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Autore: Barbara Baumgarten    16/04/2016    2 recensioni
What if? Cosa sarebbe accaduto, dopo l'ultima guerra contro Voldemort, se Bellatrix avesse ricevuto una pena esemplare? Talmente tanto unica da rasentare una follia? Bellatrix viene condannata a ricevere una coscienza con la quale dovrà fare i conti.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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La Gazzetta del profeta se ne stava nel becco del pennuto in attesa di essere presa. Da quando Voldemort era stato sconfitto nessuna brutta notizia veniva riportata e, lentamente, la vita nel mondo della magia era tornata normale.

Anche a casa Weasley la vita continuava, sebbene ogni singolo giorno Molly si svegliasse con gli occhi umidi nel ricordo di Fred. Con passi addormentati la signora Weasley si avvicinò al gufo e prese in mano il giornale. In prima pagina la notizia gridava giustizia e un sorriso amaro le illuminò la giornata.

 

 

Bellatrix Lestrange: la Mangiamorte ha avuto una pena esemplare

Dal Ministero della Magia fanno sapere che nel caso Lestrange si è riscorsi ad una pena alquanto singolare: attraverso un incantesimo messo a punto per l’occasione, l’ex fedele di Voldemort ha riacquistato la coscienza. Privata della magia e arricchita dal senso di colpa, la Lestrange è stata rimessa in libertà. Rimane sconosciuta la località della nuova vita di Bellatrix ma il mondo magico è finalmente libero dalla magia oscura dei Lestrange.

 

* * * * * * *

La pioggia rendeva Londra una vecchia città bagnata e grigia. Rivoli di fumo si alzavano dai comignoli in prossimità de “Il paiolo Magico” e, all’interno, ognuno aveva la propria copia della Gazzetta che leggeva in silenzio. L’odiata e detestata Lestrange era stata rimessa in libertà con la coscienza… se ne sarebbero viste delle belle!

Nessuno fiatava: forse per la paura che fosse solo un sogno o per l’emozione di quanto era stato annunciato dal Ministero. Certo era che Bellatrix non sarebbe stata così stupida da recarsi in Diagon Alley e girovagare per quelle strade che, qualche mese prima, aveva dilaniato con i suoi incantesimi oscuri. O forse no…

“Per la barba di Merlino! Se me la trovassi davanti non so proprio cosa farei!”

Tutti si voltarono a guardare chi fosse stato a parlare, interrompendo il silenzio grave e mistico che aleggiava nella taverna. Era un uomo canuto, di mezza età, con una barba lunga e occhi vispi.

“Non sareste che l’ultimo di una lunga fila, signore”, fece eco il taverniere che, senza distogliere lo sguardo dal bancone che stava pulendo, si prese la briga di dar corda alla conversazione.

“Eh già. Ha avuto quello che si meritava, date retta. Quella Lestrange ha rovinato la vita di tante persone”. Un coro di assensi si levò fra i tavoli.

“Chissà cosa farà il nostro Potter. Vi ricordate che fu lei ad uccidere Sirius? Ah, se fossi in lui le farei una bella visita”

“Povero Potter! Ho sentito dire che Bellatrix è stata mandata in un quartiere babbano, proprio vicino a Privet Drive!”

Esclamazioni di stupore accolsero quella notizia: Privet Drive era stata la dimora del giovane Harry Potter per lungo tempo e sarebbe stato proprio un bel contrappasso abitare accanto alla casa dov’era cresciuto Colui-Che-Aveva-Ucciso-Voldemort.

“Ah, cosa darei per incontrarla”, disse in conclusione il taverniere.

 

Poco più in là…

La donna camminava ricurva tenendosi ben stretta il mantello e il cappuccio. In tasca aveva poche sterline, giusto quello di cui avrebbe avuto bisogno per un pasto caldo. La fame era tanta ma il timore che qualcuno potesse riconoscerla era più forte. Allontanarsi dai quartieri rischiosi sarebbe stata un’ottima idea se solo si fosse ricordata quali fossero. Nonostante ne avesse percorsi diversi durante la sua vita, Bellatrix non aveva mai davvero osservato le strade sulle quali si muoveva assieme ad altri Mangiamorte, preferendo indugiare sui volti terrorizzati al proprio passaggio. Ma la situazione, ora, era diversa.

