi a fior di pelle…tutti così in pena.
Sting, tra tutti era l’unico che era riuscito a contenersi ostentando una calma apparente. Il Drago Bianco, sebbene colpito nel cuore dalla morte del piccolo Frosh era riuscito a mantenere una freddezza che non gli era propria.
I suoi compagni lo osservavano perplessi : come poteva restare così tranquillo mentre il proprio gemello, la propria metà, vagabondava là fuori nel mondo, in preda alla disperazione?
Aspettava, Sting Eucliffe.
Attendeva con ansia il ritorno del Drago d’Ombra. E sapeva. Sapeva perfettamente che quel momento sarebbe arrivato a breve. Semplicemente se lo sentiva.
Non ne aveva parlato con nessuno, non avrebbe saputo spiegare i pensieri che affollavano la sua mente, egli stesso riusciva a stento a spiegarseli.
Aveva come la sensazione che di lì a poco si sarebbe scatenato il putiferio.
Il cielo era terso, come lo era ormai da tre giorni, ma in quel momento si sentiva una strana tensione nell’aria mai avvertita prima. Quel giorno, qualcosa sarebbe cambiato.
 Ed era quasi sopraggiunta la sera quando la predizione del master iniziò ad avverarsi.
Sting udì un rumore sordo- un esplosione- provenire dal piano di sotto. Era chiuso nella propria stanza, immerso nelle sue noiose scartoffie che si era  deciso a prendere pur di mettere a tacere quel flusso di pensieri che non accennava a dargli tregua.
Appena udito quel frastuono, si alzò, senza scomporsi, stirò un sorriso nervoso, poi si apprestò a correre incontro al suo destino.
Ma ciò che vide, una volta giunto sulle scale, lo fece tremare fin dentro alle ossa.
Orga. Rufus. Minerva. Tutti quanti. Tuti i membri della propria gilda erano riversi in terra, sconfitti e gravemente feriti.
Persino Yukino, che il Drago d’Ombra diceva di amare, aveva subito lo stesso trattamento.
Lei era sdraiata scompostamente in terra, con un espressione di dolore sul volto, adagiata sul suo stesso sangue ai piedi della scalinata. Forse stava per avvertirlo.
Mantenendo il sangue freddo scese giù per le scale. Guardò attorno i propri nakama pensando ad ognuno di loro e ringraziandoli per essergli stati accanto.
Si chinò ad accarezzare il volto sofferente di Yukino. La considerava come una sorella e vederla in quello stato gli distruggeva il cuore.
Proseguì il suo cammino fino ad imbattersi in lei. La sua dama.
Si inginocchiò al suo cospetto.
 Così bella anche nella sofferenza… avrebbe voluto vederla sempre felice,però. E quel pensiero gli dilaniò il cuore.
Si sporse verso di lei, lasciandole un casto bacio tra i suoi capelli corvini.
Poi, tiratosi su, uscì dalla gilda e si ritrovò a passeggiare sul vialetto d’ingresso.
Non vi era alcun rumore se non il fruscio della pioggia e lo scricchiolio della ghiaia sotto le suole delle proprie scarpe.
Chiunque avrebbe pensato che, lì fuori sotto la pioggia, il ragazzo fosse solo.
Chiunque. Ma non di certo un Dragon Slayer.
Non di certo Sting.
-Ti stavo aspettando- disse a voce piena al buio davanti a se.
Nessuna risposta. Nessun rumore.
Ma Sting sapeva. Sapeva tutto
-Fatti vedere- disse ancora, mantenendo la calma.
Fu allora che nell’ombra si delineò una sagoma.
Sting era pronto a tutto, ma il suo cuore perse un battito non appena vide più chiaro davanti a se.
Di fronte a lui si era palesato un Rogue corrotto più di ogni sua aspettativa.
Il viso era una maschera di sangue ormai rappreso sulla quale spiccava una profonda ferita ancora aperta che andava infettandosi, due solchi profondi a decorargli gli occhi scarlatti divenuti ormai irriconoscibili, velati da una patina di follia e costellati da decine di venuzze rosse che inquinavano il bianco della sua sclera. Gli abiti cenciosi erano impregnati di sangue e fango secco e il suo corpo era ricoperto di tagli e ferite con la pelle lacerata che agghindava le sue braccia.
Ciò che fece impallidire il Drago Bianco, però, fu quel segno che trovò sulla sua guancia sinistra.
In quel momento realizzò.
Non era più lo stesso Rogue. Non era più il suo Gemello. Non era più la sua metà. Non era più il suo più caro amico.
