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Autore: silbysilby_    13/04/2016    1 recensioni
Quando si pensa ai fantasmi si pensa alla paura che ci provocano, alle notti buie in cui appaiono, alle case desolate che infestano.
Nessuno penserebbe mai che un fantasma potrebbe sentirsi solo. Che tra quelle mura spoglie e fredde potrebbe passare le giornate a chiedersi come poter riempire quella solitudine a cui è costretto.
Già, nessuno lo farebbe.
OneShot Klaine (divisa in due parti solo per comodità) basata sul film di "Casper, The Friendly Ghost".
Kurt!Ghost
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi tornata con una Klaine basata sulla storia di Casper! Sono consapevole del fatto che sia un film per bambini, ma (scene idiote dei tre fantasmi e la storia del tesoro a parte) mi ha incantata. Vi consiglio vivamente di andare ad ascoltare la bellissima colonna sonora, specialmente "Remember me this way", canzone emblema del film, che è SPETTACOLARE. 
Se volete dare un occhio alla mia pagina di disegni su fb SilbySilby Art e il mio canale youtube SilbySilby mi farebbe molto piacere!
E niente, ora vi lascio alla storia!

 
Al mio Scorfano Brontolone (si, B, parlo di te) e alla mia Beta che mi sopportano sempre!

Quando si pensa ai fantasmi si pensa alla paura che ci provocano, alle notti buie in cui appaiono, alle case desolate che infestano.
Nessuno penserebbe mai che un fantasma potrebbe sentirsi solo. Che tra quelle mura spoglie e fredde potrebbe passare le giornate a chiedersi come poter riempire quella solitudine a cui è costretto.
Già, nessuno lo farebbe.
Kurt

Questa sera sembra essere scandita dal ticchettio fastidioso dei tasti del telecomando che mi ritrovo a premere in continuazione. Come tutte le altre notti sono appoggiato ad un divano logoro ed impolverato, impegnato a... cercare di tenermi impegnato. 
E' dalla sera in cui due spavaldi ragazzini hanno fatto irruzione nel salone del maniero di Whipstaff che non succede niente di interessante. Per quanto cerco di non pensarci, il ricordo di quella serata mi tormenta spesso. Quando mi ero accorto che delle persone vive avevano davvero avuto il coraggio di spingersi fin quassù avevo pensato che era finalmente arrivato il momento di conoscere qualcuno, e li avevo raggiunti in un batter d'occhio; il buio pesto impregnava ogni centimetro dell'immensa sala, smorzato solo dalle flebili lucine delle torce che i due giovani si erano portati dietro. Da quel poco che avevo capito stavano litigando per chi  dovesse scattare una foto all'altro all'interno della stanza, probabilmente per provare che ci fossero realmente entrati dato che, come sanno tutti, il maniero è spesso protagonista di eventi sovrannaturali. Avevo colto l'occasione per farmi avanti nel buio e mi ero offerto di scattare la foto ad entrambi, cercando di rompere il ghiaccio. Peccato che nel momento in cui la luce dello schermo della macchina fotografica mi ha illuminato in volto i ragazzi hanno lanciato un urlo disumano e si sono precipitati prima verso la porta d'ingresso, poi giù di corsa per tutta la collina. Sono rimasto immobile in mezzo alla sala con ancora la fotocamera tra le mani e l'immagine delle facce dei due ragazzi storpiate dal terrore impressa sullo schermo. 
Non posso neanche usare come scusa il fatto che fossero più impressionabili, non essendo adulti, mi dico tra me e me mentre premo di nuovo il secondo canale: nelle settimane passate un gruppo di muratori e operai sono venuti a Whipstaff di buona mattina per fare dei lavori su richiesta di un'avvenente signora e del suo assistente personale. Nonostante siano uomini grandi e vaccinanti se la sono data a gambe spintonandosi tra di loro per attraversare la cancellata e mettere in moto i loro macchinoni. E ho solo indicato ad uno di loro la strada per il bagno.  
Per colpa di questo piccolo incidente ora chiunque si rifiuta di proseguire i lavori nel cantiere, facendo apparentemente impazzire la proprietaria.
Già, penso cambiando canale un'ultima volta, proprio una gran seccatura essere un fantasma.
La televisione si sintonizza su quello che pare essere un telegiornale serale. Sono sul punto di cambiare canale quando la presentatrice cattura la mia attenzione:
"...e l'attenzione di tutti gli appassionati si sta spostando in Ohio, dove un comune cittadino americano suppone di aver trovato il modo per comunicare coi fantasmi. Smith, a te la linea"
Strabuzzo gli occhi e mi risistemo sul divano per poter vedere meglio il servizio che scorre dopo la breve introduzione della donna: un uomo di mezza età dai capelli scuri ormai brizzolati spiega il risultato delle sue ricerche: " Direi che affermare di poter comunicare con gli spiriti mi sembra un po' eccessivo. Io mi considerò più...uno psicologo per fantasmi. E' da quando ho perso mia moglie che studio cose a riguardo e credo di aver trovato il modo per percepire i loro stati d'animo, il modo in cui si pongono su di noi. La cosa potrebbe avere senz'altro sviluppi interessanti dopo qualche generoso finanziamento..." continua guardando dritto l'obbiettivo della telecamera. Ha l'aria di essere stanco ma soddisfatto del suo lavoro. 
