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Autore: DannyBuzz    15/04/2016    0 recensioni
E' il 2107, e l'umanità si è espansa in tutta la Galassia, alla ricerca di altre forme di vita intelligenti, ma quando le trova, desiderio di potere e corruzione hanno la meglio, e i generali umani ingannano e schiavizzano la popolazione di Teinar.
Ma in tutto questo, un bambino alieno, un bambino che non sarebbe dovuto mai nascere, custodisce dentro di sé un terribile segreto, che potrebbe cambiare il corso della storia, e far scivolare la Galassia in una sanguinosa guerra...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sistema Solare 139b, Orbita di Teinar, 15 Luglio 2120

Le venti enormi navi cargo dell'ONU comparvero nello spazio silenzioso intorno a Teinar quasi contenporaneamente, spegnendo i motori iperluce.
Passo qualche istante, ed infine la quiete del vuoto fu rotta dall'apertura delle centinaia di saracinesce sulle fiancate delle navi e iniziando ad'assemblare il loro carico.
-Tutti i moduli dell'ARC sono in posizione e pronti all'aggancio, Signore-
-Ordina l'inizio della procedura d'aggancio- Bastian Koch congedò con un gesto il maggiore che lo assisteva, fissando con gli occhi azzurri la sua creazione, la stazione ARC, che prendeva forma.
Il progetto della stazione era iniziato tredici anni prima, quando la fine del Conflitto era ormai prossima, e l'allora ammiraglio Bailey aveva commissionato al più grande centro di ricerca e cantiere spaziale delle Nazioni Unite, su Marte, la creazione dell'immenso anello che proprio in quelle ore si stava lentamente assemblando intorno a Teinar, pianeta natale dell'omonima specie senziente, o Kud'ash, come gli indigeni usavano definirsi prima della fine del Conflitto.
A quei tempi Koch era nient'altro che un promettente ingegnere aereospaziale originario di quelle terre pianeggianti che un tempo costituivano la Polonia, appena distaccato sulla celeberrima struttura di ricerca costruita ormai venti anni prima sulla cima dell'Olympus Mons, montagna più alta dell'intero sistema solare, la dove neanche la sottile atmosfera di Marte disturbava i telescopi spaziali. Il centro di ricerca, infatti, non ospitava solo il laboratorio di ingegneria aereospaziale dove venivano progettate le titaniche corazzate delle Nazioni Unite, ma vi erano dislocati decine di centri di eccellenza praticamente in ogni campo: era li che era stato sintetizzato il batterio che permetteva al padre di Koch di vantare la veneranda età di centoquattro anni, e li era stato costruito il primo prototipo di motore a microonde, che aveva suscitato proprio in suo padre non poco scetticismo: -Con i microonde ci si cucina, non si salta nell'iperspazio!- aveva detto, facendo sorridere Koch non tanto per l'osservazione sulle microonde, tanto quanto la vetusta espressione "iperspazio" che ricordava all'ingegnere vecchi film che in gioventù vedeva almeno una volta ogni tre mesi con tutta la famiglia, ma neanche la fervida immaginazione del regista in fatto di armi titaniche poteva equiparare la richiesta che l'Ammiraglio Bailey gli fece quel pomeriggio.
A metà tra l'emozione per una nuova sfida ingegneristica e lo shock aveva riunito una squadra di ingegneri genetici e aereospaziali, includendo persino xenobiologi e qualche neurologo, ottenendo fondi praticamente illimitati e una nuova ala apposta per lo sviluppo di ARC grazie ai poteri concessigli dall'Ammiraglio. Tredici anni e molte delusioni e ripensamenti dopo, i componenti di ARC lasciavano i cantieri di Deimos, la luna minore di Marte, per raggiungere quel mondo così remoto ma cruciale per l'intera umanità, e infine chiudersi intorno a Teinar, attendendo l'ordine di attivazione.
L'uomo si destò dai suoi ricordi per tornare a osservare la splendida desolazione dello spazio, che ogni volta lo stupiva, e poco sotto un'altra landa sterminata, non altrettanto magnifica: Koch provava quasi pena da quel pianeta verde smorto, malato, devastato irreparabilmente dopo trenta anni di guerra senza quartiere, tutte cose che i media non facevano vedere. Sotto di lui ora passava un vasto oceano punteggiato da migliaia di isolette, un panorama forse un tempo magnifico, ma ormai anche il mare aveva assunto quella sfumatura verdognola che caratterizzava Teinar, e le isole erano totalmente spoglie e prive di vegetazione, tanto che dall'orbita si potevano scorgere i crateri più grandi causati dallo schianto delle bombe orbitali e i devastanti effetti sulla flora -Era necessario- si disse sottovoce più per convincersene che per altro, volgendo lo sguardo all'anello in costruzione, e improvvisamente sentendosi fiero di se e della sua squadra; rimase a fissare il cantiere per quelli che credeva fossero alcuni minuti, ma si dovette ricredere quando un ometto tarchiato con dei folti baffi gli consegnò la cena su di un vassoio di un grigio monotono, dileguandosi silenziosamente prima che l'ingegnere potesse ringraziarlo; Koch si voltò, per assicurarsi di essere solo, e incurante del ronzio delle telecamere appoggio il vassoio con il cibo a terra, tornando ad osservare la sua creazione.