Era un altro uomo. Uno che in preda alla disperazione si era venduto alle tenebre prostrandosi ad esse.
Per questo doveva combatterlo.
Si posero uno di fronte all’altro guardandosi negli occhi.
Sereno contro disperato.
Sano contro malato.
Luce contro buio.
Passò una frazione di secondo. Poi si attaccarono.
Si corsero incontro raggiungendosi a metà strada; volarono calci e pugni e lievi attacchi di magia.
Fu Rogue a prendere il sopravvento: lanciò un ruggito che scagliò lontano il Drago della Luce. Sting non perse tempo a rimettersi in piedi e correre ancora verso il nemico.
 Prese un calcio allo stomaco e una gomitata dietro la nuca. Cadde così in terra a i piedi del nemico che lo osservava con un angolo della bocca tirato all’insù. Sputò sangue tossendo con affanno, poi si rimise in piedi, seppure barcollando.
Non avrebbe ceduto. Non poteva cedere.
Lo avrebbe salvato. Avrebbe salvato entrambi.
E niente glielo avrebbe impedito.
Per questo motivo passò al contrattacco.
Lanciò un ruggito in piena faccia all’avversario scagliandolo lontano, poi, attento a non perdere quel vantaggio lo raggiunse continuando a colpirlo.
Ma sapeva che solo quello non sarebbe bastato: lo avrebbe sfregiato ancora, peggiorando quell’aspetto irrimediabilmente compromesso, ma quella battaglia non avrebbe mai e poi mai avuto un vincitore.
Il loro potere magico era uguale e opposto, la loro forza fisica non avrebbe mai fatto la differenza . Si sarebbero annullati a vicenda dopo atroci sofferenze.
E Sting questo lo sapeva. Lo aveva capito fin da subito. Ma non poteva arrendersi. Mai e poi mai avrebbe svenduto l’anima all’oscurità come il compagno aveva fatto.
D’altro canto, però, non se la sentiva di biasimarlo. Aveva capito le motivazioni che lo avevano spinto a farlo. Semplicemente le aveva sentite. Le aveva condivise con lui. Quel loro legame li aveva uniti anche in quel dolore. E si era sentito morire nel percepire quel senso di impotenza, di frustrazione, quel profondo senso di colpa che aveva dilaniato quell’anima durante quei pochi giorni.
Non lo giustificava, però lo capiva. E non lo odiava. Non poteva odiarlo. Non doveva odiarlo.
Lo stava riempiendo di calci e pugni, ma non riusciva a lasciarsi completamente andare. Quel loro legame glielo impediva e rendeva tutto così difficile.
Gli sferrò una gomitata allo sterno e sentì il suo cuore sanguinare. Un calcio allo stinco e gli vennero meno le ginocchia. Un pugno in piena faccia e improvvisamente gli girò la testa e fu costretto a fermarsi.
Dal canto suo, Rogue manifestava alcuna sensazione. Alcune delle sue ferite si erano riaperte, nuovi ematomi si erano formati sul suo corpo martoriato, ma nonostante tutto, il giovane mago d’ombra non sembrava scomporsi più di tanto.
Si guardarono a lungo negli occhi e Sting fu costretto ad abbassare lo sguardo. Quelle iridi erano così agghiaccianti…così diverse! Ciò però non  sarebbe bastato a togliergli il coraggio.
Si assalirono ancora con una battaglia corpo a corpo: sapevano entrambi che la sola magia sarebbe stata inutile.
Solo la forza fisica avrebbe potuto fare da discriminante.
Colpivano senza sosta. Rogue con rabbia. Sting con sofferenza.
Era uno scontro alla pari: quando il buio stava per prevalere un raggio di luce lo dilaniava con forza e quando la luce provava a concludere la battaglia il buio si ripresentava piè forte di prima.
Continuarono per ore fino a sfinirsi.
I loro corpi erano straziati, ridotti ai minimi termini: la fronte di Sting si era squarciata e piano piano il sangue aveva invaso il suo volto facendogli bruciare gli occhi furiosamente e tingendo di vermiglio le guance e gli abiti ridotti a uno straccio. Sentiva le costole incrinate e, a giudicare dal suo continuo tossire sangue, anche i polmoni avevano subito grossi danni. D’altra parte, però, anche il suo avversario non era messo meglio.
Entrambi tremavano mentre riprendevano fiato, spossati per la battaglia e per la pioggia che scendeva violenta colpendo i loro corpi.