Quando le avevano comunicato la pena aveva riso follemente: lei non sapeva nemmeno con quale lettera iniziasse la parola coscienza, figuriamoci temere di averne una. I primi segni della nuova lei erano comparsi qualche ora dopo l’incantesimo: stava camminando per le strade di Londra quando riconobbe qualcosa. Una vetrina rimandava la sua immagine e in un lampo riconobbe quel viso riflesso nelle iridi di Sirius Black. Fu una sensazione mai provata prima, un dolore alla bocca dello stomaco che lì per lì scambiò per fame. Poi l’oppressione al petto e la vista che si appannava… non le era mai accaduto prima, non aveva mai guardato il mondo dietro il velo acquoso delle lacrime. Comprese quanto la sua punizione sarebbe stata difficile da affrontare. Ricacciò quel ricordo indietro, facendo appello a tutta la sua forza di volontà e continuò a camminare. Voci… ricordi… tutto stava affiorando come un film nella sua testa. Si premette le mani alle tempie pregando che passassero, che la lasciassero stare. Ma non sarebbe accaduto. Voleva silenzio dentro di lei: per la prima volta le voci che udiva non erano quelle del suo Signore ma quelle dei tanti a cui aveva strappato la vita.

Camminava barcollando, sbattendo addosso alle persone che incontrava.

“Stai attenta!” la rimproverò qualcuno e lei fece una cosa che, davvero, non seppe spiegare. Si voltò cercando di incrociare lo sguardo dell’uomo che l’aveva rimproverata e chiese scusa. Il suo corpo agiva di riflesso, come se quei gesti fossero naturali, mentre la sua mente guardava se stessa fare cose che non avevano mai avuto un senso.

 Si voltò e continuò quella lunga camminata verso la pazzia. Non riconosceva luoghi, non sapeva neppure dove fosse in quel momento. Poi, la fame aveva avuto il sopravvento e si era costretta a fermarsi.

Una piccola tavola calda, ben illuminata e quasi famigliare. Bellatrix venne accolta da sguardi di repulsione da parte di quelli che erano già seduti nei tavolini. Si guardò ad uno specchio e comprese il motivo di quelle occhiate: aveva l’aspetto di una senza tetto, trasandata e sporca.

Si avvicinò al bancone e chiese qualcosa da mangiare facendo vedere le sterline che aveva con sé. Nemmeno sapeva quanto valessero quelle monete babbane che aveva in mano… babbane…

Quella parola sussurrata dalla propria coscienza fece riemergere un altro fiume di ricordi: quanti ne aveva uccisi? Quanti ne aveva maledetti? Crucio

Vide i genitori di Neville contorcersi davanti ai suoi occhi; vide Hermione che gridava pietà…

Il fiato si fece corto e cominciò a sudare.

“Si sente bene?”. La voce della donna dietro al bancone le giunse da lontano, come un’eco distorta. Riuscì a far cenno di dissenso con la testa e nulla più. Le girava la testa e quelle voci non la smettevano di gridare.

“Chiamate un’ambulanza!”

Cos’era un’ambulanza? Avrebbe voluto scappare, uscire prima che quella cosa, qualunque cosa fosse, arrivasse ma le gambe non la reggevano. Si dovette aggrappare al bancone mentre un senso di nausea cominciò ad opprimerle lo stomaco. Stava morendo? L’avevano avvelenata? Inconsciamente sperò che fosse così, almeno la sua sofferenza avrebbe visto una fine rapida.

Perse i sensi.

 

 

 

Le porte del pronto soccorso si aprirono spinte dalla barella che procedeva rapida lungo il corridoio, fino all’accettazione.

“Cosa abbiamo?”, chiese una donna piccolina che teneva in mano una cartella clinica vuota.

“Donna in stato di shock. Battito accelerato, pressione 120 su 90”

“Documenti?”

“Nulla. È entrata in un bar e si è sentita male”

La piccola infermiera guardò quel volto coperto dalla maschera d’ossigeno.

“Bellatrix Lestrange”, disse quasi a fil di voce, incapace di credere a ciò che stava vedendo. Il volontario dell’ambulanza la guardò alzando le sopracciglia.

“Che razza di nome è?”

L’infermiera non rispose. “Portatela in sala 4, chiamo il dottor Welling”, era un ordine e i tre ragazzoni obbedirono celeri. Guardò quella barella allontanarsi e non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe dovuto fare.

 

 

 

Crack!

Harry Potter si materializzò a pochi metri dalla casa dei Weasley. Dal comignolo uscivano vapori di cucina ed era sicuro di trovare Molly intenta a cucinare qualche ghiottoneria. Si fermò qualche istante prima di bussare perché il ricordo di Fred lo investì come un uragano. Era stata colpa sua… tutti quelli che quel giorno avevano perso la vita, l’avevano donata affinché lui potesse sopravvivere. Era un peso enorme da portare.

