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Autore: Hermione93    05/04/2009    10 recensioni
Una fiction dark, erotica e macabra che segna la strada della killer Nii Yugito.
personaggi: Nii Yugito, Kakuzu, Hidan, personaggio inventato
AU scritta per il contest "Donne assassine", NON ISCRITTA perchè il personaggio principale non si sarebbe potuto classificare IC o OOC in quanto, decisamente, sconosciuto.
Genere: Thriller, Horror, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Alternate Universe (AU), Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nibi no Nekomata

La mentalità contorta di un criminale è come uno scrigno segreto, chiuso con un lucchetto.

La chiave è la stessa follia con cui si commette il crimine.

Yugito morse il labbro inferiore del compagno e gli carezzò una guancia addormentandosi sul sangue di lui, poggiando una mano sul cuore smembrato che aveva smesso di battere già dal primo ingoio. Ma lei era ancora famelica, anche ora che vedendolo lì, disteso esanime al suo fianco, aveva raggiunto un orgasmo che l’aveva fatta vibrare costringendola ad alzarsi a gattoni sopra di lui; e quindi riaprì gli occhi neri.
Anni rinchiusa in un ospedale psichiatrico, legata al lettino sotto scariche elettriche che la rendevano in fin di vita ogni giorno. Lei era fuggita da una settimana e lì ad Osaka nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza. La sua eterea bellezza si rispecchiava solo nel cerchio della luna.  Di giorno non osava uscire, mentre di notte cercava una preda con cui giocare. Nekomata la chiamavano. Il gatto leggendario in grado di animare e controllare i morti narrato nelle credenze giapponesi. Nella sua grazia felina decideva sempre che fine avrebbe fatto la sua vittima e se il suo cuore sarebbe stato suo e del suo fuoco che le bruciava dentro.
“Hidan… sei già stanco?” Borbottò a mezza voce facendo risalire la mano dal petto al volto completamente stravolto dal dolore provato prima di morire. Lei si alzò sgranchendosi le braccia e si diresse in bagno pronta a farsi una doccia. Uscì da quella casa sconosciuta osservando la luna piena, in cielo. Chissà quanto ci avrebbero messo a trovare il cadavere? Si chiedeva con un mezzo sorriso sulle belle labbra rosse.
Molte volte l’avevano visitata nella clinica e ogni volta erano arrivati a conclusioni diverse. Esorcismi, elettroshock, terapie d’urto e sedativi per diventare vegetali. Il demone Nekomata era divoratore e anche secondo i monaci lei era un anima dannata che non sarebbe mai più riuscita a respingere la forza del gatto; il suo spirito sarebbe stato dissolto dal fuoco fatuo della creatura.
Nii Yugito condivideva invece con ardore il destino del demone e dentro di sé aveva solo voglia di rispettare i patti stabiliti dal quel fuoco blu che le appariva nei sogni; una vittima ogni luna.
Il cristallo che batteva, durante l’estenuante corsa, sul seno prosperoso della donna sembrava risplendere di luce propria e lei lo osservò quasi persa prima di osservare di nuovo il tetto sul quale saltava con grazia. Il corpetto nero che le stringeva la vita tirava troppo, ma decise di non fermarsi finché non fosse arrivata alla sua dimora; poi lì, si sarebbe riposata all’inizio della nuova alba.
Nella notte gli spiriti vagano senza padrone
e finché non saranno strappati al nostro mondo non avranno pace.