Nessuno dei due avrebbe resistito ancora per molto. Un ultimo tentativo. Uno soltanto.
Fu Rogue stavolta ad avanzare .
Si precipitò verso il Drago Bianco con l’unico intento di eliminarlo, ma Sting fu più veloce di lui. Con prontezza di riflessi lo schivò, poi lo buttò sulla terra fangosa, gli si sedette sopra a cavalcioni e caricò il suo pugno di ferro. Fece per scagliarlo in faccia a Rogue. Per sconfiggerlo. Per portare tutto alla normalità.
Ma un secondo prima che il proprio colpo andasse a segno, fece un errore. Un errore fatale. Lo guardò dritto in quegli occhi scarlatti.
Così liquidi. Così cupi. Così diversi eppure così uguali.
Fu allora che Sting se ne accorse.
Vide il vero Rogue lottare con tutto se stesso contro quell’abominio piegato dalla follia che era diventato.
E fu allora che comprese a pieno tutto il dolore di cui l’animo del proprio migliore amico si era fatto carico.
E non se la sentì
Fermò il proprio pugno a un millimetro dal volto dell’amico.
-Non posso- sussurrò con una lacrima a rigargli il volto. Per questo motivo scese da lui. Aveva vinto, ma non poteva prendersi la sua vita.
Si rimise in piedi, ormai privo di forze e tese la mano all’amico di sempre aiutandolo ad alzarsi. Poi lo abbracciò d’impeto gettandoglisi tra le braccia e trattenendo a stento un singhiozzo.
Il suo Gemello ricambiò piano la stretta.
Sting pensò di avercela fatta. Credette di averlo salvato.
Ma bastò un attimo a dimostrare che aveva preso un grosso abbaglio.
Rogue tirò un pugno dritto tra le sue costole, proprio sotto al cuore.
Sting sgranò gli occhi per il dolore e per la sorpresa, poi crollò in ginocchio vomitando sangue.
Il Drago d’Ombra non ebbe la stessa pietà che aveva avuto il Drago Bianco.
Mentre quello si contorceva per il dolore, aveva continuato a picchiarlo sferrandogli calci alla nuca e al volto. Lo stava distruggendo con una forza inaudita che Sting non seppe spiegarsi  da dove avesse recuperato.
Il Drago di Luce prese calci e pugni senza riuscire a capire neanche da che parte provenissero. Il suo corpo si rifiutava di muoversi se non per gli spasmi. Il suo braccio destro giaceva in una posizione scomposta e non naturale, aveva sentito un dolore lancinante allo stinco destro come se glielo avessero strappato via e aveva la vista appannata e ostruita dal sangue, ma riuscì a notare un particolare che lo lasciò di sasso.
Rogue stava piangendo. Mentre lo distruggeva, si disperava. Mentre lo annientava, mostrava il suo dolore. Mentre lo uccideva, torturava la sua anima.
E in quel momento a Sting fu tutto così chiaro.
Era quella la punizione che si era inflitto.
Rogue aveva deciso di ucciderlo per distruggere anche se stesso: quella parte di sé così speculare a lui, quella sua parte buona che aveva permesso che Frosh morisse doveva soccombere e l’unico modo per farlo era quello di far soccombere tutto quanto la riportasse alla luce. Primo fra tutti Sting.
Era un ragionamento così assurdo. Ma non per il Drago Bianco: lui lo conosceva, lui lo capiva.
E un grande dolore si impossessò del suo cuore.
Stava per essere ucciso, ma non gli importava. Aveva preventivato quella possibilità che, col passare del tempo- neanche lui avrebbe saputo spiegare perché- stava gradualmente diventando una certezza.
Ciò che lo addolorava era tutt’altro. Il suo amico, il suo povero amico si era davvero ridotto così? A tanto lo aveva spinto quel suo senso di colpa?
Avrebbe voluto salvarlo, ma ormai era troppo debole per agire.
Continuò a subire passivamente, ma si impose di fissare gli occhi nei suoi
Perdonati!
Si ritrovò a pensare mentre Rogue lo sbatteva contro un tronco. Faceva male, ma oramai i muscoli erano troppo intorpiditi per far caso al dolore.
Perdonati Rogue!
Gli disse con lo sguardo. E il Drago d’Ombra sembrò comprendere  perché mentre lo colpiva, aveva preso a piangere più forte.
Perdonati! Lui lo ha già fatto…
E lì Rogue cominciò a urlare sempre più forte, colpendo anche sé stesso per poi sollevare Sting per il collo con una sola mano che si stringeva progressivamente attorno alla sua trachea.
