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Autore: Urdi    05/04/2009    5 recensioni
“Il pensiero di un padre sul punto di morire, non è teso a quello a cui va incontro, ma si allunga verso la famiglia, la moglie, i figli. Sa di lasciare tutto quello che ha costruito, sa di abbandonare ciò che aveva promesso di proteggere e teme di recare loro il danno più grande.”
“Eppure s’è ammazzato lo stesso.”
Ashura, una donna solida. Sakumo, un ventenne con più anni sulle spalle rispetto alla sua età. Kakashi, loro figlio, lo spaventapasseri. Storia sull'amore e sulla famiglia, sulla solitudine e sulla vita di eroi che non amavano essere chiamati in questo modo. [Personaggi: Sakumo - Kakashi]
[Questa fanfic si è classificata 2^ al contest Genitori Figli, indetto da V@le e Kurenai88]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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LO SPAVENTAPASSERI
di Urdi

2. Kakashi_Pioggia


“Teru Teru Bozu, Teru Bozu,
portami il sole domani
Se il cielo sarà sereno come lo sogno ti regalerò un campanello dorato.
Teru Teru Bozu, Teru Bozu,
portami il sole domani
Se ascolterai le mie preghiere ti donerò del sake dolce
Teru Teru Bozu,Teru Bozu
portami il sole domani

Se sarà nuvoloso ti staccherò la testa”5




Sakumo piantò l’aikuchi6 nella gola dell’uomo senza alcuna esitazione e il sangue schizzò sulle sue gambe, finalmente libero dalla prigionia del corpo.
“Sasori…non ti avvicinare!” Una voce disperata raggiunse l’Hatake.
L’uomo dai capelli argentei si voltò in direzione del lamento, estraendo la spada dal cadavere senza alcuna fatica.
Una donna con un bambino.
“Papà…” piangeva disperato il bimbo, mentre la madre cercava di farlo stare zitto.
Sakumo si avvicinò alla coppia senza fretta e li osservò a lungo: tremanti lo fissavano con puro terrore negli occhi.
L’Hatake vacillò.
Fino ad allora non aveva mai avuto ripensamenti, aveva dovuto uccidere per non essere ucciso, per tornare da sua moglie e da suo figlio. Cosa che l’uomo esanime sulla strada sabbiosa non avrebbe più potuto fare. Tanto valeva ucciderli tutti!

Il jonin strinse l’impugnatura dell’aikuchi fino a sbiancarsi le nocche.
Gli occhi castani del piccolo Sasori lo fissarono sgranati.
Occhi di un bambino, come quelli di Kakashi quando si svegliava la notte in preda ad un terribile incubo. E la schiena di una donna che proteggeva il suo bambino; la schiena di Ashura mentre si spazzolava i capelli…
/Ashura…/ pensò tristemente, correndo a qualche mese prima, alla prematura scomparsa della moglie a causa di una grave malattia.
La ricordava ancora, mentre gli diceva di occuparsi del loro bambino, di crescerlo come avrebbero fatto insieme. Ricordava Kakashi che, ancora incapace di parlare sembrava volerle impedire di morire, allungando le braccia verso il suo corpo spento.

Sakumo preparò il colpo.
Niente esitazioni. Tu vivi loro muoiono.
E’ necessario…? E’ necessario.

L’ultima cosa che avrebbe visto, prima di saltare via, sarebbe stato il sangue sul viso del piccolo Sasori in lacrime.

##


Kakashi dondolava le gambe corte osservando il Teru Bozu appeso che si muoveva al tocco del vento freddo.
Fuori pioveva incessantemente. Da giorni.
A nulla era servito il talismano, così Kakashi si allungò nel tentativo di afferrarlo, ma era davvero ancora troppo piccolo per arrivarci.
Con lo sguardo, il bambino dagli occhi neri sembrava dire:
“Non mi hai portato il sole, ti staccherò la testa.” E con esso non era arrivato neppure suo padre.
Dove si erano nascosti Sakumo e l’astro del giorno?
Perché doveva rimanere sempre ad aspettarlo, mentre il capoclan cercava di attirare la sua attenzione sulle armi?

Kakashi, ormai arresosi alla vittoria di Teru Bozu, osservò gli spaventapasseri che sotto la pioggia rimanevano dritti a difendere i campi.
Forse avrebbe dovuto anche lui mettersi lì in mezzo ad aiutarli, dopotutto era uno di loro, pensò, l’attenzione sull’amuleto ormai svanita.
Il bambino, allora, si alzò in piedi e corse giù, nella pioggia battente e fredda tanto da congelare tutto.
Legò per bene il fazzoletto sul viso, proprio come quello che avevano gli altri spaventapasseri ed attese a braccia aperte.