Inspirò profondamente e bussò.

“Harry!”. La signora Weasley era sorpresa e contenta di vedere quel viso tanto famigliare e in un battito di ciglia lo abbracciò.

“Come stai?”, gli chiese, senza allentare la stretta.

“Bene, signora Weasley”

Harry adorava Molly perché era quanto di più vicino ad una madre avesse avuto. L’aveva accolto come uno dei suoi figli fin dal primo momento in cui si erano conosciuti, molti anni prima, mentre Harry cercava disperatamente il binario 9 e ¾.

“Ron! George! Fr…”, l’ultimo nome si spense in gola e Molly abbassò lo sguardo. Sentì gli occhi comprensivi di Harry e sorrise per trattenere le lacrime.

“E’… è difficile… a volte, ancora, non mi sembra possibile”

Harry allungò una mano per dare conforto sebbene il senso di colpa lo opprimesse. Un boato dalle scale di legno interruppe quel momento doloroso e i due figli della signora Weasley sbucarono in cucina.

“Harry!”, dissero quasi all’unisono Ron e George, felici di rivedere il proprio amico.

“Dai siediti e mangia qualcosina”, lo invitò Ron. Si sedettero attorno alla tavola e Harry assunse un’aria grave, una di quelle che ti fanno pensare che sia accaduto qualcosa di brutto.

“Cos’è successo?”

Il giovane uomo si prese qualche istante prima di comunicare la notizia più assurda che mai avrebbe pensato di dire.

“Bellatrix”, disse a fatica.

“Sì, abbiamo letto la notizia. Strana cosa eh?”, fece eco Ron.

“No, cioè voglio dire sì è strana la cosa ma non è di questo che voglio parlare… Bellatrix è… ricoverata presso l’Hammersmith Hospital”

Silenzio.

“C-Cosa?”. Fu Molly a parlare per prima.

“L’ho saputo poco fa”. Harry non sapeva cosa dire e in quel momento l’idea di andare a casa Weasley per dare la notizia non gli sembrò più tanto buona. Quella famiglia aveva sofferto tanto a causa della Mangiamorte, così come molti altri nel mondo magico, compreso lo stesso Harry.

“Ho voluto dirvelo perché ho intenzione di vederla”

Gli sguardi lo travolsero.

“Sei matto?!” gridò Ron, mentre Molly e George non sapevano cosa dire.

“Ha ucciso Sirius, Ron. Devo parlarle”

“Vengo con te”. Stranamente, non furono né Ron né George a parlare, ma Molly.

 

 

Un bip continuo le fece aprire gli occhi. Tubi, luci, persone. Confusione attorno a lei e ancor di più nella sua testa. Indossava un camice bianco, così come bianche erano le pareti e le lenzuola. Respirava a fatica cercando di capire dove si trovasse. Non era Azkaban, questo lo sapeva, ma temeva potesse essere ancora peggio. Quando mise a fuoco la stanza si accorse di una piccola donna che, seduta di fronte a lei, la scrutava stringendo la mascella. Non la riconobbe ma sentì che per quella sconosciuta lei significava qualcosa.

“Non sai quanto ho sperato di trovarmi in una situazione del genere, Bellatrix”, le disse quasi in un sussurro. “Trovarmi a pochi metri da te che, inerme, giacevi in un letto di ospedale. Ho pregato sai? Ho pregato che Dio mi concedesse la possibilità di vendetta”. C’era amarezza in quelle parole, disperazione urlata sotto voce. Bellatrix non riusciva a ricordarla e il senso di smarrimento le fece inumidire gli occhi. Quanto male aveva fatto? A quante persone? Ne ricordava poche, pochissime, ma sapeva quanto la lista fosse lunga.

Avrebbe voluto dire qualcosa ma le parole le morivano in gola ancora prima di prendere una forma nella sua mente.

“Tu non hai idea di chi io sia, vero?”

Bellatrix scosse il capo lentamente. No, non lo sapeva. Un sorriso amaro si dipinse sul volto di quella piccola donna. Poi lo sguardo calò su ciò che teneva in mano: una bacchetta. Era una strega. Bellatrix la guardò con più attenzione cercando anche il più piccolo segno di riconoscimento ma vagava nel buio come un cieco.