Lo scenario cambia di nuovo e ora lo schermo mostra la figura di un ragazzo dietro a una rete metallica. Quest'ultimo continua a camminare imperterrito per la sua strada senza curarsi del giornalista insistente che continua a chiedergli cosa pensa dell'idea del padre, se anche lui crede ai fantasmi e ai fenomeni paranormali; le occhiatacce che rivolge alla telecamera a quanto pare non bastano per convincere il cameraman a smettere di vessarlo, così il ragazzo si volta e lo affronta dicendogli che quello è il suo primo giorno nella nuova scuola (sottolinea la cosa scrollando la tracolla che porta sulla spalla) e non voleva essere disturbato. Quegli occhi ambrati puntano dritto alla telecamera per una manciata di secondi, le sopracciglia corrugate in un'espressione nervosa e qualche ciocca di capelli scurissimi che sfuggono a un'evidente spesso strato di gel. 
La Signorina Crittenden sarebbe davvero felice di sapere che esistono certe persone; chiamerebbe il signor Anderson all'istante e lo pregherebbe di parlare con me. Lui si riempirebbe le tasche di soldi e si porterebbe dietro il figlio. Quel ragazzo dovrebbe già essere abituato alle esperienze paranormali, non dovrebbe aver paura di me. 
La genialità dell'idea mi colpisce con una tale velocità che non posso fare a meno di sollevarmi involontariamente dal divano di qualche centimetro:  farò in modo che la signorina Crittenden venga a sapere di questo psicologo per fantasmi. Solo così forse potrei farmi un amico. Forse non passerò l'eternità da solo. 
Una volta sono riuscito ad intercettare l'antenna satellitare di una delle case più vicine al maniero e sono rimasto a cambiare canale alla televisione per un'oretta buona, facendo imbestialire un marmocchio delle elementari che guardava cartoni troppo violenti per la sua età. Chissà se il trucchetto funziona ancora.
* * *

E' fatta. 
Un fuoristrada e un'auto elegante stanno parcheggiando nel cortile trascurato di Whipstaff. 
Mi limito a restare il più vicino possibile al vetro della finestra senza oltrepassarlo con la faccia, troppo curioso di vedere i due nuovi arrivati. Sia il padre che il figlio mi danno le spalle e, nonostante la distanza tra loro e la camera al terzo piano da cui li sto osservando, posso dire che sembrano entrambi davvero stanchi e spossati dal viaggio. Il ragazzo osserva il padre conversare con la bella signora e il suo assistente, spostando il peso da una gamba all'altra in continuazione. Quando poi, con un sorriso tirato e squallido da parte della donna, gli vengono consegnate le chiavi del maniero, raddrizza la schiena e corre a prendere qualche bagaglio dal fuoristrada. Il padre stringe per l'ultima volta le mani dei due e li saluta, sforzandosi di dare una buona impressione, dopodichè raggiunge il figlio e insieme scaricarono le valigie.
"E questa è  l'ultima!" esclama Robert Anderson (ho fatto ricerche attraverso la rete della signorina Crittenden) facendo scricchiolare la ghiaia sotto il peso dell'ennesima cassa stipata di libri. Si asciuga il sudore sulla fronte con la manica del maglione sformato che fuoriesce dalla giacca a vento e rivolge un sorriso, a cui il figlio Blaine risponde con un'occhiata scettica. 
Chissà se Blaine crede all'idea che sua madre sia diventata un fantasma. Se non ne fossi uno io stesso, penserei che suo padre è semplicemente troppo debole per lasciarla andare, e si è convinto dell'esistenza degli spiriti pur di trovare un modo di arrivare a lei. Chissà se Blaine la considera crudele; come puoi superare una perdita se c'è perennemente qualcuno che ti illude della possibilità di poter comunicare con quella persona? 
Facendo così il signor Anderson non dà la possibilità alla gente di andare oltre, di lasciare che le ferite smettano di sanguinare e si cicatrizzino.
Attraverso il vetro appannato vedo Blaine scostarsi un ricciolo fuori posto da davanti gli occhi e incamminarsi verso l'ingresso, uno zaino enorme sulle spalle e un sacco della spazzatura che sembra sul punto di esplodere trascinato ai suoi piedi. Sale i tre gradini e apre a fatica il pesante portone mentre io attraverso più veloce che mai il pavimento della stanza per poter continuare ad assistere all'arrivo dei miei due ospiti.   Appena muove i primi passi all'interno della stanza si ferma: tutto intorno a lui è buio, l'aria è viziata e un silenzio totale assorbe ogni rumore proveniente dall'esterno. Rimane immobile a fissare la propria ombra scura sul pavimento in pietra, ben delineata dalla luce del pomeriggio, fino a quando il padre non lo raggiunge. Con un paio di torce che quest'ultimo si è curato di tenere nelle tasche esterne dei bagagli, i due cercano subito il salvavita, trovandolo nel sottoscala; il grosso lampadario illumina tutto il salone circolare e il suo liscissimo pavimento di granito rosso, talmente polveroso che quando Blaine lo attraversa si lascia dietro una scia di impronte, per la lunga scalinata che avvolge tutta la stanza, i balconi dalla forma grottesca che danno sui vari corridoi e tutti i quadri, i dipinti, gli orologi, le tende, gli archi e le torce appese fitte fitte per la parete aranciognola.
La curiosità sembra prendere il sopravvento sul ragazzo che ormai non può fare a meno di guardarsi intorno mentre sale le scale ammirandone l'altezza e l'eleganza dei decori del poggiamano. Nel giro di tre secondi si perde a girovagare per gli stretti corridoi sballottandosi dietro il suo sacco e stando attento a non toccare niente. Mi chiedo se tutte queste tende logore, questi specchi incrinati, queste ragnatele onnipresenti lo inquietino oppure non gli facciano effetto. La luce emessa dalle scarse lampade è così fioca da lasciare in ombra tutto quello che non è nel raggio di un metro, facendomi sentire nascosto al suo sguardo. 
