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Autore: tectonik978    14/04/2016    0 recensioni
Mi chiamo Keiran Nightingale, e sono un…, e difficile trovare una vera definizione, per quello che sono diventato nel corso della mia vita, quindi lascerò a voi il compito di immaginarvi un nome. Sto per raccontarvi la mia storia è di quelli che mi hanno conosciuto, amici o nemici.
In questo libro sentirete parlare di umani, di Deva esseri che usano i poteri dei elementi come armi, dei Lycan ibridi di umani e lupi, di ninfe e di draghi. Ci sono complotti di esseri venuti da un passato ormai dimenticato, e di relazioni impossibili.
e il mio primo racconto, ve ne sarei grato se mi darete le vostre opinioni o critiche produttive. spero che vi piaccia buona lettura
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

   All’età di dieci anni, e dopo cinque anni di addestramento, ogni giovane Lycan doveva sottoporsi ad una prova che testava le sue capacità di sopravvivenza. La prova consisteva nel sopravvivere sei mesi interamente da soli in mezzo alla natura con solo gli abiti addosso. Sfortunatamente io compievo i miei dieci anni a febbraio, nel cuore dell’inverno quando esso era più freddo e violento.

   Prima di intraprendere quella lunga missione, dovevo fare un’ultima cosa. In quell’impresa avrei avuto bisogno di vestiti molto pesanti, e i miei ormai erano sia abbastanza piccoli che ridoti un po’ male dalle continue risse. Per questo motivo mia madre aveva intenzione di portarmi con lei a raccogliere il filo con il quale si tessevano i nostri vestiti.

   Avendo come armi principali gli artigli, la nostra gente aveva sempre cercato un materiale molto resistente ai graffi e ai tagli, ma doveva essere anche molto flessibile in modo da non limitare i nostri movimenti. Quindi un’armatura in ferro, per noi era fuori discussione. Così dopo molti tentativi abbiamo trovato quello che cercavamo.

   Il materiale che cercavamo l’ho trovammo nel fillo di un ragno. Avevo gia specificato che la Foresta nera era un luogo molto pericoloso, in cui si trovavano belve e creature abbastanza insolite, questo ragno era una di esse. Veniva chiamato Atrax, ed era giusto definirlo il re della sua specie.

   Essendo ancora un cucciolo, non mi era stato ancora permesso di allontanarmi dalla tribù per conto mio. Le uniche eccezioni erano quando andavo con mio padre a caccia, oppure quando mia madre mi insegnava a riconoscere le piante, quindi quella fu la prima volta che incontravo quel animale.

   Faceva il nido in una caverna sotterranea, molto buia e umida. Scendemmo fino a quando anche l’ultimo spiraglio di luce non ci abbandono, e fino a quando persino con la mia vista sviluppata non riuscivo più a vedere niente. Riuscivo a seguire mia madre, basandomi solo sul suo odore e il rumore dei suoi passi, ma questo non basto per non finire nella ragnatela di quel ragno. Il ragno l’aveva tessuta in modo da coprire interamente tutta l’apertura della caverna, e io mi ci ero appiccicato, e più provavo a liberarmi più mi si stringeva intorno. Non avevo di certo la forza per spezzare quei fili, e i miei artigli non riuscivano a tagliarli.

   Quando finalmente mi calmai, capi di non sentire più la presenza di mia madre, e al suo posto sentivo muoversi qualcosa attraverso quelli fili. Rimassi immobile per la paura trattenendo persino il fiato. Ad un tratto mi senti sorpassare, e percepivo la presenza di qualcosa d’avanti a me. Non vedevo niente, quindi non potevo sapere quello che stava succedendo. Al contrario sentivo benissimo che qualcosa mi stava fasciando i piedi con immobilizzandomi ancora di più. Continuo fino a quando non mi arrivo fino al petto. In pratica aveva creato un bozzolo intorno al me. Il mio sangue era del tutto congelato e io mi stavo quasi per arrendere.

   Solo quando il bozzolo arrivo al mio colo, senti finalmente mia madre che comincio ad attaccare la cosa che dovevo avere d’avanti. Riuscivo a sentire solo i versi di dolore della creatura, mentre si stava lentamente allontanando da me, e andava verso l’uscita. Qualche istante più tardi senti un strillo agghiacciante prima che tutto cadesse in un silenzio tombale.