Avevano già trovato il corpo disfatto; la polizia stava migliorando, pensava divertita, quasi quello fosse un gioco nel quale l’avversario la stava per raggiungere. Poggiò sulle labbra un pennello fino e passò un tratto rosso infuocando quello spazio di paradiso sul quale gli uomini perdevano lucidità.
Passò una mano lungo il suo corpo toccandosi prima il seno e poi passando la mano sulla sua intimità arrivando dopo poco al fine della sera prima, piegandosi a quattro zampe senza più riuscire a reggere il bruciore che le incendiava il corpo. Si vestì alla svelta osservando il crepuscolo, avvicinandosi al tavolo della piccola cucina. Prese il solito rotolo di bende in seta e avvolse i capelli, dal laccio della coda fino a 4 centimetri dalla fine del biondo, al limite del sedere sodo e piacente. Osservò la figura in nero allo specchio.
“Nekomata… ucciderà ancora per voi…” e sorrise, passando una mano sul bendaggio stretto della coda e si portò una ciocca bionda dietro un orecchio, soddisfatta del lavoro e pronta ad uscire di nuovo.

Miagolando e facendo fusa la morte arrivava anche per un’altra vittima;
la luna piena sarebbe stata l’apice della sofferenza
e il culmine del piacere.

Yugito contava anche stanotte le sue vittime e arrivando al piacevole numero 23 un brivido la percorse dal pube fino alla nuca. Le erano sempre piaciuti i numeri pari e così iniziando a raschiare un po’ sulla gola, appollaiata sulle tegole di un tetto, fece le fusa al vento che le accarezzava gentilmente il viso di porcellana.
Voleva tornare al monastero, al tempio dove anni prima un uomo le aveva strappato via sua sorella Nii Yori e con brutale crudeltà l’aveva arsa viva davanti ai suoi occhi. L’aveva violata infrangendo la sua verginità. Le aveva spezzato le braccia alzandole troppo in alto dietro la schiena mentre la spingeva con ferocità contro il muro, con ritmi estenuanti anche per degli animali.
Yori era pura…Yori era bella… Yori non meritava questo…
Mentre le urla della sorella si intensificavano e con esse anche i pianti, Yugito rimaneva a terra, paralizzata dal terrore nei suoi soli otto, innocenti, anni. Quando provò a fermarlo lui la spinse via e al suo risveglio l’unica cosa che rimaneva dell’amata sorella erano le urla infiammate da un fuoco lasciato modellare dal vento iroso. Yugito era stata portata via e sua sorella seppellita in quel tempio. Nessuno seppe mai dalle labbra del Nekomata chi fu l’assassino.

Solo il gatto avrebbe squarciato la morte
come il passato aveva lasciato squarciato il cuore di Yugito.

“Oggi… affilerà le unghie… Nekomata…”  parlò lei impassibile aprendo le labbra e facendo uscire tutto il fiato caldo che aveva in gola, finché quella non avesse iniziato a seccarsi, segno della sete che avrebbe saziato nelle tenebre.
Aprì gli occhi e il barlume di follia le si specchiò nelle iridi scure. Corse sui tetti saltando e accovacciandosi appena sentiva delle voci indiscrete. Gattonando come un vero gatto, sentendo le scapole strusciarsi appena mentre si ondeggiava col corpo sinuoso. La sua figura si scagliò in mezzo alla vegetazione oltre le ville della città e nascondendosi dai raggi lunari si guardò intorno, squadrando ogni minimo movimento intorno a sé. Il vento era calmo, sembrava anch’esso far le fusa. Fece un salto e la coda si appoggiò sulla spalla esile, la spostò con una mano e alzò lo sguardo sul lungo porticato chiuso da un grande portone in legno.
“Eccomi Yori-nee-san…” Due lacrime le solcarono le guance e prendendo la rincorsa si aggrappò con le mani all’alto muro laterale all’entrata. Scavalcò facendo pressione sulle mani che dovevano sollevarla.
Camminava, ora, senza fretta, sapendo che alla morte nessuno sarebbe scappato. Quando arrivò al piccolo tempio dove riposava la sua anima... Dubbiosa placò la sua frenesia di sfiorare il nome sulla lastra in pietra. Aprì le porte del piccolo appartamento d’anime e accese la candela all’entrata portandosela poi con sé, per seguire la scia di nomi che erano segnati su quell’altare.
Poi eccola lì, una scritta dispersa nei ricordi dell’infanzia del demone.