La prima cosa che posso constare appena mi si avvicina e che Blaine è più basso rispetto a quello che mi era parso in televisione. Non che mi cambi qualcosa; essendo un fantasma non appoggio mai su quello che un tempo sono stati piedi sul pavimento, quindi sarei stato più alto di lui in ogni caso. 
Il nuovo arrivato si aggira per i corridoi bui stringendo forte il laccio dello zaino che gli penzola contro lo stomaco, le spalle strette come per volersi fare più piccolo e un mischio di espressioni indecifrabili sul viso. Mi viene da chiedermi se sono io che non sono neanche più in grado di riconoscere le emozioni dei vivi o se semplicemente neanche quel ragazzo sa come sentirsi. 
Lo seguo da dietro senza far rumore, cercando di indovinare i suoi pensieri mentre apre porte e ne richiude,  domandandomi ossessivamente se non fosse stato il caso di presentarsi e aiutarlo a scegliersi una stanza. Più passano i minuti più inizio seriamente a pensare che avrei fatto meglio a rintanarmi nella soffitta e lasciare perdere il povero Blaine: anche mettendo che il ragazzo non abbia paura dei fantasmi e che si trovi  bene in mia compagnia, niente impedirebbe a lui e a suo padre di andarsene da Whipstaff una volta finito la "disinfestazione", e io mi sarei ritrovato più solo di prima. 
Sono ormai sul punto di cedere quando vedo Blaine soffermarsi davanti alla porta della mia camera; le sue dita sfiorano come sovrappensiero la maniglia sottile e argentata, gli occhi riflettono la luce colorata delle intersezioni in vetro. Una sensazione buffa, quasi di gelosia, mi agita: quella è la mia camera. La mia camera. Mi sento vulnerabile a vedere Blaine entrare, osservare le mie cose, toccare i miei oggetti, come se ne potesse percepire la storia. Come se potesse percepire me in quella crepa nella vernice azzurra che tinge le pareti, me tra i tasselli dei mosaici alle finestre, me tra le pieghe di quel mucchio di vestiti ancora perfettamente piegati nell'armadio.
Dopo essersi seduto sul mio letto, l'intruso (si, ho deciso che questa nomea gli si addice perfettamente adesso) si mette a rovistare e a tirare fuori dal sacco della spazzatura tutta una serie di vestiti che poi appoggia alla rinfusa sulle coperte, e mi dà la schiena. Prendendo tutto il coraggio a disposizione mi avvicino a lui e mi schiarisco la gola un paio di volte per cercare di attirare la sua attenzione in un modo non troppo diretto, ma quello non sta fermo un attimo e tutti i miei sforzi vengono coperti dal fastidioso rumore della plastica stropicciata. 
"Ehi!" esclamo esasperato, pensando che anche se parlassi più forte l'altro non mi sentirebbe. Peccato che proprio in quel momento Blaine si sia fermato, e di conseguenza la mia voce gli è arrivata forte e chiara. Lo vedo scattare in piedi dallo spavento e voltarsi per urlare contro quello che forse pensa essere il padre. Inutile a dirlo, alle sue spalle non trova il signor Anderson, ma me. 
Appena mi vede strabuzza gli occhi scuri all'inverosimile. Impallidisce tutto di un colpo e un suono strangolato esce dalla sua bocca semiaperta. Il tonfo sordo del suo corpo che cade a terra riempe la stanza mentre Blaine cade a terra apparentemente svenuto. 
Beh, sarebbe potuta andare peggio.
Resto qualche secondo fermo a guardarlo, aspettando che rivenga da solo, e quando è ovvio che il mio ospite non ha intenzione di riprendere i sensi, capisco che devo intervenire io. Fluttuo verso il bagno e lascio scorrere l'acqua del rubinetto per un po' lasciando che il calcare e lo sporco accumulati nel tempo lascino spazio all'acqua pulita. Accumulo un po' di acqua tenendo le mani a coppa (Dio solo sa come un fantasma possa trattenere qualcosa senza che essa gli passi attraverso) e torno da Blaine, lasciandomi dietro una copiosa scia di gocce. Separo le mani facendo cadere l'acqua fresca direttamente sulla sua faccia, sperando che l'impatto lo svegli. Aspetto qualche secondo e sbuffo. Sembra ancora parecchio morto. 
Quando ormai mi sto dirigendo di nuovo verso il lavandino, (e penso che magari se fosse davvero morto, non che io lo speri, ovvio,  per noi sarebbe molto più facile essere amici) Blaine spalanca gli occhi e solleva la schiena appoggiandosi sui gomiti guardandosi freneticamente intorno. Nel momento in cui il suo sguardo sconvolto si posa per la seconda volta su di me penso che, se non fosse per il suono di passi sempre più forte e la voce di suo padre che lo chiama a gran voce dal corridoio, potrebbe benissimo svenire di nuovo. 
"PAPA'!" urla a pieni polmoni senza staccarmi gli occhi di dosso. Provo a fargli segno di tacere, inutilmente. "PAPAAA'"  
I passi in corridoio si affrettano fino a quando la porta a vetro della camera non si spalanca e lo stesso uomo che poco prima avevo visto da lontano corre subito dal figlio ancora semi-sdraiato, sudato e pallido come un cencio. Le mani di Blaine, ora strette da quelle di Robert, tremano vistosamente mentre con gli occhi continua a far segno al padre di guardare verso la mia direzione, incapace di spiccicar parola. La sua aria spaventata mi ferisce.
Non dovevo mostrarmi, lo sapevo. Lo sapevo, lo sapevo. Continuo a ripetermelo, eppure continuo a fare sempre gli stessi sbagli.  