   Fu solo quando mia madre mi parlo all’orecchio che io cominciai di nuovo a respirare. Con un coltello comincio a tagliare il bozzolo in cui ero imprigionato. Quando finalmente mi libero, con voce severa mi ordino di uscire, mentre lei raccoglieva tutto il filo della ragnatela. Sapevo di essere in guai grossi. Prima di entrare mi aveva avvertito di stare sempre dietro di lei e tenere le orecchie aperte. Mentre io ero andato avanti e avevo combinato quel piccolo pasticcio.

   Quando usci dalla caverna, aveva in spalle il grosso bozzolo nero e dentro di sé un enorme ragnatela dello stesso colore. Mi beccai subito uno ceffone in piena guancia, e subito dopo una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. Io per la vergogna abbassai la testa, non per il fatto che non ero riuscito ad eseguire quelle poche indicazioni che mi aveva dato. Oppure per non essere riuscito a combinare niente, ma per il semplice motivo di aver spaventato mia madre a morte. Si riusciva ancora a vedere sul suo volto la preoccupazione e il terrore che aveva provato.

   Quindi per farmi rendere conto di quello che avevo rischiato mi mostro un enorme carcassa, poco lontano da li. Appena la vidi divenni pallido come la nave. Davanti ai miei occhi avevo il corpo di un ragno mostruoso. Era grosso come una persona, e le sue falci come minimo avrebbero potuto inghiottire un bambino senza problemi. Era orribile, le zampe cosi come la testa erano coperte di una sottilissima peluria nera, mentre il corpo era ricoperto di placche dure come l’osso, che proteggevano i suoi punti vitali. Tra due placche notai un foro delle dimensioni di una mano, e dentro cera il cuore del ragno fatto a pezzi. Mia madre doveva aver colpito quel punto con una forza e velocita incredibile, per non parlare che doveva aver sfoderato i suoi artigli.

   Quando finalmente riuscì a staccare gli occhi da quel ragno, ci incamminammo verso la tribù. Quella sera mi beccai un'altra ramanzina da mio padre, una volta che aveva sentito come era andata. E come se non fossi abbastanza stanco, mi beccai anche una lunga lezioni dei animali più pericolosi di quelle foreste. È quella lezione continuo per tutta la successiva settimana.

   Per il mio compleanno quel anno ricevetti un po’ di cose. Per iniziare mi regalarono un nuovo paio di stivali, per poi continuare con due paia di pantaloni, due canottiere su misura e una tunica pesante con una cintura. E infine tiro fuori un lungo cappotto che mi arrivava fino ai polpacci, e con il cappuccio. Tutti quei vestiti erano neri così come era anche il filo di ragno con il quale erano stati tessuti. Per questo quasi tutti i Lycan vestivano di nero, dipingere il filo e farli cambiare colore, richiedeva molta fatica, quindi a meno che un vestito non dovesse essere usato per un’occasione speciale non ci si provava nemmeno a darli un altro colore.

   Tutti quei regali erano anche per la mia partenza per il giorno dopo. Si vedeva chiaramente che erano tutti e due molto preoccupati e spaventati per quello che mi poteva capitare nei prossimi sei mesi. Già per un giovane Lycan normale, quella prova era assai rischiosa, e in molti ogni anno non ce la facevano. Per me che ero molto più debole dei altri in pratica era pressoché una condanna a morte. Festeggiamo quel giorno con allegria. Mia madre mi preparo tutti i miei piatti preferiti, mentre mio padre passo tutto il giorno con me a giocare ed a raccontarmi le sue battaglie.

   Così il due di febbraio io mi addentrai nella foresta con indosso solo i miei vestiti e un coltellino da cucina da usare per pulire gli animali, che avrei dovuto cacciare. La foresta era interamente ricoperta di neve, mi arrivava fino alle ginocchia. Ad accompagnarmi fu mio padre, non voleva rischiare a mandarmi con qualcun altro. Viaggiamo attraverso la foresta e la neve per ben due giorni, fino a quando secondo lui ero abbastanza lontano da casa. Mi saluto con un bacio sulla fronte prima di partire, e mi disse le ultime raccomandazioni e che mi avrebbe aspettato in estate a casa.

   Passai il resto della giornata nel cercare qualche animale con cui cenare e sfamarmi. Mio padre prima di andarsene si era preso tutte le nostre scorte, e i aveva lasciato senza niente. Purtroppo quel giorno non riuscì né a fiutare né a vedere nessun animale da cacciare. Cosi prima che il solo tramontasse mi arresi e cominciai a cercare della legna per accendere un fuoco con cui riscaldarmi. Riuscì ad accenderne uno giusto prima del tramonto, ma era piccolissimo abbastanza da riscaldarmi le mani. E come se quella giornata non potesse andare peggio, le temperature scesero di botto, e un vento gelido e tagliente mi colpiva da tutte le parti.