Rimase lì qualche ora, prima che Yuka, la domestica che serviva gli Hatake da decenni, lo trovasse fradicio e infreddolito.
“Che cosa stai facendo?!” lo rimproverò, ma il bambino si limitò a guardarla.
Proteggeva i campi…e aspettava papà.
Si sentiva così terribilmente solo in quella casa, con la pioggia. Voleva riabbracciare Sakumo e giocare con lui, farsi raccontare di quanto era vasto il Paese Del Vento e di come aveva sconfitto gli ultimi nemici!
Ma papà, come sempre più spesso accadeva, non c’era.
Allora se ne stava lì, solo gli occhi scoperti, attendendo di vedere la figura dell’uomo in fondo alla strada che scendeva dalla collina, ignorando di quante volte lo avesse fatto anche sua madre.

Yuka dovette quasi prenderlo di peso per convincerlo a rientrare e una volta in casa si premurò di asciugarlo con un grosso panno bianco, sfregando sulla pelle ghiacciata.
Mentre stavano lì, in mezzo al corridoio che dava sull’ingresso, Sakumo fece la sua comparsa.


Kakashi, ancora avvolto nella spugna bianca, come un gatto che alza la testa incuriosito guardò verso il Genkan7.
“Papà!” esclamò felice, indifferente alle macchie di sangue che si allungavano sulla divisa del jonin.
L’uomo sorrise debolmente e accolse il figlio fra le braccia.
“Kakashi, come mai sei mezzo nudo?” chiese, improvvisamente dimentico di quello che era accaduto a Suna due giorni prima e che lo aveva tormentato durante il tragitto del ritorno.
“Voleva proteggere i campi…” sorrise bonariamente Yuka.
Sakumo prese l’asciugamano e lo strofinò sulla testa del figlio.
“Sei stato di sicuro di molto aiuto.” Commentò con orgoglio, mentre Kakashi gli rivolgeva un sorriso impagabile.
Il jonin lo contemplò felice, ma qualcosa dentro di lui lo faceva sentire amareggiato.
“Teru teru bozu!” l’esclamazione del bambino però distrusse qualsiasi elucubrazione.
L’uomo per un attimo non capì, poi, sentendosi tirare per una manica, vide il figlio indicare il pupazzetto appeso vicino alla porta.
“Piove.” Continuò imbronciato Kakashi.
Sakumo allora si avvicinò ed afferrò l’amuleto che serviva per scacciare la pioggia, staccandolo dalla sua cordicella.
“Che cattivo, non ha fatto il suo dovere, hm?” chiese il jonin al figlio, mentre gli consegnava il piccolo omino di carta.
Kakashi annuì ripetutamente, rigirandosi l’oggetto tra le mani con interesse.
“Yuka, per cortesia, mi prepareresti un bagno?”
“Certo signore.”
“Ti ringrazio.”

L’uomo riportò l’attenzione su suo figlio.
“Sei freddo Kakashi, fai un bagno con il tuo papà, ok?”
Il bambino si illuminò in un altro sorriso ed annuì felice, mentre l’uomo lo lasciava andare.
Sakumo lo osservò correre verso la stanza da bagno, a piedi nudi, e decise di lasciar perdere gli ultimi avvenimenti. Eppure qualcosa dentro lo faceva sentire meno orgoglioso di un tempo di essere la Zanna Bianca della Foglia.

Teru Bozu sul pavimento, la testa staccata dal corpo, sembrava osservarlo con accusa.