“Credo sia inutile che io mi presenti, allora. Il mio nome sarà solo uno dei tanti ai quali tu hai strappato tutto”. Si alzò e con la punta delle dita sfiorò il lenzuolo bianco che ricopriva i piedi della Mangiamorte, mentre il bip del battito cardiaco aumentava.

Bellatrix era terrorizzata: quella donna l’avrebbe uccisa, ne era certa, e lei non si sentiva pronta. Doveva prima espiare le sue colpe, chiedere perdono e sapeva a chi doveva rivolgere le scuse per sentirsi meglio.

“Mi… mi spiace”. Fu tutto quello che riuscì a dire e la donna si fermò. Con i suoi occhi tristi la fissò per alcuni istanti come se stesse cercando di capire quanta verità ci fosse in quelle scuse. Sapeva dell’incantesimo, sapeva cosa il Ministero della Magia le avesse fatto, eppure faticava a credere che avesse realmente funzionato. Ma vedere Bellatrix che le implorava perdono era un segno più che evidente che la coscienza avesse trovato davvero una dimora in quel corpo di ghiaccio.

In quegli istanti interminabili, la mente della Mangiamorte era freneticamente alla ricerca di un particolare, anche il più piccolo, che potesse aiutarla a ricordare. Pianse. Aveva distrutto così tante vite che nemmeno si ricordava i volti; aveva umiliato così tante persone da averne rimosso i nomi. Poi, come un fulmine, una parola le attraverso le sinapsi corrotte dalla nuova coscienza: mezzosangue. Quella donna era una per metà babbana: ecco perché non poteva ricordarsi il suo volto, perché per i Mangiamorte i mezzosangue altro non erano se non razza impura e inferiore.

La piccola donna stava per dire qualcosa quando qualcuno bussò alla porta della stanza. Gli occhi di Bellatrix corsero terrorizzati verso la maniglia che vide piegarsi, come a rallentatore, trattenendo il respiro. Temeva la figura che stava per entrare, come se il suo sesto senso le dicesse che stava per accadere qualcosa di incredibile. Un giovane uomo mise un piede nella stanza e la guardò da dietro un paio di occhiali fin troppo famigliari. Montatura tonda, un ciuffo di capelli neri che copriva la fronte sulla quale, lei lo sapeva, giaceva il segno che per anni l’aveva ossessionata.

“Harry Potter”, disse in un sospiro, mentre la testa cominciò a vorticare così tanto da doversi aggrappare al letto di ospedale. Dietro di lui entrò richiudendosi la porta alle spalle Molly Weasley.

 

 

 

 

Tremava. La sua mano era appoggiata a quella maniglia e tremava come una foglia scossa dai venti autunnali. Uno sguardo alla signora Weasley per prendere il coraggio di aprire. Stava per guardare la donna che le aveva tolto l’ultima cosa degna di essere chiamata famiglia. Bellatrix aveva ucciso Sirius, suo padrino, suo amico.

Mille pensieri, mille risposte ad altrettante domande. Cosa le avrebbe detto? Cos’era venuto a fare? Cosa voleva da lei? Vendetta… no, non era quello. Harry non avrebbe mai vendicato la morte di Sirius perché non voleva cadere così in basso. Voleva solo che lei sapesse il dolore che aveva causato; desiderava che il senso di colpa si sfogasse in lei così tanto da farla annegare nelle lacrime. Voleva guardarla negli occhi mentre la coscienza faceva il suo mestiere.

Nell’attimo stesso in cui aprì la porta i volti dei suoi genitori, di Sirius, di Fred e di Silente gli apparvero come visioni. Erano con lui e lo avrebbero sostenuto.

“Harry Potter”. Fu tutto ciò che lui sentì non appena i suoi occhi incrociarono quelli della donna sdraiata in quel letto di ospedale. Non sembrava nemmeno più l’ombra della Mangiamorte che un tempo era stata: era stanca, sofferente, emaciata. Già solo quella visione fu per lui un balsamo: finalmente, Bellatrix Lestrange aveva una coscienza.

 

Nella stanza calò un silenzio surreale nel quale le voci nella testa di Bellatrix si erano zittite per lasciare spazio alla comprensione. Aveva davanti colui che, nel bene e nel male, le aveva dato la forza di sopravvivere a tutto. Harry Potter era il motivo per cui lei era giunta fino a lì.

Nessuno aveva il coraggio, o semplicemente la forza, di interrompere quel silenzio. Negli sguardi vi erano più parole che nell’aria e Bellatrix si mise seduta. Voleva avere dignità perché, anche se aveva ricevuto la coscienza, il suo senso di orgoglio era ancora ben radicato in quel corpo stanco e decadente. Con una mano indicò il fianco del suo letto, invitando Harry a sedervisi. Dovevano parlare e dovevano farlo insieme, occhi negli occhi. Lei aveva bisogno del suo perdono.

