Film > Star Wars
Segui la storia  |      
Autore: Sarija    11/04/2016    1 recensioni
Al di qua del bene, al di là del male
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota: questa fan fiction è il seguito della fan fiction “The Dark Side”. Inoltre, le caratteristiche attuali della storia sono temporanee, in quanto non sono ancora sicura di come si evolverà.
 
A Jo …

1 - Un Generale senza esercito

 
Lo sciabordio delle onde, che si infrangevano con forza contro le rocce nere e solide come un soldato impavido, faceva da dolce sottofondo alla meditazione giornaliera, insieme al sussurro del vento che gentile accarezzava i lunghi capelli corvini del giovane.
Jonathan era concentrato, una minuscola ruga scura fra gli occhi chiusi, e quasi non udiva quelle voci vicino a sé, ma ne sentiva di altre attraverso la Forza, che gli sussurrava parole arcane e antiche. Non sentì i passi leggeri del Maestro Rey avvicinarsi, ma ne percepì la presenza.
Maestro Luke vuole parlarti
Jonathan aprì gli occhi lentamente a quella voce sicura che lo aveva raggiunto attraverso la Forza. Lentamente sentì le voci del vento e dell’oceano sostituirsi in modo armonico a quelle che popolavano leggere il flusso di Midi-Chlorian. Si alzò velocemente dal prato verdeggiante a ridosso dello strapiombo ripido che terminava nelle acque salate e torbide dell’oceano che si estendeva infinito oltre l’orizzonte.
“Arrivo subito …”. La sua voce non era più quella acuta e leggera che aveva da bambino, la sua voce si era temprata ed era diventata più profonda in quei anni, durante i quali Jonathan era diventato un uomo, un potente Jedi. Rey lo riconobbe. Lo aveva visto crescere davanti ai suoi occhi, giorno dopo giorno, eppure le sembrava solo ieri di essere andata su Naboo dalla madre Sahr e da Poe.
Jonathan le passò davanti con il suo passo sicuro e deciso, il cui rumore era attutito dal morbido terreno reso umido dalla recente pioggia della mattina e, guardando attentamente il suo viso ancora giovanile, Rey si rese conto di quanto assomigliasse al padre … Ben, non Kylo Ren. Kylo Ren non aveva nulla in comune con Jonathan, un ragazzo gentile e ligio al dovere di Jedi.
Una folata di vento più forte fece muovere con grazia le mantelline marroncino chiaro di entrambi, mentre la figura incappucciata di Luke si alzò con difficoltà dal masso scuro da cui soleva sedersi perdendosi nell’ammirare la vastità dell’oceano increspato che circondava la piccola isoletta. Si avvicinò di qualche passo con l’aiuto di un bastone di legno chiaro che teneva tra le dita metalliche. Con la mano sinistra si tolse il cappuccio bianco rivelando il volto segnato dagli anni attraverso profonde rughe scure.
“Jonathan, la Forza mi ha parlato …”, un colpo di tosse bloccò la sua già flebile voce e il giovane aspettò paziente che Luke continuasse ciò che aveva da dirgli. Non era strano che la Forza comunicasse qualcosa ai Jedi, ma era l’interpretazione che essi davano ad avere importanza.
“Devi raggiungere il pianeta di Ravna nel sistema di Kirst”, continuò non appena la tosse glielo permise.
Jonathan corrugò la fronte, “Perché?”, chiese.
“Lì troverai le risposte dalla persona che cerchi …”, e ritornò a guardare perso verso l’orizzonte: stava arrivando un’altra tempesta.
Il giovane abbassò lo sguardo a terra sentendosi colpevole: gli era stato sempre detto che suo padre era stato un grande Jedi, che aveva sacrificato se stesso per la salvezza di tutti, di sua mamma e sua, esattamente come aveva fatto suo bisnonno Anakin per suo figlio Luke. Ma quelle mezze frasi interrotte con un sorriso tirato a cui si susseguivano momenti di pesantezza e di imbarazzo, gli facevano capire chiaramente che suo padre non era sempre stato un Jedi e sapeva che né Luke, né sua madre e né Rey erano le persone giuste per rispondere alle domande, ai dubbi che gli ronzavano nella mente. Luke aveva visto da vicino solamente gli albori dell’oscurità che aveva attanagliato l’animo di suo padre, mentre le due donne avevano assistito alla sua fine e alla sua conversione alla Luce. Jonathan voleva conoscere qualcuno che avesse visto suo padre per la sua pura e cruda malvagità.