##


Sakumo si coricò accanto a Kakashi, avvolgendolo nella coperta del futon con delicatezza. Il bambino con il viso affondato nel cuscino, dormiva sereno, immerso nella dimensione del sonno.
Si sentiva in colpa per averlo trascurato tutto quel tempo, ma la guerra non aspettava i comodi dei soldati, la guerra si prendeva i suoi tributi, a caso, come la vita stessa.
Accarezzò una guancia morbida e il bimbo si mosse impercettibilmente, avvertendo quel tocco leggero.
“Spero siano dei bei sogni.” Mormorò l’uomo, stanco, ma preda dell’insonnia.
Non poteva dormire, perché la notte gli aveva riportato davanti agli occhi il pianto di Sasori.
Lo stesso pianto che avrebbe potuto vedere sul volto del proprio figlio.
Come avrebbe fatto allora per proteggere Kakashi? Ne sarebbe stato in grado?
Non si era mai fatto paranoie sulle proprie capacità, era famoso per essere uno dei migliori e non avrebbe mai permesso che qualcuno portasse sul viso del suo bambino tanta disperazione.
Eppure, quando la solitudine della notte si addensava, quando Ashura sembrava ormai solo un ricordo sbiadito e lontano, si faceva prendere dall’incertezza.
Perché li aveva uccisi?
Cosa ne sarebbe stato del piccolo bambino dai capelli rossi?
Perché non aveva ucciso anche lui?
Erano domande piene di retorica.
Lui sapeva perché lo aveva fatto: perché era un padre e il suo bambino era l’unica cosa per cui ora valesse la pena tornare a casa. Per vederlo sorridere, per vederlo corrergli incontro, per dimenticare l’orrore della guerra.
Guardare attraverso i suoi stessi occhi neri, che sembravano catturare tutto il male che aveva provato in missione, fino a disperderlo come un filtro.
Non avrebbe mai potuto toccare un essere puro come lui.
Però gli aveva distrutto l’infanzia.

Kakashi, quasi avvertendo il nervosismo del genitore, aprì gli occhi all’improvviso.
Sakumo lo guardò preoccupato.
“Hai fatto un brutto sogno?” chiese sottovoce.
Il bimbo sbatté le palpebre un paio di volte nella penombra della stanza, poi annuì in un’espressione indecifrabile.
“Era solo un sogno.” Lo rassicurò Sakumo, accarezzandogli la testa.
Kakashi allora si avvicinò maggiormente al padre e lo abbracciò, nascondendo il viso sul suo petto.
Il jonin ricambiò l’abbraccio e sorrise.
“Ci sono io.” Sussurrò, cullandolo lievemente, fino a riportarlo sulla soglia del sonno.

Quando il respiro del figlio si fece regolare, anche l’uomo avvertì l’insonnia scivolare via.

####


Kakashi aprì gli occhi lentamente, avvertendo del movimento attraverso i pannelli. Suo padre non c’era, era solo nella stanza, eppure fuori sentiva la sua voce sussurrare qualcosa a qualcuno.
Le ombre nel corridoio sembravano agitarsi, muovendosi avanti e indietro quasi impazzite.
Il ragazzino fece scorrere la porta e vide suo padre afferrare l’aikuchi, assieme al porta kunai.
Una missione?
“Papà…” sussurrò, ancora assonnato, sfregandosi gli occhi.
L’uomo si voltò e gli rivolse un sorriso.
“E’ molto presto Kakashi, torna a dormire.”
L’interessato non calcolò quella frase.
“Vai via?”
“Sì…”
Un lampo di tristezza balenò negli occhi del ragazzino, ma Sakumo riuscì ugualmente a coglierlo.
L’uomo si portò vicino al figlio e gli si inginocchiò di fronte per portarsi alla sua altezza.
“Tornerò presto.” Promise in un sorriso e Kakashi annuì, senza nascondere un po’ di malinconia.
Poi, come risvegliato da un insolito torpore il ragazzino alzò lo sguardo determinato.
“Quando tornerai, sarò un chunin.”
L’uomo, il cui sorriso si era incrinato verso l’amarezza per lasciare il figlio, tornò a guardarlo con orgoglio.
Una parte di lui avrebbe voluto dirgli “Stai attento” o “Potresti partecipare tra qualche anno, non c’è fretta”, ma riuscì semplicemente a mormorare, un:
“Festeggeremo la tua promozione quando torno, allora.”
Il ragazzo, incoraggiato dalle parole di quel mito vivente che era suo padre, si riempì d’orgoglio.
Lo avrebbe fatto per lui, dimostrandogli quanto fosse forte.



Ma da quell’alba in cui Kakashi aveva osservato uscire suo padre passarono, lenti e densi, otto mesi.

Il ragazzo, ogni tanto tornava con lo sguardo lungo la strada che scendeva dalla collina.
Aspettava, nelle pause dagli allenamenti con suo nonno.
Aspettava con in testa il sorriso di suo padre, ansioso di fargli vedere quanto fosse diventato forte.
Aspettava, quando camminando per il villaggio qualcuno lo fermava ed iniziava a dire:
“Ah, tu sei il figlio di Zanna Bianca? E’ in missione? Portagli i miei saluti! Portagli i miei onigiri…”.
Aspettava quando era in missione, mentre cercava di prendere sonno su un albero.
Aspettava talmente che l’ansia lo aveva iniziato a corrodere dentro, lenta e fastidiosa come un tarlo.
Aspettava suo padre.
Aspettava di potergli parlare.
Aspettava immobile.
Aspettava.