Sistema Solare 139b, Teinar, Ascension City, Ghetto Teinar, 18 Luglio 2120

Tom si svegliò di colpo, solo nella sua nuova stanza, piangendo.
I suoi carcerieri, "I Guardiani dell' Akteth" come si facevano chiamare, lo avevano strappato dalla sua vita, dalla sua famiglia e dalla libertà rinchiudendolo in un buco sporco e vecchio dove l'aria e la luce filtravano a stento da una grata arrugginita sopra il suo giaciglio, un mucchio di lenzuola ingrigite ammassate in un angolo, come a formare un letto improvvisato.
Si alzò per andare a prendere la frugale colazione che chissà come ogni mattina ritrovava appoggiata su di un tavolino di plastica rotto in più punti, che ormai da tempo aveva perso il suo colore originario; ma nel farlo, girò con circospezione intorno alla pistola poggiata a terra al centro della stanza -Quando ti avremo convinto ad abbracciare la Causa- aveva detto una donna rugosa la cui pelle era ormai scolorita dalla poca luce -Ti servirà-. Tom non vedeva come potesse essergli utile una pistola, un' arma, giustamente proibita alla sua specie dai Portatori di Luce; e scoppiò di nuovo a piangere pensando all'Istruttrice, uccisa brutalmente da quei mostri che lo tenevano prigioniero "ecco cosa succede a dare a un Teinar un'arma pensò tra le lacrime.
-Passato il dolore alla gamba, Aktethon?- Tom si voltò di scatto, cercando di capire da dove proveniva quella voce Aktethon aveva detto il Teinar che ora si trovava davanti, la pelle più verde che blu, e una spaventosa cicatrice che partiva dall'estremità destra delle labbra fino quasi all'occhio, con una curva che faceva sembrare la vecchia ferita un inquietante sorriso.
Il Teinar, che nonostante la pelle scolorita non doveva avere più di venticinque anni, si accigliò, vedendo lo sguardo perplesso di Tom, e si affrettò a dare una spiegazione. -Io sono Winjalgho Medhalke, mio Signore, e la Lama mi ha ordinato di servirti e proteggerti da qui fino al giorno della mia morte- disse con tono marziale -Sarò il Comandante della tua Guardia dell'Akteth- concluse, mettendosi la mano sul cuore e irrigidendosi, mostrando una poderosa muscolatura che Tom non si aspettava, dato il colorito malato.
Ancora quella parola-Cosa è un Aktethon?- Chiese dunque alla sua nuova guardia del corpo, che intanto rimaneva irrigidita in piedi, in attesa di ordini.
-Aktethon vuol dire "Principe" nella nostra vera Lingua, mio Signore, è il tuo titolo, ma sei anche Reghat Akteth, "Re provvisorio", in attesa di ritrovare tuo padre, Elexii, duecentoquarantaduesimo Akteth dal Pianto del Padre, Signore di Teinar e del Regno delle Stelle, il Combattente, nonchè leggittimo padrone di Teinar e di tutti i pianeti del Sistema del Padre-
-Tu farnetichi, sporco traditore, prima della Discesa, vivevamo nel fango e non avevamo una lingua!- Tom era allibito dalle bugie in cui quel ragazzo credeva, certamente inculcate dai Guardiani dell'Akteth o da alttri gruppi terroristici, ingrati e codardi ingannatori.
Il ragazzo, nascondendo goffamente uno sbuffo cominciò a spiegare.