   Fu una notte tremenda nella quale non riuscì a chiudere un’occhio per via del rumore che i miei denti facevano mentre battevano, nemmeno la pelliccia che mi cresceva quando mi trasformavo era riuscita a proteggermi dai venti freddi e le basse temperature. Con il sorgere del sole decisi di darmi da fare, se non altro muovermi mi riscaldava. Cercai dei lunghi e robusti rami lunghi più o meno due metri, quelli che non trovavo per terra o sotto la neve li rompevo dai alberi. Una volta che ne raccolsi diversi ne presi uno leggermente più robusto e alto. Con il mio piccolo coltellino scavai una buca dove infilai il ramo più lungo e lo fissai saldamente. Sempre con il coltello andai a tagliare delle lunghe e spesse strisce di corteccia che usai per legare gli altri rami a quello che avevo impalato. Li legai in cima e li misi uno vicino al altro in modo da formare un cono con una piccola apertura su un latto per poter entrarci.

   Sempre con il coltellino tagliai abbastanza corteccia da rivestire l’intera tenda di legno che stavo costruendo. E quando finalmente fini lo ricopri interamente di neve per isolarla ancora di più dal freddo. Quando fini era quasi sera, e io non avevo ancora mangiato niente e per di più ero stanco morto. Avevo mantenuto vivo il fuoco per tutto il giorno cosi prima di rifugiarmi nella mia nuova casa lo portai all’interno per riscaldarmi meglio. Quella notte la passai al caldo e beatamente con l’unica preoccupazione di svegliarmi ogni tanto per alimentare il mio fuoco.

   Il giorno dopo mi risvegliai riposato e riscaldato con l’obiettivo di mettere qualcosa nello stomaco. Prima di allontanarmi raccolsi un tronco e con il coltello scavai un piccolo buco nel quale missi della brace. In questo modo la brace consumava lentamente il tronco e io non dovevo poi faticare ad accendere un altro.

   Se si sapeva cercare attentamente, del cibo lo si poteva trovare abbastanza facilmente, serviva solamente molta fortuna. La mattinata la passai nell’esplorare la zona circostante al mio accampamento, trovai diverse tane di coniglio a cui missi delle trappole. Nel pomeriggio raccolsi qualche castagna e altre proviste che gli scoiattoli avevano messo da parte. Non erano un pasto abbondante ma doveva darmi qualche energie.

   Quando verso sera fini la mia perlustrazione trovai finalmente un ruscello, e prima di ritornare alla mia tenda controllai le mie trappole nella speranza di trovare la cena, sfortunatamente non cera nemmeno l’ombra di un coniglio. Quella notte andai a dormire con il rumore del mio stomaco che brontolava visto che non li erano bastate le castagne che avevo trovato.

   Nell’attesa che qualche trappola scattasse io mi ero tagliato un bel mucchio di strisce di corteccia e portate nella mia tenda, dove al caldo cominciai a costruire delle trappole per i pesci. Me l’aveva insegnato mio padre, in pratica si costruiva dei contenitori cilindrici con un buco ad una estremità, per entrare il pesce era facilitato dalla corrente, quindi riusciva ad allargare il buco. Ma una volta al interno il buco tornava normale e il pesce non riusciva più ad uscire. Ne costruì parecchie e verso sera andai a piazzarle nel piccolo fiume che avevo trovato. Entrare scalzo in quelle acque gelide fu una vera tortura, ma riuscì a piazzarle nel modo giusto.

   Mentre ritornavo al mio accampamento, ispezionai di nuovo le mie trappole per i conigli, e finalmente dentro uno di esse cera una bella preda. Quella sera feci quasi un vero e proprio banchetto con la carne del coniglio, e finalmente dormi sia al caldo che con la pancia piena.

   Il resto dell’inverno non assai più buono me. Mi sfamavo a malapena con quello che le mie trappole riuscivano a prendere. Ma non fu il cibo ad essere il mio problema principale. Molti animali erano andati in letargo in quella stagione, ma altrettanti erano ancora in giro per la foresta in cerca di una bella preda. E di sicuro un cucciolo di Lycan come me era molto invitante. Passai molte giornate e notti in cima agli alberi cancellando la mia presenza per riuscire a sfuggire a questi animali. È il tempo non era decisamente dalla mia parte. Molte notti avevo pensato che sarei morto assiderato, ma in qualche modo grazie alla mia pelliccia mi ero salvato.