Indietreggio lanciando un'ultima occhiata a Blaine. Se ripenso a quella piccola lucina di speranza che mi si era accesa quella sera... me la sono cercata, non avrei dovuto fare in modo che la signorina Crittenden venisse a sapere di questa storia dello psicologo per fantasmi. Oltrepasso la parete fuggendo via dalla mia stessa camera, rifugiandomi in una delle tante stanze vuote della soffitta. 
Se non mi faccio trovare per un paio di settimane il signor Anderson sarà congedato dall'incarico, lui e suo figlio se ne torneranno da dove sono venuti, e questa giornata si ridurrà ad un vecchio aneddoto da raccontare.
A chi lo racconterò ancora non mi è dato saperlo. 
* * *


I primi raggi del sole attraversano i vetri rotti delle finestre ed illuminano la soffitta, rendendo visibili cumoli di polvere oscillanti nell'aria. Più o meno lo stesso effetto che ha su quel che resta del mio corpo: sollevo l'ombra biancastra di quel che tempo era stata la mia mano e la interpongo tra i fasci di luce osservando come sembri solo vagamente più opaca rispetto a prima. Che sia fatto anche io di polvere? 
Dovrei fare qualcosa per gli ospiti, tipo preparare la colazione o provare a spazzare il pavimento, nonostante io sappia che il manico della scopa mi oltrepassa sempre le braccia dopo neanche quattro secondi. Non lo voglio fare perchè ho dei sensi di colpa nei confronti di quel Blaine. Per quanto mi dispiaccia averlo spaventato e avergli rovinato il soggiorno a Whipstaff, non dovrei neanche pensare a loro come degli ospiti, ma come degli usurpatori di proprietà privata. 
Una volta volato al piano terra dove si trova la cucina mi assicuro che ci sia ancora qualcosa di commestibile negli scaffali, magari qualcosa lasciato dagli operai che venivano qui per la pausa pranzo. A Blaine piaceranno le uova?

Sarà passata una mezz'oretta da quando mi sono messo ai fornelli ed è pronto da mangiare almeno da cinque minuti. Il cibo si sta raffreddando velocemente e mi sto dando dello stupido per aver addirittura cercato ovunque una tovaglia pulita da stendere sul lungo tavolo, aver trovato forchette, piatti e bicchieri e aver riordinato la stanza quando non so neanche a che ora siano soliti fare colazione. Mi sento così avvilito da tutto che sono sul punto di tornarmene in soffitta quando sento la maniglia cigolare mentre viene spinta verso il basso. Blaine scende gli scalini ed entra in cucina, guardandosi intorno con circospezione: è scalzo e l'unica cosa che impedisce ai suoi piedi di toccare direttamente il freddo pavimento di pietra sono i bordi troppo lunghi dei pantaloni del pigiama. Impugna saldamente tra le mani un piccolo aspirapolvere di quelli da viaggio, sembrando, tra i capelli scarmigliati, il pigiama e gli occhi gonfi di sonno, un bambino che gioca alla spia. Ecco, ci mancava solo che mi aspirassero via per confermare la mia teoria del i-fantasmi-sono-fatti-di-polvere.
E' evidente che sta controllando che io non ci sia. Se sapesse che mi sono reso invisibile e che in realtà sono solo a un paio di metri da lui, sverrebbe di nuovo? 
Il ragazzo scruta i muri di pietra grigia, dà un'occhiata sotto il tavolo imbandito e apre un paio di sportelli, ma non mi vede. I muscoli della schiena gli si rilassano vistosamente e lui si abbandona su una sedia (cavolo, mi sarei dovuto ricordare di sbattere almeno i cuscini fuori dalla finestra), appoggiando il mini-aspirapolvere su quella accanto. Sembra accorgersi del cibo solo in questo instante: un'espressione confusa ne precede una più spaventata dopo aver visto la nuvoletta di vapore che ancora fuoriesce dalla teiera. Osserva le uova nel piatto che ha davanti a se come se fossero il peggiore dei suoi incubi, servito direttamente dal diavolo in persona. Le guarda talmente male che per un attimo temo che esse si offendino e che se ne tornino nel loro guscio.  
"Non sono avvelenate, sai? Puoi mangiarle." 
Non so perchè l'ho detto. Davvero, non lo so. Il mio piano era quello di cucinare, assicurarmi che mangiassero qualcosa e tornarmene discretamente alla soffitta, non quello di interagire. Vorrei rimangiarmi le parole, ma neanche da morti si può.
Decido di rendermi visibile; tanto ormai mi sono fregato da solo.
Appena Blaine mi vede comparire trasale e la sua mano afferra immediatamente l'aspirapolvere e me lo punta addosso, mentre il resto del suo corpo incespica per mettersi in piedi. Mi fissa con gli occhi sbarrati, il suo sguardo che mi studia freneticamente alla ricerca di non so bene cosa. Pelle, forse? 
Mi vergogno. Tra tutte le cose che potessi provare, io mi vergogno, come se fosse stata una mia scelta quella di dimenticarmi il corpo sottoterra e presentarmi alla colazione con solo lo spirito. Voglio che smetta di guardarmi a quel modo. Come se io fossi un mostro, un pericolo. 
Alzo le braccia verso l'alto in segno di resa e tento una roba che più che un sorriso è una smorfia insofferente. "Le uova intendo."  
Blaine continua a guardarmi ammutolito e a me sembra di essere più impalpabile che mai. Apre la bocca un paio di volte, deglutisce, e finalmente si decide a dire qualcosa: "Tu, tu cosa...sei, esattamente?" 
Inarco un sopracciglio. Non pensavo di sembrare disumano al punto di essere messo nella categorie "cose". Insomma, la forma di una faccia, delle articolazioni e di una persona in generale ce li ho, no? Decido di sorvolare sulla cosa segnandomi mentalmente Non capiscono che cosa si provi ad essere morti nella lista dei contro riguardo all'avere degli amici in carne e ossa. 