“O-nee-san… ho voglia di piangere… i gatti piangono o-nee-san?” Sorrise malinconica chinandosi in terra e poggiando un ginocchio sul freddo marmo. Scesero due lacrime orgogliose lungo il viso contratto. Sfiorò il nome indugiando solo all’inizio e poi vi passò la mano velocemente, graffiando la pietra con rabbia. Con quel gesto si alzò di scatto rovesciando a terra la candela, rimanendo nel totale buio della notte, quella notte stellata nella quale la luna si voltava piano togliendole uno spicchio di vigore con quella sua luce pallida.

“Nekomata non perdona, o-nee-san, e il fuoco che lui ha voluto persuadere gli si rivolterà contro incendiando la sua anima per l’eternità.”

Il gatto annusò l’aria abbracciando il senso di libertà,
cercando di abbandonare la costrizione interiore di quei sentimenti che facevano male.

Sferzando l’aria con un colpo di ventaglio una donna attendeva davanti alla propria abitazione. Yugito si abbassò con il busto osservandola dall’alto ed ella guardò intorno a sé, sentendo la zampa felina vicino alla sua gola e l’alito freddo degli spiriti accerchiarla; rientrò dentro casa e la donna sul tetto si fece seria.


Dolce sapore amaro di vendetta inièttati nelle membra del demone
e scaglia la tua potenza e collera.

Con passo felpato Yugito attraversò le strade davanti ad altre case rivedendo sempre davanti a sé una scena infinita e circolare, una ripetizione di diapositive infinite che la facevano impazzire ogni volta che il film riprendeva dall’inizio. Il percorso era spoglio e le case erano terminate chilometri prima, poi eccole lì, le palazzine malfamate e lì per strada le prime puttane si iniziavano a intravedere, mezze nude, con un sorriso beato e vaneggiante.
Si avvicinò a una d’esse e mentre quella la osservava stranita lei la prese in disparte e, appena sole, la sbatté al muro stringendo tra le mani quel piccolo indumento che sembrava una maglia.
“Chi cazzo sei, si può sapere?!” Urlò la ragazza dai capelli tinti di uno strano rosa acceso; nei suoi occhi verdi dardeggiava uno strano luccichio. Non sarebbe stato compito di una bambina accudire il freddo di uomini sconosciuti.

“Nekomata vuole sapere solo una cosa… poi ti lascerà in pace…” le disse lei crucciando appena la fronte abbassando di poco le fine sopracciglia sugli occhi.

La ragazza la guardò alzando un sopracciglio e poi rise; allora Yugito la sbatté con così tanta forza al muro che la ragazza gemette come sotto il peso di un grosso uomo.

“Ti ucciderò se non parli…” commentò irascibile e quella davanti a sé tremo, le gambe cedettero di  poco per la paura facendo si che il top rosso che le stringeva Yugito, le scoprisse buona parte del seno.

“Dov’è l’uomo con le cicatrici?” Chiese con voce calma, gelando con delle parole le speranze della prostituta vicina a lei.

“Di chi parli?” Venne sbattuta di nuovo contro il muro e stavolta si mise a piangere facendo colare sulle guance scarne il mascara nero.

Orchidea che sboccia nell’ombra e cerca di affacciarsi dal vaso della speranza,
appassisce veloce finché non capisce il proprio errore.

“Kakuzu Kakugyō…” Scandì a denti stretti e allora un barlume di lucidità lampeggiò nel verde di quegli occhi estranei. Aprì la bocca secca e il gatto emise un soffio impaziente. Voleva affondare i denti nella carne della prossima vittima, fremeva davanti alla ragazza attendendo notizie.

“Io… non so se posso dirvelo…” Ma si interruppe appena la mano della donna gli afferrò il collo iniziando a stringere con espressione fredda.
“Va bene! va bene!” parlò cambiando voce e diventando subito violetta in viso con gli occhi che si chiudevano per lo sforzo. Mollò la presa ed attese iniziando a far vibrare le mani vedendo con quale lentezza la ragazza stava riprendendo fiato.

