Capitolo 2
All’età
di dieci
anni, e dopo cinque anni di addestramento, ogni giovane Lycan doveva
sottoporsi
ad una prova che testava le sue capacità di sopravvivenza.
La prova consisteva
nel sopravvivere sei mesi interamente da soli in mezzo alla natura con
solo gli
abiti addosso. Sfortunatamente io compievo i miei dieci anni a
febbraio, nel
cuore dell’inverno quando esso era più freddo e
violento.
Prima
di intraprendere quella lunga missione,
dovevo fare un’ultima cosa. In quell’impresa avrei
avuto bisogno di vestiti
molto pesanti, e i miei ormai erano sia abbastanza piccoli che ridoti
un po’
male dalle continue risse. Per questo motivo mia madre aveva intenzione
di
portarmi con lei a raccogliere il filo con il quale si tessevano i
nostri
vestiti.
Avendo come armi
principali gli artigli, la nostra gente aveva sempre cercato un
materiale molto
resistente ai graffi e ai tagli, ma doveva essere anche molto
flessibile in
modo da non limitare i nostri movimenti. Quindi un’armatura
in ferro, per noi
era fuori discussione. Così dopo molti tentativi abbiamo
trovato quello che
cercavamo.
Il materiale che
cercavamo l’ho trovammo nel fillo di un ragno. Avevo gia
specificato che la
Foresta nera era un luogo molto pericoloso, in cui si trovavano belve e
creature abbastanza insolite, questo ragno era una di esse. Veniva
chiamato
Atrax, ed era giusto definirlo il re della sua specie.
Essendo ancora
un
cucciolo, non mi era stato ancora permesso di allontanarmi dalla
tribù per
conto mio. Le uniche eccezioni erano quando andavo con mio padre a
caccia,
oppure quando mia madre mi insegnava a riconoscere le piante, quindi
quella fu
la prima volta che incontravo quel animale.
Faceva il nido
in
una caverna sotterranea, molto buia e umida. Scendemmo fino a quando
anche
l’ultimo spiraglio di luce non ci abbandono, e fino a quando
persino con la mia
vista sviluppata non riuscivo più a vedere niente. Riuscivo
a seguire mia
madre, basandomi solo sul suo odore e il rumore dei suoi passi, ma
questo non
basto per non finire nella ragnatela di quel ragno. Il ragno
l’aveva tessuta in
modo da coprire interamente tutta l’apertura della caverna, e
io mi ci ero
appiccicato, e più provavo a liberarmi più mi si
stringeva intorno. Non avevo
di certo la forza per spezzare quei fili, e i miei artigli non
riuscivano a tagliarli.
Quando finalmente mi calmai, capi di non
sentire più la presenza di mia madre, e al suo posto sentivo
muoversi qualcosa
attraverso quelli fili. Rimassi immobile per la paura trattenendo
persino il
fiato. Ad un tratto mi senti sorpassare, e percepivo la presenza di
qualcosa
d’avanti a me. Non vedevo niente, quindi non potevo sapere
quello che stava
succedendo. Al contrario sentivo benissimo che qualcosa mi stava
fasciando i
piedi con immobilizzandomi ancora di più. Continuo fino a
quando non mi arrivo
fino al petto. In pratica aveva creato un bozzolo intorno al me. Il mio
sangue
era del tutto congelato e io mi stavo quasi per arrendere.
Solo quando il
bozzolo arrivo al mio colo, senti finalmente mia madre che comincio ad
attaccare la cosa che dovevo avere d’avanti. Riuscivo a
sentire solo i versi di
dolore della creatura, mentre si stava lentamente allontanando da me, e
andava
verso l’uscita. Qualche istante più tardi senti un
strillo agghiacciante prima
che tutto cadesse in un silenzio tombale.
Fu solo quando
mia
madre mi parlo all’orecchio che io cominciai di nuovo a
respirare. Con un
coltello comincio a tagliare il bozzolo in cui ero imprigionato. Quando
finalmente mi libero, con voce severa mi ordino di uscire, mentre lei
raccoglieva tutto il filo della ragnatela. Sapevo di essere in guai
grossi.
Prima di entrare mi aveva avvertito di stare sempre dietro di lei e
tenere le
orecchie aperte. Mentre io ero andato avanti e avevo combinato quel
piccolo
pasticcio.