Il giovane Jedi guardò intensamente il proprio Maestro e lei gli sorrise lievemente capendo perfettamente ciò che gli passava per la mente, “Vado a preparare il Falcon”. Alle parole di Rey, Jonathan si incamminò velocemente verso la scalinata naturale di massi modellati negli anni dalla forza della pioggia battente per raggiungere il suo piccolo cantuccio, scavato nella roccia dall’erosione, dove soleva riposarsi circondato dalle poche cose che gli appartenevano.
Scostò la piccola tendina che donava un minimo di privacy a quelle pareti di piccoli massi posati uno sopra all’altro con precisione anni addietro quando si dovette allenare nello spostamento di oggetti con la Forza. Prese da terra il piccolo zaino nero a tracolla che gli era stato confezionato dalla madre qualche anno prima e lo riempì con un contenitore metallico di acqua e una pagnotta: grazie all’energia della Forza non aveva bisogno di mangiare un granché.
Il suo sguardo cadde inevitabilmente sulla spada laser che era appartenuta a suo padre. Era una lightsaber dall’elsa nera a forma di croce dai bracci orizzontali più corti di quello verticale. Sua madre gli aveva raccontato che, prima della sua modifica con il cristallo blu di Azirste, la lama era rossa.
Ulteriore prova che suo padre non fosse sempre stato un Jedi
Allacciò la lightsaber alla cintola marrone che gli stringeva i fianchi larghi. Uscì dal suo cantuccio e con uno sguardo fugace e veloce salutò le rocce aguzze e crude che conosceva meglio di se stesso.
Scese la scalinata di massi neri verso la riva con un nuovo entusiasmo, una curiosità nuova che animava i suoi muscoli verso quella persona che avrebbe dissolto i dubbi nebulosi e confusi che gli annebbiavano la mente.
Il Maestro Rey era già a bordo del Falcon che ammarato si stagliava grigio sulle acque bluastre dell’oceano che lambivano dolcemente la riva dell’isola.
Arrivato alla cabina di comando si sedette sicuro alla postazione di co-pilota, sostenendo Rey nei piccoli accorgimenti di volo per aiutarla il più possibile. Jonathan si sentiva a casa tra quelle pareti di cavi  e comandi: il nonno Han e Poe gli avevano insegnato moltissimo sin da quando ne aveva memoria.
“Esegui i calcoli per la velocità luce”, disse Rey con fermezza, sapendo che il suo Padawan era il migliore tra i due in quel settore. Lo vedeva ‘scrivere’ i calcoli a mezz’aria come se Jonathan potesse vedere i numeri nero su bianco, come se diventassero concreti al movimento veloce delle sue dita nel vuoto.
“Credo che in diciotto Pharsec ce la possiamo cavare … No, ne sono sicuro”, e annuì assorto ai suoi numeri di fronte a sé impostando la rotta con mani decise sotto lo sguardo felice della donna.
Avevano ormai abbandonato l’orbita del pianeta e Jonathan sospirò profondamente mentre Rey azionava la velocità della luce e le stelle puntinate divennero lunghe linee bianche.
Rey non disse una parola. Sentiva che la decisione di Jonathan iniziava a vacillare come una candela in procinto di spegnersi nel lago di cera bianca ai suoi piedi, che piano piano si solidificava, circondata dalla sempre maggiore oscurità. Poteva vederlo dalle sue mani tremanti, dai suoi occhi cerulei che guardavano persi l’immensità dei suoi pensieri. Jonathan non era più sicuro di voler sapere la verità su suo padre e soprattutto non sapeva chi aspettarsi su quel pianeta di cui non aveva mai sentito parlare, se non per il sistema, ovvero pianeti che orbitavano attorno ad una stella morente. Deglutì rumorosamente pentendosi di non aver portato abiti più pesanti: una stella morente significava pianeti freddi e ricoperti da ghiaccio perenne.
“Non devi temere, la Forza scorre potente in te …”, la voce improvvisa di Rey interruppe il flusso continuo dei suoi pensieri rassicurandolo un poco.
Jonathan chiuse gli occhi per un momento, rilassandosi sul sedile su cui era seduto, convincendosi che aveva fatto la cosa giusta.