   Con l’arrivo della primavera, la neve comincio a sciogliersi e gli animali a uscire dal loro letargo permettendomi di trovare il cibo più facilmente. E con grande sollievo anche le temperature cominciarono a salire. Alcune notti faceva ancora molto freddo, ma niente in confronto a quelle invernali.

   Riuscendo a cacciare e a procurarmi il cibo più facilmente, in poco tempo ritornai perfettamente in forma e riuscivo persino a trovare il tempo per allenarmi. In verità gli allenamenti non erano proprio necessari visto che tutto quello che avevo imparato lo ripetevo mentre cacciavo. Muoversi in modo furtivo e cancellare la propria presenza, combinati ad attacchi veloci e letali, erano un’ottima arma per cacciare. Mi permettevano di confrontarmi con animali molto più grossi di me, con i quali in uno scontro diretto non avrei avuto nessuna possibilità.

   Quella prova e il vivere nella natura più selvaggia, piano piano mi stava cambiando. Con il passare dei giorni e delle settimane, stavo diventando sempre più veloce e vigile, ed i miei sensi erano sviluppati che mai. Ormai ogni notte quando dormivo, se nelle vicinanze si avvicinava una belva, riuscivo a percepire la sua sette di sangue e presenza molto prima che mi raggiungesse. E furono proprio questi sensi che mi salvarono la vita una sera.

   Era appena tornato dal fiume, dove avevo pulito un pesce e stavo tornando alla mia piccola tenda per cucinarlo e andare a dormire. Mentre tornavo avevo raccolto anche qualche pianta commestibile e aromatica, per dare più sapore alla carne. Stavo diventando un cuoco discreto, e mi piaceva viziarmi quando ne avevo la possibilità. Quella sera il cibo fu squisito, mi sentivo felice come non mai. Quella serata poteva essere perfetta solo se con me ci fossero stati i miei genitori. Cominciavano già a mancarmi, e sempre più spesso pensavo a loro.

   Finito di cenare, entrai nella mia piccola tenda e mi sdraiai sul cappotto. Ormai faceva abbastanza caldo, e per stare bene mi bastava la mia pelliccia ed i vestiti che avevo addosso, con il cappotto faceva già caldo. Tenevo gli occhi chiusi ed ascoltavo la melodia che la natura produceva di notte, e piano piano mi stavo addormentando.

   Non so quanto tempo passo, ma un certo punto averti un enorme sete di sangue che si avvicinava nella mia direzione. Ebbi solo il tempo di uscire, prima che il mio rifugio andasse in pezzi. Quando alzai la testa per vedere chi mi aveva attaccato vidi un viso conosciuto.

   Quello che mi aveva attaccato era un Lycan, e non uno qualsiasi ma il miglior amico di mio padre, e suo consigliere più fidato. Il suo nome era Amdir, per esse preciso lo zio Amdir. Per me era come un membro della mia famiglia, forse l’unico della tribù a parte i miei genitori che pensavo mi volesse bene. E invece in quel momento, me l’ho trovavo davanti trasformato e con un intento omicida rivolto verso di me.

   Ero terrorizzato e molto confuso, non riuscivo a capire cosa ci facesse lì, e ancora di più perché mi stava attaccando. Cominciai a urlare dicendo che ero io, e chiedendoli perché mi stava attaccando. Ma da lui non senti nemmeno una parola, tutto quello che fece fu attaccarmi.

   Schivai il suo attacco rotolando per terra, e ci riuscì per miracolo ed all’ultimo minuto. Mi alzai in piedi e feci l’unica cosa sensata per quella situazione scapai. Correvo con tutta la forza che le mie gambe riuscivano a darmi, e per mia fortuna lui non riusciva a raggiungermi.

   Avevo il vantaggio di conoscere molto bene quella zona, ed a quanto pare ero leggermente più veloce di lui, forse sarei riuscito a seminarlo. Era inutile nascondere la mia presenza, il vento mi soffiava contro e lui mi seguiva con l’olfatto. Mi diressi verso il fiume, e li passai attraverso cercando di nascondere il mio odore. Ma non servi a molto, il mio inseguitore era un Lycan di tutto rispetto, forse sarebbe riuscito a dare problemi persino a mio padre, io per lui non ero più pericoloso di un inseto.