Quando usci
dalla
caverna, aveva in spalle il grosso bozzolo nero e dentro di
sé un enorme
ragnatela dello stesso colore. Mi beccai subito uno ceffone in piena
guancia, e
subito dopo una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. Io per la
vergogna
abbassai la testa, non per il fatto che non ero riuscito ad eseguire
quelle
poche indicazioni che mi aveva dato. Oppure per non essere riuscito a
combinare
niente, ma per il semplice motivo di aver spaventato mia madre a morte.
Si
riusciva ancora a vedere sul suo volto la preoccupazione e il terrore
che aveva
provato.
Quindi per farmi
rendere conto di quello che avevo rischiato mi mostro un enorme
carcassa, poco
lontano da li. Appena la vidi divenni pallido come la nave. Davanti ai
miei
occhi avevo il corpo di un ragno mostruoso. Era grosso come una
persona, e le
sue falci come minimo avrebbero potuto inghiottire un bambino senza
problemi.
Era orribile, le zampe cosi come la testa erano coperte di una
sottilissima
peluria nera, mentre il corpo era ricoperto di placche dure come
l’osso, che
proteggevano i suoi punti vitali. Tra due placche notai un foro delle
dimensioni di una mano, e dentro cera il cuore del ragno fatto a pezzi.
Mia
madre doveva aver colpito quel punto con una forza e velocita
incredibile, per
non parlare che doveva aver sfoderato i suoi artigli.
Quando
finalmente
riuscì a staccare gli occhi da quel ragno, ci incamminammo
verso la tribù.
Quella sera mi beccai un'altra ramanzina da mio padre, una volta che
aveva
sentito come era andata. E come se non fossi abbastanza stanco, mi
beccai anche
una lunga lezioni dei animali più pericolosi di quelle
foreste. È quella
lezione continuo per tutta la successiva settimana.
Per il mio
compleanno quel anno ricevetti un po’ di cose. Per iniziare
mi regalarono un
nuovo paio di stivali, per poi continuare con due paia di pantaloni,
due
canottiere su misura e una tunica pesante con una cintura. E infine
tiro fuori
un lungo cappotto che mi arrivava fino ai polpacci, e con il cappuccio.
Tutti
quei vestiti erano neri così come era anche il filo di ragno
con il quale erano
stati tessuti. Per questo quasi tutti i Lycan vestivano di nero,
dipingere il
filo e farli cambiare colore, richiedeva molta fatica, quindi a meno
che un
vestito non dovesse essere usato per un’occasione speciale
non ci si provava
nemmeno a darli un altro colore.
Tutti quei
regali
erano anche per la mia partenza per il giorno dopo. Si vedeva
chiaramente che
erano tutti e due molto preoccupati e spaventati per quello che mi
poteva
capitare nei prossimi sei mesi. Già per un giovane Lycan
normale, quella prova
era assai rischiosa, e in molti ogni anno non ce la facevano. Per me
che ero
molto più debole dei altri in pratica era
pressoché una condanna a morte.
Festeggiamo quel giorno con allegria. Mia madre mi preparo tutti i miei
piatti
preferiti, mentre mio padre passo tutto il giorno con me a giocare ed a
raccontarmi le sue battaglie.
Così
il due di
febbraio io mi addentrai nella foresta con indosso solo i miei vestiti
e un
coltellino da cucina da usare per pulire gli animali, che avrei dovuto
cacciare.
La foresta era interamente ricoperta di neve, mi arrivava fino alle
ginocchia.
Ad accompagnarmi fu mio padre, non voleva rischiare a mandarmi con
qualcun
altro. Viaggiamo attraverso la foresta e la neve per ben due giorni,
fino a
quando secondo lui ero abbastanza lontano da casa. Mi saluto con un
bacio sulla
fronte prima di partire, e mi disse le ultime raccomandazioni e che mi
avrebbe
aspettato in estate a casa.
Passai il resto
della giornata nel cercare qualche animale con cui cenare e sfamarmi.
Mio padre
prima di andarsene si era preso tutte le nostre scorte, e i aveva
lasciato
senza niente. Purtroppo quel giorno non riuscì né
a fiutare né a vedere nessun
animale da cacciare. Cosi prima che il solo tramontasse mi arresi e
cominciai a
cercare della legna per accendere un fuoco con cui riscaldarmi.
Riuscì ad
accenderne uno giusto prima del tramonto, ma era piccolissimo
abbastanza da
riscaldarmi le mani. E come se quella giornata non potesse andare
peggio, le
temperature scesero di botto, e un vento gelido e tagliente mi colpiva
da tutte
le parti.