"Mi chiamo Kurt" dico al pavimento, desideroso di finire questa conversazione con la stessa velocità con cui l'ho iniziata. 
Blaine sembra ancora abbastanza perplesso, e mi tiene ancora puntato addosso quell'affare, ma la sua voce non trema più. "Kurt. Sei... un fantasma? Cioè, oddio, questo era un po' indelicato...esisti davvero o ti sto immaginando? Sta a vedere che i tacos che abbiamo mangiato in auto ieri erano andati a male e io sto avendo gli incubi..." 
Mi sento completamente inerme. Non provavo tutto questo turbinio di emozioni da, cosa sarà, un decennio? Non è ancora passato un giorno e già ho capito che Blaine Anderson è un' idiota insensibile e fifone, e io vorrei così tanto prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a quando la stupidità non gli uscirà dalle orecchie: è ovvio che sono un fantasma, cos'altro dovrei essere? Ma sono tutti così quelli ancora in vita?
La solita vocina fastidiosa mi sussurra all'orecchio che forse non è Blaine ad essere senza speranze, che forse sono io a non ricordarmi neanche come ci si senta e cosa si pensa quando si è vivi. 
Non pensarci, mi dico continuando a fissare vacuamente gli occhi sgranati di Blaine, così belli mentre mi studia come se cercasse le famigerate catene che dovrebbero pendermi dalle braccia, così caldi e così incredibilmente vispi. Non pensarci, non pensarci.  
Ignoro la sua domanda e faccio per dargli la schiena, inabile di sopportare la sua vista per un altro secondo. "Tu e tuo padre dovreste andarvene. Fingete pure di essere riusciti a disinfestare Whipstaff, prendetevene tutti gli onori, la pubblicità o qualsiasi altra cosa dovrebbero darvi in cambio. L'importante è che lasciate il maniero."  
Sento i piedi della sedia su cui era seduto poco prima strascicare contro il pavimento e sento i suoi passi fare il giro della tavola. Aspetto di sentire i cardini della porta cigolare e non credo che mi stupirei se sentissi Blaine correre sù per i gradini urlando a squarciagola al suo paparino che devono assolutamente levare le tende dal maniero prima che il brutto fantasma cattivo cambi idea e decida di ucciderli all'istante.
Aspetto, aspetto, ma non sento cigolii e non sento urla. 
Non se ne è andato, è ancora in cucina. 
"Kurt," ripete il mio nome con voce incerta, come se non fosse sicuro che mi calzi. Non sta parlando con un tono molto alto, ma le sue parole sembrano urlate nel silenzio della mattina a Whipstaff. "sei morto?" 
Non posso credere che mi abbia davvero chiesto una cosa del genere. Sto stringendo le mani a pugno così forte che se avessi avuto ancora un corpo mi si sarebbero conficcate le unghie nel palmo. 
L'ombra di una lacrima non bagnata mi scivola giù dalla guancia e mi stringo tra le mie stesse braccia, una tristezza decennale che prende il sopravvento su tutto quanto. Nonostante sia fatto di polvere, aria e poco più, mi sento il petto così pesante che potrebbe trascinarmi giù fino agli inferi.
La voce mi esce roca quando mi volto il minimo per poter scorgere con l'angolo dell'occhio la figura del mio sgradito ospite. "Vattene, Blaine. Per favore." 
Posso vedere la sua bocca schiudersi nel momento in cui lo chiamo con il suo nome. Blaine indietreggia con fare titubante, si ferma e mi guarda bene. Afferra lo schienale della prima sedia che gli capita sotto tiro e la tira all'indietro per accomodarcisi. Nel giro di pochi secondi si è riempito il piatto di uova, il bicchiere trabocca di succo di arancia e un fazzoletto gli copre il bavero del maglione a mo' di tovagliolo. Sono esterrefatto; sta seriamente facendo colazione! Si lascia addirittura scappare qualche mugolio di apprezzamento mentre mastica la pancetta. 
Mi sta prendendo in giro, vero? Io mi sono messo in ridicolo davanti a lui mostrandogli le mie debolezze e dicendogli di andarsene e lui se ne sta lì a ingozzarsi come se non mangiasse decentemente da giorni e forse, dato che il viaggio in auto non dev'essere stato breve e piacevole, è proprio così. Ma come cavolo ragiona questo Blaine Anderson? 
Sbuffo tentando di nascondere quanto la sua presenza mi stia scombussolando. Continuo a ripetermi che vorrei che mi lasciasse stare, ma mi sento così sollevato che rischio di mettermi a ridere.
E' rimasto.
Lo ha fatto davvero.
* * *

La mattina dopo mi ritrovo di nuovo in cucina di buon'ora per preparare qualcosa per gli ospiti. Non so esattamente per quale motivo lo faccio. Quando ieri ho visto Blaine iniziare a mangiare di gusto sono rimasto per un po' a guardarlo, interdetto da quella situazione assurda, poi me ne sono andato; suo padre stava arrivando e io non ero dell'umore giusto per fare altre nuove conoscenze. 
Con mia sorpresa oggi trovo Blaine già in cucina, un ridicolo grembiule pescato chissà dove addosso e un chilo di farina sparso ai suoi piedi. Sul ripiano in marmo sono appoggiati un sacco di tipi di frutta, latticini,  verdure e altri ingredienti freschi che il giorno prima mancavano, e lui è così intento a mettere tutto in ordine negli scaffali che sembra non si sia accorto di me. Mi schiarisco la gola e lui si gira verso di me, colto di sorpresa. Dalle mani gli cade il resto della confezione di farina che rovina per quella che deve essere la seconda volta per terra. Le gote di Blaine si colorano di un vago rossore e con un sorriso tirato si china e si affretta a raccoglierla alla bell'e meglio tra le mani e a buttarla nel sacco della spazzatura (che riconosco essere lo stesso che usava come valigia). 