L’aria mancava, stava scivolando via dai polmoni. Era arrivata la fine, stava morendo.
Si sforzò di sorridere. Un sorriso amaro.
Perdonati! Io l’ho già fatto.
Sting raccolse le ultime forze mentre il Drago d’Ombra con gli occhi sgranati e colmi di dolore gli artigliava con forza il collo.
Compì il suo ultimo gesto. La sua ultima magia.
Una tecnica che gli aveva insegnato Weisslogia quando ancora era un bambino.
-Speriamo non ti serva mai- gli aveva detto guardandolo serio.
Con quell’incanto avrebbe avuto la possibilità di allungare la propria vita trasferendo la sua essenza nel corpo di una persona che amava.
Avrebbe continuato a vivere nel suo cuore impedendo fino alla fine la sua più totale corruzione. Lo avrebbe salvato. Si sarebbe sacrificato per lui prendendo a calci quella maledetta oscurità.
Per questo mentre spirava, pronunciava una strana formula in un sconosciuta lingua arcaica.
Dalla sua pelle martoriata uscì un’aura bianca che si librò nel cielo.
Ce l’aveva fatta. Aveva portato a termine il suo compito. Ci era riuscito. Adesso aveva una gran voglia di riposare.
-Ti voglio bene, fratello mio- sussurrò allo stremo.
Poi accadde.
Smise di dimenarsi cercando aria, rilassò le braccia e il volto: la sua espressione congelata in un eterno sorriso.
Morì, Sting Eucliffe, per mano di quel Gemello malato.
Ma non appena il suo corpo perse vita la sua ultima azione trovò compimento.
Quell’aura bianca penetrò nel petto dell’amico provocandogli un calore insopportabile. Lasciò il corpo del Drago Bianco che cadde con un tonfo sordo sulla terra bagnata e si portò le mani al petto in cerca di sollievo.
Ma per sua somma fortuna quel dolore durò solo pochi attimi.
Quel bruciore divenne man mano forza fisica, vigore del corpo. Improvvisamente era diventato potentissimo.
Scoppiò in una risata sguaiata guardando quel corpo senza vita. Cibo per gli avvoltoi. Patetico.
Sorrise sadico, poi si dileguò nella sua stessa ombra. Diretto chissà dove…
Così finiva la vita corporea di Sting Eucliffe.
Con un sacrificio che sembrava non aver dato i suoi frutti.
Sembrava…perché non era quella la verità.
Sting non si era sbagliato.
D’altronde…come avrebbe potuto?
Sarebbe stato lui la cura del malessere di Rogue. E come per ogni cura ad ogni malessere, i suoi effetti si sarebbero manifestati solo con il tempo.
Era certo che il mago sarebbe rimasto avvelenato per molto tempo ancora: aveva subito un grande dolore, molto difficile da smaltire, ma con il passare del tempo, piano piano e poco per volta lui si sarebbe fatto forza e l’ avrebbe superata.
E in quel momento Sting sarebbe intervenuto. Lo avrebbe liberato dal suo male avvolgendolo nella sua luce e curando una ad una le sue ferite.
E ci sarebbe riuscito. Doveva solo aspettare, rintanato in un angolo di quel suo cuore nero pece.
Era solo una questione di tempo.
Prima o poi era sicuro che Rogue si sarebbe perdonato.
 
 
"Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata.
Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido.
Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale.
Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani."
-Dostoevskij
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti J
Forse sarebbe meglio dire buonasera visto che è quasi mezzanotte
Beh che dire? Innanzitutto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui…in fondo a questa storia che nella mia testolina era nata come una semplice flash e poi è diventata un documento da dieci pagine…
In questa storia ho cercato di riportare un momento che nel manga è soltanto accennato ovvero la morte di future Sting.
Ho cercato di dare lo stesso spazio a entrambi i draghi gemelli e ho provato a dire quante più cose possibili…c’è stato un po’ di splatter che sinceramente non so da dove mi sia uscito.
Spero davvero che questa storia vi sia piaciuta. Fatemi sapere cosa ne pensate che siano cose belle che siano cose brutte…cercherò di assimilare tutti i vostri consigli per metterli in pratica nelle prossime storie.
Nel caso vi fosse piaciuta molto vi invito a passare anche dalla mia ff d’esordio uscita qualche settimana fa  squallore dell’autopromozione
Grazie mille in anticipo.
Alla prossima
_unk_
 
 
 
   
 
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