Sì, sarebbe andato fino infondo
Rey fece decelerare il Millennium Falcon fino ad uscire dalla velocità luce e prese con sicurezza i comandi dirigendo la nave verso il pianeta di Ravna, il quale si presentava con un volto pallido e bianco.
Ghiaccio, altro ghiaccio e alberi radi
Com’era possibile che ci fosse vegetazione?
La persona che stava cercando avrebbe dovuto aver vissuto per almeno vent’anni su quel pianeta per aver potuto conoscere suo padre, perché se avesse avuto la possibilità di lasciare quel posto fatto di solo ghiaccio, lo avrebbe già fatto e il padre era morto neanche un anno prima della sua nascita, vent’anni prima per l’appunto.
Con alcune turbolenze, il Millennium Falcon entrò nell’atmosfera del pianeta e velocemente si diresse verso un larghissimo spiazzo di ghiaccio atterrando con le manovre sicure di Rey e del suo co-pilota.
Jonathan si alzò di scatto e prese da terra lo zainetto che conteneva le poche cose che aveva portato con sé, “Se dovessi aver bisogno di aiuto …”, incominciò Rey.
Sai come fare, continuò parlandogli attraverso la Forza e Jonathan annuì lievemente. Sarebbe stato solo per un periodo indefinito, alla ricerca di quella persona a cui aveva fatto riferimento il Maestro Luke, ma non se ne preoccupava. Quella persona era ancora viva, nonostante l’aspetto inospitale del pianeta, perciò in qualche modo aveva trovato una via per sopravvivere.
Mentre scendeva dal Falcon i ricordi presero il sopravvento insieme al rumore metallico dei suoi piedi sul pavimento. Le partite dei mostri al tavolinetto a scacchiera contro … come doveva chiamare Poe? Era difficile chiamarlo sia patrigno che padre. ‘Patrigno’ era fin troppo freddo per indicare la persona gentile e solare che era stata al suo fianco insieme alla madre per tutta la sua infanzia, mentre ‘padre’ era come non portare rispetto per  il suo vero padre, Ben.
Appena scese dal Falcon, fu investito dall’aria fredda che spirava con forza e guardò la nave allontanarsi finché non diventò un punto nero ed indistinto in quel cielo limpido occupato da una sole minuscolo e poco luminoso in procinto di tramontar all’orizzonte.
Una nana bianca
Si chiuse meglio la mantella attorno al corpo ancora caldo e con un piede tastò il ghiaccio sotto i suoi piedi: era solido, spesso.
Vincendo la forza del vento, si avviò verso il bosco, di cui non si vedeva la fine, che delimitava quella grande e ampia distesa. Il crocchio dei suoi stivali sulla lastra di ghiaccio che ricopriva il terreno era seguito con attenzione da un’ombra silenziosa che volteggiava sinuosa tra gli alberi come un predatore che osserva la propria preda.
I passi di Jonathan erano così … così rumorosi, pensò l’ombra passando dietro ad un altro albero mentre fissava il ragazzo avanzare a stento contro l’impetuosità del vento glaciale che ululava tra i rami che danzavano. Era da tanto tempo che non vedeva un’altra persona su quel pianeta di desolazione, era da tanto tempo che non parlava con qualcuno; l’ombra si era quasi dimenticata di come si parlasse e soprattutto si era quasi dimenticato del proprio nome. A quel pensiero la mano destra si pose di riflesso sul suo petto e sotto le dita sentì la rassicurazione delle proprie piastrine, al sicuro sotto la spessa stoffa dei suoi abiti chiari che lo mimetizzavano perfettamente a occhi non vigili.
L’ombra aveva sentito il rumore di una nave da cui era uscito quel ragazzo dai passi … da elefante, niente a che vedere con i suoi, così abituato ad essere invisibile ad occhi gialli pronti a divorarti. L’ombra era indecisa. Lasciare che l’unica persona dopo tanto tempo venisse sbranata o avvertirla in qualche modo? L’ombra imbracciò il suo fidato blaster dello stesso colore degli abiti che indossava e uscì lentamente dal suo nascondiglio facendosi vedere dal giovane che avanzava nella sua direzione.
