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Autore: Mitsuko_Ayzawa    15/04/2016    1 recensioni
Artemis Fowl junior è appena tornato dal regno dei morti.
Non si ricorda chi è, fino a che Spinella non gli racconta tutte le avventure che hanno vissuto, ma anche in quel momento, i suoi pochi ricordi e conoscenze non riescono a coesistere con la storia che gli viene raccontata.
Artemis Fowl junior è tornato, ma non sa più chi è.
Non sa più chi dovrebbe essere, ed è questa la domanda che si pone.
Ma forse, le risposte alle sue domande non sono poi così lontane.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Artemis Fowl, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WHO AM I SUPPOSED TO BE?
 
 
 
Probabilmente in questo momento i miei genitori si stanno chiedendo che fine ho fatto. Forse sarebbero anche sorpresi se sapessero che è la stessa domanda che mi sto ponendo in questo momento.
Inclino il volto all’indietro, lasciando che l’acqua calda mi scorra sul corpo. Il mio corpo. Un corpo nuovo di zecca, mai usato, ma che mi appartiene. Soffio via l’aria dalla bocca quando respiro, e dalle mie labbra dischiuse volano decine di piccole gocce d’acqua. Mi passo le mani tra i capelli, sentendoli folti e morbidi sotto le mie dita, esattamente come ricordavo. Lentamente, minuto dopo minuto, sento pezzi di memoria che si incastrano al loro posto, come un puzzle, dopo tanto vagare attraverso la mia mente.
Sono tornato in vita da poche ore, il tempo per tornare a casa, dalla mia famiglia, da quelli che credo siano i miei amici. Quella ragazza, Spinella, mi ha tenuto gli occhi addosso per tutto il tempo. Probabilmente ero una persona importante, per lei. O forse sono morto per colpa sua. Non ricordo con esattezza, ho ancora dei buchi di memoria notevoli.
Respiro in modo affannoso, appoggiando le mani sulle piastrelle in ceramica che coprono il muro.
È ancora difficile per me gestire tutto quello che è successo.
Capita, quando non si sa più chi si è.
E io non lo so, non lo so chi sono. Ho così tante cose che mi frullano per la testa che non riesco a pensare chiaramente.
Stacco le mani dal muro, per posarle sul mio corpo. Chiudo gli occhi, lasciando che l’acqua mi scorra direttamente in faccia, poi giù per la schiena e lungo le gambe, mentre mi prendo il mio tempo per riscoprire chi sono. È un corpo diverso da quello che ricordavo, da quello con cui sono morto.
È più alto, più slanciato, anche se il mio volto ha mantenuto i tratti affilati da lupo predatore. Sono la copia più giovane di mio padre, o quella più vecchio di me stesso. Anche se è strano, perché non dovrebbe essere così. Perché io sarei dovuto essere esattamente così. Se non fossi scomparso per tre anni nel Limbo, sarei così.
Un altro ricordo si inserisce al suo posto, e mi strappa un lieve sorriso.
Sembra che una volta fossi persino abituato a sorridere. Sono stati i miei anni d’oro, gli anni passati con Spinella e con tutti i nostri amici. Gli anni passati ad onorare il ricordo di Julius, gli anni passati a punzecchiare Polledro, a salvare il mondo, dagli altri o da noi stessi.
Quando avevo dieci anni fui sottoposto allo spazzamente, anche se nemmeno quello mi avrebbe impedito di andare incontro al mio destino.
Dopo due anni avrei creduto erroneamente di essermi imbattuto nel Popolo per la prima volta.
Quando ne avevo tredici, accadde di nuovo che mi cancellassero la memoria, ma quella volta ero molto più preparato. Quella volta sapevo esattamente cosa fare. Come ricordare, come guarire.
Poi sono scomparso per tre anni, e quando sono tornato il mondo era andato avanti senza di me, ma io ero andato avanti senza di lui. Ero me stesso? Sì, ma ero anche qualcosa di più.
Ero due occhi di colore diverso, ero magia.
Cosa è successo poi?
Mi ci vogliono pochi secondi, per riportare alla luce il racconto di Spinella, e qualche ricordo, e per un qualche strano motivo le labbra mi pizzicano, e non capisco perchè. Non ho mai usato questa bocca, non ho ancora mai mangiato nulla da che sono tornato. Sotto questo aspetto, ogni singola cellula di me è innocente. Sento l’impulso di portarmi le mani al volto, di sentire la mia pelle calda e bagnata sotto le dita, perché in alcuni momenti mi sembra ancora di galleggiare nel vuoto, e sembra strano essere tornati.
In alcuni momenti, tutto ha perfettamente senso. In altri, non riesco a capire nemmeno chi sono. Ma sentire che sono qui, che ho un corpo, è qualcosa di più. Non importa chi sono. Importa che ci sono. Che sono qui, che sono vivo, che nascosto tra le costole ho un cuore che batte e pompa sangue, che posso sentire il profumo del bagnoschiuma, o il suono del silenzio.
Sono stato tante cose.