Fu una
notte tremenda nella quale non riuscì a chiudere
un’occhio per via del rumore
che i miei denti facevano mentre battevano, nemmeno la pelliccia che mi
cresceva quando mi trasformavo era riuscita a proteggermi dai venti
freddi e le
basse temperature. Con il sorgere del sole decisi di darmi da fare, se
non
altro muovermi mi riscaldava. Cercai dei lunghi e robusti rami lunghi
più o
meno due metri, quelli che non trovavo per terra o sotto la neve li
rompevo dai
alberi. Una volta che ne raccolsi diversi ne presi uno leggermente
più robusto
e alto. Con il mio piccolo coltellino scavai una buca dove infilai il
ramo più
lungo e lo fissai saldamente. Sempre con il coltello andai a tagliare
delle
lunghe e spesse strisce di corteccia che usai per legare gli altri rami
a
quello che avevo impalato. Li legai in cima e li misi uno vicino al
altro in
modo da formare un cono con una piccola apertura su un latto per poter
entrarci.
Sempre
con il coltellino tagliai abbastanza
corteccia da rivestire l’intera tenda di legno che stavo
costruendo. E quando
finalmente fini lo ricopri interamente di neve per isolarla ancora di
più dal
freddo. Quando fini era quasi sera, e io non avevo ancora mangiato
niente e per
di più ero stanco morto. Avevo mantenuto vivo il fuoco per
tutto il giorno cosi
prima di rifugiarmi nella mia nuova casa lo portai
all’interno per riscaldarmi
meglio. Quella notte la passai al caldo e beatamente con
l’unica preoccupazione
di svegliarmi ogni tanto per alimentare il mio fuoco.
Il
giorno dopo mi risvegliai riposato e
riscaldato con l’obiettivo di mettere qualcosa nello stomaco.
Prima di
allontanarmi raccolsi un tronco e con il coltello scavai un piccolo
buco nel
quale missi della brace. In questo modo la brace consumava lentamente
il tronco
e io non dovevo poi faticare ad accendere un altro.
Se
si sapeva cercare attentamente, del cibo lo
si poteva trovare abbastanza facilmente, serviva solamente molta
fortuna. La
mattinata la passai nell’esplorare la zona circostante al mio
accampamento,
trovai diverse tane di coniglio a cui missi delle trappole. Nel
pomeriggio
raccolsi qualche castagna e altre proviste che gli scoiattoli avevano
messo da
parte. Non erano un pasto abbondante ma doveva darmi qualche energie.
Quando
verso sera fini la mia perlustrazione
trovai finalmente un ruscello, e prima di ritornare alla mia tenda
controllai
le mie trappole nella speranza di trovare la cena, sfortunatamente non
cera
nemmeno l’ombra di un coniglio. Quella notte andai a dormire
con il rumore del
mio stomaco che brontolava visto che non li erano bastate le castagne
che avevo
trovato.
Nell’attesa
che qualche trappola scattasse io
mi ero tagliato un bel mucchio di strisce di corteccia e portate nella
mia
tenda, dove al caldo cominciai a costruire delle trappole per i pesci.
Me
l’aveva insegnato mio padre, in pratica si costruiva dei
contenitori cilindrici
con un buco ad una estremità, per entrare il pesce era
facilitato dalla
corrente, quindi riusciva ad allargare il buco. Ma una volta al interno
il buco
tornava normale e il pesce non riusciva più ad uscire. Ne
costruì parecchie e
verso sera andai a piazzarle nel piccolo fiume che avevo trovato.
Entrare
scalzo in quelle acque gelide fu una vera tortura, ma riuscì
a piazzarle nel
modo giusto.
Mentre
ritornavo al mio accampamento,
ispezionai di nuovo le mie trappole per i conigli, e finalmente dentro
uno di
esse cera una bella preda. Quella sera feci quasi un vero e proprio
banchetto
con la carne del coniglio, e finalmente dormi sia al caldo che con la
pancia
piena.
Il resto
dell’inverno non assai più buono me. Mi sfamavo a
malapena con quello che le
mie trappole riuscivano a prendere. Ma non fu il cibo ad essere il mio
problema
principale. Molti animali erano andati in letargo in quella stagione,
ma
altrettanti erano ancora in giro per la foresta in cerca di una bella
preda. E
di sicuro un cucciolo di Lycan come me era molto invitante. Passai
molte
giornate e notti in cima agli alberi cancellando la mia presenza per
riuscire a
sfuggire a questi animali. È il tempo non era decisamente
dalla mia parte.
Molte notti avevo pensato che sarei morto assiderato, ma in qualche
modo grazie
alla mia pelliccia mi ero salvato.