Il ragazzo si bloccò e velocemente prese la spada laser che era allacciata alla sua cintola accendendola, attento alla persona che si era stagliata davanti al suo percorso. Era completamente coperto da pesanti abiti bianchi con striature grigiastre, una sciarpa spessa e pesante attorno al collo che gli copriva parte del viso, il cappuccio calato completamente sul capo e degli occhiali dalle lenti a specchio che gli nascondevano il resto della faccia. Da come imbracciava il blaster e dalla forma del corpo, pur essendo molto esile e magro, Jonathan capì che la persona che gli si era parata davanti, era un uomo. Un militare probabilmente.
“Chi sei?”, chiese Jonathan per spezzare quel silenzio opprimente.
“Smettila di fare rumore … Non voglio essere mangiato, non è vero ragazzi?”, e si volse alla sua destra come se si aspettasse una risposta dal nulla. La voce era gracchiante, bassa, flebile e attutita dalla stoffa della sciarpa bianca.
“Ok, ma tu rispondi alla mia domanda”, insistette Jonathan sotto lo sguardo invisibile dietro a quegli occhiali. Non si fidava.
“Il mio nome non è importante …”, disse mentre tolse il cappuccio dal capo e gli occhiali che rimasero appesi al collo grazie ad una cordicella sfilacciata dall’usura. Aveva labbra rosse e screpolate dal freddo, le sguance scarne e scavate nel cranio e gli occhi, infossati, erano di un azzurro-verde intenso, mentre i capelli erano di un rossiccio peculiare e a tratti grigiastri.
Il volto di Jonathan si contrasse per un secondo infinitesimale alla vista del volto di quell’uomo: viveva da anni su un pianeta desolato eppure era completamente sbarbato e i capelli sistemati al meglio che si potesse fare in quelle condizioni.
“Le hai ancora le piastrine?”.
L’altro uomo indietreggiò di un passo a quella domanda e sgranò lo sguardo. Di certo non si aspettava che capisse; che cosa lo aveva tradito? Si chiese l’uomo mentre prendeva le piastrine da sotto la stoffa spessa degli abiti e le buttò ai piedi del ragazzo. Se lo meritava, a quanto pareva non era solo un tizio rumoroso …
“Come hai fatto … a capire?”, chiese l’uomo con un cenno del capo. Jonathan non spense la lightsaber e ,tenendo d’occhio l’altro uomo, si abbassò per prendere le piastrine da terra per leggere curioso il suo nome inciso su quei piccoli pezzi di ferro ancora tiepidi e rispose, “Serve fermezza e disciplina per rimanere in vita in queste condizioni e per avere ancora l’abitudine di essere impeccabili nell’aspetto bisogna essere militari di alto rango …”.
Il giovane abbassò quindi lo sguardo sulle piastrine e aggrottò la fronte: il nome era stato rigato da un oggetto appuntito per rendere impossibile la lettura su entrambe le medagliette, ma il cognome era ancora leggibile.
Hux
“Hux?”.
“Hux? Chi è Hux?”, chiese l’uomo con sguardo stralunato mentre si volse di scatto dando le spalle a Jonathan, come se stesse ascoltando qualcuno di fronte a sé. Il giovane guardò dubbioso quel comportamento così … così strano e anormale.
“Ah, sono io. Grazie ragazzi”, riprese voltandosi di nuovo verso Jonathan con un sorriso appena accennato sulle labbra secche.
“Con chi … con chi stavi parlando?”, chiese Jonathan con una smorfia sul viso.
Ok, per aver vissuto vent’anni da solo, è un fiore …
“Con le mie truppe, è ovvio. Non le vedi?”, con un gesto ampio della mano indicò lo spazio attorno a sé, “Aaaah! Sei anche cieco …”.
Jonathan si grattò la testa con la mano sinistra mentre spegneva la lightsaber crociata riallacciandola alla cintola senza neanche guardare, talmente era abituato a fare qual movimento. Non aveva mai visto una persona che si comportasse in quel modo …
“Ah, lo sai? Assomigli tanto a tuo padre …”, sussurrò mentre fissava assorto il ghiaccio vicino ai propri piedi. Uno sguardo perso nei ricordi, nel passato lontano, quando ancora era un Generale, un vero Generale che comandava il proprio esercito con un moto di orgoglio ogni volta che veniva completata una missione con successo.
Jonathan si avvicinò all’uomo di fronte a sé, gli occhi sgranati da tale affermazione, “Tu hai conosciuto mio padre? Tu!?”.
“Sssssh! Non urlare … Non vogliamo attirare cose spiacevoli, vero ragazzi?”, sussurrò ad pochi centimetri dal viso del ragazzo.