A volte non sono nemmeno stato me stesso, e mi sembra di osservare le mie azioni – un qualcosa riguardo al declamare poesie su cavalieri e principesse – come se fossi un mero spettatore. Penso che lui si chiamasse Orion.
Fatto sta, che ora sono io, ma al contempo non lo sono.
Non sono quello che ero prima. Sono una somma, di tutto quello che sono stato, del nuovo corpo che mi hanno fabbricato, del fatto che quanto mi guardo allo specchio, come ho appena fatto, non vedo un volto al quale ero abituato, non vedo due occhi di colore diverso, un occhio che mi faceva sentire parte di qualcosa di grande, e importante.
Ora sono una lavagna bianca, tabula rasa.
Ora posso essere qualunque cosa, qualunque cosa io sia stato prima, o qualcosa di nuovo, qualcosa di ancora non scoperto.
Avvolgo il mio corpo in un asciugamano, rivolgendo uno sguardo al camice che avevo indosso fino a poco fa. Mi rendo conto che probabilmente i miei vecchi vestiti non mi entreranno, e quando raggiungo l’antibagno sono sorpreso di trovare un completo da adulto, probabilmente di mio padre. Devono averlo realizzato anche gli altri, e Leale deve averlo messo lì per me.
Ovviamente. Sembra che questa volta, per una volta, io sia l’unica persona che non ha ancora capito cosa stia succedendo.
Cosa io stia diventando.
Cosa dovrei essere.
Mi rivesto in automatico. Non ricordo come io abbia imparato ad annodare la cravatta, o quando, semplicemente so farlo. E lo faccio. Punto lo sguardo nel mio riflesso e mi osservo mentre le mie dita si muovono agili sulla stoffa, piegandola, annodandola, tenderla e sistemandone le pieghe.
L’immagine che vedo riflessa, mi appartiene, e penso che dovrò farci l’abitudine.
Sorrido, e non so perché. Mi viene naturale.
Forse ho compreso qualcosa di importante, ma il mio cervello sta ancora cercando di metabolizzare chi sono stato, chi sono ora, e cosa potrei essere, per essere in grado di capirlo.
Esco dal bagno, e tutto intorno a me è familiare.
Mi ricordo di quando ero un ragazzino, e camminavo per i corridoi osservando i ritratti dei miei avi. Mi ricordo ogni volta che un membro del Popolo ha varcato la mia porta, mi ricordo dei pomeriggi passati ad inseguire i miei fratelli. Mi ricordo degli assedi che questa casa ha visto. Cammino fino alla scalinata di quercia, e mi ricordo di quando un troll ha fatto esplodere il portone di casa.
Ma ora non c’è un troll nell’atrio.
C’è un’elfa alla quale devo la vita, e forse qualcosa di più. C’è un centauro paranoico che è una delle mie maggiori sfide intellettuali. C’è Leale, il mio migliore amico, che mi ha aspettato per tre anni, e poi sei mesi, sapendo con certezza che sarei stato in grado di vincere anche la morte. Ci sono i miei genitori, per i quali ho fatto cosa orribili, ma anche cose bellissime.
Mi osservando mentre scendo le scale, mentre cerco di non inciampare in gambe più lunghe di quelle che avevo prima. Devo essere più alto di almeno venti centimetri.
Arrivo fino al loro livello, fino all’ultimo gradino, senza mancare un passo.
E in quel momento realizzo quello che ho imparato poco prima.
Queste persone, persone che amo più di quando amassi me stesso, sono il mio passato. E che cosa è un uomo senza il suo passato? Non è che un involucro vuoto, senza spessore, e non è il mio caso. Perché io ho un passato con loro, ci sono ricordi, emozioni, esperienze che abbiamo condiviso. Loro mi hanno reso quello che sono, indipendente da chi io sia.
Loro sono il mio presente, perché sono qui, in piedi di fronte a me, che mi guardano forse con orgoglio, forse con affetto, forse con qualcosa che io non capirò mai, perché non sono mai stato bravo a capire i sentimenti. Loro mi hanno aspettato, mi hanno riportato indietro. Sono la cosa più importante che ho, l’unica cosa che vorrei avere sempre con me, l’unica cosa che non vorrei mai dover perdere.
Spinella mi sorride, un sorriso pieno di sfida, mentre incrocia le braccia sul petto con fare saccente.
«Ben tornato, Artemis. Ero sicura che non ci saremmo disfatti di te tanto facilmente». Inaspettatamente, mi scopro a ridere, ma va bene così.
Non so chi sono. Non sono che un nome, un corpo artificiale, un insieme di collegamenti neuronali.
Sono l’insieme delle vite che ho vissuto, delle vite che i miei amici hanno vissuto.
Ed è con loro, che andrò avanti. Che scoprirò chi sono oggi, e cosa sarò domani.
«Grazie Spinella,» rispondo «sono contento di essere tornato».
Lei mi sorride, questa volta con sincera gioia.
«Anche noi, Artemis» si guarda intorno, rivolgendo un’occhiata complice a tutti gli altri «anche noi siamo felici che tu sia tornato».
Le sorrido di rimando.
Chiunque io sia, non sarò solo, e questa è la cosa più importante.
   
 
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