    Stavo cercando di scapare non so più da quanto tempo, e non ero ancora riuscito a seminarlo. Mi rimaneva solo un’ultima possibilità nel seminarlo. Nell’esplorare la zona avevo trovato la tana di un’orsa. La prima volta che l’avevo vista rimasi paralizzato per quanto era enorme, e da quel momento avevo fatto tutto il possibile nel evitarla. Pero in quella situazione, forse quella orsa era l’unica mia speranza di salvezza. Cosi puntai in quella direzione senza più guardarmi indietro.

   Riuscì a guadagnare un po’ di vantaggio, quando finalmente ero arrivata alla tanna dell’orsa. Ero terrorizzato, davanti a me cera la casa di una delle creature più pericolose di quella foresta, ed alle mie spalle se ne avvicinava un'altra altrettanto pericolose, se non di più. Sentendo che lo zio Amdir si stava avvicinando entrai nella tana.

   Mentre mi addentravo nella tana, avvertivo l’odore della orsa da per tutto, ma non riuscivo ancora a sentirla. Invece senti Amdir, seguendomi nella tana. Aumentai il mio passo, cercando di trovare la orsa. Ma quando arrivai finalmente in fondo alla tana tutto quello che trovai furono solo i suoi due cuccioli. Mi ero messo in trappola da solo, e ormai non avevo più vie d’uscita.

   Amdir mi aveva raggiunto e mi stava guardando furioso, ma allo stesso tempo ispezionava la tana in cerca di qualche trappola. E quando non ne trovo, comincio a ridere. Non riusciva a capire quanto fossi idiota per mettermi con le spalle al muro da solo. Comincio a ridere per un po’, per poi tornare subito serio e concentrando di nuovo la sua attenzione su di me.

   Uno dei cuccioli di orso, mi si mise davanti ed era pronto ad attaccare. Amdir non lo considero nemmeno e li tiro un forte calcio che lo fece volare e sbattere contro una delle pareti. Il piccolino si alzo più, ma non era ancora morto, riuscivo a vedere ancora che respirare. L’altro cucciolo al contrario di suo fratello si nascose dietro di me, cercando un minimo di protezione.

   A quel punto, non mi restava che lottare, e morire come mi aveva insegnato mio padre, con orgoglio e solamente in battaglia. Sfoderai i miei artigli e mi misi in posizione d’attacco. Lui mi guardava quasi divertito, il solo pensiero di attaccarlo per lui era divertente. Feci io la prima mossa, con un salto puntai i miei artigli proprio alla sua gola. Ma lui con tutta calma si sposto di latto, e mentre ero ancora in aria mi sferro un forte pugno sulle costole facendomi volare contro un muro.

   Il suo pugno mi rompe qualche costola come minimo, e la mia vista era già sfocata e le gambe mi tremavano, ma in qualche modo mi rialzai e li ringhiai contro. Mi si avvicino con tutta calma, e quando mi fu al tiro provai a ferirlo con i miei artigli, ma l’unica cosa che colpivo era l’aria. Fu allora che mi prese per il colo e mi solevo di peso. Io mi dimenavo e con i miei artigli provavo a scavare nel suo braccio, ma lui non mostro segno di volermi lasciar andare. Con un pugno mi colpi il plesso solare, facendomi espellere tutta l’aria che avevo nei polmoni, e visto che mi teneva per la gola non riuscivo più a respirare.

   Quel attacco mi aveva privato delle mie ultime forze, e le mie mani persero la forza sul suo braccio e caddero penzolanti. Piano piano anche la mia vista si stava annebbiando, e sentivo che tra qualche momento avrei perso i sensi per poi morire soffocato nella sua presa. Non chiusi gli occhi, se voleva uccidermi doveva fisarmi nei occhi fino a quando il mio spirito non avesse abbandonato il mio piccolo corpicino.

   Fu mentre mi stava tenendo per la gola aspettando che io mi spegnessi che lo senti parlare per la prima volta quella sera. Mi disse solamente: “Con la tua morte il mio amico Aaran riuscirà di nuovo a farsi rispettare. Al inizio soffrirà, ma quando avrà un altro figlio si dimenticherà di te. E in fine tutta la nostra tribù non si dovrà più preoccupare dell’arrivo di qualche sventura.”

   Una volta che fini di parlare, io ero sul punto di svenire. Tutto quello che mi ricordo prima di perdere i sensi fu un aroma dolce nell’aria. E poi fu tutto buio.

   
 
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