A volte, in quell’attesa di brulicante nervosismo, lo sfiorava l’idea che magari non sarebbe tornato; ma la scacciava subito. Sakumo non era uno stupido amuleto, costruito dagli uomini. Suo padre era come quegli spaventapasseri che sotto la pioggia difendevano il raccolto. Anche se ormai era grande per capire che erano inutili contro di essa, li ammirava lo stesso: gli facevano compagnia quando ritornava a casa, immobili a osservare la strada, ad attendere assieme a lui.


E così, un’altra notte scese in quei lunghi otto mesi.
Una notte fatta di cigolii, di rumori sordi e lontani, di pioggia e vento.

Kakashi cercava di prendere sonno, sdraiato su un fianco, una mano stretta sull'impugnatura di un kunai.
Da quando aveva iniziato ad andare fuori in missione, si era abituato a tenerlo con sé a protezione, a sostituire il calore di suo padre.

E quando il fusuma si aprì lentamente, il ragazzo meccanicamente uscì dal futon stringendo l’arma, pronto all’attacco.
“Kakashi, sono io.”

Sakumo osservò atterrito la figura del figlio che ancora lo minacciava. Non avrebbe mai voluto vederlo così, immerso in quella stessa dimensione in cui aveva vissuto lui. Timoroso persino di non riuscire a riconoscere il proprio padre.
“Sono io, davvero.” Cercò di dire, avvicinandosi, mentre l’altro lo guardava dubbioso.
Il ragazzo abbassò l’arma, lasciando che cadesse sui tatami. Rimase ancora a guardare la figura dell’uomo, illuminata debolmente dal chiarore della luna che filtrava dalla finestra.
Lo aveva aspettato così a lungo…
Non riuscì a frenarsi e lo abbracciò di slancio, ispirando il suo odore, che sapeva di sudore e fatica, di sangue e distruzione, ma era pur sempre l’odore di quel padre che aveva atteso per tanto tempo.

L’uomo scompigliò affettuosamente i capelli del figlio, lo sguardo più stanco di quando era partito, forse addirittura più vecchio.

“Sei un chunin, hm?” il ragazzino annuì con orgoglio, staccandosi dal padre per non mostrarsi troppo debole.
Sakumo sorrise nel vedere quegli occhi, tuttavia l’orrore che provava ormai era troppo grande perché solo quelli riuscissero a filtrarlo.
“Sono fiero di te. Domani festeggeremo in grande stile.”
“Raccontami della missione.” Chiese invece il ragazzo, ormai troppo eccitato per pensare di rimettersi a dormire.
“Ne hai uccisi tanti?! E che tecniche hai usato?”
Sakumo rise a quelle richieste, sentendo le ferite bruciare.

Solo quelle?

“Forse dovremmo parlarne domani.”
“Ma domani…” Kakashi si bloccò.
Domani poteva essere di nuovo lontano, in un’altra lunga missione e lui voleva godersi ogni singolo attimo che avrebbe passato con il suo papà.
Sakumo colse quella frase non detta e il suo sorriso si fece più amaro.
Il suo ragazzo a sei anni parlava e pensava già come un uomo, come un ninja.
Ashura cos’avrebbe pensato?

“Va bene, prepariamoci un tè.”


##
##

Shuei urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, quando le fiamme aggredirono le sue gambe.
Tutto bruciava intorno a loro.
Tutto.
Vide la figura di Sakumo sfumarsi tra i riflessi di calore e pensò che fosse davvero troppo lontano.
Il fumo lo fece tossire, mentre la pelle si scuriva. Cadde a terra, incapace di reggersi in piedi.
Il dolore era così forte che lo sentiva in ogni altra cellula del corpo, come un riverbero di onde infuocate.