Le ombre lunghe degli alberi sparirono completamente, diventando un tutt’uno con il terreno ricoperto di ghiaccio e il buio avvolse lentamente le figure dei due uomini. Fruscii cauti e silenziosi si udirono sulle loro teste, uno sbatter d’ali continuo ed incessante di … uno stormo.
“Cazzo!”, sbottò Hux cercando disperato qualcosa nelle grandi tasche dei suoi abiti. “Accendi quella lightsaber, subito!”.
Jonathan fece come gli era stato detto e sentì come delle urla di sofferenza provenire da quello stormo nero che si mimetizzava alla perfezione nel cielo scuro e plumbeo che si era creato pochi secondi dopo il tramonto.
“Cosa cavolo sono quei cosi?”, chiese Jonathan mentre seguiva l’altro uomo verso una destinazione sconosciuta.
“Krill”, disse, ma notando lo sguardo perso di Jonathan continuò, “Hai … presente … i Piranha?”, riprese interrotto dal fiato corto mentre correva verso il suo nascondiglio in cui aveva vissuto per tutti quegli anni.
“No!”, rispose mentre si sentì osservato da occhi nascosti dal buio che diveniva sempre più oscuro.
Meglio”, la voce di Hux era ora diversa, più sicura, più … Era come se avesse ritrovato un minimo di lucidità da quei momenti di alienazione in cui parlava con delle fantomatiche truppe invisibili.
Un altro paio di occhi gialli spuntarono dall’oscurità accompagnati da bava bianca che colava lentamente a terra e, alla luce blu della lightsaber, Jonathan notò il corpo di quella creatura che si stagliava, ancor più scuro, contro il nero di quella notte. A quella vista accelerò il passo raggiungendo Hux che gli stava davanti di diversi metri mentre si orientava alla perfezione tra quei alberi tutti uguali, dal tronco alto e ricoperti da ghiaccio bianco.
Nuovamente il rumore di tanti sbatter d’ali si avvicinò ai due uomini il cui respiro pesante si condensava in piccole nuvolette bianche davanti ai loro visi arrossati dal freddo, “Giù!”. Jonathan si abbassò appena in tempo per evitare i denti aguzzi dei Krill che gli passarono a pochi millimetri dalla testa e Hux azionò la sua lampada UV che custodiva gelosamente in una profonda tasca dei suoi abiti.
Vide il corpo minuscolo di quelli che sembravano uccelli neri bruciare alla forza della luce come se fossero fogli di carta infuocati che danzavano leggeri seguendo il volere del vento che soffiava impetuoso contro i visi dei due uomini gelando loro la pelle.
Un urlo disumano superò l’ululato del vento e un brivido freddo percorse la schiena muscolosa del giovane mentre una costruzione scura si stagliò sul terreno bianco su cui si ergeva basso: un bunker.
“Non respirare!”, urlò Hux con tutto il fiato che aveva in corpo per contrastare il vento che gli smorzò la voce quasi del tutto.
“Perc-“. Un odore pesante, pungente gli fece arricciare il naso mentre la gola iniziò a rodere e bruciare appena inspirò di riflesso a quell’odore che non aveva mai sentito e si coprì il volto con la mano sinistra per cercare di evitare di respirare ancora … quella roba.
Hux sorrise orgoglioso per quella trovata intelligente: i predatori odiano odori del genere e l’ammoniaca era perfetta per tenerli lontani dal luogo in cui viveva, ma soprattutto in cui dormiva, il momento in cui si sentiva più vulnerabile.
Hux digitò velocemente il codice di accesso e appena la porta a chiusura stagna si aprì, sgusciò al suo interno seguito immediatamente da Jonathan, il quale, ora all’interno del bunker, spense la lightsaber con un movimento veloce. Scesero delle ripide scale mentre la porta si richiudeva con un pesante tonfo e alcune luci appese al soffitto si accesero lentamente mentre la maggior parte rimasero spente, forse per risparmiare l’elettricità.
Finite le scale si ritrovarono in un piccolo spiazzo in cui ad un angolo vi era una brandina dal materasso sfondato, ma dalle lenzuola sistemate perfettamente. Al centro della stanza vi era un tavolo rettangolo in acciaio su cui vi erano alcuni cadaveri di Krill sezionati. Jonathan distolse immediatamente lo sguardo da quella visione orripilante ed inquietante, “Dovevi proprio?”, chiese indicando il tavolo.