“Lui… abita a cinque case di distanza da qua… un portone con un simbolo a forma di cascata e un taglio sopra…”

Yugito la lasciò andare meccanicamente e si voltò per dirigersi verso la strada principale ma l’altra parlò di nuovo:

“A meno che tu non ti faccia scopare o gli porti un bel bottino non credo ti aprirà quella porta…”

“La sfonderò…. Addio.”

Di nuovo il vento accarezzò i capelli della donna e la giovane rimase a guardare la sua figura sparire pensando a quanto era andata vicina alla morte.
Un turbinio di emozioni facevano rabbrividire Yugito; si strinse una mano sul seno sinistro sentendo il battito accelerato e le mani diventar fredde per l’angoscia. Quel senso di impotenza la fece star male e la bestia dentro di lei ruggì rabbiosa scatenando la propria ira nelle sue iridi pece.

Un dibattito tra la morte e la vita,
la vita versa il the e la morte lo consuma velocemente,
lasciando sempre la tazzina vuota.

Bussò alla porta, una, più volte, finché alle sue spalle non si stagliò una figura molto più alta di lei e le parlò con voce fredda.
“Cosa vuoi, straniera? Non sai che questo è un posto pericoloso?” Sogghignò facendo un passo avanti e lei si voltò sensuale invitandolo con delle suppliche ad entrare in casa. E così fecero riprendendo il discorso a porta chiusa.
“Ti manda Uchiha Madara? Sei un suo regalo?” Domandò con voce roca e osservai il cappuccio che gli copriva, insieme alla mascherina, quasi tutto il viso. Solo gli occhi, anche se oscurati, erano visibili. Quel verde smeraldo che si ricordava nei suoi incubi; si avvicinò muovendo i fianchi e schiudendo le labbra rosse per invitarlo a venire avanti.
“Non vuoi parlare? Ti ha mandato quel burattinaio di Sasori, allora?” Esclamò ridendo maligno, avvicinandosi. Poggiò una mano sul fianco di lei, ma il gesto fu avventato perché la donna aveva già estratto un pugnale dalla manica nera e gli aveva preso il polso di sorpresa spingendolo contro il muro, conficcando il pugnale nel palmo e braccandolo al muro tra le urla di lui.
“PUTTANA!!” Ringhiò e con un colpo di avambraccio la colpì in viso mandandola a terra contro il tavolino che si rovesciò con le bottiglie di birra vuote che stavano abbandonate lì sopra. Lui mentre cercava di togliersi il pugnale conficcato a forza nella parete non fece in tempo a parare il colpo in arrivo.
Gli graffiò il volto con due colpi veloci delle mani. Ora poteva sentire sotto le unghie lunghe piccoli pezzi di carne portati via.

Urlava alla vista del Nekomata
 e il Nekomata già fremeva per saltargli alla gola e metter fine alla sua vita.

Gocce di sangue colavano dalle mani dell’uomo che urlava tenendosi il volto coperto ormai solo da ciò che rimaneva del cappuccio e della mascherina di cotone. Ma la poteva ancora vedere e lei ringhiò vedendo un occhio verde puntatole contro. Uno degli occhi che avevano spogliato la sorella, che l’avevano vista mentre piangeva turbata, l’avevano violentata nel profondo uccidendola, fino alla fine delle sue urla.
“Maledetto bastardo!!!” Lei si scagliò contro di lui ma venne bloccata dall’uomo che le afferrò il collo sollevandola da terra stringendo così forte che si sentiva già perdere i sensi. Lei appoggiò le mani all’avambraccio sollevato e affondò le unghie tirando via la pelle a brandelli lasciando l’uomo piegato in due per il dolore in un lago di sangue, con la mano ancora costretta al muro.