“Shuei!” un richiamo gli fece alzare la testa.
“Sakumo…” i formalismi in quel momento persero di consistenza e Shuei riuscì semplicemente a sputare a fatica quel nome.
Sakumo si piegò sul compagno di squadra, esaminandone le ferite profonde.
“Capitano… - bofonchiò il ragazzo dai capelli neri, tossendo alla ricerca d’ossigeno - … Andate, presto!”
Il ninja dai capelli argentei sembrò non sentire quell’ordine.
Osservò il giovane martoriato e sfigurato dalla potenza del fuoco ed ebbe un moto di rabbia nei confronti della missione.
Più in là, in una pozza di sangue, doveva aver visto anche Taka.
Cazzo, tutti ma non loro!

“Merda!” imprecò, ormai l’unico a non aver riportato ustioni gravi.
I suoi amici stavano lì, stesi, ormai completamente in balia di una morte che sembrava solo molto lenta, ma certa.

Lo guardavano con gli occhi ricolmi di speranza.

“Sakumo, cazzo, muoviti!” gli urlò Taka, parando un colpo di un altro avversario con le ultime forze rimaste.

Il ninja esitò.
Voleva opporsi a quella condizione che tutto gli stava portando via.
Dopo i suoi genitori, dopo Ashura e dopo gli amici…avrebbe perso anche Kakashi?
Era condannato a rimanere vivo solo lui?
Era per espiare le colpe del suo ego?

Era confuso.
Sempre di più.
Nella sua mente immagini distorte si susseguivano a ruota, in un loop continuo.
Voleva opporsi al destino.
Voleva cambiare le carte in tavola.
Voleva agire da uomo e non da ninja. Sempre per se stesso, come gli suggeriva l’ego, ma non per il villaggio.
La voce dell’onore si fece così flebile che non riuscì più a sentirne l’urlo prepotente che le altre volte lo aveva incoraggiato.

##


Quando Kakashi, in cima alla collina, guardò giù, vedendo la figura di suo padre arrancare si aprì in un sorriso.

Senza neppure rendersene conto, prese a correre incontro allo shinobi con il desiderio di riabbracciarlo.
L’uomo alzò lo sguardo spento nel vedere il proprio figlio e non poté fare a meno di pensare un “Menomale, è ancora vivo” che non avrebbe mai detto a parole.
Kakashi osservò il jonin, incerto.
Quello era suo padre?
Come l’anno prima, quando lo aveva visto tornare dopo otto lunghi mesi, anche adesso sembrava molto più vecchio di quando era partito: gli occhi neri erano scavati, la barba incolta, il viso sfregiato e sporco di fumo.

Anche Sakumo fissò intensamente la figura del figlio: era più alto e sul suo mento faceva mostra di sé una ferita suturata, che scendeva oltre un fazzoletto legato intorno al collo.
“Cosa hai fatto qui?” chiese alzandogli il viso con le dita.
Il ragazzo si staccò da quel contatto, puntando uno sguardo imbarazzato verso il terreno.
“Ero in missione, un ninja della Roccia… mi sono messo i punti, ma non riuscendo a vedere è stato difficile.”
Quella confessione, per Sakumo, fu peggio di qualsiasi altra parola. Al villaggio le voci sul fallimento della sua missione stavano già iniziando a circolare, in più tornava a casa e doveva fare i conti con il pensiero di suo figlio mandato in missione a rischiare la vita. Con gli amici si era opposto, con Kakashi cosa poteva fare?

“Ma, raccontami della missione!” esclamò il ragazzo, cambiando discorso e pensando distrattamente a quanto sarebbe stato meglio coprire quella ferita piuttosto che farla vedere al padre.
L’uomo, lo sguardo mortalmente serio, serrò la mascella.
“Non c’è nulla da raccontare.”
“So che era una missione segreta, ma ho l’opportunità di essere il figlio del migliore...”
L’uomo lo guardò tristemente.
Cosa significava essere il migliore?
Sporcarsi le mani a discapito degli altri?
Lui che miseramente aveva fallito per trarre in salvo i propri compagni. Lui che aveva dovuto sentire l’odio di Shuei che, con ustioni sul settanta percento del corpo, gli urlava contro “Avresti dovuto lasciarmi morire!”

Le voci dal villaggio, sembravano avere la forza di uscire dalle mura e di arrampicarsi con lui sulla collina.
Cosa poteva dire a quel figlio? A quegli occhi, che ormai erano colmi di dolore tanto da amplificare il suo?
Sentiva nella testa quel chiodo spingere nel suo cervello, come quando aveva saputo che sarebbe diventato padre.
Eppure la sensazione era inversa, era tanto dolorosa che se si concentrava un poco poteva sentire la pazzia arrivare.
Doveva ammettere il fallimento.
Doveva ammettere il disonore.
Il chiodo premette ancora più forte.