“Secondo te come faccio a sapere come difendermi da loro?”, disse sedendosi sul letto che cigolò un poco sotto il suo peso.
Jonathan rimase a fissarlo per qualche minuto rimanendo quasi meravigliato da quella persona così pazza da esser riuscita a sopravvivere in quel posto.
“Allora, tu conosci mio padre?”, chiese Jonathan. Ora aveva bisogno di risposte e l’attesa non aveva fatto altro che aumentare la sua curiosità in tal proposito. Era andato lì per quello dopotutto, no?
“Sì, quello sporco traditore …”, Hux roteò gli occhi dalla stanza a Jonathan e lo sguardo si tramutò in pochi secondi diventando folle. Con un urlo si avventò addosso al giovane facendolo cadere all’indietro e strinse le sue mani scheletriche attorno al collo muscoloso del Jedi.
“Kylo Ren, traditore!”, urlò ancora mentre fissava gli occhi cerulei del ragazzo.
Passato il momento di sorpresa, Jonathan allontanò con facilità il corpo leggero dell’altro uomo, preso da una rabbia impossibile, profonda e improvvisa, “Io non sono Kylo Ren”, e si massaggiò il collo un poco indolenzito dalle dita di Hux.
“No? Non sei tu?”, il suo sguardo tramutò ancora e divenne perso mentre guardava assorto un punto indefinito della parete opposta e si risedette a peso morto sul letto, dondolandosi un poco  sul posto.
“Sono tutti morti … Tutti”, sussurrò piano al nulla di fronte a sé.
Jonathan si passò una mano tra i capelli, esasperato, ma era l’unica persona che molto probabilmente aveva conosciuto meglio suo padre nel periodo in cui non era un Jedi, “Chi, chi è morto?”.
“I miei soldati … Uno dopo l’altro … Mangiati … Squartati”, si sdraiò sul letto e fissò intensamente il soffitto, come se su quella tela bianca fossero dipinti i momenti in cui i suoi uomini vennero uccisi davanti ai suoi occhi, impotente di fronte a specie sconosciute.
Sembrava avesse ripreso nuovamente quella lucidità così instabile e poco duratura, e Jonathan ne approfittò, “Kylo Ren … era mio padre, vero?”.
Hux annuì lievemente continuando a fissare il soffitto, “Oh, sì. Quella spada laser è sua … Ma il colore è sbagliato … Sbagliato … Tutto questo è sbagliato. La rotta era sbagliata! Che incompetenti …”, iniziò a farfugliare qualcosa, come se stesse parlando a bassa voce rimproverando i suoi tecnici un momento prima di schiantarsi su quel pianeta, vent’anni prima.
“Com’era Kylo Ren?”, chiese il giovane interrompendo il flusso di parole sconnesse che uscivano come un fiume dalla bocca di Hux.
“Oh … Era uno sbruffone. Si credeva migliore di me … Che baggianate! Vero, ragazzi?”, un sorriso storto distese le sue labbra rinsecchite mentre si guardava attorno come se incontrasse gli sguardi dei suoi sottoposti, che nella sua realtà deformata erano lì insieme a lui.
“Io … Il Generale Hux … inferiore a qualcuno … mai”, e gli occhi si chiusero lentamente per la stanchezza a causa della carenza di cibo.
Il Generale Hux. Era in gabbia su quel pianeta immenso, insieme ai fantasmi delle sue truppe che erano sopravvissute insieme a lui quando la sua nave era precipitata a causa di un errore nel calcolo per la velocità luce. Li aveva visti morire, ed era solo grazie al suo autocontrollo che non era morto anche lui, sommerso dalla solitudine e dalla creature mostruose che abitavano le lande attorno al bunker. Non era più un Generale, o meglio, era un Generale senza più un esercito da comandare, era il Generale di se stesso solamente, che comandava alla perfezione per poter sopravvivere.
 
 
Autrice: Buonasera lettori! Cosa ne pensate di questo inizio? ^^ È interessante? Ditemi tutto *^* Insomma, spero che vi piaccia :D
Hux: Ha! Sono ancora vivo!
Autrice: Sì, ma hai una cartella clinica pessima u.u
Hux: pazienza … Non è vero ragazzi!?
Autrice *face palm*: siamo messi bene ._. Vaaaa beh, ci vediamo al prossimo capitolo! Ciau :3
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Sarija