Con
l’arrivo della
primavera, la neve comincio a sciogliersi e gli animali a uscire dal
loro
letargo permettendomi di trovare il cibo più facilmente. E
con grande sollievo
anche le temperature cominciarono a salire. Alcune notti faceva ancora
molto
freddo, ma niente in confronto a quelle invernali.
Riuscendo a
cacciare e a procurarmi il cibo più facilmente, in poco
tempo ritornai
perfettamente in forma e riuscivo persino a trovare il tempo per
allenarmi. In
verità gli allenamenti non erano proprio necessari visto che
tutto quello che
avevo imparato lo ripetevo mentre cacciavo. Muoversi in modo furtivo e
cancellare la propria presenza, combinati ad attacchi veloci e letali,
erano
un’ottima arma per cacciare. Mi permettevano di confrontarmi
con animali molto
più grossi di me, con i quali in uno scontro diretto non
avrei avuto nessuna
possibilità.
Quella prova e
il
vivere nella natura più selvaggia, piano piano mi stava
cambiando. Con il
passare dei giorni e delle settimane, stavo diventando sempre
più veloce e
vigile, ed i miei sensi erano sviluppati che mai. Ormai ogni notte
quando
dormivo, se nelle vicinanze si avvicinava una belva, riuscivo a
percepire la
sua sette di sangue e presenza molto prima che mi raggiungesse. E
furono
proprio questi sensi che mi salvarono la vita una sera.
Era appena
tornato
dal fiume, dove avevo pulito un pesce e stavo tornando alla mia piccola
tenda
per cucinarlo e andare a dormire. Mentre tornavo avevo raccolto anche
qualche
pianta commestibile e aromatica, per dare più sapore alla
carne. Stavo
diventando un cuoco discreto, e mi piaceva viziarmi quando ne avevo la
possibilità. Quella sera il cibo fu squisito, mi sentivo
felice come non mai.
Quella serata poteva essere perfetta solo se con me ci fossero stati i
miei
genitori. Cominciavano già a mancarmi, e sempre
più spesso pensavo a loro.
Finito di
cenare,
entrai nella mia piccola tenda e mi sdraiai sul cappotto. Ormai faceva
abbastanza caldo, e per stare bene mi bastava la mia pelliccia ed i
vestiti che
avevo addosso, con il cappotto faceva già caldo. Tenevo gli
occhi chiusi ed
ascoltavo la melodia che la natura produceva di notte, e piano piano mi
stavo
addormentando.
Non so quanto
tempo passo, ma un certo punto averti un enorme sete di sangue che si
avvicinava nella mia direzione. Ebbi solo il tempo di uscire, prima che
il mio
rifugio andasse in pezzi. Quando alzai la testa per vedere chi mi aveva
attaccato vidi un viso conosciuto.
Quello che mi
aveva attaccato era un Lycan, e non uno qualsiasi ma il miglior amico
di mio
padre, e suo consigliere più fidato. Il suo nome era Amdir,
per esse preciso lo
zio Amdir. Per me era come un membro della mia famiglia, forse
l’unico della
tribù a parte i miei genitori che pensavo mi volesse bene. E
invece in quel
momento, me l’ho trovavo davanti trasformato e con un intento
omicida rivolto
verso di me.
Ero terrorizzato
e
molto confuso, non riuscivo a capire cosa ci facesse lì, e
ancora di più perché
mi stava attaccando. Cominciai a urlare dicendo che ero io, e
chiedendoli
perché mi stava attaccando. Ma da lui non senti nemmeno una
parola, tutto
quello che fece fu attaccarmi.
Schivai il suo
attacco rotolando per terra, e ci riuscì per miracolo ed
all’ultimo minuto. Mi
alzai in piedi e feci l’unica cosa sensata per quella
situazione scapai. Correvo
con tutta la forza che le mie gambe riuscivano a darmi, e per mia
fortuna lui
non riusciva a raggiungermi.
Avevo il
vantaggio
di conoscere molto bene quella zona, ed a quanto pare ero leggermente
più
veloce di lui, forse sarei riuscito a seminarlo. Era inutile nascondere
la mia
presenza, il vento mi soffiava contro e lui mi seguiva con
l’olfatto. Mi
diressi verso il fiume, e li passai attraverso cercando di nascondere
il mio
odore. Ma non servi a molto, il mio inseguitore era un Lycan di tutto
rispetto,
forse sarebbe riuscito a dare problemi persino a mio padre, io per lui
non ero
più pericoloso di un inseto.
Stavo
cercando di
scapare non so più da quanto tempo, e non ero ancora
riuscito a seminarlo. Mi
rimaneva solo un’ultima possibilità nel seminarlo.