“Tu devi pagare… Nekomata vuole la tua anima…”

Si avvicinò impassibile, barcollando e asciugandosi con il polso il labbro spaccato che sanguinava. L’odore del ferro impregnava l’aria e penetrava nelle sue narici fino al cervello annebbiando ogni obbligo. Tirò fuori dall’altra manica un altro pugnale e prese una mano dell’uomo, ormai stremato per accorgersi di ciò che stava per accadere; conficcò la lama anche nell’altra mano e con più forza riuscì a bloccare anch’essa nel muro.

“Chi… sei…?” Rise lui a testa bassa, inginocchiato nel suo stesso sangue.

“la morte… che ti toglierà ogni veduta di speranza…” mormorò a bassa voce e l’uomo alzò la testa per guardarla; conficcò le unghie negli occhi di lui graffiandoli via, schizzi di sangue ovunque sulle pareti grigie. Grida di sofferenza, urla di terrore, scongiura inutili, suppliche illusorie.
Il verde smeraldo era sostituito da un vuoto sgorgante vermiglio. Lei si avvicinò eccitata e gli afferrò il collo con una mano conficcando le unghie e osservandolo da vicino. Guardando quanto fosse ripugnante l’anima di un dannato.

“Io sono la morte… e sono la tua fine… io sono Nii Yori…”  A quel nome lui alzò il capo sfregiato e un pugno arrivò sul suo viso; altro sangue tappezzò il pavimento. Tossì e poi riprese fiato.

“anche Hidan… anche Hidan c’era!!” Urlò puntando le orbite scavate verso i piedi di lei. Le cicatrici sulle braccia di lui erano evidenti e ripugnanti ma non quanto le parole che riusciva ancora a sputare fuori dalla bocca, pensò lei.

“Lui ha già perso contro la vita…” Ghignò lei staccando i due pugnali e calciandolo più volte in mezzo alle gambe; era sfinito non sarebbe riuscito a reagire. Pugnalò di nuovo le sue mani a terra, bucando il legno più morbido. Si sedette sopra di lui a gattoni sentendo il corpo andare in fiamme per l’eccitazione di tutto quel sangue usato quasi come vernice in quella stanza.

“Tu non sei Yori!” Urlò indemoniato cercando di muovere le gambe.

“No, hai ragione… sono la tua fine. Dì addio a Nekomata.”

L’ultimo pugnale nascosto nello stivaletto nero venne fuori tagliando l’aria con uno scatto.

“No aspett…” Non ci fu tempo perché con un taglio netto la testa andò all’indietro quasi del tutto staccata dal resto del corpo e gli schizzi caldi bagnarono le guance della donna che ancora tremava scossa. Le uscì dal petto una risata isterica e poi iniziò a piangere sfregiando e mutilando il corpo che aveva sotto mano, quasi servisse a riportare in vita l’amata sorella.

Fiammelle fatue volteggiavano in una danza inquietante intorno a lei,
il gatto aveva avuto vendetta e adesso poteva riposare protetto dai suoi spiriti
che cantavano inni al sangue versato quella sera.


Si alzò da quell’ammasso informe che prima era un corpo umano e si guardò intorno. Si leccò il polso sporco di sangue con la lingua rasposa, seccata durante gli ansimi di eccitazione per l’assassinio. Era quasi l’alba, non avrebbe avuto nemmeno il tempo di fare la doccia. Uscì con disinvoltura dalla finestra dopo aver chiuso accuratamente la porta a chiave dall’interno. Corse via sentendosi vuota, senza più un destino da continuare, correndo senza meta, avvicinandosi anch’essa a un passo dal Nekomata.

Le due code del gatto leggendario si intrecciano avviluppando il suo cuore,
sfregandosi tra di loro, tra odio e pietà,
contorcendosi e districandosi di nuovo.

Sparì dietro le prime luci del mattino mentre il vento faceva le fusa,
richiedendo di nuovo l’arrivo della sua padrona.

Luna piena che ti nascondi impura,
vita segnata che ti affanni per sparire,
osserva gli occhi della notte quando il felino ti strapperà via l’ultimo respiro.
  
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