Kakashi non riuscì a smettere di guardare l’uomo, aspettando una risposta. Ma non arrivò mai, le ultime parole che Sakumo gli rivolse furono un ordine ben preciso:

“Torna ad allenarti! Non c’è più nulla che io ti possa raccontare.”





Continua…-


Eccoci qua! Anche il secondo capitolo è andato. Ci tengo a scusarmi per l’assenza, ma sono stata costretta a letto da una brutta influenza ce mi ha fatto stare malissimo. Purtroppo ho perso una preziosa settimana e quindi dovrò recuperare. Le consegne finali si avvicinano e i miei tempi di scrittura si allungheranno. Sigh… lo dico per le altre fics in corso (a chi fosse mai interessato XD). So che sono già molto lenta, ma vi assicuro che non mi è molto facile consiliare tutte le cose da fare.
Vi ringrazio comunque dell’entusiasmo espresso per questa mini fic sugli Hatake J vi adoro!^_^
Presto il prossimo (ultimo) capitolo ondine.

Urdi


Note dell’autrice sul testo:
5 Teru Teru Bozu: l’ho scritto con i nostri segni senza mettere trattini, così, anche perché tutte le parole in giapponese usate, sono state messe con caratteri diciamo…occidentali. Quindi niente segni, che tanto confonderebbero solo i lettori. In ogni caso il Teru Teru Bozu o Teru Bozu, è un amuleto a forma di omino che i giapponesi costruiscono artigianalmente con della carta o della stoffa, mettendolo davanti alla finestra (o attaccandolo all’ombrello), per scacciare la pioggia (per la storia intera wikipedia). La filastrocca all’inizio della seconda parte è stata presa da wikipedia.
6 Aikuchi: spada a lama corta giapponese
7 Genkan: E l’ingresso tradizionale, dove i giapponesi si levano le scarpe


Risposte ai commenti:
@Slice: Non sono stata padre, forse proprio per questo mi affascina la figura paterna. Mi incuriosisce e intenerisce (si dirà?XD bah) la figura di un uomo che accudisce il figlio, proprio perché mi è estraneo il senso di paternità. Voglio dire, per una donna il senso di maternità è qualcosa di istintivo, che arriva anche se lo respinge, a parte della sua natura (che lo voglia o no). Invece per l'uomo questa cosa è diversa, per lo meno nella maggior parte è come se fosse esterna e lontana. E'per questo che mi piace avere a che fare coi papà, che spesso sanno essere più bravi di certe madri, che come dicevo, per assurdo dovrebbero averlo nel dna in modo più "marcato". Sono felice che ti piaccia il nome Ashura. Volevo che fosse un bel nome, solenne... boh... a volte... XD Ralegrati, questo era l'unico capitolo positivo :) grazie dei complimenti T_T sei sempre adorabile *bacino*
@Suni: Suni che recensisce una mia fic...oddea, respiro *O* ok. Niente... è che sei una delle mie autrici preferite e ricevere complimenti da te è davvero da... argh... oddea.. imbarazzo vecchio stile con guanciotte color rosso porpora! Io sinceramente spero che la fanfic ti piaccia fino alla fine e che conitnuerai ad apprezzarla... :) sono ancora convinta che nonostante la divisione in capitoli, vada letta tutta insieme u_u Mah... Sono pazza. Grazie mille comunque*_*
@Hotaru: Per prima cosa: congratulazioni per il primo posto! Lo hai proprio meritato *_* la tua storia è bellissima *_* Poi... grazie dei complimenti! Questa storia è stata sul serio un parto, quindi spero che anche il resto, per quanto amaro, non ti deluda. Io più la rileggo più ci trovo pecche, ma sono felice che almeno agli altri piaccia :) Mi sono fatta l'idea che la madre di kakashi non fosse una figura così importante e che, per lo meno, lui avesse un rapporto più stretto con il padre. Ma questo può essere dovuto per tanti motivi (io ho scelto di farla morire, ma potrebbe anche essere solo perché Kakashi è un maschio ed era più affine e legato a suo padre, perché era un mito vivente che ammirava con tutto se stesso). Ti ringrazio tanto *___*!
@Bravesoul: Grazie mille, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. :)
@beat: Grazie mille! Non è stato facile immaginare Sakumo in verità, però sono soddisfatta del risultato :) e di questo capitolo cosa ne pensi?

  
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