Nell’esplorare la zona avevo
trovato la tana di un’orsa. La prima volta che
l’avevo vista rimasi paralizzato
per quanto era enorme, e da quel momento avevo fatto tutto il possibile
nel
evitarla. Pero in quella situazione, forse quella orsa era
l’unica mia speranza
di salvezza. Cosi puntai in quella direzione senza più
guardarmi indietro.
Riuscì
a
guadagnare un po’ di vantaggio, quando finalmente ero
arrivata alla tanna
dell’orsa. Ero terrorizzato, davanti a me cera la casa di una
delle creature più
pericolose di quella foresta, ed alle mie spalle se ne avvicinava
un'altra
altrettanto pericolose, se non di più. Sentendo che lo zio
Amdir si stava
avvicinando entrai nella tana.
Mentre mi
addentravo nella tana, avvertivo l’odore della orsa da per
tutto, ma non
riuscivo ancora a sentirla. Invece senti Amdir, seguendomi nella tana.
Aumentai
il mio passo, cercando di trovare la orsa. Ma quando arrivai finalmente
in
fondo alla tana tutto quello che trovai furono solo i suoi due
cuccioli. Mi ero
messo in trappola da solo, e ormai non avevo più vie
d’uscita.
Amdir mi aveva
raggiunto e mi stava guardando furioso, ma allo stesso tempo
ispezionava la
tana in cerca di qualche trappola. E quando non ne trovo, comincio a
ridere.
Non riusciva a capire quanto fossi idiota per mettermi con le spalle al
muro da
solo. Comincio a ridere per un po’, per poi tornare subito
serio e concentrando
di nuovo la sua attenzione su di me.
Uno dei cuccioli
di orso, mi si mise davanti ed era pronto ad attaccare. Amdir non lo
considero
nemmeno e li tiro un forte calcio che lo fece volare e sbattere contro
una
delle pareti. Il piccolino si alzo più, ma non era ancora
morto, riuscivo a
vedere ancora che respirare. L’altro cucciolo al contrario di
suo fratello si
nascose dietro di me, cercando un minimo di protezione.
A quel punto,
non
mi restava che lottare, e morire come mi aveva insegnato mio padre, con
orgoglio e solamente in battaglia. Sfoderai i miei artigli e mi misi in
posizione d’attacco. Lui mi guardava quasi divertito, il solo
pensiero di
attaccarlo per lui era divertente. Feci io la prima mossa, con un salto
puntai
i miei artigli proprio alla sua gola. Ma lui con tutta calma si sposto
di
latto, e mentre ero ancora in aria mi sferro un forte pugno sulle
costole
facendomi volare contro un muro.
Il suo pugno mi
rompe qualche costola come minimo, e la mia vista era già
sfocata e le gambe mi
tremavano, ma in qualche modo mi rialzai e li ringhiai contro. Mi si
avvicino
con tutta calma, e quando mi fu al tiro provai a ferirlo con i miei
artigli, ma
l’unica cosa che colpivo era l’aria. Fu allora che
mi prese per il colo e mi
solevo di peso. Io mi dimenavo e con i miei artigli provavo a scavare
nel suo
braccio, ma lui non mostro segno di volermi lasciar andare. Con un
pugno mi
colpi il plesso solare, facendomi espellere tutta l’aria che
avevo nei polmoni,
e visto che mi teneva per la gola non riuscivo più a
respirare.
Quel attacco mi
aveva privato delle mie ultime forze, e le mie mani persero la forza
sul suo
braccio e caddero penzolanti. Piano piano anche la mia vista si stava
annebbiando, e sentivo che tra qualche momento avrei perso i sensi per
poi
morire soffocato nella sua presa. Non chiusi gli occhi, se voleva
uccidermi
doveva fisarmi nei occhi fino a quando il mio spirito non avesse
abbandonato il
mio piccolo corpicino.
Fu mentre mi
stava
tenendo per la gola aspettando che io mi spegnessi che lo senti parlare
per la
prima volta quella sera. Mi disse solamente: “Con la tua
morte il mio amico
Aaran riuscirà di nuovo a farsi rispettare. Al inizio
soffrirà, ma quando avrà
un altro figlio si dimenticherà di te. E in fine tutta la
nostra tribù non si
dovrà più preoccupare dell’arrivo di
qualche sventura.”
Una volta che
fini
di parlare, io ero sul punto di svenire. Tutto quello che mi ricordo
prima di
perdere i sensi fu un aroma dolce nell’aria. E poi fu tutto
buio.