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Autore: Wladimir    10/04/2016    18 recensioni
Eravamo otto figli... sebbene mio padre avesse un occhio particolare per me... non avrebbe mai potuto soddisfare il mio desiderio, dato l'alto costo che aveva allora un veocipede.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bicicletta


 
Io e Alex portiamo spesso il nonno a fare una passeggiata fino ai giardinetti, dove ci sediamo sempre sulla solita panchina.

“Nonno, nonno, guarda cosa ti ho portato? Guarda: la cioccolata”.

“Bravo tu si che mi capisci, sei il mio nipote del cuore. Sei un birbante, sai che mi piace”.

“E no nonno ci devi prima dire qual’era il tuo sogno da ragazzo e se ne avevi uno?”

“Tu sei troppo furbo”.

 
 
Il mio sogno a quell’epoca, era un sogno che tutti i bambini facevano: possedere una bicicletta. La mia famiglia come la maggior parte delle famiglie emiliane, era numerosa.

Eravamo otto figli, sei femmine e due maschi: io, sfortunatamente il più grande.  Sebbene mio padre avesse un occhio particolare  per me, data la mia salute precaria a quei tempi, non avrebbe mai potuto soddisfasre il mio desiderio, dato l’alto costo che aveva allora un velocipede.

E io fui sempre tanto sensibile da non insistere su di un desiderio che sarebbe stato nel limbo delle cose impossibili, chissà per quanto tempo.

Così mi limitai a invidiare qualche mio fortunato compagno che ce l’aveva e alla quale ogni tanto la chiedevo in prestito per fare un girettino.

Alle volte mi fu data anche una risposta negativa e allora mi limitavo a toccarla con venerazione  oppure facevo girare i pedali stando fermo, cari nipoti.

Quanto dolore nel mio cuore quando avevo un rifiuto! E quante volte lo ebbi questo rifiuto!

Alla sera, dopo aver aiutato la mamma ad addormentare i fratellini, finalmente traquillo nel buio e nel silenzio, potevo sognare la mia bicicletta.

Ricordo che per un certo periodo, la sognai tutte le notti. Sognavo di correre in mezzo al prato e ricordo questo particolare che più mi piaceva: quello di mettere fuori dal sellino il mio sedere con i miei pantaloncini larghi, come si usavano a quel tempo perché facesse la ruota, correndo.

Correvo, correvo così felice che poi sul più bello mi svegliavo.

Crebbi e mi sposai. Fu con la mia  donna, tua nonna, che un giorno passeggiando, ci fermammo davanti a un negozio di biciclette. Mi fermai e dissi: “Che belle!”, lei capì il mio desiderio. “La vuoi?”, mi disse. Lo capì dagli occhi. “Dai fai tanti sacrifici per tutti noi, fanne per una volta uno per te”.

Ricordo che andammo a casa in bicicletta. Pensando alla ruota larga dei pantaloncini, mi accorsi che ormai avevo smesso di metterli: avevo i pantaloni lunghi che al tempo dei sogni manco lo immaginavo di portarli un giorno.

Arrivati a casa, i nostri figli tutti soddisfatti mi chiesereo: “E’ tua. Papà?”.

Anch’io non risposi. Un largo sorriso aveva detto che un lontano sogno era diventato realtà, ma dopo quanto tempo!

 
 
Mi sono commosso, e noi che ci permettiamo di tutto non apprezziamo niente.

Mentre il nonno mangiava la cioccolata, passava da li una bella bionda e lui la seguiva con lo sguardo.

“Nonno ormai non ti si rizza più, perché la guardi, ti piacciono ancora le donne?”.

“Se ti prendo ti do quelli di questa volta e quelli dell’altra volta”.

Poverino l’ho fatto diventare rosso.

Quanto lo amo.
 
 
 
 

   
 
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