Il ragazzo accolse l’invito seppure titubante e si appoggiò delicatamente al letto. Si guardava le mani come se stesse raccogliendo il coraggio di affrontare lo sguardo di lei. Ma altri occhi attirarono l’attenzione di Bellatrix: gli occhi di una donna dalla quale il perdono, forse, non sarebbe arrivato.

“Io vorrei solo…”, provò a dire Bellatrix ma Molly la interruppe bruscamente.

“Tu hai smesso con i tuoi vorrei, Bellatrix. Parlerò io e tu ascolterai in silenzio ciò che ho da dirti”. Harry non aveva mai sentito quel tono di voce nella signora Weasley e, per un attimo, pensò che fosse lei a volere vendetta.

“Quanto ti hanno fatto al Ministero è infinitamente più magnanimo di quanto ti saresti meritata. Fosse stato per me ti avrei lasciata con i Dissennatori o, almeno, questo era quello che pensavo fino a ieri. Ora capisco che l’averti dato una coscienza possa infliggerti più dolore di quanto avessi sperato.

Ho perso molto a causa tua, a causa di Voldemort… a causa della vostra sete di potere. Mi avete portato via mio il mio Fred”. Il pianto sofferto cominciò a farle tremare la voce, ma deglutì a fatica e continuò.

“Tu non meriti di continuare a vivere, non dopo che tante brave persone hanno dato la vita a causa tua. Vorrei vederti morta, Bellatrix Lastange, ma non ho la bassezza morale per dar credito a questa necessità”

Silenzio. La Mangiamorte accolse quello sfogo come si accoglie una raffica di pugni nello stomaco. Rivide ogni cosa: la grande battaglia, il corpo di Harry che giaceva inerme nella Foresta Proibita creduto morto, i gemelli Weasley che lottavano fianco a fianco. I coniugi Longbottom che soffrivano, Albus Silente che cadeva dalla Torre di Astronomia colpito a morte da Severus. Per ogni ricordo una fitta di dolore la tramortiva. Sanguinava, Bellatrix. Il suo cuore stava sanguinando.

“Mi spiace”, proruppe in singhiozzi incontrollabili. “Mi spiace per tutto. Io non… non so cosa posso fare, so che vi fatto del male e non posso riparare quel dolore. Se solo voi sapeste cosa ero, come pensavo. Io ero cattiva, Molly, come nessuno mai”

Anche gli occhi della signora Weasley piangevano, così come quelli Harry. Erano lacrime dai sapori differenti: salate come la distesa di oceano in tempesta dei rimorsi per Bellatrix; amare come il fiele per Molly; acide come ruggine del cuore più volte lacerato di Harry. Piangevano tutti ma Bellatrix lo faceva per la prima volta. Si rannicchiò in posizione fetale scossa dai singhiozzi violenti che le facevano tremare il corpo, incapace perfino di prendere aria. “Scusatemi” era la sola parola che riuscisse a sillabare in quel terremoto di brividi e rimorsi. Faceva pena. Una pena infinita che solo le anime gentili e di buon cuore possono cogliere, incapaci di rimanere impassibili alla sofferenza altrui. Harry e Molly non si sarebbero mai aspettati tutto quel senso di colpa che sembrava lacerare il corpo di Bellatrix.

Fu Molly ad allungare una mano per sfiorarle la testa e lo fece con estrema fatica e dolore. Avvicinò la mano dapprima stretta in un pugno, serrata tanto da imbiancare le nocche, poi l’aprì e, facendosi coraggio, l’appoggiò sulla testa di Bellatrix. Stringeva i capelli corvini di quella donna come se li volesse strappare e piangeva.

“Solo perdonandoti posso dare un senso alla morte di Fred”, disse fra i singhiozzi violenti. Harry mise una mano sulla spalla di Molly per infonderle il coraggio di cui lui stesso aveva bisogno. Anche lui l’avrebbe perdonata e lo avrebbe fatto per l’amore che i suoi genitori gli avevano trasmesso, per gli insegnamenti di Silente e per il sacrificio di Sirius.

 

 

Un lampo verde illuminò per una frazione di secondo la stanza.

Una bacchetta alzata e puntata verso Bellatrix.

Una piccola donna in piedi, incapace di perdonare.

Avada Kedavra.

   
 
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