"Aspetta, ti aiuto." gli dico avvicinandomi a lui con cautela. Non mi sembra spaventato dalla mia presenza, solo molto curioso e forse un tantino agitato. 
Mi abbasso su di lui e riesco a trattenere qualche manciata di farina tra le mie mani, giusto il tempo per sollevarla e farla ricadere nell'apertura del pattume. Blaine segue ogni mio movimento con aria stupita: osserva come la farina trapassa le mie mani dopo pochi secondi, ricadendo in nuvolette bianche. Continuiamo in silenzio fino a quando il sacco della spazzatura non sembra sul punto di cadere a sua volta.
Mi allungo con l'intento di tirarne almeno un lembo per ridurre i danni, ma a quanto pare Blaine ha la mia stessa prontezza di riflessi; la sua mano stringe la plastica nello stesso momento in cui il mio braccio trapassa il suo. E' una sensazione strana, come se la superficie della pelle abbia opposto più resistenza prima di lasciarsi trapassare rispetto a un comune oggetto inanimato, e provo un vago senso di umido simile a quella che si prova quando si attraversa una nuvola di vapore. Appena mi rendo conto di essermi incantato ad analizzare le mie sensazioni per troppo tempo ritiro immediatamente il braccio. Faccio finta di niente e cerco di finire il più velocemente possibile il lavoro. Blaine è rimasto immobile, ancora piegato sulle ginocchia ed il fatto che continua a osservarsi il braccio incriminato non mi mette a mio agio.
"Cosa stavi cucinando?" chiedo cercando di sciogliere la tensione e dando un'occhiata più da vicino al bancone. Non so quando ho deciso di cercare di far andare bene questa cosa della convivenza con i vivi, ma ci sto provando davvero. Ormai il danno è fatto, Anderson Grande ed Anderson Junior ormai sono qui perchè io ho fatto in modo che loro arrivassero e non sembrano intenzionati ad andarsene tanto presto, perciò tanto vale provarci.
Blaine si riscuote dal suo stato di trance e mi raggiunge: "Non lo so di preciso... ho solo comprato tutto quello che mi sembrava indispensabile in una cucina. Se aspetto che lo faccia mio padre vivremmo sicuramente di cibo d'asporto fino a quando non mi uscirebbero sushi e pizza dalle orecchie." Accenna un sorriso sincero al quale ricambio, nonostante l'immagine mentale che mi ha suggerito mi inquieti un pochino.
Insomma, tra un momento di disagio ed un altro, io e Blaine riusciamo a mettere sù una colazione abbastanza decente; restare fermo a dirgli quali e quanti ingredienti usare mentre lui mescola, si sporca di farina e sbatte le uova mi mette una tristezza infinita. Doveva essere divertente riuscire a trattenere le cose nelle proprie mani per più di cinque secondi. 
Blaine si siede subito a tavola e inizia a riempirsi il piatto di cibo, non intenzionato ad aspettare il padre. Giusto per non sembrare maleducato mi "accomodo" di fronte a lui dall'altra parte del tavolo. Se chiudo gli occhi e mi concentro posso quasi fingere che il mio corpo non trapassi la sedia, immaginarmi il legno solido sotto di me.
Blaine mangia così velocemente e a bocconi così grossi che mi stupisco del fatto che lo faccia in modo così silenzioso; gli unici momenti in cui non è impegnato a trangugiarsi sono quelli in cui si sofferma a fissarmi dopo aver mandato giù tutto con un gran sorso d'acqua. Il suo sguardo d'ambra sembra chiedermi ogni volta una cosa diversa, la paura e la diffidenza dei giorni precedenti già dimenticati. 
"Se continui a ingozzarti così ti strozzerai..." mormoro tracciando spirali nella polvere depositata sul tavolo.
Blaine deglutisce rumorosamente e, come al solito, risponde alla mia domanda con un'altra domanda. "Ma tu riesci a mangiare? O il cibo ti passa attraverso?" 
Gli lancio un'occhiata in tralice alla quale lui risponde con un drammatico "NON DIRMI CHE TI NUTRI DI SANGUE?" alla quale non degno neanche un cenno.
Blaine ridacchia e infilza l'ennesimo pezzetto di bacon. Provo con tutte le mie forze a mantenere un'aria seria per fargli capire che quella che ha posto non era esattamente una domanda educata, ma gli angoli della bocca mi si sollevano involontariamente. 
"No, seriamente, non mangi, vero? Credo sia impossibile, ma se la settimana scorsa mi avessero detto che i fantasmi esistono davvero e che non sono solo un'ossessione di mio padre avrei detto che anche quello era impossibile."  E Blaine continua e continua a guardarmi, come se non fosse mai sicuro di ritrovarmi qui ogni volta che batte le palpebre. 
"Posso vedere attraverso di te..." mi dice con lo stesso tono con cui i bambini si sussurrano i segreti. 
Non gli rispondo per il semplice fatto che non so cosa dire. Seppur lui non abbia fatto questa grande scoperta, sollevo in automatico una mano e mi fisso il palmo, osservando il legno della tavola che traspare dietro di essa, come se non me ne fossi mai accorto. "...tranne per i tuoi occhi."
I miei occhi?
"Cosa hanno i miei occhi?"
Blaine si sporge col viso sulla tavola, come se volesse guardarli da più vicino. "Tutto nel tuo corp... nella tua figura è di un bianco opaco, come se tu fossi un disegno a gessetto che qualcuno si è divertito a sfumare, ma i tuoi occhi no. Sono azzurrissimi." 