Sistema Sol, Terra, Europa, Palazzo di Diamante, 18 Luglio 2120

"Palazzo di Diamante", che nome ridicolo. Claudius Giraud entrò per la prima volta nell'immenso complesso di grattacieli, costruito dopo la fine della guerra come nuova sede delle Nazioni Unite. Senza fermarsi ad osservare i giochi di luce da capogiro creati dalle più grandi Archistar internazionali, attraversò la porta di vetro dell'Edificio C, che spiccava sopra ogni altra costruzione coni suoi quasi tre chilometri di altezza, e ignorò giornalisti e blogger accampati nella Hall, lasciando i suoi collaboratori tentare di rispondere a domande di cui non sapevano la risposta.
Entrò da solo nel primo ascensore disponibile, dove una squittente donna sui cinquanta, evidentemente a disagio nell'austero tailleur grigio topo, chiese "quale piano il Signore desiderasse visitare", "penoso" pensò Giraud mentre premeva il tasto del quarantaduesimo piano, chiedendosi come fosse possibile che quella donna fosse pagata per premere dei tasti.
Claudius Giraud era un'uomo sui settantacinque, ormai non troppo lontano dall'ingresso nella terza età, i capelli già bianchi che incorniciavano un viso pallido su cui stavano comparendo le prime rughe. Avrebbe desiderato una barba, ma il rigidissimo canone di "eleganza" vigente nelle alte sfere delle Nazioni Unite imponeva di avere il mento totalmente glabro, così si era adattato. Il completo bianco, con la stretta cravatta dorata, ricordava a Giraud un gelataio, o la mascotte di una vecchia marca di pneumatici della sua giovinezza, ma, come per la barba, alcuni sacrifici si rendono necessari.
La porta specchiata dell'ascensore, che non faceva che ricordargli il cattivo gusto contemporaneo, si aprì, rivelando i modesti uffici open space del quarantaduesimo piano, dove solitamente decine di ventenni di buone speranze lavoravano incessantemente per poter risalire la complicata gerarchia della più importante organizzazione sovranazionale al mondo, che peraltro dirigeva il Programma Coloniale Umano.
Come Claudius si aspettava, gli uffici erano completamente vuoti. Attraversò interminabili file di scrivanie di vetro, quasi inciampando in una sedia girevole che non era stata messa a posto. Regnava un silenzio quasi spettrale. Giraud, dopo aver camminato per quasi un minuto sul pavimento lucido, arrivò davanti alla porta insonorizzata della Sala Riunioni del quarantaduesimo piano, bussò, ed entrò senza aspettare la risposta.
-Benvenuto, Claudius, ti savamo aspettando già da un po'- Augustus Claudius si voltò verso l'italiano, che gli rivolgeva un ghigno quasi crudele, e salutò i presenti. -Buongiorno Hadrianus, buongiorno Traianus, buongiorno Nerva.-
-Buongiorno anche a te, Augustus.- Aggiunse sentendo il giovane schiarirsi la voce -Iniziamo.-
  
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