E allora son fortunato che non mi si arrossino le guance perchè al momento sembrerei un semaforo. 
Blaine solleva la mano e me la porge con cautela, stando attento a non colpire la confezione aperta di latte di fronte a noi. Ma come cavolo fà a passare da essere uno scemo a quest'aria adulta? Ho come l'impressione di essere più impressionato io da lui che lui da me.
Allungo la mia mano verso la sua a mezz'aria e lui mi fa un piccolo cenno col sopracciglio per incitarmi a congiungerle. Nel momento in cui le mie dita trapassano le sue sento l'ansia scoppiare come una bolla, lasciando spazio a un mare di delusione. Cosa pensavo che sarebbe successo?  
Noto un'ombra anche negli occhi di Blaine che mi guarda dispiaciuto mentre abbassa il braccio e si guarda i polpastrelli. "Sei così freddo."
* * *

Saranno passate ormai due settimane da quando Blaine e suo padre sono qui: con quest'ultimo non ho ancora avuta nessuna interazione civile, e non penso proprio che Blaine gli abbia parlato di me, eppure Whipstaff è talmente grande che riesco a evitarlo senza neanche impegnarmi. Del resto... non ricordo l'ultima volta in cui sono stato così felice. Da quando sono un fantasma, oltre a una grandissima confusione iniziale, ricordo solo un infinito mondo di apatia. Non esiste giorno e non esiste notte quando non puoi dormire. Non esiste domani, non esiste ieri se tutto quanto scorre inesorabilmente. 
Blaine ha cambiato tutto. Quando lui dorme è notte. Quando mi raggiunge in cucina è iniziato un nuovo giorno. Le settimane sono scandite da un calendario scarabocchiato in rosso. Quando mi lascia per andare a scuola ho il terrore di ricadere nell'oblio, e quando lo vedo tornare mi riempo così tanto di gioia che mi stupisco di non volare via come un palloncino. Amo porgli mille domande su come sta passando queste prime settimane di scuola, aiutarlo a ripetere le lezioni, giocare a scacchi mentre aspettiamo che il padre lo chiami per la cena. 
La sua presenza mi fa sentire vivo. Esasperato, nervoso, agitato, elettrizzato, triste, ma sempre vivo. 
Ho paura di quello che sento per lui. Un giorno suo padre capirà che a Whipstaff non c'è niente per cui valga la pena continuare le ricerche e se lo porterà via. 
Non potrei sopportare di vedere la mia camera senza i suoi oggetti sparsi ovunque. Ho un bisogno così disperato che resti con me che se non fossi già morto me ne sentirei morire.


Blaine questa mattina mi aveva avvisato che avrebbe fatto tardi per via di una riunione di classe, perciò quando sento il cancello del giardino cigolare sono ormai le sette di sera. Il portone sbatte dal piano di sotto e devo resistere alla tentazione di precipitarmi giù per la scalinata per andargli incontro. Nel momento in cui la sottile maniglia argentata si abbassa e finalmente lui entra in camera, i capelli ancora stuccati nel gel messo appositamente per la foto di classe e i vestiti un po' sgualciti, mi cerca subito con gli occhi e mi rivolge uno stanco ma bello, bellissimo sorriso. Con la mano cerca a tentoni l'interruttore della luce, facendomi rendere conto di essere rimasto al buio per tutto questo tempo, e inizia a slacciarsi la giacca a vento. "Ho un'altra caratteristica da far aggiungere a mio padre nel suo vendutissimo libro sugli spettri: la fosforescenza." 
Gli faccio il verso come se la cosa mi desse fastidio, ma temo che l'unica smorfia che ho stampata in faccia non sia una linguaccia infantile ma un sorrisone da ebete. Lo seguo quando si dirige al bagno e resto fermo sullo stipite della porta mentre lui si sfila il maglione e si sciacqua la faccia schizzandosi tutta la canottiera. "Come è andata la riunione?" chiedo cercando di distogliere lo sguardo da una goccia intenta a scivolare per il suo avambraccio nudo. 
"Bene, direi..." dice Blaine dopo aver sfilato la testa da sotto il getto d'acqua del lavandino. "Alla fine non c'era solo la mia classe, c'erano tutte le classi del nostro anno. A quanto pare in questa scuola ogni festa viene sempre organizzata da una classe a turno, e a noi tocca proprio la prossima, quella di Halloween." continua passandosi le dita bagnate tra i capelli per cercare di lavare via tutto quel gel dai suoi ricci. "Dovevamo cercare un posto dove tenerla, chiedere quanti e quali professori fossero disposti a partecipare per tenere tutto sotto controllo, trovare qualcuno per la musica, i decori... Più o meno era già tutto deciso, non essendo la prima volta che facevano una cosa del genere, l'unico problema era la location: la ragazza che gli anni scorsi aveva sempre dato disponibile il ristorante del padre si è trasferita e tutte le altre proposte erano o troppo care o troppo distanti per la metà degli alunni, così... così..."
Blaine continua imperterrito a fissarsi nello specchio e a occuparsi dei suoi capelli senza parlare guardandomi negli occhi, credendo forse che così non mi sarei accorto del tono nervoso con cui mi sta raccontando la sua giornata. Una vaga idea di dove vada a parare la faccenda mi salta subito in mente, ma io cerco di ricacciarla subito da dove è venuta. Ditemi che Blaine non l'ha fatto davvero. Ditemelo. 
"...così, ho detto loro che avremmo potuto festeggiare tutti quanti qui, a Whipstaff." 
Lo sapevo.
Alla fine lo stupido si volta verso di me, evidentemente timoroso della mia reazione. Non sono arrabbiato, non ho intenzione di sbraitargli contro o convincerlo ad annullare a tutti i costi la festa, ma mi sento così scocciato all'idea che Blaine non si sia confrontato con me prima di invitare almeno una settantina di adolescenti irresponsabili a casa mia. A volte sembra che si scordi del fatto che ho passato tutta la mia non-vita completamente solo, e che già la sua presenza è ancora una novità per me. 
Mi limito a rivolgergli un'occhiataccia stanca e biasimatoria. "Blaine."
"Lo so, Kurt, lo so, " fa quest'ultimo avvicinandosi, una luce diversa nei suoi occhi.
Per un attimo mi sembra davvero come tutti gli altri ragazzi; capriccioso, egoista, testardo. Allunga le sue mani verso le mie come se volesse stringerle, ma all'ultimo evita di toccarmi, probabilmente ricordandosi del fatto che mi trapasserebbe e basta. " ma mi farei un sacco di amici alla nuova scuola e papà smetterebbe di pensare che me ne sto tutto il giorno sempre in camera da solo. Continua a chiedermi se ha fatto qualcosa di sbagliato..." 
"Ne sono al corrente, Blaine, avrei solo preferito che tu prima me l'avessi chiesto..." gli dico mormorando. Blaine si sforza di spezzare la tensione tra di noi con una qualche stupida battuta su quanto potrei rimorchiare al ballo, riferendomi che una sua compagna sostiene di avere il fantasma della prozia chiuso in soffitta. Ridacchio solo perchè odio avercela con lui. Battute di pessimo gusto sui morti: il suo nuovo passatempo preferito. 
"Dimmi almeno che è una vera festa con della vera musica e dei veri balli dove la gente non si limita a saltellare sul posto." Lo prego ripensando a quegli orribili party trasgressivi che si vedono alla televisione. 
"Tranquillo, i partecipanti dovranno essere mascherati, eviterò che il punch venga corretto e mi assicurerò che ognuno torni a casa con il proprio accompagnatore, nessun maniaco seriale inaspettato..." mi rassicura con lo stesso tono di voce lagnoso con cui i figli si rivolgono alla mamma apprensiva. Esce dal bagno, si infila una magliettona presa da sotto il cuscino e si siede alla scrivania aspettando che io lo raggiunga e mi appoggi su di essa, come se ci fossi seduto sopra. Lui inizia a svuotare i cassetti alla ricerca di chissà che cosa e io approfitto della sua distrazione per chiedergli quello che mi preme davvero: "Chi porterai al ballo? O almeno, chi verrà qui per te?" 
Blaine smette di rovistare e mi lancia un'occhiata dal basso, l'accenno di un sorrisetto che gli prude l'angolo della bocca. Okay, forse non l'ho detto proprio col tono casuale che avevo sperato, ma comunque non sono così ovvio, dai! 
Il mio sguardo truce gli basta per convincerlo a tornare a fare quello che stava facendo e rispondere alla mia domanda senza pormene un'altra, come suo solito. "Prima...finita la riunione, un ragazzo della mia classe è venuto da me e me l'ha chiesto."
"E tu hai accettato?" Fingiti disinvolto, fingiti disinvolto, fingiti disinvolto
Blaine si ritira sù a sedere facendo roteare un flaconcino di crema tra le mani. "Non mi sembra di avere tutta questa vasta scelta a cui attingere. E poi lui è carino." 
Non riesco proprio a stare fermo; ho l'urgente bisogno di fare qualcosa tipo torcere le mani, mordicchiarmi le unghie, dondolare freneticamente le gambe. Devo chiederglielo. No, no, non devo, sarebbe solo umiliante. Ma devo, non posso non provarci nemmeno. Mi sollevo dalla scrivania e mi tolgo dal campo visivo di Blaine, cercando di schiarirmi le idee mentre lui inizia ad applicarsi un po' di crema sul viso. 
Mi basta guardare un attimo lui e quella sua matassa di ricci per convincermi. "Sono un ottimo ballerino..."
Blaine si volta subito, il sorriso trattenuto di poco prima ora gli scorrazza per tutto il viso rendendogli gli occhi grandi e brillanti e marcandogli le fossette. 
"...e non ho bisogno del costume." Mi sento un fascio di nervi e potrei iniziare a balbettare come un idiota da un momento all'altro. 
"Kurt," pronuncia il mio nome come se mi volesse ammonire, nonostante la sua espressione sprizzi soddisfazione da tutti i pori. Sicuramente se lo aspettava, o comunque gli era passato per la testa uno scenario simile, e io dovrei davvero avercela con lui per avermi dato per scontato, ma vederlo così sicuro di sè mi fa venire le farfalle nello stomaco. Ha i denti così bianchi. "Kurt, mi dispiace molto, ma tu non puoi venire al ballo con me... " continua a sorridermi mentre lo dice, come se volesse addolcirmi la cosa. Ignoro il magone che mi è immediatamente piombato sullo stomaco a quelle parole ripetendomi che me lo aspettavo, e sforzo un sorriso, come se stessi scherzando. Quando parlo la voce mi vacilla, così come la luce nello sguardo ambrato di Blaine. "E perchè no? Dopotutto è casa mia."
"Beh, ti mancano un po' di requisiti," inizia lui contando sulle dita. "La pelle, il riflesso..."
Sbuffo drammaticamente e gli dico che la fisicità è una cosa sopravvalutata con un'alzata di spalle, come se la mia proposta implicita non fosse altro che uno scherzo, una cosa detta tanto per dire. Un velo di tristezza copre i suoi bei occhi, ma Blaine finge di credermi lo stesso.


 
   
 
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